4
della comunicazione televisiva, un sistema di rappresentazione
complesso in cui interagiscono immagini in movimento, parole e, con
le sigle di oggi, anche la musica. La trasmissione in diretta di un dato
avvenimento e la testimonianza emotiva offerta dai protagonisti, resa
possibile dall’uso delle immagini accostate ai testi, rafforzano l’effetto
di immediatezza e portano il telespettatore a sentirsi partecipe allo
svolgimento di quell’ avvenimento. Attenzione è stata rivolta alle
modalità della scrittura giornalistica televisiva; da questa analisi è
emerso come, a livello linguistico, l’aspetto emotivo venga
privilegiato rispetto a quello informativo; le potenzialità della
televisione tendono, infatti, a provocare un’emozione non mediata e
viva. “Invece di simboleggiare una emozione e di rappresentarla, la
provocano; invece di suggerirla, la consegnano già confezionata.
Tipico in questo senso il ruolo dell’immagine rispetto al concetto”
3
.
La trasparenza e modernità del lavoro giornalistico segna, così, la
sempre più marcata simultaneità tra spettatore e telegiornale e tra
telegiornale e resto del mondo. Nei telegiornali la reazione degli
spettatori precede la chiara presa di coscienza, e non c'è tempo per
l’interpretazione di ciò che viene imposto: ciò avviene in molti servizi,
in cui l' oggetto di valore proposto ai telespettatori è duplice: da una
parte si deve seguire il racconto del giornalista, dall' altra decifrare le
immagini: quindi si è tentati dal lasciarsi trasportare dal racconto
senza esaminare criticamente il suo contenuto. Rispetto alla dicotomia
convincimento/persuasione dove il primo elemento dipende dalla
qualità dell'argomentazione e delle prove e il secondo si basa sull'
importanza del comunicatore e sul potere attrattivo della fonte, i
telegiornali si stanno spostando sempre più verso il secondo termine.
3
Eco, U., Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano, 1964, p. 38.
5
La trasmissione in diretta, con l’effetto di realtà che suggerisce, è
capace di rendere così verosimile la comunicazione della notizia da
essere considerata, da molti, come una forma che garantisce, di per sé,
l’oggettività dell’informazione, ma si tratta di un errore: la stessa
selezione della notizia costituisce già una forma d’interpretazione del
reale. Ogni notizia, mostrata da un qualsiasi notiziario, è nello stesso
tempo spettacolare, per catturare l’attenzione del pubblico e presentata
come certa e dimostrabile, per legittimare la testata e rassicurare i
telespettatori. Molto spesso le testate optano per una razionalizzazione
politica degli eventi, piuttosto che per la loro razionalizzazione logica:
vale a dire che spesso giustificano gli eventi piuttosto che spiegarli. E’
stato affrontato, inoltre, il tema della definizione del concetto di
informazione televisiva, colonna portante di tutti i palinsesti, un
macro-genere, la cui finalità principale è quella di offrire una
rappresentazione credibile e veritiera della realtà. Ciò non significa
che nell’informazione non coesistano scopi differenti, come quello di
intrattenere e divertire. Infatti, l’informazione televisiva oggi è sempre
più infotainment. Si tratta di un giornalismo, soprattutto televisivo, che
tende a spettacolarizzare l'informazione. Ed anche i telegiornali, che
per definizione dovrebbero avere innanzitutto una natura informativa,
non possono certamente sottrarsi a tale caratteristica di fondo che
rende così popolare tutta la televisione. Sottolineare il carattere
spettacolare del telegiornale, non significa affatto negarne la
specificità. L’esistenza del genere “telegiornale” si fonda
sull’impegno a parlare del mondo reale, a riferire dei fatti indipendenti
dal resoconto che se ne fa. In questo contesto, si è ritenuto utile
evidenziare i più importanti criteri di “notiziabilità” cioè i criteri che
guidano la redazione nella scelta di quegli avvenimenti da trasformare
6
in una notizia. L’ultima parte è stata dedicata, infine, allo studio di un
programma televisivo, “Striscia la notizia”, nelle sue vesti di
telegiornale satirico, dopo aver ripercorso brevemente la storia e le
caratteristiche del genere “satira”. Le accuse di parzialità, i sospetti
sull’obiettività e una ormai diffusa rassegnazione all’omologazione
dell’offerta dell’informazione televisiva italiana, hanno favorito
l’ascesa nel panorama mediatico del “mostro” Striscia la notizia che,
ibrido nella forma e nei contenuti, si offre come ultimo baluardo della
verità televisiva. Numerosi sono i servizi in cui il Gabibbo, vero e
proprio simbolo del tg satirico, smaschera una truffa, in cui dei trucchi
televisivi vengono messi a nudo. Il programma di Antonio Ricci si
propone come irriverente voce della verità, pronta a far emergere la
realtà che di solito non si vede e che normalmente viene nascosta,
capace di ricucire quel legame tra notizia e fatto reale che negli ultimi
anni sembra essersi spezzato all’interno dell’informazione televisiva.
Ma occorre evidenziare che l’attività giornalistica, compresa
l’originale versione di Striscia la notizia, non può non adattare il fatto
alla notizia, cercando di ordinare all’interno dei clichè
dell’informazione un mondo troppo ampio e complesso per essere
raccontato nella sua interezza. Nell’enorme diversità che distingue
Striscia la notizia da un normale telegiornale emerge, così, un non
trascurabile aspetto comune; in entrambi i casi la realtà in cui viviamo
deve essere tradotta e messa in scena secondo strutture e regole
implicite ma ferree che, pur essendo tra loro molto diverse (e in alcuni
casi alternative) agiscono nella proposta dei fatti con il medesimo
scopo: rendere leggibile e appetibile il mondo rappresentato.
7
CAP. 1 BREVE STORIA DEL TG IN ITALIA
1.1 I MODELLI DELLE ORIGINI
Il 10 settembre 1952 alle ore 21.00 debutta il primo telegiornale
sperimentale italiano, in una sola edizione serale di venti minuti con
una sigla musicale ripresa da un jingle radiofonico
4
. I primi servizi del
notiziario numero zero riguardarono la regata storica di Venezia, i
funerali del conte Sforza, curiosità della campagna elettorale
americana, la corrida portoghese e il Gran Premio di Monza. La
direzione fu affidata a Vittorio Veltroni, ma una vera redazione fu
costituita solo nell’aprile dell’anno successivo. Vi fu poi un anno
sperimentale, il 1953, durante il quale furono trasmesse 94 edizioni
alle 20.30, e, dalla fine di quell’anno, qualche ulteriore edizione alle
23.30
5
. Ribadire l’unità originale fra televisione nel suo insieme e
telegiornale, serve ad introdurre il concetto che l’informazione
televisiva nasce in Italia insieme con l’organizzazione del primo
palinsesto, e, come l’intero palinsesto, risente dell’assunzione di
modelli di comunicazione esterni al nuovo mezzo, e non generati per
raffinamento di altri generi televisivi specifici
6
. Il telegiornale come
tutta la Tv viene ideato pensando a modelli esistenti, che vengono
presi in prestito più o meno dichiaratamente. Il parassitismo del primo
4
Si trattava di un motivo marziale in Do maggiore, composto dal maestro napoletano Egidio
Storaci; nato come brano sentimentale dal titolo Serenata celeste , riarrangiato come sigla divenne
Giramondo. Il pezzo era ispirato al tema scritto da Storaci vent’anni prima per la parodia
radiofonica dei “Tre Moschettieri”, abbinata al concorso Perugina, con Giancarlo Osella, Nunzio
Filogamo e Alberto Nosida nei panni di Athos, Portos e Aramis.
5
Cfr. AA. VV. Dati per una verifica dei telegiornali. Edizioni ordinarie e straordinarie del 1974,
Eri, Torino.
6
Cfr. Balestrieri, L., L’informazione audiovisiva, Eri, Roma, 1984.
8
telegiornale si nutre inizialmente di almeno tre diversi tipi di
esperienza: il giornale radiofonico, il cinegiornale dell’ Istituto Luce,
il quotidiano a stampa. I notiziari delle televisioni più antiche, quelle
americana e inglese degli anni quaranta, inizialmente non
costituiscono un modello. Occorrerà attendere il 1957, prima di
intravedere un pallido tentativo di emulazione di quelle esperienze.
Del giornale radio
7
, i telegiornali dei primi anni, riprendono i caratteri
più importanti, soprattutto perché tutta l’organizzazione produttiva
della Rai risente, all’inizio, della precedente esperienza radiofonica. Si
dà importanza all’unicità del conduttore-speaker, che, come nella
radio, è sostanzialmente una pura voce dell’emittente presa nel suo
complesso. Il conduttore parla senza inflessioni dialettali, presta
attenzione alla buona pronuncia delle parole e cura l’assenza di
qualunque intonazione retorica (esclamativa, interrogativa, ironica).
Nei primissimi anni della Rai
8
, si obbligavano i conduttori del
telegiornale, così come i presentatori delle trasmissioni, a seguire dei
corsi di pronuncia nella sede di Bologna, curati dai professori
dell’Accademia della Crusca. Del resto, il conduttore dev’essere
indifferente alla produzione e al contenuto della notizia. In quanto
pura “voce”, il conduttore è scelto per la bontà del suo timbro, che in
questo modo fa assumere all’emittente alcune specifiche connotazioni.
Si faceva presupporre che sussistesse un’equivalenza tra forma e
contenuto della notizia, e soprattutto tra enunciato ed enunciazione,
pertanto le connotazioni possedute dalla voce del conduttore
7
Il giornale radio era nato tra la fine del 1929 e l’inizio del 1930 e andava in onda sei volte al
giorno. Un regio decreto del 1924 stabiliva che la società concessionaria non aveva il diritto di
trasmettere notizie senza il visto preventivo dell’autorità politica, a meno che le notizie non fossero
fornite dall’agenzia designata dalla presidenza del Consiglio (agenzia Stefani), portavoce ufficiale
del regime. Cfr., F. Siliato, L’antenna dei padroni, Mazzotta, Milano, 1977, cit., pp. 30-35.
8
AA. VV. , Le emittenti radiotelevisive e il loro pubblico, Eri, Torino, 1974.
9
divenivano connotati dell’emittente. Nel primo telegiornale
un’equivalenza di questo genere è mantenuta, anche se il timbro
prescelto corrisponde ad un modello nuovo: sicurezza, profondità,
distacco dal reale, oggettività. Il tono della voce vuole essere
convincente, non impositivo, ma degno di fiducia, rassicurante. Non a
caso, si può affermare che il “mezzobusto”
9
praticamente non
sorridesse mai. L’asetticità di questa voce veniva confermata dalla
tecnica di ripresa implicita nel neologismo di Sergio Saviane. Lo
speaker era, infatti, inquadrato in una posizione che ne tagliava il
tronco all’altezza del torace: per l’appunto, a «mezzobusto». Tale
inquadratura non consente alcuna inserzione nell’immagine che sia
estranea alla pura lettura. Quando accade qualcosa che potrebbe essere
colto come rumore di fondo, l’audio viene disinserito; se davanti agli
occhi dello speaker succede un qualsiasi incidente tecnico, l’immagine
resta ferma, non dà conto dell’ambiente circostante. Lo speaker legge
dall’inizio alla fine un testo già scritto parola per parola (dunque non
appunti o una traccia), e alza solo di tanto in tanto gli occhi verso
l’ipotetico ascoltatore. Non gli sono permesse espressioni facciali
personali, non può ridere o sorridere, ma neppure tossire e soprattutto
non può commettere errori. Quest’idea del conduttore che rende
uniforme il telegiornale e lo “garantisce”, tuttavia, è di derivazione
americana. I notiziari negli Usa hanno inizio nel 1940, provengono
anch’essi dal modello radiofonico, e sono sponsorizzati: Sonoco News,
della Nbc, condotto da Owell Thomas, giornaliero; e Esso Television
Reporter, sempre della Nbc, settimanale. Il conduttore unico vi era
stato sperimentato come elemento di unificazione dell’emittente, che
9
“Mezzobusto” è la definizione che Sergio Saviane diede del presentatore dei primi telegiornali,
apparsa su l’Espresso n. 15 del 1970.
10
doveva essere così identificata con un solo personaggio. E tale
personaggio aveva sì il carattere dell’affidabilità (per mantenere saldo
il contatto con il pubblico), ma soprattutto doveva essere un campione
dell’uomo medio, piuttosto che una personalità individualmente o
socialmente prestigiosa (per consentire anche una identificazione da
parte dei telespettatori). La figura del primo speaker italiano
10
,
Riccardo Paladini, è in questo senso perfetta: fronte mediamente alta,
volto allungato, orecchie a sventola. La sua assunzione alla Rai fu
quanto meno avventurosa. Bocciato per ben due volte, fu letteralmente
ripescato dalla radio, in cui lavorava per il programma Notturno
dall’Italia. Per cinque anni, fino al 1958, divenne il vero e proprio
simbolo della televisione italiana e del suo pubblico ideale. Alle 20.45
del 3 gennaio 1954
11
va in onda da Milano il primo telegiornale
ufficiale. Conduttori, o meglio “redattori-lettori”, come si diceva a
quel tempo, sono un giovane ossuto dalla faccia scavata e dalla voce
calda che risponde al nome di Furio Caccia, e Fausto Rosati
12
. Il
notiziario n°1 della storia della televisione italiana è un tg anomalo,
un’edizione straordinaria. Quel giorno la Rai, nel nuovo palazzo di
corso Sempione a Milano, inizia ufficialmente il servizio televisivo
inaugurando gli impianti
13
sparsi sulla penisola. Il telegiornale della
10
De Mauro, T., Lingua parlata e Tv, in Televisione e vita italiana, Eri, Torino, 1968.
11
Il 3 gennaio 1954 la RAI inaugura il servizio regolare di televisione in Italia. La RAI (Radio
Audizioni Italia) diventa RAI Radiotelevísione Italiana.
12
Gli operatori cinematografici erano Carlo Oddone e Duilio Chiaradia. Il montatore era Giuseppe
Monachesi.
13
Tra il 1946 e il 1954 la Rai spese 12 miliardi di lire per la ricostruzione degli impianti,
diventando una committente di svariate industrie. E altri 13 miliardi ne spese tra il 1952 e il 1955.
alla fine del 1961, con l’avvio del secondo canale della televisione, il valore degli impianti fu
stimato in 66,5 miliardi di lire. Il 75% degli apparecchi (studi, ponti radio, cavi coassiali,
televisori) furono prodotti dalle otto maggiori società elettroniche (Magneti Marelli, Cge, Philips,
Fimi, Geloso, Siemens, Auotovox, Magnadyne), alle quali si aggiunsero Edison, Fiat e Pirelli, che
ottenne dalle Poste un contratto per i cavi da decine di miliardi. Durante il decennio 1948-1958 il
settore triplicò i suoi ricavi. Cfr. D. Forgacs, L’industrializzazione della cultura italiana, Il
Mulino, Bologna, 1992, pp. 171-172.
11
sera non è altro che un compendio delle telecronache andate in onda la
mattina: una parata di tralicci immensi e di cappotti scuri, doppiopetto
gessati, notabili poco adusi all’obiettivo che non sanno dove guardare,
gesti impacciati e cerimoniosi, cuciti insieme in un lungo filmato. Del
primo notiziario Furio Caccia racconta: “Il sonoro non c’era.
Montarlo sarebbe stato troppo complicato, con gli scarsi mezzi che
avevamo. Del resto, i magnetofoni a nastro che avevano appena
sostituito il disco rigido, erano poco maneggevoli. Il commento ai vari
servizi veniva fatto a voce durante la messa in onda, sulla base di
appunti che leggevamo in diretta io o Rosati. O addirittura servendoci
delle cronache radiofoniche. All’inizio non avevamo né agenzie né
stenografi. E per attualizzare il tg ascoltavamo il giornale radio delle
8.30 e usavamo quei resoconti come traccia sui quali imbastire i testi
da leggere in video alle 9 meno un quarto”
14
.
Il secondo chiaro modello di organizzazione dei primi telegiornali era
quello cinematografico. Un po’ come nei cinegiornali dell’Istituto
Luce
15
, le notizie erano intese come aneddoti della vita in pubblico di
stampo più o meno ufficiale. Inaugurazioni, serate mondane, colore
locale, e così via. Non costituivano ancora un genere, come per i
giornali, ma un riempitivo fra i programmi, con uno scopo
prevalentemente pedagogico, leggero, rasserenante. Veniva
14
Monteleone, F.,Storia della radio e della televisione in Italia, Il Mulino, Venezia, 1992, p. 260.
15
La struttura nasce nel 1923 come Sindacato d'istruzione cinematografica (Sic): una piccola
società per azioni fondata da Luciano De Feo, giornalista economico. Nel 1924, con la
collaborazione di un amico, il siciliano Paolucci De Calboli Barone, De Feo crea l'Unione
cinematografica educativa, poi Istituto nazionale Luce. Nel 1927 l'Istituto produce un cinegiornale,
"Giornale Luce", caratterizzato soprattutto da immagini, dalla matrice più documentaristica e
meno giornalistica, con una sottile vena propagandistica. Prima del 1930 il cinegiornale è muto,
ma nel '32 nasce anche una seconda edizione: arriva finalmemte il sonoro. Le tecniche di ripresa
del tempo non consentono la possibilità di inserire il commento dello speaker come sottofondo ai
filmati: i servizi presentano dunque un cartello integrativo che funge da commento. Il cinegiornale
racconta tutti i fatti del mondo, da quelli più futili ai disastri umani, senza tuttavia contenere mai
interviste, a differenza dei giornali americani di quel periodo che ne fanno un uso massiccio.
12
rappresentata l’immagine “buona” del paese, e allo spettatore si dava
l’idea che l’informazione televisiva fosse grosso modo un “dovere” a
cui sottoporsi. Non a caso, l’informazione reale apparteneva ancora al
giornale radio, che fino al 1956 aveva un numero di ascoltatori
decisamente più alto. Ciò dipendeva di gran lunga dal basso numero di
apparecchi televisivi
16
disponibili al pubblico, e dal fatto che la
televisione delle origini veniva vista collettivamente: nelle case e
soprattutto nei bar. Il consumo di televisione assomigliava molto più a
quello dei generi di spettacolo “fuori casa” che non a ciò che poi
sarebbe diventato il piccolo schermo (un caminetto elettronico in
salotto). Pertanto il telegiornale assumeva il carattere di
un’informazione tardiva, di seconda mano, del tutto preconfezionata
con largo anticipo. Appunto: quella dei cinegiornali, che riportavano
filmati “vecchi” persino di settimane, illustrazioni anonime da
rotocalco. A tal proposito Furio Caccia ricorda: “La vecchia guardia
della radio sosteneva che leggendo le notizie direttamente in video, si
faceva una brutta copia del gr e si snaturava il linguaggio della tv
fatto di ritmo e di movimento. Gli altri ritenevano che solo in questo
modo si potesse passare da un’impostazione da cinegiornale a un
notiziario quotidiano completo”
17
Il parassitismo rispetto ai giornali
quotidiani, per quanto leggermente tardivo, è naturale. Esso peraltro
già esisteva nel modello radiofonico, che aveva vagamente ripreso il
criterio dell’impaginazione delle notizie secondo le tematizzazioni dei
16
Nel 1954 la televisione, che tecnicamente è in grado di arrivare a 20 milioni di cittadini, è
ancora un’illustre sconosciuta. Un televisore non più grande di 17 pollici costa dalle 160 alle
240.000 lire, l’abbonamento ne vale 18.000 lire e lo stipendio medio di un impiegato non supera le
50.000 lire. I primi abbonati sono circa 24.000, contro i 5 milioni della radio, alla fine del ’54
saranno solo 88.118. Cfr. Bruzzone, M., L’avventurosa storia del Tg in Italia, Rizzoli, Milano,
2002.
17
Monteleone, F., Storia della radio e della televisione in Italia, Il Mulino, Venezia, 1992, cit., p.
266.
13
quotidiani. Tuttavia, l’accrescimento delle parti filmate del
telegiornale produsse, verso la fine degli anni Cinquanta, un
atteggiamento di emulazione verso la carta stampata, fino al punto di
suddividere il notiziario in vere e proprie “pagine”
18
. Esistevano
solamente la politica interna per linee essenziali, la politica estera
piuttosto approfondita, e di fonte quasi esclusivamente americana, la
cronaca e lo sport. Non si trovano, invece, pagine di economia e
neppure di cronaca rosa o spettacoli. Saltuariamente comparivano
servizi su manifestazioni mondane, come festival e sfilate di moda,
purché di carattere ufficiale, presentati dalla giornalista Bianca Maria
Piccinino. Unica donna di questo periodo preistorico del telegiornale.
Il carattere asettico delle notizie, garanzia di oggettività, viene
confermato dai modi molto caratteristici della loro presentazione. Le
notizie erano letteralmente elencate. Si eliminano quelle che possono
lasciare dubbi e quelle classificabili come imbarazzanti politicamente.
Un analogo modello di asetticità viene seguito anche nella
presentazione dei filmati. Il commento è nettamente separato dalle
immagini, anche perché quest’ultime vengono riservate a
inaugurazioni ufficiali, a imprese delle forze dell’ordine, ad arrivi e
partenze di grandi personalità, ad ingressi in parlamento e nel palazzo
del governo. Un’antologia di filmati televisivi intorno agli anni 1953-
57 presenterebbe una stupenda tipologia di auto presidenziali e di
modi di salita e discesa dalla vettura, nonché di generi di saluto e di
presentazione. La ragione è chiara: il modello di trasmissione di
notizie resta ancora vincolato al passato regime, sia pure da un punto
di vista inizialmente concettuale, e non persuasivo. S’intende il
18
Cfr. AA. VV., Le notizie dei telegiornali. Edizioni ordinarie e straordinarie del 1971, Eri,
Roma, 1982.
14
notiziario come voce del governo, e in quanto tale dedicato
sostanzialmente a presentare solo eventi positivi e propositivi per
l’interno. Il linguaggio del primissimo telegiornale è piano, discorsivo,
privo della patina di ufficialità e dell’enfasi retorica che caratterizza
l’informazione radiofonica e avvolgerà anche il notiziario televisivo
degli anni successivi. Il periodo che va dalla fine del 1954 alla fine del
1956 coincide con la direzione generale di Filiberto Guala
19
. Il
telegiornale si caratterizza subito per un tono particolarmente
moraleggiante e per l’atteggiamento pedagogico nei confronti degli
ascoltatori. Guala, estromesso dopo neppure due anni, diventerà una
leggenda per aver imposto “un codice di autodisciplina”
rigorosissimo, una sorta di “galateo comportamentale”
20
ispirato ai
princìpi della morale cattolica e dell’ordine, che verrà considerato la
madre di tutte le censure. Il codice di autodisciplina emanato da Guala
ed approvato dal consiglio di amministrazione, viene diffuso sotto
forma di una lunga circolare ai dirigenti, per orientare l’intera scelta e
produzione dei programmi stabilendo “criteri univoci e costanti”.
Eccone alcuni capisaldi:
La Rai [ ] ha elaborato delle norme regolamentari dirette a stabilire
nella scelta e nell’attuazione dei programmi criteri univoci e costanti.
Dette norme, che coordinate tra loro costituiscono uno speciale
codice di autodisciplina, sono ispirate e si uniformano ai principi
della morale e del costume, nonché alle norme giuridiche e
regolamentari vigenti in materia
21
.
19
Ingegnere, laureato al politecnico di Torino, cattolicissimo e antifascista.
20
Cfr. O. Calabrese, U. Volli, Come si vede il telegiornale, Laterza, Bari, 1980, p. 131.
21
Cfr. Gismondi, A., La radiotelevisione in Italia, Editori Riuniti, Roma, 1958 e Chiarenza, F., Il
cavallo morente, Bompiani, Milano, 1978.
15
Fin dalla premessa si fa appello ad una sorta di galateo
comportamentale al quale attingere. Preminente il richiamo alla
morale e al costume, prima ancora che alla legge. Si elabora un’idea di
univocità nell’emissione di programmi che vale anche per quelli di
intrattenimento, e da cui traspare un’immagine granitica e costante
dell’emittente. Le regole esplicitate dal documento chiariscono quali
siano la morale e il costume che stanno in mente al legislatore:
[...] È opportuno che il delitto e il vizio non siano descritti in maniera
seducente e attraente, e che i sentimenti dello spettatore, rifuggendo
da essi, siano per contro attratti verso i principi dell’ honeste vivere e
del neminem laedere […]. Il divorzio potrà essere rappresentato
quando la trama lo renda indispensabile e l’azione si svolga in paesi
dove questo sia ammesso dalle leggi. Il divorzio non deve essere
trattato in maniera tale da indurre a ritenerlo come mezzo
indispensabile per la soluzione dei contrasti tra i coniugi, specie se
detti contrasti non abbiano serio fondamento [...]. Deve essere posto
in rilievo che le relazioni adulterine costituiscono grave colpa [...].
Attenta cura deve essere posta nella rappresentazione di fatti e di
episodi in cui appaiano figli illegittimi [...]. L’incitamento all’odio di
classe e la sua esaltazione sono proibiti [...]. Sabotaggi. Attentati alla
pubblica incolumità, conflitti con le forze di polizia, disordini pubblici
possono essere riprodotti o rappresentati con somma cautela, e
sempre in maniera tale che ne risulti ben chiara la condanna [...]. Le
relazioni (sessuali) illegali debbono essere sempre configurate come
anormali e non debbono suscitare incitamento all’imitazione [...].
Sono vietate le vicende che abbiano per oggetto o facciano cenno a
malattie veneree, a perversioni sessuali, a forme patologiche, alla
prostituzione ed ai luoghi ad essa destinati [...]. Le scene erotiche
16
sono proibite: i baci, gli abbracci, altre pose che abbiano comunque
esplicita relazione con l’istinto sessuale, possono essere rappresentati
con discrezione e senza indurre a morbose esaltazioni [...]. Le vesti e
gli indumenti non debbono consentire nudità immodeste che
offendano il pudore o che abbiano carattere lascivo [...]
22
.
La volontà moralizzatrice non risparmia il linguaggio, dal quale deve
essere rigorosamente espunto ogni termine ambiguo anche solo per
assonanza con parole impure
23
. Il nuovo vocabolario Rai elenca
puntigliosamente le parole da bandire, indicando a volte i sinonimi
accettati. Ad esempio “membro” va sostituito con “componente”,
“magnifica” non è parola accettata per la desinenza, così come sono
da evitare i femminili degli aggettivi “benefico”, “malefico”
24
. La lista
di proscrizione vale anche per giornale radio e telegiornale. In tale
atmosfera un ruolo fondamentale è assunto dalla Chiesa. Nel 1954 Pio
XII
25
aveva “celebrato” l’avvento della televisione con un preoccupato
discorso ai fedeli. In particolare, la domenica dell’esordio della
televisione, il Papa aveva pronunciato un’allocuzione ai vescovi
d’Italia e del mondo
26
su questo “meraviglioso mezzo offerto dalla
scienza e dalla tecnica all’umanità, prezioso e pericoloso a un tempo
per i profondi riflessi che esso è destinato a esercitare sulla vita
pubblica e privata”. Pio XII riconosce gli innumerevoli vantaggi della
televisione, qualora sia messa al servizio dell’uomo e del suo
22
Cfr. Gismondi, A., La radiotelevisione in Italia, Editori Riuniti, Roma, 1958 e Chiarenza, F., Il
cavallo morente, Bompiani, Milano, 1978.
23
Le censure linguistiche investono titoli e frasi pronunciate in qualsiasi programma. Ad esempio
il titolo del film L’amante del bandito diventa La moglie del bandito. Cfr. A. Gismondi, La
radiotelevisione in Italia, Editori Riuniti, Roma, 1958, pp. 67-69.
24
Cfr. Cavallotti, C., Gli anni Cinquanta, prefazione di M. Staglieno, Editoriale Nuova, Milano,
1979, pp. 75-76.
25
Numerosi erano stati gli interventi dei pontefici nel campo della comunicazione, dalla enciclica
Divini illius Magisteri di Pio XI nel dicembre del 1929 a quelli di Pio XII (cfr. i Documenti
pontifici sulla radio e sulla televisione,Radio Vaticana, 1962).
26
Cfr. “Il Popolo”, 5 gennaio 1954.