3
INTRODUZIONE
Ettore Petrolini nacque a Roma il 13 giugno 1886
1
, e morì il 29 giugno 1936.
Figlio di un fabbro e nipote di un falegname, crebbe in una situazione
familiare lontana dal palcoscenico teatrale eppure <<come pochi altri attori,
sembrava portare nel sangue, per discendenza naturale e diretta, la
tradizione e i segreti della sua arte. Lo si sarebbe detto cioè un tipico figlio
d’arte>>
2
.
Aveva un carattere irrequieto, Petrolini: finì nel riformatorio (di Bosco
Marengo prima, poi quello di Forlì ed infine nel riformatorio regolare di Santa
Maria Capua Vetere) in seguito ad un incidente che lui stesso ricorda
amaramente nel volume Un po’ per celia un po’ per non morir:
Avevo tredici anni; un ragazzino della mia età, certo Attilietto Laurentini si era
impadronito, all’Orto Botanico, di un bastone – o meglio di mezzo manico di
scopa - indispensabile per fare il nobile giuoco della nizza
3
. Il bastone il giorno
avanti era stato nascosto da un altro mio compagno sotto un arco del Colosseo.
Gli dico subito: - Bada che questo bastone non è tuo, so dove l’hai trovato,
dammelo. – No, sì. - Breve. Ci attaccammo l’uno all’altro e giù botte. Gli strappo
il bastone e dalla rabbia lo lancio con tanta forza in aria che va a finire su un
albero. Pianti, strilli di AttiIiuccio che si butta per terra come preso da un
attacco di epilessia. E pieno di bile, con la voce piagnucolosa: - Il bastone era
mio… brutto vigliacco, brutto prepotente… te possin’ ammazzatte! - Al te possin’
ammazzatte mi commuovo. […] E un po’ per la commozione, un po’ perché
avevo voglia di arrampicarmi sull’albero [….] mi arrampicai sull’albero. Ma
quando fui a cavallo sul ramo dove era il bastone, il ramo tentennò, si abbassò,
1
Come spesso capita, gli studiosi non concordano sulla data di nascita dei grandi artisti.
Quella qui riportata nel testo concorda con quella indicata nella voce Ettore Petrolini
dell’ Enciclopedia dello spettacolo (Fausto Montesani, voce “Ettore Petrolini” in
Enciclopedia dello spettacolo, Firenze, Sansoni, 1960, vol. VIII, pp. 61-70). È d’obbligo,
però, riportare almeno alcune delle altre voci: Franca Angelini nel testo Petrolini. La
maschera e la storia, Roma-Bari, Laterza, 1984, p. 1, indica il 1884; Ghigo de Chiara in
Ettore Petrolini, Bologna, Cappelli, 1959, p. 14, indica 1866; Mario Corsi in Vita di
Petrolini, Milano, Mondadori, 1994, p. 13, stima il 13 gennaio 1886; Mario Verdone
nell’articolo Petrolini: una voce romana nel mondo, In “Sipario”, IV, Milano, L’isola, 1949,
stima il 13 gennaio 1888; Gilberto Monti nel Dizionario dei comici, in Id. Dizionario dei
comici e del cabaret, Milano, Garzanti editore, 2008, pp. 390, come data di nascita indica
il 13 gennaio 1886.
2
Fausto Montesani, op. cit., p. 61.
3
La nizza era uno dei giochi più diffusi: si prendeva il manico di una scopa e se ne
tagliava una parte, poi se ne tagliava una seconda di più piccola dimensione; Il bastone
lungo diventava il battitore e la parte corta la nizza.
4
Il bastone scivolò proprio a piombo e andò a finire proprio sul cranio di
Atiliuccio. Urli, sangue […] Atiliuccio perde i sensi… e io perdo tutto. […]
All’indomani vengono le guardie a casa e finisco a Bosco Merengo
4
.
Durante una recita al teatro comunale di Alessandria, molti anni più tardi,
capitò nel camerino dell’attore un signore dall’apparenza timida e cordiale
direttore, di quel periodo, del riformatorio Bosco Marengo in cui Petrolini,
appena tredicenne, scontò la sua pena. Dopo vari convenevoli il direttore
invitò l’attore a far visita al riformatorio, invitandolo poi a scrivere le sue
impressioni. Petrolini riporta la lettera di cui ritaglio le informazioni circa la
sua prigionia:
Il direttore di quell’ epoca (non lo nomino per precauzione) mi ficcò in cella […].
Avevo tredici anni e mezzo, e mi ci ficcò appena arrivato. Per farmi meditare,
diceva lui! Io, a quel tempo, non meditai, né capii; ma oggi potrei gridare in
faccia a Dio e agli uomini che fu una vera indegnità […..].
Nel frattempo nel riformatorio si organizzava una recita […]. Naturalmente, io
fui subito prescelto per fare la parte del buffo in una scialba farsetta che
s’intitolava Franconi e Timiducci, nella quale, si capisce, io facevo la parte di
Franconi. Fu un successo. Successo che si trasformò in un disastro: l’esito fu
strepitoso e di conseguenza ne seguì una gazzarra intorno a me: soprannomi,
risata mal represse, lazzi, sberleffi e tutto in sordina, vale a dire… più clamoroso
e rumoroso.
Questa improvvisa popolarità mi fruttò l’ accusa di complice in una rivolta:
rivolta che già covava nel riformatorio antecedentemente al mio ingresso. Ebbi
un bel dire che non sapevo nulla di nulla. Non fui creduto […]. Della rivolta io
non sapevo proprio nulla; ma il mio stupore fu scambiato per simulazione, e
così ritornai in quelle celle e, questa volta, al piano di sotto. Il processo mi venne
fatto nella cella stessa. [….]. Ricordo che dopo il processo rimasi come inebetito
per parecchie ore: poi m’invalse l’esasperazione e cominciai a urlare come un
forsennato. I miei vicini compagni di cella mi imitarono tutti: sciopero completo
della logica e del buon senso; il vero trionfo dell’incoscienza.
[…] Infine, fiaccato, esaurito dagli urli, dallo sgolamento, dal pianto e anche dal
dolore, ebbi qualche ora di tregua; ma la notte ricominciai per il primo con dei
calci alla porta, rottura del boccale, poi ancora strepiti e urli, invocando mia
madre, la libertà, la giustizia e tutte le altre cose impossibili; imprecai
rabbiosamente contro il direttore e la guardia Savio.
[….] Trascorse una quindicina di giorni e me ne stavo rassegnato nel grigiore di
quella cella, quando una mattina annunziarono a me e ad altri due corrigendi
(ritenuti, quanto me, pericolosi) di tenerci pronti perché nel pomeriggio
saremmo partiti per Forlì, scortati dai carabinieri. Incredibile, ma vero: mi
misero le manette! E con una lunga catena ci unirono! ….Io ero quasi contento,
perché al passaggio nelle stazioni destavamo uno stupore tale da rappresentare
il successo. I miei due compagni capivano poco; io mi davo un’aria afflitta,
m’intonavo perfettamente alla situazione; mi sentivo e mi vedevo grande attore
di una commedia di cui mi avevano affidata la parte principale. Quella
passeggiata fu per me un’esibizione da palcoscenico…. Cercavo di apparire
4
Ettore Petrolini, Un po’ per celia un po’ per non morir, Roma, Signorelli, 1936, pp. 5-6;
il testo è stato scritto durante la malattia e pubblicato pochi giorni prima della sua
morte.
5
affranto, triste, vecchio, malato… Mi sentivo il forzato, l’ergastolano, il
protagonista sventurato di un grande romanzo. […] Già sentivo il teatro
5
.
Purtroppo la recita dei poveri ragazzi non era una recita: erano veramente
imprigionati e condannati alla casa di rigore di Forlì. Petrolini, sempre nel
suo Un po’ per celia un po’ per non morir, ricorda con molta tenerezza il
direttore del penitenziario che aiutò i ragazzi lasciandogli più libertà, per non
confonderli con i veri detenuti che si trovavano in quel luogo a scontare ben
altri, e ben più gravi, delitti.
La parentesi tra riformatori e case di rigore, termina a Santa Maria Capua
Vetere in un riformatorio regolare:
Arrivammo verso mezzogiorno: fummo subito ammessi al refettorio, dove già si
trovavano altri ragazzi. E lì, domande, intonazioni misteriose:
- Che cosa hai fatto?
- Di dove vieni?
- Qui si sta bene!...
- Hai una cicca?
- Il direttore è buono.
- Vedi quel superiore? E’ mezzo matto: dà i nocchini in testa, ma non fa
rapporti…
Infatti quel superiore era veramente buono: mi si avvicinò e confidenzialmente
mi diede uno scappellotto che mi fece l’ effetto di un’ ammirevole carezza. Era
un romagnolo: si chiamava Mantovani; […] Mi domandò:
- Che mestiere fai?
Risposi che non avevo avuto il tempo d’ imparare nulla, e chiesi di entrare nell’
officina dei tipografi. Egli stesso s’ incaricò della mia richiesta e fui esaudito.
[….] Dopo un po’ di giorni mi chiamò il direttore [..] e mi disse con disinvoltura,
come se parlasse ad una vecchia conoscenza:
- Come ti chiami? Te la sei cavata con poco…
Poi con mia grande meraviglia, aggiunse che la mattina dopo sarei stato libero.
Mi avrebbe munito di un foglio di via per rimandarmi a Roma, e mi congedò con
la raccomandazione:
- Bada di mettere giudizio!
Seppi poi che il direttore era stato mandato lì da poco e che probabilmente,
dato che io venivo da una casa di rigore e con chissà quali informazioni […],
volendo la tranquillità del riformatorio, mi mandava via per liberarsi di un
elemento pericoloso. […]
6
.
Petrolini nasce in un contesto familiare lontano dal teatro: il padre, come
detto, era fabbro e lui, anziché seguire le orme paterne seguì il suo cuore, o
meglio la necessità fisiologica di fare teatro. Lucio Ridenti nel testo
Palcoscenico
7
sembra descrivere la condizione di Petrolini, quando parla dei
dilettanti che hanno l’arte dentro, che hanno l’istinto di fare arte.
Coloro che (come Petrolini) nascono in contesti lavorativi diversi dal teatro
sentono l’ esigenza di mettersi in gioco davanti agli occhi del pubblico:
5
Ivi p. 7-9.
6
Ivi, pp. 10-11.
7
Ridenti Lucio, Entrare in arte in Id. Palcoscenico, Atanor, Todi-Roma, s.d.
8
Ivi, p. 4.
6
E’ quel metro di assi di legno, incorniciato dalle tradizionali tende a panneggio,
vere o dipinte, che innalza al di sopra degli altri… Senza saperlo, senza volerlo,
si comincia – sin dalle prima volte- a sentirsi differente – ad avere
quell’impercettibile parte di dominio – dovuto all’altezza….della situazione - e si
finisce quasi sempre col subire, inconsapevoli, il fascino della finzione scenica,
che è il medesimo inspiegabile del palcoscenico…
8
E proprio come descrive Lucio Ridenti, anche Petrolini ha sempre avuto
bisogno naturale di fare teatro, sin da piccolo; così, infatti, apre il suo primo
libro di memorie Modestia a parte:
Da ragazzino - potevo avere undici o dodici anni - se vedevo un funerale,
immediatamente mi accodavo. Poi, pian piano, m’intrufolavo fino ad essere
vicino ai parenti del morto; assumevo un’ aria afflitta e fingevo di
commuovermi fino alle lagrime, per farmi compatire dalla gente.
- Povero figlio….
- Quanto mi fa pena…
- Chi sarà?...
- Sarà un nipote…
- No; deve essere il figlio…
- Ma non aveva figli…
- Allora sarà il figlio del portiere di casa sua…
- Non credo. Guardalo come piange…
- Ma chi è? Sarà il figlio di sua sorella…
- Sarà il figlio della serva…
- Tu lo conosci? Ma di chi è il figlio?
- Sarà il figlio della colpa…
Tutte queste cose veramente non le dicevano: io, però, m’immaginavo che le
dicessero. Ma perché facevo tutto questo?
Facevo il teatro.
9
Ed ancora:
Una volta mi trovavo nei dintorni del Colosseo - mio vero campo d’ azione - e mi
venne un’ idea: mi levai la giacca, me la rimisi alla rovescia e poi, con un libretto
in mano […] mi misi davanti all’Arco di Tito; dall’Arco di Tito passai a quello di
Costantino. Borbottavo le parole più disarticolate e indecifrabili[…]. Ma perché?
Perché m’illudevo d’essere scambiato per un forestiere. Facevo il teatro.
10
Ancora una volta la frase: “facevo il teatro”.
“La finzione era la sua follia”
11
: Petrolini non era un ragazzo ordinario, ma
un ragazzo impaziente di esibirsi sui più grandi palcoscenici italiani. Continua
infatti: “Il teatro a ferro di cavallo -questa fatale calamita- mi attraeva
irresistibilmente”
12
.
Il primo esordio, il primo vero passo verso l’arte, Petrolini lo fece a quindici
anni recandosi dall’agente teatrale Giulio Fabi il quale, dopo un indennizzo di
quattro scudi, indirizzò il Nostro nella compagnia di Angelo Tabanelli che
9
Ettore Petrolini, Modestia a parte, Bologna, Cappelli, 1932, p. 3.
10
Ivi, p. 4.
11
Mario Corsi, Vita di Petrolini, Milano, Mondadori, 1994, p. 16.
12
Ettore Petrolini, op. cit., p. 4.
7
agiva in un vecchio granaio municipale a Campagnano, nei dintorni di Roma,
assumendolo come macchiettista. Debuttò con la macchietta Il bell’Arturo
13
.
Ebbe subito un discreto successo ma, come spesso accade agli esordi, non
ricevette paga. Di seguito riporto il divertente brano dell’avvenimento:
Ogni sera Angelo Tabanelli portava i comici […] a mangiare all’ osteria di
Panzaliscia e pagava per tutti, tranne che per me. Io pagavo il mio conto, mi misi
a pensare: “Ho fatto un discreto successo; sono vestito meglio di tutti: perché
non mi parla mai della paga? Forse vorrà darmi qualche cosa in più di quel che
da agli altri e aspetterà il momento in cui rimarremo a quattr’occhi, per non
mortificare i miei compagni…”
Senonchè agli sgoccioli delle tre lire, mi allenai ed affrontai il capocomico con
molta disinvoltura:
- A me, poi, quanno me paga?
Er sor Angelo, con gli occhi strabici, ringhiò:
- Pagaaare?!! Pagare cosa? Ma che sei scemo? Ma chi t’ha cercato? Ma non vedi
che qui non si va avanti? Io non ho più soldi!!! Anzi, contavo su te!
E, così dicendo, tirò fuori quella indimenticabile cartolina che precedette ed
annunziò a Campagnano l’arrivo di Ettore Loris, primo ed unico mio nome di
battaglia.
“Carissimo Tabanelli, tra qualche giorno arriverà il comico Ettore Loris un
fanaticone per lavorare sul teatro. Per quello che ti costerà, lo puoi pure
scritturare. Non solo non gli darai nulla, ma all’ occasione (che certamente non
ti mancherà) potrà anche dare un aiuto alla Compagnia, perché figlio di gente
che ha qualche soldarello. Ricordati di me. Voglimi bene. Tuo
GIULIO FABI
14
.”
15
Fu un brutto colpo per Petrolini, tanto più che “il sor Angelo” aggiunse:
<<Anzi, io avevo pensato di pregarti di scrivere o telegrafare a casa tua per
avere un centinaio di lire che t’avrei restituite a Nepi, la nuova piazza, dove
faremo certamente affaroni.>>
16
Deluso, Petrolini si incamminò verso casa
trovando un compagno di delusioni, fra l’altro Totonno Lombardo, maschera
di Pulcinella.
Durante il viaggio il comico raccontò al nostro artista emergente dei più
celebri Pulcinella: Cammarano, Petito, De Martino e del piccolo teatro
Mercandante a Forìa.
Il giorno successivo Petrolini non si fece prendere dallo sconforto e si
precipitò a cercare il Fabi per regolare i conti. Lo rintracciò al Gambrinus a
Piazza dei Cinquecento e l’agente, che capì subito che Petrolini non aveva
intenzioni pacifiche, disse due parole magiche:
13
La macchietta Il bell'Arturo fu inserita nella rivista Venite a sentire, mette in ridicolo sia
le star del mondo del cinema muto e i cantanti dell'epoca. E’ intesa anche come prima
caricatura del “beau” decadente e dannunziano, dal quale si sviluppò in seguito,
Gastone. Gastone è una commedia in tre atti (Ettore Petrolini, Gastone, Bologna,
Cappelli, 1932).
14
Giulio Fabi era una agente teatrale di Roma, a cui Petrolini si rivolse per avere
contratti col mondo teatrale.
15
Ivi, p. 6.
16
Ibidem.