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INTRODUZIONE
L’OBLIO E LA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE
La rivoluzione digitale, corollario del ragguardevole sviluppo tecnologico
dello scorso secolo, ha posto le basi per un’inesorabile alterazione delle dinamiche
relazionali nonché per una ridefinizione dei canoni identitari propri dell’essere
umano. La rete Internet, di fatto, ha abolito le frontiere spazio-temporali, determi-
nando un processo di globalizzazione informativa a cui gli internauti, nella duplice
veste di uditori inconsapevoli e promotori contenutistici, non possono sottrarsi.
Nell’odierna “società dell’informazione”
1
il dato è connaturato all’indivi-
duo: l’identità del singolo trascende le mere generalità e ingloba qualsivoglia acca-
dimento o manifestazione espressiva di cui gli archivi, lato sensu considerati, e la
memoria collettiva tengano traccia. Ciò implica un’assimilazione progressiva dei
consociati con le informazioni ad essi correlate entro un’“Infosfera”
2
dai margini
sfumati e potenzialmente illimitati. Un habitat siffatto, ove impera la natura infor-
mazionale della collettività, non sfugge alle logiche deterministiche di matrice dar-
winiana in forza delle quali, a parità di fattori esterni, l’organismo maggiormente
integrato nel sistema biotico sovrasta il suo simile.
Nell’ottica dell’interconnessione, premessa un’astratta parità di accesso
alle risorse online, la scriminante nodale tra gli utenti si ravvisa nel controllo sulla
1
Un rinvio espresso alla “società dell’informazione” è contenuto nella Direttiva 2000/31/CE del
Parlamento Europeo e del Consiglio dell’8 Giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi
della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Di-
rettiva sul commercio elettronico»). La Direttiva è stata recepita in Italia con il d.lgs. n. 70/2003, il
cui art. 1, comma 1, recita: “Il presente decreto è diretto a promuovere la libera circolazione dei
servizi della società dell’informazione, fra i quali il commercio elettronico”.
2
Per una definizione puntuale del lemma si rimanda a L. FLORIDI, La Quarta Rivoluzione. Come
l’infosfera sta trasformando il mondo, Milano (eBook), 2017, p. 67: “Infosfera è un neologismo
coniato negli anni Settanta ed è basato sul termine “biosfera”, che fa riferimento a quella limitata
porzione del nostro pianeta caratterizzata dalla vita. Si tratta anche di un concetto in rapida evolu-
zione. A un livello minimo, l’infosfera indica l’intero ambiente informazionale costituito da tutti gli
enti informazionali, le loro proprietà, interazioni, processi e reciproche relazioni. È un ambiente
paragonabile al, ma al tempo stesso differente dal, cyberspazio, che è soltanto una sua regione, dal
momento che l’infosfera include anche gli spazi d’informazione offline e analogici. A un livello
massimo, l’infosfera è un concetto che può essere utilizzato anche come sinonimo di realtà, laddove
interpretiamo quest’ultima in termini informazionali. In tal caso, l’idea è che ciò che è reale è infor-
mazionale e ciò che è informazionale è reale”.
2
circolazione dei propri dati, sub specie iuris quelli sensibili. La tutela dei dati per-
sonali si declina in funzione della privacy; quest’ultima sfugge a una categorizza-
zione puntuale, configurandosi quale bene giuridico dinamico, vincolato all’entro-
pia socio-normativa. L’odierno concetto di privacy diverge dall’accezione natia di
“riservatezza”, ovvero esclusione delle interferenze altrui entro la propria sfera pri-
vata, e impatta sulle profonde asimmetrie informative connotanti la società traspa-
rente del Ventunesimo secolo. Le risalenti azioni dominicali, funzionali alla salva-
guardia dell’intimità domestica, palesano evidenti limitazioni rispetto alle istanze
mosse dalle “persone elettroniche”, entità disincarnate reclamanti un habeas data a
presidio del trattamento e della diffusione dei propri dati.
Il quivis de populo cede quote informative a fronte di servizi multimediali
ormai percepiti come indefettibili; in via speculare sussiste altresì la possibilità con-
creta di un’acquisizione informativa inconsapevole ad opera dei motori di ricerca
durante la mera attività di navigazione. Ne consegue un esponenziale incremento
delle banche dati riconducibili a terzi che vantano un accesso pressoché illimitato
alle suddette informazioni, nonché dei profili risultanti dalle stesse.
Il nodo focale, precipuo ai fini della suddetta trattazione, consiste
nell’eterna memoria di Internet: una volta immessi, i dati permangono sine die nei
meandri della rete, anche tramite successive riproduzioni, a disposizione degli
utenti. Se, dunque, “Google ricorda sempre”
3
, appare interdetto ab initio il pieno
sviluppo della persona umana di cui all’art. 3 comma 2 della Carta Costituzionale,
posto che la persistenza di informazioni anacronistiche accessibili a chiunque (o
quasi) avversa la connaturata mutevolezza dell’indole e dell’esistenza antropica.
Da suddetta protasi, deriva quale apodosi diretta l’affermazione del diritto
all’Oblio. Trattasi di un’esigenza ineludibile in un’epoca ove, sovvertendo le dina-
miche tradizionali, ricordare è la regola, mentre dimenticare rappresenta l’ecce-
zione. La memoria digitale, del resto, supplisce alle carenze strutturali dei mezzi
analogici e travalica i limiti biochimici propri della funzione mnemonica in forza
di peculiarità specifiche
4
, quali:
3
S. RODOTÀ, Il mondo nella rete. Quali i diritti, quali i vincoli, Bari (eBook), 2014, p. 37.
4
Cfr. S. MARTINELLI, Diritto all’oblio e motori di ricerca. Memoria e privacy nell’era digitale,
Milano, 2017, pp. 15-16.
3
• immensità, in quanto i dispositivi collegabili e i server dispo-
nibili sono potenzialmente illimitati;
• universalità, giacché l’accesso alla rete garantisce a chiunque
la facoltà di creazione e fruizione dei contenuti;
• disorganizzazione, rectius pluralità di criteri organizzativi
per ordinare il corpus informativo, in assenza di un ordine generale;
• densità, intesa come possibilità di concentrare una mole con-
siderevole di informazioni in un limitato spazio fisico;
• volatilità, in quanto il dato digitale è maggiormente propenso
a degradarsi e a svanire rispetto all’omologo fisico;
• persistenza, ovvero l’altro lato della volatilità, che indica la
possibilità di recuperare informazioni intellegibili anche se eliminate e per-
sino a distanza di tempo.
Sugli apporti delle sinapsi elettroniche, in termini di immagazzinamento
di dati, si innesta uno specifico traffico informativo, ascrivibile al modello del “ca-
pitalismo della sorveglianza”
5
. I dati sui comportamenti, processati da intricati al-
goritmi, generano prodotti predittivi che vengono immessi sul “mercato dei com-
portamenti futuri”. Tra produttore e consumatore digitale, tuttavia, non sussiste un
rapporto reciproco, sulla falsariga della compravendita tradizionale, posto che sif-
fatti beni e servizi mirano non tanto a soddisfare le richieste pervenute, quanto a
plasmare le abitudini sociali e a congegnare una domanda su misura dei consuma-
tori, orientandone in nuce le scelte.
Reclusi in una sorta di panopticon virtuale, concretizzazione parziale della
visione distopica di matrice orwelliana (circa una sorveglianza costante ed ubiqua),
i consociati reclamano una zona d’ombra, sotto l’egida dell’autodeterminazione in-
formativa. Il dominio sul patrimonio informazionale passa necessariamente attra-
verso il diritto all’oblio. Il filosofo Paul Ricoeur
6
discerne due forme principali ov-
vero “livelli di profondità” dell’oblio: l’oblio profondo e l’oblio manifesto.
5
Per un’analisi approfondita della tematica si rinvia a S. ZUBOFF, Il capitalismo della sorve-
glianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Roma, 2019. V. anche S. SICA - G. GIAN-
NONE CODIGLIONE, La libertà fragile. Pubblico e privato al tempo della rete, Napoli, 2014.
6
All’interno della vasta produzione del filosofo francese si rimanda in particolare a P. RICOEUR,
Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato, trad. it. di N. SALOMON, Bologna, 2004.
4
Il primo attiene all’anamnesi in quanto ritenzione del ricordo; il secondo,
invece, considera la memoria nella sua attitudine rievocativa. L’oblio profondo, a
sua volta, si scinde nelle duplici sembianze dell’oblio inesorabile e dell’oblio
dell’immemorabile. L’oblio inesorabile “non si limita a impedire il richiamo dei
ricordi […] ma si adopera anche nel cancellare la traccia di ciò che si è imparato,
vissuto: erode l’iscrizione stessa del mondo, se la prende con ciò che le antiche
metafore esprimono in termini di impronte”
7
. Siffatto logorio mnemonico, di cui
tale oblio è fautore, depriva non soltanto il titolare del ricordo, ma chiunque della
facoltà di accedere alla conoscenza del passato. L’oblio dell’immemorabile, invece,
“è l’oblio dei fondamenti che non sono stati ‘avvenimenti’ di cui sia possibile il
ricordo; ciò che non abbiamo mai veramente appreso, e che tuttavia ci fa essere ciò
che siamo”
8
.
Quanto all’oblio manifesto, con analoga metodica, il filosofo francese di-
stingue oblio passivo e oblio attivo. Il primo consiste nell’oblio di rimozione o di
fuga, volto ad eclissare, per lo più inconsciamente, le memorie dolenti per sgravarsi
dal fardello della storia, individuale e collettiva. Al contrario, l’oblio attivo esige
un intervento cosciente del depositario del ricordo, che si delinea in un oblio selet-
tivo. Questa cernita mnemonica è doverosa in un duplice ambito: quello della
“vita”, per sgravare la coscienza da un novero potenzialmente illimitato di acquisi-
zioni; e quello della “coerenza narrativa”
9
, per tramandare ai posteri soltanto prin-
cipi paradigmatici.
Una soppesata dose di oblio giova, pertanto, alla rielaborazione del proprio
passato, concepita quest’ultima quale forza plastica
10
, mutuando uno stilema nie-
tzschiano, e non come mera cancellazione di dati. Schermare, almeno in parte, la
lente panottica dell’Infosfera comporta benefici percepibili nell’immediato a livello
sociale ed economico. Quanto al primo aspetto, l’oblio risulta avvinto alla puntuale
7
P. RICOEUR, op. ult. cit., p. 99.
8
Ivi., pp. 100-101.
9
Ivi, p. 107.
10
Una definizione lapidaria della locuzione si rinviene in F. NIETZSCHE, Sull’utilità e il danno
della storia per la vita, trad. it. di S. GIAMMETTA, introduzione di G. COLLI, Milano, 2009, pp. 7-8:
“Si dovrebbe sapere con esattezza quanto sia grande la forza plastica di un uomo, di un popolo, o di
una civiltà, voglio dire quella forza di crescere a modo proprio su sé stessi, di trasformare e incor-
porare cose passate ed estranee, di sanare ferite, di sostituire parti perdute, di riplasmare in sé forme
spezzate”.
5
esplicazione del diritto all’identità personale e alla riservatezza, consentendo di eli-
dere le informazioni ormai deprivate di attualità e rilevanza per la pubblica opi-
nione, anche in una prospettiva riabilitativa. Sul piano finanziario, invece, l’oblio
del dato obsoleto garantisce alle imprese un risparmio netto sui costi di gestione:
l’eccesso informativo, infatti, rischia di cagionare deficit organizzativi nonché inef-
ficienze nell’erogazione dei servizi
11
. Appare oltremodo attuale incentivare una rin-
novata e matura cultura dell’oblio, consci dei perigli che il Lete riserva agli incauti
avventori.
La presente trattazione affronta la delicata materia del diritto all’oblio,
quale baluardo della privacy, alla luce delle sfide che la società dell’informazione
riserva. Il primo capitolo si apre con un inquadramento della fattispecie entro la
categoria privatistica dei diritti della personalità. Ad un excursus sulle teoriche prin-
cipali in merito, seguono rimandi alle fattispecie sostanziali della dogmatica giuri-
dica che intersecano l’oblio, quali la riservatezza, esaminata dalla nozione origina-
ria di right to be let alone – secondo la formula adoperata da Samuel D. Warren e
Louis D. Brandeis nel celeberrimo paper del 1890 pubblicato sulla Harvard Law
Review – sino alle odierne declinazioni, e l’identità personale, sub specie nell’ottica
digitale.
Il secondo capitolo illustra in chiave analitica le fonti, l’oggetto e i soggetti
del diritto all’oblio. Premessi i profili definitori, dottrinari e giurisprudenziali, si
esamina la c.d. pronuncia Google Spain, costituente un landmark case in materia.
Il sistema delle fonti, proseguendo, viene vagliato a partire dall’articolato del
GDPR (segnatamente, art. 17), per intersecarsi con le ulteriori normative di riferi-
mento a livello nazionale e sovranazionale. L’oggetto, individuato nei “dati perso-
nali”, viene sondato con precipuo riferimento all’incidenza del fattore temporale.
Si enucleano, poi, i soggetti coinvolti, ponendo attenzione ai profili relativi ai mi-
nori, agli enti collettivi e alla tutela post-mortem della privacy. A chiusura della
disamina, si fa cenno all’ambito territoriale di applicazione del diritto all’oblio.
Nel terzo capitolo si ricostruisce in chiave critica il bilanciamento tra di-
ritto all’oblio e libertà di informazione. Analizzati i principali criteri ermeneutici
11
A.M. PINELLI, Ricordare e dimenticare nell’era digitale in Memoria Versus Oblio, a cura di
M. BIANCA, Torino, 2019, pp. 57-62.
6
elaborati in merito dalle Corti, il raffronto viene esteso ad ulteriori settori, quali la
cronaca giudiziaria, i pubblici registri, la ricerca storica e l’archivistica.
Il quarto ed ultimo capitolo affronta l’ambito sanzionatorio, inquadrando
la responsabilità civile per illecito trattamento dei dati personali. Lo studio prende
le mosse dalla previgente disciplina del Codice della Privacy per soffermarsi, poi,
sull’art. 82 GDPR, esaminandone i rilievi principali.
A conclusione del lavoro di tesi vengono formulate delle brevi riflessioni
circa l’effettiva validità del diritto all’oblio, nonché in ordine alle istanze emerse a
seguito dell’emergenza pandemica.
7
CAPITOLO I
DIRITTO ALL’OBLIO E
DIRITTI DELLA PERSONALITÀ
1.1. DIRITTI DELLA PERSONALITÀ: CENNI INTRODUTTIVI
Principiando la disamina sul diritto all’oblio, ne risulta indefettibile e pro-
dromico l’inquadramento sistematico entro la guaina categoriale dei diritti della
personalità, al fine del suo confacente intendimento teorico in ottica analogica
quanto, soprattutto, digitale, nonché dell’agnizione degli opportuni strumenti di tu-
tela. Occorre dunque interrogarsi, nel tratteggiare le proprietà di tale istituto, sul
nesso con affini diritti della personalità e sulla potenziale qualificazione come no-
vello diritto soggettivo costituzionalmente protetto.
Il codice civile nostrano, nell’intelaiatura primigenia, si occupava della
persona nella sola dimensione patrimoniale
12
. La fisicità individuale, in conformità
alla teorica dello Stato liberale, non costituiva materia di intervento normativo, sic-
ché la cura dell’individuo e gli interessi esistenziali venivano relegati nell’alveo del
giuridicamente irrilevante. Si assimilava, dunque, il soggetto ad un ideale centro di
imputazioni giuridiche connotato maxime dalla capacità giuridica, ovvero dal rico-
noscimento dell’astratta idoneità ad essere titolare di diritti e doveri
13
.
L’avvento della Carta Costituzionale nel 1948 altera in maniera radicale i
termini della riflessione, favorendo quella “rivoluzione concettuale”
14
che postula
il passaggio “dal soggetto alla persona”
15
. Quest’ultima viene coinvolta in un
12
P. STANZIONE, Manuale di Diritto privato, Torino, 2017, pp. 307-310.
13
V. A. DE CUPIS, voce Persona fisica (Diritto vigente), in Noviss. dig. ital., XII, 1965, p. 1019
che, appunto definisce la personalità, “ovvero la capacità giuridica”, come “l’attitudine a essere ti-
tolari di diritti e obblighi giuridici”.
14
G. ALPA, Diritti della personalità emergenti, diritto all’identità personale, in Giurisprudenza
di Merito, 1989, IV, p. 464 ss.: l’Autore sottolinea come il mutamento sia stato attuato con difficoltà
e ritardi. Secondo Alpa, in tale ritardo, legato altresì all’inerzia legislativa e alla difficoltosa concre-
tizzazione dei diritti della persona in forza degli oneri sociali che comportano, si rinvengono le ra-
gioni della molteplicità dei diritti della personalità, “una miriade di diritti della personalità”, frutto
di elaborazione giurisprudenziale.
15
Ricostruisce tale variazione S. RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari (eBook), 2012,
p. 197: “Si avvia così la transizione dall’individuo alla persona, dal soggetto di diritto al soggetto di
carne, che consente di dare progressivamente rilievo al destino di socializzazione della persona e al
destino di natura del suo organismo”.
8
marcato processo di giuridificazione
16
ove, deposta la mera qualifica formale fun-
zionale all’ingresso nel traffico giuridico, si propugna una visione umana poliedrica
e totalizzante, che supera la staticità della capacità giuridica, per restituire la per-
sona alla sua dimensione unitaria e vitale, composta da diritti, obblighi, interessi,
bisogni e rapporti.
I diritti della personalità, cui la Costituzione riconosce e garantisce l’in-
violabilità (art. 2 Cost.) sotto l’egida dell’insegnamento illuminista circa la priorità
ontologica di taluni diritti umani, mirano a garantire le condizioni essenziali dello
sviluppo psico-fisico dell’individuo
17
. Qualsiasi enumerazione si rivela esemplifi-
cativa e lacunosa, in ragione del pluralismo valoriale riferibile alla persona. Trat-
tandosi di diritti la cui enucleazione poggia su una precipua opzione etico-politica
dell’ordinamento, essi, per quanto atipici, debbono ritenersi fondamentali, preposti
naturaliter alla tutela della dignità umana
18
. La civilistica classica ravvisa i caratteri
16
Il riferimento è alla celebre espressione adoperata con riguardo al corpo da S. RODOTÀ, Tec-
nologie e Diritti, Bologna, 1995, p. 179 ss., il quale parla di corpo come “oggetto giuridico nuovo”.
Con riguardo, in senso più ampio, ai diritti della personalità, v. G. MARINI, La giuridificazione della
persona. Ideologie e tecniche nei diritti della personalità, in Riv. dir. civ., 2006, 3, pp. 359 ss., il
quale mette in luce la dislocazione della questione della soggettività “dalla metafisica alla fenome-
nologia”: “in questa prospettiva, il fulcro della questione infatti sembra risiedere non più nel fatto di
essere e di presentarsi come un soggetto con certe caratteristiche particolari. L’attenzione viene piut-
tosto puntata sul processo attraverso il quale un soggetto ha progressivamente assunto tali caratteri-
stiche particolari o, meglio, sul processo che ha reso tali caratteristiche visibili, cioè socialmente e
culturalmente rilevanti”. In generale, sul problema della giuridificazione, cfr. G. ALPA, Diritto e
giuridificazione, in M. COSTANZA (a cura di), Oltre il diritto, Padova, 1994, pp. 177-183.
17
F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, 9
ª
ed. rist., Napoli, 2012, p. 50,
il quale sostiene che la tutela della personalità “garantisce al soggetto i beni fondamentali dell’indi-
vidualità e dell’inviolabilità fisica e morale della persona”; P. ZATTI, Persona giuridica e soggetti-
vità, Padova, 1975, pp. 178 ss., che richiama il legame intervenuto tra la nozione giuridica di persona
e il “richiamo al ‘valore’ della persona umana”, saldando così la persona ai diritti della personalità.
18
Il concetto di dignità umana, affermato dal costituzionalismo europeo del secondo Novecento
e proclamato dall’art. 1 della Carta di Nizza (“La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere
rispettata e tutelata.”) non è soltanto un diritto fondamentale, ma la base stessa dei diritti fondamen-
tali, un concetto normativo che “interseca le due grandi tradizioni dell’Occidente moderno, il cri-
stianesimo e l’illuminismo” e che viene “frequentemente associato alla determinazione materiale
della massima morale offerta da Kant secondo cui si deve agire in modo da considerare l’umanità,
sia nella propria persona, sia nella persona di ogni altro”. Si pone, quindi, alla base dell’ordinamento
ed è di rilevanza fondante in materia di diritti della personalità e, in particolare, con riguardo al
diritto alla riservatezza e al diritto all’oblio, in quanto “funzionale proprio ad impedire che una me-
tonimia possa funzionare come una eguaglianza, che una parte sia presa per il tutto, che una persona
sia identificata con le informazioni che la riguardano […] Se il rispetto della dignità umana significa
non ridurre la persona ad una parte di essa, questo implica la non disponibilità dell’interezza della
persona (né da parte di altri, né da parte di se stessi)”. Cfr. G. AZZONI, Dignità umana e diritto
privato, in Ragion Pratica, 38, 2012, p. 75 ss.; S. RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, cit., p. 259 ss.,
il quale afferma, appunto, che “la dignità non è un diritto fondamentale tra gli altri, né una super-
norma. Seguendo la storia della sua vicenda giuridica, ci avvediamo che essa è venuta a integrare
principi fondamentali già consolidati – libertà, eguaglianza, solidarietà –, facendo corpo con essi e
9
essenziali
19
dei diritti della persona in attributi giuridico normativi, quali:
• necessarietà, giacché competono a tutte le persone fisiche, che li
acquisiscono al momento della nascita e li perdono soltanto post
mortem;
• imprescrittibilità, in quanto non si estinguono per non uso prolun-
gato;
• assolutezza, poiché implicano un generale dovere di astensione
dalla lesione dell’interesse presidiato, cui corrisponde una specu-
lare tutela erga omnes, esperibile cioè nei confronti di chiunque li
contesti o pregiudichi;
• non patrimonialità, siccome tutelano valori umani non suscettibili,
almeno prima facie, di stima economica;
• indisponibilità, in ragione della loro irrinunciabilità, sebbene il le-
gislatore tenda a consentirne l’uso a terzi, a titolo gratuito o anche
oneroso (si annoveri, ad exemplum, il caso del testimonial che con-
cede, a fini di lucro o per sana prodigalità, l’uso della propria im-
magine per una campagna pubblicitaria).
L’atavica disputa su contenuto e natura
20
dei diritti della personalità ha
visto frapposti, da un lato, i fautori della tesi c.d. monista
21
, secondo la quale
imponendone una reinterpretazione in una logica di indivisibilità”.
19
Cfr. A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale di Diritto Privato, a cura di F. ANELLI – C.
Granelli, Milano, 2019, pp. 124-125.
20
Sul dibattito intorno alla natura dei diritti della personalità si rinvia, ex multis, a G. GIACOBBE,
Natura, contenuto e struttura dei diritti della personalità, in Il diritto privato nella giurisprudenza.
Le persone, III, Diritti della personalità, a cura di P. CENDON, Torino, 2000, p. 23 ss.; P. PERLIN-
GIERI, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972; P. RESCIGNO, Personalità
(diritti della), in Enc. giur., Roma, 1991, p. 3 ss.; V. ZENO-ZENCOVICH, Personalità (diritti della),
voce in Digesto, disc. priv., sez. civ., XIII, Torino, 1995, p. 430 ss.
21
La teoria c.d. monista è stata sostenuta in primis da G. GIAMPICCOLO, La tutela giuridica della
persona umana e il c.d. diritto alla riservatezza, in Riv. trim. dir.proc. civ., 1958, p. 458 ss., di cui
conviene riportare testualmente le conclusioni tratte sul punto (pp. 470 ss.): “Ora, la persona è un
tutt’uno solidale, e correlativamente unico è il diritto soggettivo della personalità. Come l’uomo
però non nasce isolato e per vivere solitario, ma nasce nella società, e in questa trova il suo naturale
completamento e sviluppo; così la tutela giuridica non è e non può essere riferita all’individuo per
sé preso, ma all’homo sociabilis, epperò unicamente a quelle istanze della personalità che si confor-
mino a tale paradigma, cioè quelle legittime aspettative di rispetto di sé e del proprio essere, che
l’uomo può vantare in relazione al tempo in cui vive, alle ragionevoli limitazioni che il contatto con
i propri simili inevitabilmente comporta, alle restrizioni che l’interesse collettivo può esigere”. V.
anche V. ZENO-ZENCOVICH, Onore e reputazione nel sistema del diritto civile, Napoli, 1985, p. 154,
il quale giustifica la propria preferenza per la tesi monista anche perché essa consente all’interprete,
in primis al giudice, di “stabilire con maggiore facilità ed immediatezza quel legame fra personalità