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Introduzione
Nel mondo vegetale, come è noto, il meccanismo primario su cui si basa il metabolismo è la
fotosintesi clorofilliana per mezzo della quale un organismo converte l’energia solare presente nei
fotoni in energia chimica con la formazione di glucosio a partire da acqua e anidride carbonica.
Tuttavia è possibile citare svariati casi in cui organismi vegetali possiedono un metabolismo che si
regge, in un modo o in un altro, sull’eterotrofia: in questo lavoro si cercherà di analizzare tre di
questi casi, ovvero il parassitismo (in virtù del quale alcune piante assumono acqua, sali ed,
eventualmente, nutrienti a spese di piante ospiti); l’eterotrofia nelle alghe; infine i gametofiti delle
Spermatophyta, interamente dipendenti dallo sporofito.
Le Alghe eterotrofe
La grande maggioranza delle alghe è fotoautotrofa ma, ad onta di ciò, si possono avere trofismi
alternativi cioè mixotrofia ed eterotrofia. La prima consente agli organismi autotrofi un prelievo
supplementare di sostanze organiche dall’ambiente. L’eterotrofia, per contro, si manifesta laddove
le alghe hanno perso i loro pigmenti fotosintetici e per la loro nutrizione dipendono esclusivamente
dalle sostanze organiche che prelevano dall’ambiente. In particolare tra le alghe è diffusa, come
modalità di assunzione di cibo, la fagotrofia in virtù della quale questi organismi “ingeriscono”
frammenti organici o cellule intere (appartenenti a batteri e altri microorganismi), immessi in
vacuoli digestivi. Per le caratteristiche ricordate, le alghe fagotrofe prive di pigmenti mostrano,
almeno parzialmente, delle peculiarità della vita animale, dalla qual cosa si può desumere come, a
questo livello, la linea di demarcazione che divide il mondo animale da quello vegetale sia molto
sottile.
È interessante constatare come siano relativamente diffuse, tra le alghe, sia la mixotrofia sia, ciò che
più preme rilevare nella presente trattazione, un’eterotrofia passeggera, che si contraddistingue dalla
modalità mixotrofica per la perdita temporanea dell’apparato fotosintetico (mentre la mixotrofia
non implica alcuna perdita del genere). E non stupisce rilevare come le specie affini ai taxa di alghe
eterotrofe mostrino effettivamente per lo meno una potenziale tendenza a passare per una fase
eterotrofa; potenzialità che, se non negli habitat naturali, si manifesta in determinate condizioni di
laboratorio.
I gametofiti delle Spermatofite
Se nelle Briofite il gametofito è ancora predominante, nelle Tracheofite l’evoluzione ha favorito una
pronunciata semplificazione e regressione della fase aploide, molto presumibilmente a causa della
colonizzazione di ambienti terrestri sempre più proibitivi e lontani dalle caratteristiche degli
ambienti primigeni da cui le prime piante vascolari hanno preso le prime mosse. Nelle Pteridofite il
gametofito, per quanto sia regredito, conserva ancora una sua autonomia (possedendo una quantità
sufficiente di clorofilla e altri pigmenti accessori) e un protallio strutturato con evidenti organi
sessuali, ovvero anteridi e archegoni. Il gametofito delle Spermatofite, per contro, raggiunge l’apice
della semplificazione, avendo perduto i pigmenti fotosintetici e, di conseguenza, ogni autonomia
trofica: in effetti la dipendenza del gametofito nei confronti dello sporofito, come vedremo, è totale.
Al termine della meiosi si formano le microspore (o granuli pollinici) e le megaspore (altrimenti
conosciuti come cellule del sacco embrionale). Va sottolineato come entrambe le spore non
abbandonino i rispettivi sporangi e, quindi, la pianta madre sporofitica: in particolar modo la
megaspora rimane nel megasporangio (o nocella dell’ovulo), pertanto sullo sporofito si sviluppa il
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megagametofito (sacco embrionale); parimenti le microspore completano la loro maturazione nel
microsporangio (sacche polliniche).
Il parassitismo nelle Angiosperme
Si definiscono parassite quelle piante che traggono da ospiti sostanze essenziali, non essendo in
grado di procurarsele autonomamente. Finora le ricerche hanno condotto alla conclusione che, dal
punto di vista filogenetico, il parassitismo è diffuso unicamente nelle Angiosperme Dicotiledoni.
Apparato di assorbimento
Il suddetto apparato consente al parassita di trarre le sostanze nutritive di cui esso necessita: può
essere un organo specifico (austorio) o, nei casi più spinti, è diffuso fino al punto che è l’intero
organismo a trasformarsi in superficie assorbente.
L’austorio è multiplo o unico.
1. Nel primo caso (Rhinanthoideae, Santalaceae, alcune Loranthaceae e Cuscutaceae, nonché
alcuni membri del genere Cassytha L.; austori secondari di Orobanche L.), si stabiliscono
numerosi contatti con l’ospite: hanno breve durata temporale.
2. Nel secondo caso (Orobanche, Viscum album L. e altre Loranthaceae), l’austorio,
permanente, assicura l’adesione del parassita all’ospite: pertanto, la sua durata di vita
implica quella della pianta. La sua presenza è accompagnata da una certa degradazione
dell’apparato vegetativo. Deriva da un organo particolare, per es. la radice.
L’apparato d’assorbimento di tipo diffuso si presenta sotto due forme: nelle Balanophoraceae, s’è di
fronte a un’associazione intima tra i tessuti del parassita e dell’ospite che dà luogo a un tumore
(avente valore di chimera); nelle Rafflesiaceae (e in Arceuthobium Bieb., Viscum minimum Harvey
e Phrygilanthus aphyllus (Miers) Eichl.), l’apparato vegetativo regredisce fino, nei casi limite, a
filamenti miceloidi che s’infiltrano nell’ospite, senza che si formino associazioni intime.
La penetrazione nei tessuti ospiti, soprattutto per opera dell’austorio, avviene per via meccanica o
chimica. La modalità meccanica induce la rottura dei tessuti che restano schiacciati e sventrati: a
questa azione corrisponde una struttura anatomica con testa e cono di penetrazione. Se a
quest’ultimo è demandata la penetrazione propriamente detta, la testa assicura la spinta e la presa
sull’ospite. Tale maniera è presente in Rhinanthoideae e Santalaceae. Negli altri taxa, si riscontra
l’azione chimica: l’austorio è più semplice e può mancare di un organo di fissazione. Infatti,
l’organo (e, in particolar modo, le cellule situate in posizione terminale) deve soprattutto secernere
una o, forse più probabilmente, più sostanze che inducano la lisi cellulare.
Essenzialmente, il parassita ricerca i tessuti conduttori, il che è manifesto soprattutto in presenza di
austori: questi si limitano allo xilema (emiparassiti) oppure raggiungono anche il floema
(oloparassiti). I parassiti dotati di apparato d’assorbimento diffuso non disdegnano talvolta il
parenchima. Per contrastare la tensione di suzione dell’ospite, le emiparassite manifestano
un’elevata traspirazione per unità di superficie fogliare al fine di mantenere un adeguato gradiente
idrico tra ospite e parassita; nel caso in cui le foglie mancano sempre (Lathrea L.) o soltanto in
determinati stadi dello sviluppo (Tozzia L. e Bartsia L.), l’espulsione dell’acqua avviene per opera
di apposite ghiandole (si veda la discussione su Lathrea, cap. 1).
Ad eccezione di Santalaceae e Loranthaceae, le cellule che stabiliscono il contatto coi tessuti
nutritivi sono altamente differenziati: allungate (Rhinanthoideae, Cuscutaceae, Orobanche spp.) o a
forma di grosse cellule secretrici (cellule di Heinricher in Balanophoraceae). La loro giunzione
consiste, solitamente, per semplice contatto, ma in Viscum album e Lathrea spp. avviene attraverso
penetrazione intracellulare.
L’apparato d’assorbimento ha triplice origine:
1. Radicale. Attenendosi alla definizione (origine endogena, presenza di peli e cuffia, ecc.),
solo l’austorio primario di Orobanche spp. (anche se mancante di peli) può essere ricondotto
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in tale ambito. Origine endogena è presente in Cuscutaceae e Cassytha spp. A questa
categoria sono, probabilmente, riconducibili anche i cordoni corticali delle Loranthaceae che
ricordano le vere radici epicorticali dei membri della famiglia a parassitismo poco evoluto.
2. L’apparato d’assorbimento è un organo proprio della vita parassitaria, non riconducibile a
nessun organo della pianta autotrofa (Rhinanthoideae, Santalaceae, austori primari di
Loranthaceae e austori secondari di Orobanche spp.).
3. L’apparato d’assorbimento coincide con quello vegetativo per forte regressione di questo
(Balanophoraceae e Rafflesiaceae).
Regressione parassitaria
È da premettere che come regola generale, riguardante almeno gli Eucarioti pluricellulari, il
parassitismo conduce a una semplificazione della struttura corporea al punto che, nei casi più spinti,
si nota una notevole convergenza tra piante e animali con analoga morfologia filamentosa (basti
pensare a quanto accade nelle Rafflesiaceae e nei Rhizocephala, un ordine dei crostacei cirripedi).
Nell’ambito delle Rhinanthoideae verdi e nelle Santalaceae, l’apparato vegetativo è completo, con
forme anche arboree. Una certa riduzione si manifesta a carico dell’apparato radicale a partire dai
peli che tendono a scomparire. Le radici regrediscono, fino alla scomparsa, e comunque perdono le
loro caratteristiche, in vari taxa: in Orobanche spp. la radice primaria conserva una cuffia vestigiale
ma ha perso i peli (la radice s’è trasformata in austorio primario); Cuscutaceae e Cassytha spp.
possiedono una radice effimera, ricoperta di peli; nelle Loranthaceae epifite non esistono radichette
embrionali e, di conseguenza, neanche radice primaria, ma vi sono radici epicorticali e, forse,
cordoni corticali. Un ulteriore passo è la semplificazione di fusto e foglie. In Cuscutaceae e
Cassytha spp., il fusto è semplificato: non esistono cotiledoni, le foglie sono ridotte a scaglie
(almeno in Cuscutaceae), prive di clorofilla, con stomi rari, mentre tessuti conduttori incompleti
sono organizzati in fasci isolati. I generi Lathrea e Tozzia sono dotati di fusti ipogei. Infine,
Orobanche spp. manca di un fusto vegetativo, ma l’unica porzione epigea consiste nel turione
fiorale. Il massimo grado di regressione è riscontrabile comunque in Rafflesiaceae e
Balanophoraceae, dotati di un habitus a guisa di tallo.
Per quanto concerne l’apparato riproduttivo, l’embrione è normale solo in Rhinanthoideae,
Santalaceae e Loranthaceae, mentre negli altri taxa presenta una struttura indifferenziata. La
struttura fiorale non è influenzata dallo stile di vita: la riduzione d’ovario e ovulo (fino alla
presenza di un tessuto contenente il solo sacco embrionale) accertata nelle Santalales sembra essere
una caratteristica dell’ordine piuttosto che dipendere dalla particolare condizione di vita
parassitaria.
Rapporto tra ospite e parassita
Dal punto di vista della scelta dell’ospite, è possibile raggruppare i parassiti in tre tipi, a seconda
della loro specificità.
Un primo tipo comprende i polifagi (o ubiquisti, ovvero quelle specie che crescono adeguatamente
su più ospiti appartenenti a taxa imparentati solo lontanamente tra loro), come Rhinanthoideae,
Santalaceae, Balanophoraceae, la maggior parte delle Loranthaceae e molte Cuscutaceae e
Orobanche spp.
Il secondo tipo (Cuscutaceae e Orobanche spp.) vede i parassiti prediligere solo alcuni ospiti anche
se, in realtà, può rivolgersi verso altre specie filogeneticamente lontani. Questa direzionalità è più
apparente che reale e tende, in realtà, a mascherare possibilità latenti la cui espressione non è
consentita dall’ambiente.
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Infine, nell’ultimo tipo, sono riconducibili quei parassiti a stretta specificità, con casi di monofagia
(parassitismo concernente una singola specie) o di oligofagia (specie appartenenti a singoli taxa
come generi o famiglia): per es. Viscum minimum su Euphorbiaceae, Phrygilanthus aphyllus sui
membri del genere Cereus P. Mill., Arceuthobium su Conifere. Tipici oligofagi sono le
Rafflesiaceae.
La specificità può dipendere dall’ambiente e dalle caratteristiche dell’ospite: entrambi i casi
ostacolano o comunque influenzano la diffusione di un parassita su più ospiti.
L’effetto del parassita sull’ospite può essere di tipo spogliante (l’ospite è impoverito e talvolta
muore) oppure morfogeno, ovvero l’individuo reagisce formando un tessuto ipertrofico, tipo galle
(Loranthaceae), o tumori (Balanophoraceae). In tal caso si può notare una parallela azione
organizzatrice da parte dell’ospite che irriga i tessuti parassiti di propri fasci conduttori. Inoltre
l’ospite non sembra risentire particolarmente della presenza del parassita nel caso delle
Rafflesiaceae, dove la penetrazione ha luogo, almeno apparentemente, senza eccessivi traumi.
Evoluzione del parassitismo
L’evoluzione dello stile di vita parassitario non è uniforme.
In primo luogo, si può constatare come alcune specie parassite siano epirizoidi (il caso, forse, più
primitivo), altre epifite (derivate da piante autotrofe o da parassiti epirizoidi), altre ancora, infine,
lianoidi.
In secondo luogo, il parassitismo può essere limitato alla sola assunzione di acqua e sali (si parla di
emiparassitismo) o anche di linfa (oloparassitismo). Si può verosimilmente presumere che
l’emiparassitismo rappresenti un punto di passaggio tra autotrofia e parassitismo integrale, almeno a
considerare Rhinanthoideae e Loranthaceae (dove sono presenti casi di transizione verso
oloparassitismo) nonché Cuscutaceae e Cassytha spp. in cui si misurano basse concentrazioni di
clorofilla che può, tuttavia, divenire fondamentale in condizioni ambientali difficili.
In terzo luogo, l’evoluzione verso il parassitismo è contrassegnato da fenomeni di convergenza,
come, ad esempio, Cuscutaceae e Cassytha spp., da un lato, o Rinantoideae e Loranthaceae,
dall’altro: il che sarebbe indice della presenza di certe limitazioni intrinseche.
Infine è necessario sottolineare che, pur esistendo senz’altro fenomeni di adattamento, non tutti i
caratteri delle piante parassite sono legati al loro modo di vita. Ma, fermo restando quanto detto,
certi caratteri sembrano effettivamente dipendere dal parassitismo, vale a dire la presenza di
numerosi semi altamente mobili e di piccole dimensioni, oltre che la tendenza verso una
penetrazione sempre più spinta all’interno dell’ospite.