Introduzione
Genitorialità ed affettività difficili già nel contesto quotidiano vengono complicate
notevolmente quando la relazione genitori-figli viene attraversata dall'esperienza della
carcerazione.
Nell'opinione comune si è diffuso il pensiero che l'evento detentivo si ripercuota, con le sue
conseguenze negative, solo ed esclusivamente sul reo.
Purtroppo all'interno del carcere la possibilità di coltivare la sfera degli affetti, le relazioni
intime e i sentimenti che si avevano all'esterno, sono davvero scarse e dilazionate nel corso del
tempo.
Ogni qualvolta l' evento detentivo si verifica ad essere colpito non è soltanto il soggetto che
ha commesso il reato, bensì la famiglia d'origine del detenuto, la famiglia acquisita, ma
soprattutto i figli.
La carcerazione di un genitore è un'esperienza dolorosa e traumatica per molti bambini e
adolescenti.
Avere un genitore detenuto ha infatti un impatto fortissimo sulla loro vita e sul loro
benessere psichico, fisico e sociale.
Secondo quanto dimostrato da alcune ricerche, oltre alla possibilità di stigmatizzazione
sociale si aggiungono infatti l'incremento di possibili conseguenze negative nel futuro, come
problemi di vittimizzazione, disgregazione familiare, isolamento, depressione, rabbia, calo del
rendimento scolastico, fino ad arrivare alla problematiche di salute mentale o legate allo
sviluppo di condotte criminose.
I figli di un genitore detenuto hanno infatti tre volte più possibilità di ripercorrere la carriera
deviante percorsa dalla figura genitoriale.
Nell'ottica di una tutela “globale” di bambini e adolescenti, viene sottolineata l'importanza
del mantenimento del legame tra il genitore detenuto e il figlio, che molto spesso invece viene
tenuto all'oscuro sulle ragioni dell'assenza del genitore.
Il minore ha diritto alla propria stabilità familiare e alla propria crescita sana ed equilibrata
ed essa passa anche attraverso il mantenimento del legame con le figure genitoriali, seppur
detenute.
Non di minore importanza sono le ricerche che hanno dimostro che i detenuti che
mantengono un rapporto costante e regolare con i loro figli, diminuiscono il rischio di recidiva
e riescono a reinserirsi con maggiore facilità all'interno della società.
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Genitori detenuti e bambini rappresentano un gruppo particolarmente vulnerabile che
necessita di protezione e sostegno.
I padri detenuti vivono con molta sofferenza l'allontanamento forzato dal nucleo familiare e
l'impossibilità di esercitare la propria funzione di padre nella quotidianità.
I figli, privati della presenza paterna e impossibilitati a rielaborare il senso di perdita,
rischiano di subire anch'essi una pena altrettanto grande e dannosa.
Nel presente elaborato si vuole fornire una panoramica di questo delicato e sensibile tema,
focalizzando l'attenzione sul rapporto tra genitore detenuto e figlio.
La paternità ed il ruolo paterno sono stati considerati per molto tempo secondari alla
maternità e questo lo si rivede anche nella carenza di normativa relativa al tema.
Attraverso l'esperienza di Tirocinio però, che la sottoscritta ha svolto presso l'Ufficio di
Esecuzione Penale Esterna di Reggio Emilia, ho avuto la possibilità di conoscere il carcere,
vedere in prima persona le dinamiche che avvengono al suo interno e scoprire la paternità
“dentro”; tema che mi ha scosso, emozionato e regalato vari spunti di riflessione.
Inoltre ho potuto partecipare a un progetto di scrittura per papà detenuti e liberi, denominato
“In nome del padre” organizzato all'interno degli Istituti Penitenziari di Parma, nella sezione
Alta Sicurezza. La scrittura è stata utile ai papà detenuti per riflettere su sé stessi e per
raccontare della propria esperienza genitoriale, facendo emergere emotività, sentimenti forti e
spesso contraddittori.
Riportando il focus in particolare sulla relazione genitore detenuto e figlio, vi sono dei diritti,
enunciati, di cui l'organizzazione penitenziari e l'intera comunità sono chiamati a farsi garante.
Ma ci sono anche altre tipologie di diritti, più difficili da proclamare e non sempre riconoscibili
a livello giuridico: il diritto a rimanere padri, pur nella separazione del carcere; il diritto
all’affettività e all’educazione familiare, anche nell’esperienza della reclusione; il diritto alla
verità, anche se difficile e dolorosa.
La verità non deve essere nascosta, ma comunicata e perseguita, con delicatezza, certamente.
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1. Normativa italiana e internazionale
In questo capitolo si intende approfondire quelle che sono le principali norme, italiane ed
internazionali, che si occupano della tutela della sfera affettiva del detenuto.
Essendo gli affetti una dimensione fondamentale all'interno della vita delle persone ristrette,
ho ritenuto necessario fornire una visione generale sul tipo di tutela garantita, sia a livello
nazionale che Internazionale.
Nella parte conclusiva del capitolo ci si soffermerà sulla normativa che riguarda, più nello
specifico, il tema della paternità all'interno degli Istituti Penitenziari.
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1.1 Quadro normativo nazionale
V olendo illustrare brevemente il quadro normativo nazionale in materia di regime privativo
della libertà personale, facciamo riferimento al nuovo Regolamento per gli Istituti di
prevenzione e di pena, emanato il 18 Giugno 1931, dal guardasigilli Alfredo Rocco, con regio
decreto n. 787 e rimasto in vigore fino al 1975. Attraverso l’approvazione del Regolamento, egli
mantenne salda l’ideologia fascista in ambito penitenziario.
Relativamente all’Ordinamento penitenziario venne mantenuto intatto quello del 1891.
Durante l’amministrazione Rocco restarono fisse le tre leggi fondamentali della vita
carceraria: lavoro, istruzione civile e pratiche religiose. Ogni altra attività era non solo vietata
ma fatta oggetto di sanzioni disciplinari. Il carcere veniva concepito come una realtà a sé
rispetto alla società civile e in cui l’isolamento, l’umiliazione fisica e il rigore, avrebbero dovuto
svolgere la funzione di rafforzare la capacità di pentimento del reo.
Vigeva quindi una disciplina molto restrittiva. Il colloquio non poteva eccedere la durata
massima di mezz’ora; ai condannati potevano essere concessi colloqui solo con i prossimi
congiunti; ai detenuti non era consentito effettuare colloqui con i figli minori. Il tutto in un'ottica
assistenzialistica.
Durante i lavori dell’Assemblea Costituente, nel corso del dibattito relativo al terzo comma
dell’art. 27 della Costituzione, si delinea una nuova filosofia della pena, non più afflittiva, ma
tesa al recupero del reo.
Nel Sessantotto, la risocializzazione diviene un nuovo obbligo per lo Stato e un nuovo diritto
per il detenuto.
Un primo, concreto, risultato legislativo arrivò nel 1975 con la legge del 26 luglio, n.354,
con cui venne riformato l'ordinamento degli istituti di diritto penitenziario, cercando di renderlo
più aderente ai principi contenuti nella Carta Costituzionale.
La riforma del 1975 va letta in combinato disposto con la legge 10 Ottobre 1986 n.663, la c.d
Legge Gozzini, nata con l'intento di valorizzare l'aspetto rieducativo della carcerazione. Tale
legge ha rappresentato un obbiettivo importante nell'ottica della tutela della relazioni familiari
per le persone detenute, in quanto ha introdotto la detenzione domiciliare per determinate
categorie di soggetti e per condanne o residui di breve durata.
In particolare la norma introdusse l'articolo 41 bis nella legge sull'ordinamento penitenziario
italiano, ovvero il regime di carcere duro, ma anche una serie di disposizione in materia di
detenzione, che possiamo così schematizzare:
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Permessi premio: il giudice di sorveglianza può autorizzare per un tempo non superiore
a quarantacinque giorni all'anno il condannato a lasciare il carcere. Per l'applicabilità di questa
misura è richiesto che il reo sia stato condannato a meno di tre anni di detenzione, o a più di tre
anni ma ne abbia scontati almeno il 25%, oppure che abbia scontato almeno 10 anni se
condannato all'ergastolo;
Affidamento al servizio sociale: il detenuto condannato a meno di tre anni di detenzione
può subire alcune limitazioni alla sua libertà di circolazione o alle sue frequentazioni, essendo
però inserito in un programma di riabilitazione che prevede fra le altre cose l'inserimento nel
mondo del lavoro e la disintossicazione da eventuali dipendenze.
Detenzione domiciliare: applicabile quando restano non oltre due anni di reclusione da
scontare (in alcuni casi anche di più), o quando la condanna è limitata all'arresto di qualsiasi
durata. La legge prevede di scontare la pena in casa propria o altrui, o in altro luogo di dimora,
anche pubblico.
Questo beneficio si può ottenere nei casi seguenti:
- donna incinta o che allatta la propria prole ovvero madre di prole di età inferiore a tre anni
con lei convivente;
- persona in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono costanti contatti con i
presidi sanitari territoriali;
- persona di età superiore a 60 anni, se inabile anche parzialmente
- persona di età minore di 21 anni, per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di
famiglia.
Semilibertà: se non si è affidati ai servizi sociali, le pene detentive non superiori ai sei
mesi possono essere scontate in regime di semilibertà, cioè con la concessione al beneficiario di
passare parte della giornata all'esterno dell'istituto per svolgere attività lavorative, istruttive o
comunque utili al reinserimento sociale.
Libertà condizionale: relativamente all'ergastolo, la legge prevede la possibile libertà
condizionale dopo 22-26 anni.
Estinzione della pena dell'ergastolo: dopo 5 anni di libertà condizionale, se il
condannato non ha commesso altri reti, la pena può venir dichiarata estinta.
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Liberazione anticipata: la norma prevede che il condannato, in determinate circostanze,
possa scontare la pena seguendo un calendario di 9 mesi invece che di 12, ovvero vedendosi
scontati 45 giorni di pena ogni sei mesi di carcerazione. La normativa prevede di contare fra i
mesi di carcerazione anche i momenti in cui il carcerato ha beneficiato di altre agevolazioni.
Non-menzione: norma introdotta da emendamenti successivi. Prevede che il condannato
che tiene una condotta esemplare e gode di uno sconto di pena possa uscire dal carcere con la
fedina penale pulita.
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