9
Egli è rimasto profondamente segnato dai due regimi totalitari, non a caso
possiede una particolare sensibilità per la dignità di ogni persona umana in
particolar modo dei più deboli, e per il diritto alla vita. Il suo nome è Karol
Wojtyla, oggi al vertice di una struttura ricca di duemila anni di storia, difensore
di un patrimonio bimillenario di verità, depositario della continuità della
rivelazione e nuova alleanza tra Dio e l’uomo. Ci siamo chiesti chi è quest’uomo
coraggioso, con una tale modernità di comportamento che fanno di lui un leader
naturale dotato di un carisma unico, capace di raccogliere milioni di persone, che
continua a trovare la straordinaria forza per esortarci a difendere sempre,
comunque e dovunque la vita e la dignità umana. Con questo lavoro ci siamo
proposti di contribuire ad una maggiore conoscenza del filosofo Karol Wojtyla.
Nel primo capitolo lo abbiamo conosciuto più da vicino, la sua vita, la sua
formazione ed i presupposti filosofici del suo pensiero. Per Wojtyla la filosofia si
configura come filosofia della conoscenza, come meditazione e disvelamento del
mistero dell’uomo come persona. La sua filosofia parte dall’esperienza di sè e
dell’uomo come soggetto personale, quindi accoglie l’istanza cartesiana del
cogito come quella kantiana della cosiddetta ‘rivoluzione copernicana’. Studia
l’agire per quello che esso rivela all’uomo e non il contrario, introducendolo nel
suo significato umanistico, l’uomo agendo determina se stesso, torna ad essere
un sostantivo non più solo un aggettivo. Egli ama Aristotele e san Tommaso
d’Aquino, inoltre accetta il metodo proprio della fenomenologia per arrivare a
10
sbocchi metafisici aristotelico-tomistici. Una delle particolarità del pensiero di
Karol Wojtyla è quella di non voler fare una precisazione metodologica interna
al pensiero di Aristotele e Tommaso quanto alla possibilità di una loro rilettura.
La ricerca prosegue con il confronto del pensiero filosofico di Wojtyla con tre
correnti del pensiero contemporaneo: la fenomenologia, l’esistenzialismo e il
marxismo. Segue una breve analisi di due opere filosofiche, ‘Amore e
responsabilità’ e ‘Persona e atto’. Abbiamo dedotto che filo conduttore del suo
pensiero è la persona. La chiave che ci ha permesso di comprendere il contenuto
e il metodo del suo insegnamento è: Rivelare la persona umana Questo è il
contenuto, ed il metodo si può sintetizzare come il manifestarsi della persona
attraverso l’atto. Nel secondo capitolo abbiamo affrontato la problematica
dell’antropologia e dell’etica di Karol Wojtyla. Si tratta di una riflessione
antropologica originale perchè è come se all’inizio non sapesse quali saranno le
sue opinioni definitive sull’uomo, sa solo che devono essere sottoposte
all’esperienza dell’uomo. Nella costruzione dell’antropologia non parte da
qualsiasi sistema filosofico, ma dall’esperienza dell’uomo. Il suo realismo è
caratterizzato da un vero e proprio ritorno all’uomo come persona, ed il punto di
vista da lui scelto per questo ritorno è quello dell’autodeterminazione della
persona nell’agire. Egli studia l’agire per quello che esso rivela all’uomo e non il
contrario. Tale punto di vista gli permette di distinguere il suo pensiero dalle
altre fenomenologie dell’umano, nelle quali l’uomo rimane un oggetto alla
11
stregua degli altri oggetti. Dunque punto di partenza della riflessione filosofica
antropologica è l’analisi dell’esperienza, che permette di comprendere a fondo
l’agire umano il quale risulta essere rivelativo della persona. Wojtyla non parte
dalla persona ma giunge ad essa, non dalla persona all’atto ma dall’atto alla
persona. Attraverso l’analisi dell’atto in cui la persona si manifesta in tutta la sua
potenza ontologica, ha dimostrato che l’uomo nella sua essenza razionale,
rivelata dai suoi atti è l’essere più perfetto in tutta la natura. L’interesse letterario
è il primo a segnare la ricerca della verità che occupa la vita del giovane Karol.
L’amore per la letteratura costituisce un tratto distintivo della sua personalità, si
configura come ricerca della verità sull’uomo. Nel terzo capitolo ci siamo chiesti
se l’uomo è in grado di raggiungere la verità. Un aiuto per la soluzione di tale
domanda, che nasce dalla richiesta di senso che da sempre urge nel cuore
dell’uomo, viene dall’itinerario compiuto da Giovanni Paolo II. Abbiamo
ripercorso il cammino da lui compiuto in alcune encicliche, ed anche preso una
posizione cosa che non si può evitare.
12
1.1 Chi è Karol Wojtyla?
E’ l’alba del terzo millennio, il secolo che muore lascia sul mondo l’ombra
della nuvola atomica, l’orrore dei suoi olocausti e antiche paure millenaristiche.
Un uomo chiamato da un paese lontano al compito di successore di Pietro
pronuncia solennemente: « ...Non abbiate paura! Aprite anzi spalancate le porte a
Cristo alla sua salvatrice potestà, aprite i confini degli stati, i sistemi economici,
come quelli politici...»
1
. L’esortazione “Non abbiate paura” pronunciata il 22
ottobre 1978 in Piazza San Pietro era rivolta agli uomini affinchè vincessero la
paura della allora, attuale situazione mondiale, alle nazioni rinate dopo la caduta
dell’impero comunista. « Non abbiate paura del mistero di Dio; non abbiate
paura del suo amore, e non abbiate paura della debolezza dell’uomo nè della sua
grandezza! L’uomo non cessa di essere grande neppure nella sua debolezza. Non
abbiate paura di essere testimoni della dignità di ogni persona umana, dal
momento del concepimento sino alla morte »
2
. Chi è quest’uomo che ha tanto
coraggio? È Karol Wojtyla, nato il 18 maggio 1920 a Wadowice, un piccolo ma
importante centro della Galizia sull’antica strada maestra dell’Impero, ad una
cinquantina di chilometri a sud ovest di Cracovia. Cittadina popolata da
montanari, nutrono un forte senso di identità e un grande amore per i costumi, le
1
VHS, ENZO DORIA, Non abbiate paura storia di un Papa, Rai 1995.
2
GIOVANNI PAOLO II, MESSORI V. , Varcare la soglia della speranza, Mondadori, Milano
1994, pp. 10-11.
13
tradizioni della loro terra. Gli viene imposto il nome di Karol Jozef: Karol come
il padre Jozef, come l’eroe nazionale polacco Pilsudski (che proprio quel giorno
celebrava la conquista di Kiev, in Ucraina). La madre Emilia Kokorowska muore
quando egli aveva solo nove anni. Il padre rinuncia a risposarsi per dedicarsi
all’educazione dei figli. Dopo due anni un secondo terribile lutto colpisce la
famiglia, muore il fratello Edmund. Il giovane brillante medico aveva contratto
la scarlattina da una paziente che aveva cercato di salvare con tutte le sue forze.
Ciò che diventerà il giovane Karol sarà merito di alcune persone tra cui suo
padre, come egli stesso racconta: « La preparazione al sacerdozio ricevuta in
seminario, era stata in qualche modo preceduta da quella offertami con la vita e
l’esempio dei genitori in famiglia. La mia riconoscenza va soprattutto a mio
padre, rimasto precocemente vedovo. «...tra noi non si parlava di vocazione al
sacerdozio, ma il suo esempio fu per me in qualche modo il primo seminario,
una sorta di seminario domestico »
3
. Frequenta a Wadowice la scuola
elementare e il liceo ginnasio statale Marcello Wadowita. Per la formazione di
Karol di notevole importanza è stata la lettura dei grandi classici romantici
dell’ottocento polacco: Adam Mickiewicz, Juliusz Slowacki, Zygmunt
Kransin´ski, Norwid e Stanislaw Wyspian´ski i quali hanno cercato di esprimere
verità universali utilizzando la creazione poetica. Norwid diventerà il suo poeta
prediletto. Rocco Buttiglione, nel testo “L’uomo che divenne Giovanni Paolo II”
3
GIOVANNI PAOLO II, Dono e Mistero,Libreria editrice Vaticana 1996 ,pp. 29-30.
14
ha definito questi grandi poeti come i «...difensori dell’anima della nazione negli
anni durissimi delle spartizioni, delle sommosse più volte represse nel sangue,
dall’ostinato tentativo condotto dai russi e tedeschi di cancellare totalmente la
cultura e la lingua polacca assimilando individualmente i suoi singoli
appartenenti»
4
. Negli anni del ginnasio Wojtyla conosce Mieczyslaw Kotlarczyk,
insegnante di lingua polacca, regista teatrale e teorico del teatro della parola. Di
tale incontro ne parla lo stesso Wojtyla: « In quel periodo ero preso soprattutto
dalla passione per la letteratura, in particolar modo per quella drammatica, e per
il teatro. A quest’ultimo m’aveva iniziato Mieczyslav Kotlarczyk, insegnante di
lingua polacca, più avanti di me negli anni. Egli era un vero pioniere del teatro
dilettantistico e coltivava grandi ambizioni di un repertorio impegnato »
5
. Karol
ritiene che la parola ha una forza evocativa, non ha solo il compito di
comunicare un significato ma di evocare un’emozione, tale forza è resa possibile
perchè l’emozione è insieme soggettiva ed oggettiva. Nel tipo di teatro mostrato
a Wojtyla da Kotlarczyk più che la trama e l’avvenimento interessano ciò che
accade nella coscienza. Da ciò comprendiamo il modo originale con cui molti
temi della fenomenologia saranno ripresi da Wojtyla, soprattutto il tema della
coscienza. Il suo primo contatto con la fenomenologia si realizza in modo
indiretto attraverso la teoria del teatro e la sua esperienza di attore, sotto la
direzione di Kotlarczyk. Nel maggio del 1938 s’iscrive all’Università
4
BUTTIGLIONE R.,L’uomo che divenne Giovanni Paolo II, Milano 1998, p. 42.
5
GIOVANNI PAOLO II, Dono e mistero , p. 11.
15
Jaghellonica per seguire i corsi di filologia polacca, tale scelta è motivata dalla
sua predisposizione verso la letteratura. Si trasferisce a Cracovia in via
Tyniniecka numero dieci, nel quartiere di Debiniki. Riesce a concludere solo il
primo anno, si avvicina la guerra. Il 1° settembre 1939 l’esercito tedesco invade
la Polonia, Wadowice viene annessa al terzo Reich, Cracovia farà parte del
governatorato generale della Polonia. Egli è particolarmente interessato allo
studio della lingua, i suoi studi lo introdussero nel mistero della parola. A tal
proposito Karol Wojtyla scrive: « La parola, prima di essere pronunciata sul
palcoscenico, vive nella storia dell’uomo come dimensione fondamentale della
sua esperienza spirituale. In ultima analisi, essa rimanda all’imperscrutabile
mistero di Dio stesso. Riscoprendo la parola attraverso gli studi letterari e
linguistici, non potevo non avvicinarmi al mistero della Parola, di quella Parola a
cui ci riferiamo ogni giorno nella preghiera dell’Angelus: ‘ E il Verbo si fece
carne e venne ad abitare in mezzo noi’ (Gv 1,14). Capii più tardi che gli studi di
Filologia polacca preparavano in me il terreno per un altro genere di interessi e
di studi. Predisponevano il mio animo ad accostarsi alla filosofia e alla
teologia»
6
. Lo scoppio della guerra mondiale cambia in modo radicale la vita del
giovane Wojtyla. I professori dell’università Jaghellonica tentarono di avviare il
nuovo anno accademico, ma le lezioni termineranno il 6 novembre 1939. Le
autorità tedesche convocano i professori in un’assemblea che si conclude con la
6
Ivi , p.12.
16
deportazione nel campo di concentramento di Sachsenhausen. Termina il periodo
degli studi, inizia la fase dell’occupazione tedesca, durante la quale scrive i suoi
primi lavori letterari. Un assurdo progetto prevede la distruzione della Polonia,
tra i perseguitati accanto agli ebrei ci sono gli intellettuali custodi della lingua e
della tradizione polacca, uomini di teatro e professori che devono essere
eliminati. Per tale motivo la resistenza si batte anche per la trasmissione della
lingua e della cultura. Questo scopo viene raggiunto da Kotlarczyk, trasferitosi a
Cracovia dove lavora come manovratore di tram, che organizza il teatro
rapsodico di Cracovia in forma clandestina. Si riuniscono in case private
mettendo in scena i classici della tradizione nazionale rischiando per questo la
deportazione nei lager. In uno dei gruppi di lavoro del teatro rapsodico c’è Karol
Wojtyla. Nella clandestinità egli si occupa della redazione e edizione di una
rivista letteraria. Nell’autunno del 1940 comincia a lavorare nella cava di pietra
collegata con la fabbrica chimica Solvay come operaio. La sua qualifica gli dava
diritto ad una carta di lavoro che lo metteva al sicuro dai rastrellamenti tedeschi e
dalla deportazione. Sulla cava riesce a scrivere una poesia inserita in “La cava di
pietra” , che qui riportiamo:
« Ascolta, il ritmo uguale dei martelli, così noto,
io lo proietto negli uomini, per saggiare la
forza di ogni colpo.
17
Ascolta, una scarica elettrica taglia il fiume
di pietra,
e in me cresce un pensiero, di giorno in giorno:
tutta la grandezza del lavoro è dentro l’uomo...»
(La cava di pietra: I, Materia, 1)
L’ultimo verso è profondamente incisivo, il lavoro nasce nell’uomo e
dall’uomo che non lavora solo per se stesso, per spirito di autoconservazione ma
per la sua famiglia. Ecco la relazione espressiva che unisce lavoro e famiglia,
che dà particolare consistenza al lavoro umano. Il lavoro e la morte sono i temi
che s’intrecciano e che verranno poi ripresi in “Profili di Cireneo” e
“Meditazione sulla morte”. A tal riguardo Rocco Buttiglione scrive: « Il poeta,
anzitutto, lascia valere il lavoro per quello che è, e mette in luce il corpo
sanguinante dello sforzo muscolare umano che sostiene come un pilastro
possente, l’intero edificio della civiltà »
7
.
In forma poetica viene espresso il dramma dell’alienazione operaia, di un lavoro
del quale non si conosce il senso e lo scopo. Ciò è causato dal fenomeno nel
quale l’uomo è espropriato dal significato del lavoro e dall’esperienza umana di
un giusto rapporto con la società dove è inserito. La poesia di Wojtyla non
esorta, non impreca, non loda, semplicemente descrive. E’ una poesia religiosa
7
BUTTIGLIONE R. ,L’uomo che divenne Giovanni Paolo II ,p. 288.
18
ma non fa l’apologia del cristianesimo. In “La cava di pietra” è presente il tema
della morte poichè egli assiste alla morte di un operaio. Wojtyla descrive con una
poesia quella terribile esperienza:
« Ero presente quando, durante lo scoppio d’una carica di
dinamite, le pietre colpirono un operaio e l’uccisero.
Ne rimasi profondamente sconvolto:
«Sollevarono il corpo. Sfilarono in silenzio.
Da lui emanava fatica ed un senso di ingiustizia».
(La cava di pietra: IV In memoria di un compagno di lavoro, 2-3).
8
I responsabili della cava sono polacchi, cercano di non addossare un eccessivo
lavoro agli studenti, Karol ha il compito di brillatore. In questo periodo rimane in
contatto con il teatro della parola viva che Kotlarcyck continua ad animare nella
clandestinità. Tale impegno è favorito dall’ospitalità offerta a Kotlarcyck e sua
moglie in casa di Wojtyla. Le recite avvengono davanti ad un numero ristretto di
conoscenti, di chi aveva un interesse per la letteratura. Si tratta di un teatro
semplice, centrale è la recitazione del testo poetico mentre minima è la parte
scenica. Tale esperienza segna profondamente il giovane, presto si rese conto
8
GIOVANNI PAOLO II, Dono e mistero, p. 15 .
19
che non era la sua vocazione, lo era invece il sacerdozio. La maturazione della
vocazione sacerdotale avviene nel periodo della seconda guerra mondiale,
durante l’occupazione nazista. La tragedia della guerra, il male dilagante
conferiscono un particolare valore e importanza alla sua scelta, comprende il
senso del sacerdozio e della sua missione nel mondo. Nel 1941 perde l’ultima
persona della sua famiglia, muore suo padre. Di questo periodo Karol Wojtyla
ricorda: « Del grande e orrendo theatrum della seconda guerra mondiale mi fu
risparmiato molto. Ogni giorno avrei potuto essere prelevato dalla casa, dalla
cava di pietra, dalla fabbrica per essere portato in un campo di concentramento.
A volte mi domandavo: tanti miei coetanei perdono la vita, perchè non io? Oggi
so che non fu a caso »
9
. Riprende i suoi studi nel maggio del 1942 presso
l’università Jaghellonica ricostituita dalla resistenza. Nell’autunno dello stesso
anno la carriera artistica ha una battuta d’arresto, prende la decisione di entrare
nel seminario clandestino della diocesi di Cracovia, vuole prepararsi al
sacerdozio studiando teologia. La sua esperienza fu quella di un «seminarista
operaio», da questa deriva la sua particolare sensibilità verso la dignità dei
lavoratori, del valore umano, la comprensione del significato della forza fisica.
Nella sua scelta di vita particolarmente importanti, per l’influenza che
esercitarono su di lui furono: un umile sarto di Debniki, Jan Tyranowski ed il
cardinale Adam Sapieha. Per conoscere Jan Tyranowski si rende necessario un
9
Ivi, p. 45.
20
salto al periodo che precedette l’entrata di Wojtyla in seminario. É un dirigente
laico della parrocchia salesiana del rione di Debniki, Wojtyla lo incontra nel
1940. In questo periodo avviene una forte diminuzione dei preti a causa delle
uccisioni e imprigionamenti da parte dei tedeschi, ciò induce padre Jan mazarski
ad avvalersi della collaborazione dei laici. Padre Mazarski ogni domenica tiene
degli incontri nei quali si discute della ragionevolezza della fede cristiana e di
argomenti di teologia. Animatore di questi incontri è Tyranowski di cui in
seguito ne ottenne la direzione grazie alla sua personale esperienza mistica,
nonostante fosse privo di istruzione teologica. Egli invita i giovani a vivere la
stessa fede, tale obiettivo viene raggiunto anche attraverso il cosiddetto «rosario
vivo» di cui egli è animatore. Il «rosario vivo» e’ composto da quindici ragazzi
impegnati in un’amicizia che ha come meta la perfezione cristiana, non solo
teorica ma anche pratica, aiutandosi nelle varie circostanze che vivevano
quotidianamente. Ogni gruppo di quindici ragazzi forma un « corona vivente »
del rosario. Tyranowski nutre un particolare interesse per la psicologia e per la
teologia mistica. Fonti di tali interessi sono i grandi mistici carmelitani come san
Giovanni della Croce, santa Teresa d’Avila e santa Teresa del Bambino Gesù.
Wojtyla sceglierà il dottorato in teologia su san Giovanni della Croce, molto
probabilmente perchè influenzato dallo stesso Tyranowski che lo introdusse alla
lettura delle opere del mistico. Durante questo periodo incontra l’arcivescovo
Adam Sapieha discendente di una famiglia polacca nobilissima di principi, uomo
21
ricco di coraggio. Dopo l’invasione nazista tentò di avvisare il Vaticano dei piani
di sterminio nazisti contro i polacchi ed ebrei, ma invano. Diventa capo della
resistenza morale della nazione contro i nazisti, si impegna nel sostegno ai
perseguitati, alla lotta armata, nella resistenza della cultura polacca. Per
realizzare quest’ultimo obiettivo egli si occupò di assicurare la preparazione di
nuovi sacerdoti. Al centro delle sue preoccupazioni c’è il seminario che durante
il periodo clandestino sistema presso la sua residenza. Wojtyla soggiorna presso
la residenza di Sapieha dal 1944 fino al 18 gennaio 1945, notte della liberazione
durante la quale l’Armata Rossa raggiunge i dintorni di Cracovia. I Tedeschi in
ritirata fanno esplodere il ponte di Debniki, Wojtyla non ha dimenticato quel
terribile momento, « Ricordo quella terribile detonazione: lo spostamento
dell’aria infranse tutti i vetri delle finestre della residenza arcivescovile...»
10
.
Nei mesi che precedettero la liberazione Wojtyla viene affidato al reverendo
Kazimierklosaka, studioso della filosofia della natura che gli fa leggere la sua
prima opera di metafisica, caratterizzata dal tentativo di confrontare e conciliare
Kant con san Tommaso. L’Arcivescovo Metropolita Sapieha comprende che il
terreno di scontro su cui battere il potere comunista è quello culturale. I vescovi
polacchi non rivendicano i loro diritti violati o i privilegi confermati nel
concordato del 1925, ma difendono i diritti fondamentali dell’uomo e della
nazione. Non vogliono agire in modo da dare l’impressione che esiste una
10
Ivi, p. 21-22.
22
contrapposizione tra i diritti dell’uomo e di Dio, fra il volere della nazione e
della Chiesa. La Chiesa polacca è legata al suo popolo e alla sua cultura che ha
difeso in modo particolare nei momenti tragici e difficili. E’ una Chiesa provata
quella in cui è nato e maturato il sacerdozio di Wojtyla, ha lottato contro il
regime ispirato dall’ideologia nazista durante la seconda guerra mondiale, poi
contro la dittatura comunista e il suo ateismo militante. La Chiesa polacca è
uscita vittoriosa da questi terribili periodi grazie al suo popolo «forte in Dio».
Wojtyla è rimasto profondamente segnato dai due regimi totalitari, non a caso
egli possiede una particolare sensibilità per la dignità di ogni persona umana
soprattutto dei più deboli, e per il diritto alla vita. Le drammatiche esperienze
vissute lo hanno portato a comprendere le problematiche della gioventù,
l’importanza della famiglia nella società. L’Arcivescovo Metropolita sostiene la
nascita di una rivista settimanale la cui direzione viene affidata a Jerzy
Turowicz, figura emblematica della cultura libera polacca. Sempre per iniziativa
di Sapieha nasce l’anno seguente a Cracovia una rivista mensile, intorno alla
quale si crea un movimento intellettuale a cui partecipa anche Wojtyla. Il primo
novembre 1946 viene ordinato prete dal cardinale Sapieha, in anticipo rispetto ai
suoi compagni perchè doveva partire per Roma dove avrebbe proseguito i suoi
studi. Nel novembre dello stesso anno si iscrive all’Angelicum, la facoltà di
teologia dei domenicani. Conseguirà la laurea nel 1948 con una tesi di dottorato
sulla quaestio de fide nel pensiero di san Giovanni della Croce.