5
Nell’ottavo capitolo riporto le interviste che più delle altre ci possono aiutare a
comprendere il fenomeno e le conclusioni alle quali sono giunta.
6
CAPITOLO PRIMO - Le designer drug
1.1 Come si inventa una droga Designer drug: storia e motivazioni di un nome.
[…] “Il termine designer drugs fu introdotto da Henderson
1
per descrivere un
fenomeno emergente nella costa occidentale degli Stati Uniti nei primi anni ’80. Era
l'inizio della "moda" di sintetizzare, e vendere al pubblico, sostanze con alto potere
tossicomanico non ancora incluse nelle tabelle delle sostanze da abuso (Controlled
Substance Act).”
Le sostanze non erano strettamente illegali, anche se la legalità del loro uso era
destinata a terminare dopo breve tempo. Ciò che indusse Henderson ad interessarsi al
problema fu la morte improvvisa di numerosi tossicodipendenti nella contea di
Orange in California. I decessi presentavano tutti i segni del sovradosaggio da
oppiacei, ma l’identificazione di morfina nei fluidi corporei di questi individui
risultava completamente negativa. Analisi successive più approfondite permisero di
dimostrare la presenza di diversi derivati del fentanil, potente analgesico con
proprietà simili all’eroina. Tra questi derivati si trovavano l’alfametilfentanil ed il 3-
metilfentanil che ha una potenza 6000 volte superiore alla stessa morfina.
In questo modo era stato scoperto l' abuso di una sostanza che non compariva nelle
liste delle molecole controllate. I derivati del fentanil erano venduti sotto il nome di
China White, riscuotendo un enorme successo nella popolazione dei
tossicodipendenti poiché la potenza dei suoi costituenti dava la possibilità di
utilizzare dosi molto piccole e quindi consentiva un notevole risparmio economico.
Tuttavia proprio la potenza della sostanza e la difficoltà di dosarla in modo
soddisfacente furono alla base di un numero elevato di “overdose”.
1
Henderson G.L. Blood concentrations of fentanyl and its analogy in overdose victims. Proc. West. Pharmacol. 1983;
26: 287-290.
7
Questo è probabilmente il più genuino caso di designer drug in senso stretto. Il nome,
infatti, comprende una serie di sostanze chimicamente eterogenee, tutte
tossicomaniche, accomunate tra loro da due principali caratteristiche.
La prima è data dalla facilità della sintesi e dall'agevole reperibilità dei costituenti
necessari. La sintesi è operata da chimici clandestini, anche in strutture poco
attrezzate. L’altra essenziale caratteristica delle droghe d’autore è la momentanea
assenza dalle tabelle delle sostanze controllate, a garanzia della non perseguibilità
penale per reati di produzione, detenzione e spaccio.
La famiglia di sostanze alle quali più comunemente si fa riferimento parlando di
designer drugs, è data dai derivati dell’amfetamina, che potrebbe essere pertanto
definita come: "La madre di tutte le designer drugs". Fra queste le più utilizzate sono:
la metamfetamina spesso commercializzata nella sua forma cristallina e nota sotto il
nome di crystal-met o ice (ghiaccio) per la sua apparenza fisica; la
“metilendiossiamfetamina”
2
(MDA) o droga dell'amore (love drug) per il senso di
fraternizzazione che produce (peraltro comune molte sostanze).La MDA è uno stretto
'parente' della metilendiossimetamfetamina (MDMA) comunemente detta “ecstasy”.
3
L’ecstasy come la MDA non dovrebbe essere strettamente considerata come designer
drug essendo stata sintetizzata all’inizio del secolo per essere introdotta sul mercato
come farmaco anoressizzante. Tuttavia la MDA e la MDMA hanno subito destini
diversi. La MDA, ebbe il suo momento di maggior diffusione ai tempi delle
contestazioni universitarie negli anni ’60 e fu inclusa nella lista delle sostanze
controllate nel 1970.A quel punto la MDMA fu giudicata non tanto pericolosa da
essere sottoposta ad un controllo rigoroso. Il suo uso si diffuse soprattutto nelle
popolazioni studentesche e raggiunse l'apice quando uno psichiatra di Santa Fe in
New Mexico, George Greer, […] “mise a punto un protocollo per somministrarla ai
suoi pazienti durante le sedute psicoterapeutiche e ne pubblicò i risultati
4
”. I racconti
dei pazienti in trattamento descrivevano effetti di aumentata intimità e
2
Cfr. M.Sato, pp.48-51.
3
Cfr.L.Garau, pp.34-43.
4
Greer G. MDMA: a new psychotropic compound and its effect in humans. Santa Fe, New Mexico; self-published,
1983.
8
comunicazione, che ovviamente favoriva le sedute psicoterapeutiche, senza effetti
indesiderati.
“La convinzione degli effetti positivi della MDMA crebbe a tal punto che un gruppo
di psichiatri, che avevano essi stessi sperimentato la MDMA, testimoniò contro la
proposta della Food & Drug Administration di mettere la sostanza sotto controllo nel
1984
5
”.La restrizione operata ebbe ulteriori conseguenze, tanto che Greer ed altri
proposero che la MDMA e i suoi congeneri fossero classificati come una nuova
classe farmacologia con un potenziale terapeutico in psichiatria: gli Empatogeni
(Entactogens).“Questo tipo di ricerca è oggi terminato e non sono note pubblicazioni
scientifiche dove si descriva l’effetto benefico della MDMA che ha trasferito la sua
‘residenza’ dallo studio psichiatrico alle discoteche di tutto il mondo mostrando
anche i suoi effetti tossici
6
”.
Il primo esempio di molecola definibile come designer drug, attribuendo il significato
strettamente originario alla 'etichetta’, è storicamente rappresentato dalla
metilfeniltetraidropirina(MPTP).
[…]”Come è stato descritto da Davis la MPTP fu prodotta nel 1977da uno studente di
chimica a Bethesda nel Maryland durante il tentativo di arrivare alla sintesi di una
sostanza da abuso, la MPPP, dotata di attività oppioide e ottenibile dalla
meperidina
7
.”
L’autosomministrazione del prodotto ottenuto provocò nel giovane studente una
sindrome analoga al morbo di Parkison. Negli anni successivi furono osservati in
California alcuni casi simili. Le indagini che seguirono permisero di identificare gli
improvvisati chimici che avevano copiato la sintesi della MPPP da riviste prese in
prestito dalla biblioteca della facoltà di medicina dell’ università di Stanford. Anche
se il fenomeno delle designer drug rappresenta una minima percentuale nel problema
più generale delle tossicodipendenze, esso è probabilmente destinato ad allargarsi ed
a produrre effetti più nefasti di quelli osservati con le precedenti epidemie di eroina.
5
Morgan J.P. 1992, p. 328-333.
6
Cfr. M. Sato, pp.48-51.
7
Davis G.C., Williams A. S., Markey S.P. et al Chronic Parkinsonism secondary to intravenous injection of meperidine
analogues. Psychiatry Res. 1979; 1 (3): 249-254.
9
1.2 Quando da un errore nasce una molecola tossica, ma di utilità sperimentale.
Nel giugno del 1982 George Carrillo, un tossicodipendente di 42 anni, fu ricoverato
presso il centro Medico di San Josè perché colpito improvvisamente da impossibilità
a compiere qualunque movimento ed a parlare. Il neurologo di guardia, che visitò
allora George, era William Langston che, al momento, ebbe non poche difficoltà a
porre l’esatta diagnosi di morbo di Parkison data l’età relativamente giovane del
paziente.
La situazione si complicò ancora di più quando, una settimana dopo, la sorella di
George, anch’essa tossicodipendente, fu ricoverata da Langston con gli stessi sintomi
del fratello. Oltre alla stessa immobilità di George, la donna presentava un marcato
tremore alla mano e il suo volto era fisso ed inespressivo. Apparve subito chiaro dal
racconto dei due pazienti che essi erano caduti in quelle condizioni subito dopo
essersi iniettati una “Eroina di sintesi” fornita da un produttore locale; Langston
afferrò l’idea che il grave quadro clinico poteva ricondursi ad un effetto della droga
assunta ed iniziò meticolosamente ad indagare su quella strana polvere bianca che
intanto aveva già contaminato molti altri giovani della zona . Langston scoprì altri
casi simili a quello di George ed avvertì le autorità sanitarie locali del pericolo di
un'estensione del fenomeno. Si mise a caccia della sostanza responsabile tentando di
riprodurre sugli animali di laboratorio quanto osservato sull’uomo. Un caso analogo a
quello di George, accaduto qualche anno prima sulla costa est degli Stati Uniti era
descritto dal gruppo di ricercatori del National Institude of Mental Health di Bethesda
su una rivista psichiatrica poco autorevole. Langston si mise in contatto con uno degli
autori della pubblicazione, Sanford Markey, ed apprese utili ed interessanti
informazioni su quanto precedentemente accaduto.
L'articolo apparso nel 1979, descriveva la vicenda di un giovane tossicodipendente di
23 anni, studente in chimica, che aveva presentato marcati sintomi parkinsoniani
dopo aver assunto una sostanza simile alla mepiridina, da lui stesso sintetizzata nel
suo laboratorio di casa. Lo studente, durante il procedimento di sintesi chimica, aveva
10
alterato le condizioni sperimentali per abbreviare i tempi necessari alla completa
reazione e, inconsapevolmente , aveva prodotto anche sostanze contaminanti; fra
queste sostanze si era formato la “metilfeniletraidropirina”
8
(MPTP), successivamente
rivelatasi come una terribile neurotossina, responsabile di fenomeni degenerativi
cerebrali che selettivamente colpiscono la substantia nigra.
Il MPTP era stato sintetizzato nel 1947 da un certo Ziering presso i laboratori
dell'Hoffmann-La Roche. L’MPTP, studiato dai ricercatori di questa casa
farmaceutica negli anni 50, a causa delle sue analogie con alcuni neurotrasmettitori
cerebrali, era stato provato come farmaco antiparkinsoniano. La sostanza fu
somministrata a sei pazienti affetti da Parkison e i risultati furono ovviamente poco
chiari e non incoraggianti; pertanto lo studio di questo composto fu interrotto e
dimenticato. Grazie all’identificazione dell’MPTP come la probabile causa della
sindrome parkinsoniana osservata nei tossicodipendenti,[…] “ Langston pubblicò su
Scienze nel Febbraio del 1983 il suo memorabile articolo che dette luogo ad una
esplosione di studi e di pubblicazioni su questo argomento”
9
.
Le intuizioni e la curiosità di Langston hanno dato origine alle scoperte dei
meccanismi che sono alla base della degenerazione dei neuroni dopaminergici,
responsabile dei sintomi tipici del morbo di Parkison. E’ ormai nota l’esistenza di
molte sostanze che, come l’MPTP, possono far morire quei neuroni. Queste sostanze
danno inizio al processo degenerativo con l’ingresso nel neurone dopaminergico ,
attraverso il sistema di captazione della dopamina . A causa delle analogie strutturali
con il neurotrasmettitore, queste tossine sfruttano i meccanismi neuronali propri del
sistema dopaminergico e, occupando i siti di immagazzinamento deputati a contenere
la dopamina nella vescicole sinaptiche, inducono un’abnorme fuoriuscita del
neurotrasmettitore dentro e fuori la cellula. Questi processi portano a morte il
terminale sinaptico,quella struttura specializzata della cellula che serve per
comunicare con gli altri neuroni. La distruzione del solo terminale sinaptico
rappresenta un evento al quale la cellula può porre riparo: la cellula nervosa è in
8
Cfr.Corsini, 1985, 115-113.
9
Langston, in himans due to a product of meperidine-analog synthesis. Science 1983, 219: 978-980.
11
grado di rigenerare il bottone sinaptico e di ripristinare tutte le funzioni ad esso
connesse. Ma in certe condizioni, quando è alterato il flusso di calcio , e/o il neurone
è particolarmente stimolato , esso può andare incontro a degenerazione. I neuroni
dopaminergici , proprio quelli coinvolti nel morbo di Parkinson , sono però
particolarmente 'vulnerabili’. Questa vulnerabilità sarebbe legata alla presenza in
queste cellule della neuromelanina, un pigmento scuro caratteristico che conferisce
all’area cerebrale una colorazione brunastra (substantia nigra).
La conoscenza dei meccanismi di tossicità del MPTP ha permesso di comprendere
alcune modalità nella patogenesi del morbo di Parkinson. L’ipotesi che questa
malattia, originata nei terminali sinaptici dopaminergici, colpisca primariamente lo
striato, e solo successivamente diventi una patologia della substantia nigra, per il
coinvolgimento dei corpi neuronali, ha permesso la formulazione di nuove strategie
terapeutiche miranti ad arrestare il processo degenerativo caratteristico del morbo di
Parkinson.
Oggi William Langston è un affermato professore che dirige un’importante
fondazione sul morbo di Parkinson in California e, conscio di aver fatto progredire
con le sue scoperte scientifiche lo studio di questa malattia. Oggi George Cirillo,
costantemente sotto terapia specifica, è un personaggio famoso negli Stati Uniti:
richiesto da fondazioni e da studiosi.