dibattito di riferimento si concentra, dunque, attorno alla spiegazione dei
rapporti che intercorrono tra un agente cognitivo e l'ambiente (fisico, sociale,
culturale) nel quale è inserito. La preoccupazione di chi difende l’ipotesi della
Mente Estesa è che le precedenti teorie cognitive hanno tralasciato un livello
di spiegazione più ampio che vede l'uomo e il mondo influenzarsi in un
rapporto attivo e dinamico. In particolare, si sostiene che i processi cognitivi e
gli stati mentali in generale siano causati, almeno in parte, da elementi esterni
al cervello e al corpo dell'agente.
Obiettivo del presente lavoro è quello di dare un quadro di riferimento
all’ipotesi della Mente Estesa, di descriverne i fondamenti e di discuterne, con
l'aiuto delle principali critiche mosse da autorevoli studiosi, la validità.
La struttura della tesi si articola in tre capitoli.
Nel primo si cerca di dare un quadro di riferimento storico generale della
scienza cognitiva. Data la vastità del tema di questa sezione (che potrebbe da
solo essere oggetto di un’ampia monografia) non si ha pretesa di esaustività
ma soltanto di delineare un percorso di riferimento entro il quale collocare
l'ipotesi della Mente Estesa.
Il secondo capitolo costituisce un’analisi della teoria, la quale viene
smembrata in più parti e analizzata nelle sfaccettature individuate. In
particolare, dopo aver riportato le caratteristiche generali e i fondamenti
teorici, l'indagine segue un percorso che si snoda attorno ai temi di cervello,
ambiente, corpo (ovvero i tre principali soggetti del sistema integrato previsto
dalla Mente Estesa).
Il terzo capitolo riporta, ripercorrendo la stessa struttura del precedente (basi,
cervello, ambiente, corpo), le principali critiche e osservazioni mosse alla
teoria.
2
I paragrafi del secondo e del terzo capitolo sono, talvolta, integrati con le
considerazioni di chi scrive.
Il titolo di questa tesi ha una sua ragione. Estesa non mente? è una domanda la
cui interpretazione è lasciata al lettore.
Se da una parte si può abbracciare totalmente l'ipotesi proposta da Clark e
Chalmers, ammettendo, quindi, che “la cognizione estesa non mente”,
dall'altra parte si può accettare che esiste un rapporto causale bidirezionale tra
ambiente e agente pur senza considerarlo parte della mente... in questo caso
ciò che è esteso non è mente.
3
Il robot non possedeva
sentimenti, solo correnti positroniche che imitavano i sentimenti.
(E forse anche gli esseri umani non avevano sentimenti,
ma solo correnti neuroniche che venivano interpretate come sentimenti...)
(Isaac Asimov, I robot dell'alba)
I nostri cervelli rendono il mondo così intelligente
da permetterci di fare i tonti!
(Andy Clark, Being there)
Physical concepts are free creations of the human mind,
and are not, however it may seem,
uniquely determined by the external world.
(Albert Einstein)
4
CAPITOLO PRIMO
UN'INTRODUZIONE ALLE SCIENZE COGNITIVE
Affinché il nostro studio di caso possa essere meglio compreso, è necessario
fare almeno un breve excursus sulle scienze cognitive e sulla loro storia.
Questo capitolo delinea una traccia entro la quale collocare la teoria della
Mente Estesa e fornisce gli strumenti di confronto all'interno del più vasto
contesto dei programmi di ricerca della scienza cognitiva.
1.1 COSA SONO E COME SONO NATE LE SCIENZE COGNITIVE
La scienza cognitiva è un programma di ricerca multidisciplinare che studia i
processi cognitivi e le facoltà mentali (percezione, pensiero, ragionamento,
pianificazione, problem-solving, decision-making etc), analizzandoli come
elaborazioni di un calcolatore finito, naturale o artificiale (Marconi 2001).
Vista la multidisciplinarietà del tema, sarebbe forse più appropriato parlare di
scienze cognitive al plurale. Di mente e cognizione si occupa, infatti, un rango
di discipline che spazia dalla filosofia alla psicologia, dall'intelligenza
artificiale alle neuroscienze e dalla linguistica all'antropologia (Marraffa
2003). La data di nascita delle scienze cognitive è individuata attorno al
convegno sulla teoria dell'informazione tenutosi al MIT nel dicembre 1956. Si
può, comunque, far coincidere tale data di nascita con la creazione dei primi
elaboratori che hanno prospettato la possibilità della realizzazione di forme di
ragionamento non umano.
La nascita della prima scienza cognitiva vive il passaggio dall'approccio
comportamentista a quello cognitivista. Gli assunti base del
comportamentismo psicologico si basano sulla negazione, per via della
mancanza di oggettività, del metodo introspettivo e affidano la loro analisi
5
all'osservazione dei comportamenti esterni che vanno individuati in una logica
di stimolo-risposta. In questo senso, gli stati mentali non vengono presi in
considerazione e la scatola cranica è vista come una black box il cui studio
appartiene alla sola fisiologia.
Per il comportamentismo filosofico, la mente concepita nei termini della
psicologia del senso comune non ha una realtà fisica e gli stati mentali
(introdotti come strumento esplicativo per spiegare il comportamento) non
sono direttamente identificabili con stati cerebrali.
Tale approccio è dunque ben lontano dal postulare rappresentazioni mentali.
E' proprio ammettendo l'esistenza di strutture e processi interni che, via via, ci
si allontana dal comportamentismo per assumere altre visioni e conseguenti
metodologie. Gli anni sessanta conoscono lo sviluppo dell'intelligenza
artificiale e la commistione degli studi di psicologia e informatica. L'analogia
tra mente e macchina era molto forte e si riteneva che i processi cognitivi,
paradigmaticamente i processi di ragionamento, potessero essere formalizzati
e riprodotti da opportuni programmi per computer.
Il rifiuto dell'impianto concettuale del comportamentismo ha portato alla
definizione di un nuovo approccio: il cognitivismo. Esso ammette l'esistenza
di strutture interne fondamentali per la spiegazione del comportamento. Tali
strutture possono essere studiate dalla psicologia secondo una visione
funzionale ovvero in base al ruolo che queste ricoprono nel sistema cognitivo.
La psicologia può quindi “mettere le mani” nella scatola nera ed analizzare
quegli stati interni che fino a quel momento erano stati tralasciati. Lo schema
stimolo-risposta veniva definitivamente abbandonato. La spiegazione del
comportamento richiedeva di postulare rappresentazioni e processi interni che
dovevano essere analizzati dallo psicologo cognitivo. Dato che le
rappresentazioni non erano considerate mere copie degli stimoli, era
6
necessario capire che relazione ci fosse tra questi e gli stati interni dell'agente
(Paternoster 2002).
Ben presto ci si rese conto che la macchina ha dei grossi limiti e non può
competere con la mente in molte prestazioni. Tale consapevolezza è dovuta al
presentarsi del “frame problem”. La macchina non è in grado di selezionare,
di volta in volta, tra le numerose informazioni a cui ha accesso, quelle (più)
pertinenti; è limitata a problemi ben definiti; ha bisogno che le conoscenze
siano rappresentate esplicitamente e manca di “senso comune” non essendo
capace di adattare, in modo flessibile, alle diverse situazioni, i modelli di
conoscenza e ragionamento di cui dispone.
La consapevolezza dell’esistenza del frame problem è una delle cause della
parziale ridefinizione dei metodi e degli obiettivi della scienza cognitiva. Si
pone il problema della conoscenza e del ragionamento.
Negli anni ottanta si percepiscono, invece, i limiti dell'intelligenza artificiale.
Si affaccia l'ipotesi connessionista, basata sui sistemi neuronali, nei quali
l'elaborazione viene eseguita in una forma distribuita su più unità che lavorano
contemporaneamente. I connessionisti non accettano l'indipendenza della
computazione dal supporto materiale (Marconi 2001). Il connessionismo si
pone, in tal senso, in opposizione alla cosiddetta scienza cognitiva classica per
la quale l'indipendenza della computazione dal supporto materiale è un
principio cardine.
In generale possiamo delineare l'avvicendarsi dei contributi della scienza
cognitiva di pari passo con lo sviluppo dei sistemi di elaborazione, con
l'evoluzione delle teorie psicologiche e filosofiche, con le scoperte
neuroscientifiche. Possiamo vedere tali contributi anche secondo l'ottica
trasversale del dibattito sulla causazione del mentale che vede la diatriba tra
internisti ed esternisti.
7
In generale, l'internismo (o individualismo) è quella visione secondo la quale
esiste una netta distinzione tra gli stati psicologici dell'individuo e l'ambiente
fisico e sociale nel quale l'agente è inserito. Carattere distintivo di tale
approccio è quello di individuare gli stati psicologici “dentro la testa”. In altri
termini, per l’internismo uno stato mentale è completamente specificato da
fattori tutti interni alla testa dei soggetti. L'estremizzazione di questa tesi porta
al solipsismo (potrebbe esistere un solo individuo e quello che percepisce è
creato dalla sua coscienza).
L'esternismo, come avremo ampiamente modo di vedere, contrariamente
all'individualismo, riconosce un importante ruolo all'ambiente e sottolinea
l’esistenza di uno scambio continuo tra agente e contesto nel quale questi è
inserito.
Si può dire che l'esternismo è una teoria più giovane rispetto alla sua opposta.
Ad esso fanno, infatti, capo alcune delle più recenti teorie della scienza
cognitiva post-classica, tra cui l'ipotesi della Mente Estesa.
1.2. LA SCIENZA COGNITIVA CLASSICA
Questa sezione vuole ripercorrere brevemente i più importanti contributi
scientifici della scienza cognitiva classica. È necessario sottolineare che lo
scopo è quello di dare un quadro di riferimento a quello che è l'argomento
principale di questa dissertazione. Pertanto questa breve storia non è da
considerarsi esaustiva.
1.2.1 LA GRAMMATICA GENERATIVA DI CHOMSKY E LA MACCHINA DI
TURING
Le tesi proposte dalla grammatica generativa di Chomsky e dalla Macchina
8
elaborata da Alan Turing costituiscono alcuni dei primi colpi inflitti al dominio
epistemologico e metodologico del comportamentismo.
Chomsky (1980) sostenne che la comprensione e la produzione di enunciati
linguistici è possibile grazie alla conoscenza di una grammatica universale
innata e inconscia. Disporremmo, cioè, già alla nascita, di quelle strutture e
regole sintattiche che ci permettono di articolare e comprendere il linguaggio.
La struttura sintattica è una struttura gerarchica (“struttura dei costituenti”) che
può essere visualizzata con la rappresentazione visiva degli “alberi etichettati”.
Tale modello rappresentativo non costituisce, tuttavia, la reale forma degli
oggetti mentali ma è un valido strumento esplicativo soprattuto per spiegare le
relazioni tra le parti. Si veda la seguente figura.
Leggenda: F= frase; SN= sintagma nominale; SV= sintagma verbale; Det = determinante; N= nome;
V= verbo; SAVV= sintagma avverbiale; GR= avverbio di grado; AVV= avverbio. Le posizioni in cui
compaiono le lettere sono dette “nodi”; le lettere sono le “etichette di categoria grammaticale”; ciò che
occupa un nodo è detto “costituente”.
Figura presa da Marraffa (2008), pag.31
9
Il diagramma ad albero sopra riportato rappresenta la struttura sintattica,
secondo la teoria chomskyana, dell'enunciato “Il bambino mangia molto
volentieri la mela”.
Chomsky mette, quindi, in rilievo l'esistenza di oggetti interni dei quali la
psicologia e la nascente scienza cognitiva non potevano non tener conto. La
teoria della grammatica generativa, in altre parole, mostrava concretamente
l’indispensabilità di far ricorso a rappresentazioni mentali, e in che modo
queste ammettessero una descrizione “di alto livello” non neurofisiologica.
Secondo l'autore, vi sono diversi livelli di rappresentazione di una frase. Il
passaggio da un livello all'altro è dettato da regole e passaggi puramente
sintattici. Fodor allargherà questo concetto, aprendo alla spiegazione di come
la sintassi possa portare contenuto e quindi reggere la semantica (Marraffa
2008).
L’importanza della Macchina di Turing (di seguito MT) consiste, invece,
nell’aver mostrato in che modo un processo cognitivo potrebbe essere
meccanizzato: con la sua teorizzazione il concetto di computazione trova la
sua formalizzazione più adatta alla riproduzione su un meccanismo e si inizia
ad identificare i processi di elaborazione umani a quelli di un calcolatore
artificiale.
Si immagini un nastro infinito, diviso in caselle, sul quale si sposta un cursore
capace di leggere e (sovra)scrivere sulle singole caselle. Tale macchina è
capace di eseguire istruzioni che specificano, dato lo stato attuale della MT e il
simbolo che si legge nella casella corrente, lo stato in cui andare, la direzione
nella quale spostarsi e il simbolo che bisogna scrivere nella casella prima di
passare alla successiva. Ovvero l'istruzione “q1sq2s'R” significa “se sei nello
stato q1 e leggi il simbolo “s”, vai nello stato q2; sovrascrivi “s'” e spostati a
destra”. In tal modo la macchina è capace di eseguire qualsiasi procedimento
10
effettivo. La macchina si blocca con l'istruzione finale qH. Sino a quando non
trova tale istruzione, il cursore continua a spostarsi.
La MT dimostra che processi mentali anche molto sofisticati, come il
ragionamento o la risoluzione di problemi, ammettono una descrizione
computazionale; altrimenti detto, il processo è un’elaborazione di simboli
governata da leggi. Inoltre, sebbene la MT sia un modello astratto, essa mostra
nondimeno in che modo simboli e procedimento potrebbero essere realizzati
fisicamente. La MT, d’altra parte, è un modello “scarnificato” di un computer
reale (Marconi 2001).
1.2.2 IL FUNZIONALISMO
L'analogia tra stati logici della MT e stati mentali umani e tra gli stati
dell'hardware di un computer e gli stati cerebrali ha portato a parlare dei
processi mentali umani nei termini di “stati mentali” e di “impressioni” (come
i simboli della macchina impressi sul nastro). Assieme all'articolo di Putnam
“Minds and Machines”(nel quale si sosteneva che il processo mentale può
essere descritto a livello logico come sequenze di stati mentali governate da
regole e che una MT può avere più realizzazioni in quanto indipendente dal
suo supporto materiale) e all'influenza della proposta di Chomsky si posero le
basi di quella che è una delle principali teorie della scienza cognitiva: il
funzionalismo.
Idea fondamentale del funzionalismo è che uno stato mentale è quel che è in
virtù del ruolo che svolge nel sistema. In questo modo si prescinde dalla
realizzazione fisica, che diventa ininfluente, per concentrare l'aspetto analitico
attorno alla sola funzione dello stato o oggetto mentale. I processi mentali
sono visti come sequenze di stati governate da leggi che ne controllano
l'ordine. L'intera attività mentale è, quindi, vista come una serie di relazioni
11
causali e catene di stati. Tali relazioni fanno riferimento: al rapporto tra
ambiente e stati interni (input percettivi); al rapporto tra stati interni e stati
interni; al rapporto tra stati interni e comportamenti (output comportamentali).
Gli stati mentali sono individuati nei termini del ruolo causale che svolgono.
L'analisi funzionalista cerca di individuare, all'interno del sistema, i
sottosistemi funzionali che fanno riferimento a dati ruoli. Teoricamente,
svolgendo un percorso a ritroso dove si cerca di individuare, via via, i diversi
sottosistemi, si dovrebbero individuare i sottosistemi elementari. Non a caso,
molte delle rappresentazioni esplicative vedono diagrammi a blocchi (black
boxes) che si diramano, eventualmente, in sotto-blocchi (Paternoster 2002).
I fondamenti del funzionalismo non specificano l'esatto rapporto tra materia e
mentale. Esistono varie proposte in merito.
Per la prima, gli stati mentali sono identici agli stati cerebrali. Ogni evento-
stato-processo psicologico era ritenuto identico a qualche fenomeno
neurofisiologico. Tale teoria riduzionista è nota come “teoria dell'identità di
tipo” (type identity theory). E' necessario specificare che esiste una differenza
tra tipo (type) e occorrenza (token). Una parola in un dizionario è un tipo di
innumerevoli occorrenze (parlate, scritte etc). L'identità di tipo implica
l'identità di occorrenza ma non viceversa. Secondo la teoria dell’identità di
tipo tutte le occorrenze di un particolare tipo di stato psicologico (es. il dolore)
sono identiche alle occorrenze di un tipo correlato di stato neurologico.
La teoria dell'identità di occorrenza (token identity theory) implica, invece, che
ogni occorrenza di un evento mentale sia identica ad un evento fisico. Questo
non comporta che esista un procedimento per descrivere qualsiasi tipo, o
classe, di entità mentali in termini fisici. Tale identità è usata da molti filosofi
per spiegare la relazione tra stati della mente e stati del cervello, in quanto è
una versione più debole della teoria precedente (Marraffa 2008).
12
La teoria dell’identità di tipo venne messa in crisi dall’assai accreditato
argomento della “realizzabilità multipla” proposto da Putnam (1960). Uno
stesso tipo di stato mentale può essere realizzato da stati fisici di tipo
differente che non condividono tra loro alcunché di significativo. Questa tesi si
oppone fermamente alla teoria dell'identità di tipo e agli argomenti riduzionisti
in generale. Fodor (1974) definì meglio la realizzabilità multipla precisando
che uno stato psicologico è determinato dalle disgiunzioni di tutti gli stati fisici
in cui può essere realizzato. Ovvero, lo stato psicologico del credere che la
neve sia bianca è uguale alla disgiunzione di: stato fisico 1 (stato cerebrale
degli esseri umani); stato fisico 2 (stato cerebrale del cane); stato fisico 3 (stato
dei circuiti dell'androide)... stato fisico n (stato cerebrale del marziano). Queste
sono le occorrenze fisiche della credenza “credere che la neve sia bianca” (nei
limiti in cui si può attribuire a un cane la credenza che le neve sia bianca).
Parlare di disgiunzione ha senso perché è sufficiente la realizzazione di
almeno uno di questi per dire che si è verificata tale credenza. Parlare di
equivalenza sarebbe sbagliato perché pare ovvio che l'uomo, nel nutrire una
credenza sul colore della neve, non ha gli stessi stati fisici interni del cane o
del marziano.
In tal senso, il sistema si trova in un certo stato psicologico non in virtù della
sua particolare costituzione materiale ma in virtù dello schema astratto di
relazioni causali che le parti del sistema intrattengono tra loro.
Altra spiegazione della relazione tra mentale e cerebrale è quella della
“sopravvenienza”. Secondo tale tesi, dato uno stato fisico ne risulta
univocamente determinato lo stato mentale corrispondente. Ne segue che
quando l'organismo si trova in stati cerebrali identici, in tempi differenti, anche
i corrispettivi stati mentali saranno identici. La sopravvenienza è una tesi
positiva: l'identità di stato fisico indica identità di stato mentale. La
13
sopravvenienza si basa su tre assunti: covarianza (qualunque differenza del
mentale deve avere riscontro fisico), dipendenza (gli stati sopravvenienti
dipendono da quelli fisici sottostanti) e irriducibilità (il mentale, tuttavia,
mantiene una sua autonomia visto che un tipo di stato mentale non è
riducibile). Il connubio tra funzionalismo e sopravvenienza da un lato si
accorda bene col fisicalismo e dall'altro salva il mentale come livello di
spiegazione autonomo (Marraffa 2008, Paternoster 2002).
1.2.3 LA TEORIA COMPUTAZIONAL-RAPPRESENTAZIONALE DELLA MENTE
E LA TESI DELLA MODULARITÀ
La Teoria computazional-rappresentazionale della mente (TCRM) è una forma
di funzionalismo, in particolare è una forma computazionale di funzionalismo.
Secondo questa teoria, infatti, i processi cognitivi sono computazioni condotte
su rappresentazioni mentali (i cosiddetti simboli del linguaggio del pensiero, il
mentalese) che condividono alcune proprietà sintattiche e semantiche con le
espressioni delle lingue naturali. Le relazioni tra gli oggetti interni hanno
carattere computazionale piuttosto che associativo e le operazioni che con essi
vengono compiute sono guidate da un programma (regole sintattiche del
linguaggio del pensiero) (Paternoster 2002).
La TCRM unisce la tesi del carattere computazionale della cognizione con
quella del carattere rappresentazionale degli stati mentali. Essi sarebbero,
dunque, valutabili semanticamente, ovvero dotati di condizioni di verità.
Avendo natura linguistica, tali rappresentazioni presentano le seguenti
caratteristiche: a) hanno parti costituenti che si combinano tra loro secondo
una sintassi; b) hanno parti atomiche che si riferiscono a stati o oggetti del
mondo; c) sono composizionali (ovvero dipendono dai costituenti e dalla loro
combinazione sintattica); d) il loro valore di verità è legato allo stato o oggetto
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del mondo cui si riferiscono; e) intrattengono tra loro relazioni logiche di
implicazione (Paternoster 2002; Marraffa 2008).
Fodor arriva alla definizione di questa teoria percorrendo diverse strade. Da
fautore del realismo intenzionale, secondo il quale gli assunti sugli stati
intenzionali così come postulati dalla teoria psicologica del senso comune
sono corretti, sposa la tesi del realismo scientifico intenzionale, secondo il
quale una scienza cognitiva matura dovrà rendere conto di stati che sono
valutabili semanticamente, dotati di struttura sintattica e efficaci causalmente.
In particolare, la parte della rappresentazionalità viene elaborata come tesi
sulla natura degli atteggiamenti proposizionali, la parte sulla computazionalità
è relativa alla natura dei processi cognitivi e la parte che si dedica alla natura
causal-informazionale del significato studia i fondamenti naturalistici
dell'intenzionalità.
Il mentalese spiega due proprietà dei sistemi cognitivi: la produttività e la
sistematicità. Un sistema così formato può, infatti, produrre pensieri infiniti a
partire da un repertorio di concetti limitato. Questo grazie alla caratteristica
della composizionalità (punto c) che apre alla possibilità di comporre, in modo
virtualmente infinito, le varie componenti atomiche e composte.
La sistematicità consiste nel fatto che la capacità di produrre e afferrare
pensieri è legata alla capacità di produrre e afferrare altri pensieri. Anche qui
entra in gioco la composizionalità. Se io sono capace di capire “Mario ama la
ragazza” sarò anche capace di capire “La ragazza ama Mario” (Marraffa
2008).
Ci si chiederà in che modo funziona un sistema così formulato e come è
capace di produrre e trasmettere significati.
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