Anche nella progettazione di un qualsiasi artefatto tecnologico tali componenti possono
essere considerate in modo unitario e solo la loro integrazione può far nascere un prodotto
percepito favorevolmente da un utente. È importante sottolineare che questa analisi sul
ruolo dell’estetica e del visual design non ha nessuna intenzione di teorizzare la loro
supremazia, piuttosto vuole rimarcare la complessità di un artefatto tecnologico che deve
essere utilizzato da un utente con un elevato livello socio-culturale.
Non è in discussione l’importanza dell'usabilità, ma semmai si pone il problema di consi-
derarla in una prospettiva più ampia, che consideri gli artefatti non solo sulla base del loro
utilizzo ma anche di significato e di “presenza” nella vita di ognuno di noi.
Si pensi ad un sito web. È un artefatto complesso e multidimensionale in quanto è un
software, un servizio, ma anche uno strumento di comunicazione. Come tale deve soddisfa-
re i requisiti di ognuna di queste componenti e deve essere in grado di guardare all’utente
mettendolo al centro del processo di design.
In particolare, in un’ottica di corporate identity deve essere coerente con le linee guida che
caratterizzano lo stile comunicativo aziendale; deve consentire di svolgere attività com-
plesse e delicate quali transazioni bancarie per acquisti e prenotazioni di servizi; deve
fornire un’informazione puntuale e sempre aggiornata. Ulteriore elemento, di carattere
prettamente tecnico, le sue infrastrutture tecnologiche devono essere in grado di garantire
prestazioni accettabili che funzionino correttamente anche in condizioni di sovraccarico.
Questo scenario richiede professionalità trasversali con competenze informatiche, di mar-
keting e di comunicazione.
Nel secondo capitolo si ripercorre la storia dell’interazione uomo-macchina e vengono
illustrati alcuni concetti essenziali per il design quali l'affordarce e il mapping.
Il terzo capitolo è dedicato all’usabilità, di cui sono date definizioni formali e intuitive, ai
metodi di valutazione e agli aspetti che caratterizzano in particolar modo i siti web.
Il quarto capitolo considera e analizza in che modo l'aspetto emozionale concorra ad una
predisposizione positiva dell'utente nei confronti dell'artefatto. In particolare, i risultati di
uno studio realizzato dai giapponesi Kurosu e Kashimura evidenziano in maniera incon-
futabile il ruolo giocato dall’estetica e la necessità di ridefinire e completare le teorie
sull’interazione.
Lo sviluppo di applicazioni centrate sull'utente, non può, quindi, prescindere dal considerare
gli aspetti emozionali che sono indissolubilmente legati all'usabilità.
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Solo l’utilizzo della dimensione estetica combinato ai dettami dell’ingegneria dell’usabilità,
e non in alternativa, fa sì che un artefatto possa essere percepito “friendly” e concorrere, in
un’ottica più ampia, all’accettabilità del sistema assicurando la corretta user-experience.
L’ultimo capitolo, infine, mostra i risultati di un caso di studio, strutturato in due parti,
riguardante la valutazione di alcuni parametri legati all’estetica e un progetto di redesign del
sito del dipartimento di informatica di Bari.
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1. Nuovi media: strumento di comunicazione, nuova socialità
Lo sviluppo dei nuovi media, e la loro diffusione nei vari contesti in cui l’uomo svolge le
proprie attività, impone una riflessione sul loro impatto sociale ed economico, allo scopo di
comprendere il ruolo che assumono progettazione e valutazione nel ciclo di vita degli
artefatti tecnologici. Quindi per poter comprendere l’orientamento che gli studi sull’in-
terazione uomo-macchina dovrebbero intraprendere è necessario analizzare in che modo i
nuovi media influenzano la comunicazione umana e le relazioni sociali in generale.
1.1 Media e società
L’analisi dell’impatto dei nuovi media sulla comunicazione e le relazioni sociali non può
prescindere dall’assunto, eredità delle teorie psicologiche della scuola di Palo Alto, che tutti
gli essere umani – ma anche le aziende, le istituzioni, lo stato – comunicano. La scelta è
relativa alla modalità con la quale farlo. Non è possibile non comunicare, anche la scelta di
non comunicare è un modo per comunicare.
I media rappresentano un modo con il quale poter scegliere di comunicare. I media (Riva
2004) possono essere definiti come uno strumento in grado di permettere ai soggetti di
superare i vincoli della comunicazione faccia a faccia, la situazione interattiva più
naturale. Sono stati diversi gli strumenti utilizzati dall’uomo in qualità di media per
comunicare: la scrittura, il telefono, internet.
Possiamo dire che la storia dell’uomo è caratterizzata dall’evoluzione dei media.
L’introduzione di un nuovo media provoca dei cambiamenti a livello sociale e individuale.
Le caratteristiche di un media influenzano l’esperienza degli utenti che modificano alcuni
comportamenti dipendentemente da tali caratteristiche.
In realtà, sulla relazione esistente tra utenti e media, esistono essenzialmente due posizioni,
la prima – il determinismo tecnologico che ha in McLuhan il più importante sostenitore –
sostiene che l’impiego di un media modifica le interazioni e il modo di sentire e pensare dei
propri utenti, per McLuhan il media è il messaggio; la seconda – il costruzionismo sociale
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di cui Williams è il più noto sostenitore – rovescia l’analisi e considera il media il risultato
di forze sociali e culturali.
Esistono tuttavia, come accennato nell’introduzione, delle posizioni in grado di integrare
questi due poli estremi, che considerano la relazione tra artefatti, società e individuo di tipo
circolare. Hughes e Wright, sostengono infatti che la tecnologia si sviluppa ed evolve
attraverso varie fasi in cui l’influenza sociale prevale su quella tecnologica. Allorché è
penetrata all’interno della società, consolida la sua presenza nella vita delle persone, cambia
il suo ruolo e da determinata diventa determinante.
1.2 L’evoluzione dei nuovi media
Possiamo definire i nuovi media come strumenti che consentono di comunicare attraverso
un’elaborazione digitale dell’informazione. La caratteristica digitale dell’informazione
trasmessa con i nuovi media ha prodotto nuove applicazioni comunicative che hanno
modificato l’esperienza comunicativa degli utenti.
Non siamo interessati ad approfondire i diversi nuovi media, ricordiamo solo lo sviluppo
dei media testuali asincroni come la posta elettronica (la cui nascita determinò il passaggio
dalle reti di calcolo alle reti di comunicazione: la telematica non collegava più solo
macchine, ma anche persone), gli sms, i news group, e dei media testuali sincroni quali le
chat e i mud (Multi User Dungeons) veri e propri ambienti virtuali condivisi. Senza entrare
nel dettaglio possiamo dire che le caratteristiche di ognuno di questi media ha delle ricadute
sullo scambio comunicativo, ad esempio, i media asincroni consentono di poter “scegliere”
il momento in cui dar seguito alla relazione; in quelli sincroni, la necessità di rendere
sufficientemente veloce lo scambio ha portato all’utilizzo di un registro linguistico sintetico,
simile a quello della comunicazione faccia a faccia. Ad ogni modo, indipendentemente da
quali siano le caratteristiche proprie di ogni singolo media testuale, il loro tratto comune è la
riduzione dei canali comunicativi che contraddistinguono la comunicazione che prevede la
compresenza fisica, ovvero la comunicazione non verbale e paraverbale. L’assenza di
queste componenti comporta, come detto, delle modificazioni nelle relazioni, c’è un campo
di studi che ha già espresso posizioni diverse, ad indagare sulle implicazioni di carattere
sociologico della “comunicazione mediata dal computer”.
Non c’è dubbio che nel panorama evolutivo dei nuovi media grande importanza ha rivestito
e continua a rivestire il world wide web e la tecnologia che la sottende. Il web non
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costituisce una tecnologia di comunicazione interpersonale, quanto piuttosto un sistema di
interfaccia.
La tecnologia alla base della odierna internet trova le sue radici nel secondo dopoguerra. La
prima rete telematica, chiamata Arpanet, nasce come progetto del Ministero della Difesa
americano che voleva dotarsi di una struttura in grado di poter comunicare anche in
presenza di emergenza e guasti presso alcuni dei suoi nodi.
Le caratteristiche di Arpanet erano la ridondanza – grazie ad una tecnologia di scambio dei
dati denominata “commutazione di pacchetto”, due punti qualsiasi della rete potevano
essere messi in comunicazione attraverso percorsi diversi – e l’architettura policefala, senza
un unico nodo centrale. Nella prima metà degli anni ’70 fu coniato il termine “Internet” da
Inter-Networking. Internet è quell’insieme di reti e computer collegate tra loro attraverso
canali trasmissivi diversi (cavi, onde radio, satelliti) e unite dal gruppo di protocolli Tcp/Ip.
Nel 1996 nasce NsfNet, gestito dal National Science Foundation (l’equivalente Usa del
Cnr), che introduce gli strumenti telematici negli ambienti accademici. Nel ’91 la Nsf toglie
le restrizioni sull’uso commerciale della rete mentre al Cern vengono elaborati i fondamenti
del World Wide Web. Nel ’93 viene creato e diffuso Mosaic, il primo browser dotato di
interfaccia grafica.
Oggi il web consente di effettuare una moltitudine di operazioni, da transazioni economiche
per l’acquisto di beni e servizi a ricerche in ogni dominio. Tutte le aziende e le istituzioni
hanno individuato nella rete una componente essenziale delle loro strategie di
comunicazione atte a sviluppare e intrattenere “relazioni” con i propri “pubblici”.
Accanto ad internet stanno nascendo e sviluppando ulteriori nuovi media che stanno
ridefinendo vecchi media quali la televisione, la radio e il telefono e che vanno nella
direzione (Riva, 2004) della creazione di un sistema di comunicazione allargato in cui
stanno convergendo tutti i media specifici indipendentemente dal tipo di tecnologia
utilizzata. Intanto nuovi paradigmi di interazione si vanno affermando e nuovi scenari si
delineano.
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1.3 I nuovi paradigmi dell’interazione: l’Ubiquitous Computing
Alla fine degli anni ‘60 Weiser introduce il concetto di “ubiquitous computing” per indicare
la possibilità per ogni persona di essere in interazione continua con innumerevoli mezzi di
calcolo interconnessi.
Il principale intento dell’ubiquitous computing è quello di spostare l’interazione fuori dagli
spazi in cui abitiamo. Altri approcci indirizzano gli sforzi su come integrare risorse
computazionali con il mondo fisico e rendere la combinazione qualcosa di significativo,
usabile e piacevole con cui vivere, lavorare e giocare.
Weiser inizialmente immagina tre tipi di oggetti: un enorme schermo interattivo; un note-
pad, visto come un foglio di carta che l’utente può usare in modo naturale ed un “tiny com-
puter”, simile ad un post it.
L’idea di ubiquitous computing si è sviluppata in seguito e oggi si parla di pervasive com-
puting, invisible computing, wearable computing, embedded computing.
Ci sono due modi per rendere ubiqui i mezzi di calcolo: immaginare mezzi di calcolo diffusi
nell’ambiente o esasperare l’idea di personal computer, ovvero il pc diventa parte integrante
degli oggetti che si indossano. L’interazione fra persone e tecnologia cambia di conse-
guenza e i sistemi assumono un’autonomia maggiore.
Questa idea di strumenti di calcolo diffusi consente di poter fruire di tutti i media attraverso
internet in maniera indipendente dalle variabili spazio e tempo.
Il risultato è la completa separazione tra tecnologia e contenuti. Ciò consente di poter
consultare lo stesso contenuto indipendentemente dalla tecnologia utilizzata. Uno stesso
servizio comunicativo potrà essere fruito attraverso l’utilizzo di tecnologie diverse.
Gli oggetti più comuni potranno essere, ed in parte già lo sono, strumenti di calcolo, le
etichette dei vestiti, ad esempio, potranno controllare posizione e modalità di lavaggio, gli
interruttori saranno in grado di disattivarsi per risparmiare energia quando non c’è nessuno
in camera, le penne potranno digitalizzare tutto ciò che scriveranno.
Questo scenario pone la centralità del ruolo dell’interfaccia. È delegata all’interfaccia il
compito di consentire all’utente di sfruttare tutte le opportunità, scegliendo di volta in volta
la tecnologia che gli permette di raggiungere i propri obiettivi. Interfacce diverse potrebbero
consentirci di utilizzare, a seconda del contesto, una capacità di calcolo invisibile e
distribuita nell’ambiente. Aumentando drasticamente la quantità di informazione disponibi-
le è l’interfaccia a determinare la capacità di analisi dell’utente consentendogli di trovare
l’informazione che gli interessa.
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Negli studi effettuati con l’intento di disegnare nuovi scenari è significativo il concetto di
“calm technology” (Weiser e Seely Brown 1996), vale a dire di una tecnologia che ci pre-
senti continuamente informazioni nello stesso modo non intrusivo in cui, per esempio, una
finestra ci offre informazioni su ciò che avviene all’esterno. L’idea centrale è quella di
un’interfaccia che muova tra il primo piano e lo sfondo della nostra attenzione. Questa è
stata anche una delle idee principali del progetto di ambienti per la visualizzazione delle
informazioni. Ovviamente questi esperimenti non hanno esplorato nuove funzionalità ma
nuove forme di apparenza dei computer. Possiamo dire che l’intento di questi esperimenti è
stato quello di far “scomparire” il computer.
“Il computer invisibile” è il titolo di un saggio di Norman del 1998 in cui l’autore auspica la
“scomparsa della tecnologia”, in quanto la tecnologia migliore è quella che non si vede. Gli
oggetti devono essere così semplici da usare da rendere la tecnologia trasparente. Per poter
raggiungere questo obiettivo Norman riprende il concetto di infodomestici (Raskin 1988).
L’infodomestico è un elettrodomestico specializzato, in grado di compiere elaborazioni, con
la caratteristica di riuscire a condividere le informazioni. Un oggetto di questo tipo, adatto a
compiti specifici, potrebbe abbattere la complessità intrinseca dei computer. Il computer per
sua natura risulta essere complesso e difficile da usare, la sua caratteristica di strumento
multifunzione ne impedisce la semplicità. Inoltre il modello di business proposto
dall’industria informatica impone una continua evoluzione della complessità. Qualunque
dispositivo che deve compiere compiti diversi deve raggiungere dei compromessi per
quanto riguarda la gestione dei singoli compiti. Gli infodomestici, invece, progettati per
assolvere uno specifico compito potrebbero rappresentare un’inversione di tendenza ed un
modello che prevede un determinato apparecchio tagliato su misura per un determinato
lavoro. L’inserimento del computer all’interno dello strumento non costringe l’utente ad
essere cosciente della sua presenza. In questo modo l’apprendimento dell’utilizzo dello
strumento diventa inscindibile dall’apprendimento dell’attività. L’attuale sviluppo dell’in-
dustria informatica rende possibile pensare ad infodomestici in grado di offrire prestazioni
ed affidabilità ad un prezzo ragionevole.
Sebbene rendere il computer invisibile potrebbe essere un passo nella giusta direzione dal
punto di vista letterale, dal punto di vista fenomenologico è più complesso. Gli oggetti
invisibili sono quelli accettati come tali, quando usiamo un martello oppure camminiamo
non pensiamo a come farlo, ma lo facciamo. Il martello non è invisibile, ma scompare in
quanto noi lo utilizziamo in modo naturale senza riflettere. In realtà, molti oggetti sono
considerati parti naturali nella nostra vita. Quando qualcosa di nuovo compare nella nostra
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vita sarà accettata gradualmente come parte naturale della nostra vita. Quindi, gli oggetti
appaiono e scompaiono come parti del nostro quotidiano. La maggior parte del tempo gli
oggetti presenti nella nostra vita non richiederanno la nostra attenzione per la loro presenza.
Per costruire un solido approccio alla progettazione, dobbiamo comprendere questi atti di
accettazione, rispetto alla piena comprensione di cosa sono gli artefatti tecnologici di ogni
giorno.
1.4 Artefatti tecnologici, da strumenti di elaborazione ad oggetti personali
Come detto l’evoluzione dei sistemi di calcolo impone una ridefinizione delle caratteristiche
da progettare e delle variabili da valutare. Infatti, il progetto e la valutazione di un artefatto
sono spesso fatti in relazione ad alcuni intenti d’uso. La valutazione dell’usabilità, come
vedremo in dettaglio nel terzo capitolo, è fatta in relazione a criteri quali, efficienza,
semplicità d’uso e facilità d’apprendimento. Una descrizione delle cose secondo questi
criteri, è una “descrizione funzionale” basata sulla nozione generale di uso.
Nelle analisi delle prospettive con le quali considerare gli artefatti, nello scenario
dell’ubiquitous computing, è interessante la differenza introdotta da Hallnäs e Redström
(2002) del concetto di “uso” (qualcosa che deve essere usato per qualcosa) e “presenza”
(qualcosa che deve essere presente nella vita di qualcuno) di un oggetto.
Uso e presenza, quindi, rappresentano due diverse prospettive di cosa è un oggetto. Mentre
il concetto di “uso” fa riferimento ad una descrizione di un oggetto nei termini degli scopi
per cui è usato, il concetto di “presenza” fa riferimento alle “espressioni delle cose” basata
sul modo in cui le accettiamo come parte della nostra vita.
A differenza di una descrizione basata sulla generica nozione di uso, una descrizione in
termini di presenza è legata a un particolare significato dato ad uno specifico oggetto.
Quando gli artefatti cambiano da essere strumenti per uno specifico uso ad oggetti presenti
nella nostra vita, dobbiamo spostare il focus dal progettare per l’efficienza d’uso al
progettare per la significatività della presenza. Questo spostamento di prospettiva pone
l’estetica al centro del processo di design cambiando il significato di usabilità.
L’estetica, in quest’ottica, non ha a che vedere con la dimensione creativa degli artefatti, ma
con la modalità con cui la loro espressione definisce un’identità che può renderli signi-
ficativi nella vita di qualcuno. Quindi l’estetica, come logica dell’espressione, fornisce un
contesto metodologico per la definizione dell’espressione degli artefatti tecnologici.
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Molti artefatti, definiti per mezzo del loro uso, in realtà sono parte della vita di qualcuno in
modo più profondo, sono presenti nella nostra vita come parte di quello che siamo, di come
viviamo e di come esprimiamo la nostra personalità.
La descrizione della presenza di un artefatto nei termini di come esprime se stesso allorché
veniamo a contatto nella vita di tutti i giorni, ci consente di pensare agli artefatti come
portatori di espressioni piuttosto che di funzioni.
I due modi di descrivere e definire un artefatto, in termini di uso e presenza, sono
prospettive complementari. Quando valutiamo un qualsiasi oggetto quale un abito, un
telefonino, un mobile, consideriamo sia la sua funzionalità che le sue epressioni. Hallnäs e
Redström concludono che pensare in termini di presenza ci apre nuove prospettive per il
design in vista della “scomparsa” del computer.
1.5 Emozioni e artefatti
La prospettiva di oggetti descritti attraverso la loro presenza nella vita di qualcuno induce
ad una riflessione sulle modalità con la quale scegliamo e attribuiamo valore agli oggetti.
La scelta di un oggetto dipende da diverse componenti quali il contesto, l’occasione, lo stato
d’animo. Un oggetto va al di là della sua funzione pratica, può avere, ad esempio, un
significato ed una componente personale che nessun designer o produttore può fornire.
Spesso noi attribuiamo un valore simbolico ad un oggetto per essere legati a momenti che
hanno un’importanza nel nostro vissuto.
In quest’ottica Norman (2004) individua nel design di un prodotto diverse componenti:
l’usabilità, l’estetica, la sua praticità, e riconosce una forte componente emozionale nel
modo in cui i prodotti vengono progettati e utilizzati. Chiama queste componenti design
viscerale, design comportamentale, design riflessivo.
• Il design viscerale è il primo livello, è quello che fa la natura. Legato all’apparenza, non
dipende da aspetti culturali
• Il design comportamentale è legato ai processi cerebrali che controllano il compor-
tamento quotidiano, è quindi basato sull’utilizzo e riguarda il piacere e l’efficacia d’uso
• Il design riflessivo è il livello più alto. Considera il significato del prodotto e concerne
con l’immagine che abbiamo di noi stessi. È culturalmente dipendente.
Norman afferma inoltre che queste dimensioni, ancorché profondamente diverse tra loro
vanno intrecciandosi in ogni design. L’aspetto importante di questa relazione tra le com-
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