2
Introduzione.
Il presente lavoro di tesi si propone di indagare il fenomeno delle donne straniere che
svolgono un particolare lavoro di cura, quello delle “badanti”, nel contesto territoriale in
cui vivo, e cioè l‟Alta Valmarecchia.
Si tratta di un fenomeno relativamente nuovo, che è emerso negli ultimi decenni in Italia
per far fronte all‟aumento di soggetti anziani soli e bisognosi di assistenza ed
all‟insufficienza del nostro sistema di Welfare (pubblico e privato) nell‟offrire risposte
soddisfacenti ed efficaci ai bisogni di cura e di assistenza. La fragilità fisio-psichica,
economica e relazionale della condizione anziana oggi si incontra con un‟altra area di
vulnerabilità a più dimensioni: quella della donna migrante.
La donna migrante che si dedica ad un particolare lavoro, domestico e di cura, è
portatrice di una doppia fragilità, quella dell‟essere “donna” e soggetto migrante allo
stesso tempo: tale doppia fragilità che ha mosso il mio interesse di donna e studente sarà
il leit motiv del mio lavoro.
Il fenomeno dell‟immigrazione straniera è terreno di scontro tra rappresentazioni sociali e
processi effettivi, tra percezioni diffuse e dati di fatto, tra apparenti evidenze e
complessità dei fattori in gioco ed è suscettibile di produrre stereotipi, miti, dicerie e
paure collettive.
1
All‟interno di questo fenomeno così complesso, che per lungo tempo è stato
caratterizzato dalla figura maschile, si afferma una dimensione tutta femminile, al pari
dell‟accentuata importanza della femminilizzazione del lavoro nel contesto del nostro
mercato post-fordista.
Si tratta di donne umili e coraggiose che spesso lasciano le loro famiglie in patria per
svolgere nel nostro Paese un mestiere che le italiane, alle prese con il gravoso onere della
doppia presenza
2
nella famiglia e nel lavoro, non vogliono e non possono più svolgere;
eroine silenziose che si dedicano a sacrifici quotidiani e figure di riferimento per i nostri
anziani e che non hanno una rilevante visibilità sociale in quanto i mass media
pubblicizzano sovente l‟immagine negativa dello straniero “sporco, ostile e delinquente”,
incapace di integrarsi a pieno titolo nella società.
1
Cfr. Ambrosini M., Utili invasori, Angeli, Milano, 1999, pag. 11.
2
Cfr. Balbo L., La doppia presenza, in “Inchiesta”, VI (1978), pag. 32.
3
A questa immagine negativa voglio contrapporre quella dell‟”angelo custode” troppo
frequentemente dimenticata, di queste donne che, durante il loro percorso biografico,
attraversano fasi di vulnerabilità o, in alcuni casi, di esclusione sociale. Il primo capitolo
della presente tesi vuole infatti analizzare, senza pretese di esaustività, i concetti di
povertà, esclusione sociale, désaffiliation e vulnerabilità, riletti attraverso i contributi
teorici di Robert Castel e dell‟economista e filosofo anglo-indiano Amartya Sen, quindi
come condizioni dinamiche caratterizzate da un deficit di possibilità per accedere ad una
piena libertà ed auto-realizzazione. Il secondo capitolo affronta il concetto del lavoro di
cura divenuto un‟importante risorsa produttiva nel capitalismo post-fordista legato alla
crescente femminilizzazione del lavoro intendendo per femminilizzazione non solo
l‟espansione quantitativa delle donne nel mercato del lavoro, ma la crescente
valorizzazione e messa in produzione delle competenze comunicative e relazionali della
donna: tale valorizzazione non segue una logica uniforme ma è sbilanciata negativamente
nei confronti delle donne dei Paesi più poveri che sono trasformate in “sostitute salariate
della riproduzione” delle donne del Nord del mondo, impegnate nei settori dell‟economia
terziaria.
3
Il secondo capitolo, inoltre, affronta l‟analisi del fenomeno del progressivo
invecchiamento della popolazione in Italia e l‟emergenza del bisogno di cura non
adeguatamente gestito da un Welfare locale-pubblico di impronta familista: di qui
all‟espansione del fenomeno “badanti” il passo è breve.
Il terzo capitolo, infatti, è imperniato sull‟indagine quantitativa delle donne badanti in
Italia, dopo un excursus storico sul fenomeno dell‟immigrazione che negli ultimi anni si è
“colorato di rosa”: accanto alla femminilizzazione del lavoro, emerge fortemente la
femminilizzazione dell‟immigrazione
4
.
Dopo la trattazione teorica, il quarto capitolo riguarda la ricerca empirica vera e propria
sul fenomeno badanti in Alta Valmarecchia: dopo uno sguardo sul mutamento della
popolazione anziana, l‟emergenza del bisogno di cura e sui dati quantitativi e
documentari relativi alle donne straniere badanti nel contesto locale, si affronta l‟analisi
di una ricerca da me personalmente condotta di taglio qualitativo svolta attraverso
3
Cfr. Ehrennreich B., Hochschild, Russel Arlie Russel (a cura di), Donne globali. Tate, colf e badanti, Feltrinelli,
Milano, 2002.
4
Mia personale elaborazione.
4
interviste semi-strutturate su un insieme di riferimento empirico di venti donne che
operano nel territorio. La ricerca si prefigge l‟obiettivo di indagare quelle che sono le loro
attese e speranze e la loro effettiva realizzazione, nell‟ottica di una loro piena
integrazione sociale. Pare evidente che tale completa integrazione, vista come totale
possesso delle capacità di trasformare le risorse in opportunità secondo gli insegnamenti
di Amartya Sen, appare più un‟utopia che una concreta realtà; la ricerca vuole pertanto
comprendere, in tal senso, le aree di criticità e vulnerabilità a livello economico,
relazionale, culturale, spaziale ed istituzionale, (che nel quinto capitolo verranno
analizzate) che via via si presentano. L‟approccio di fondo che ispira la presente ricerca è
che i concetti di integrazione e di vulnerabilità sociali vadano studiati e compresi nella
loro complessità e multidimensionalità, senza limitarsi all‟esame della condizione
reddituale ed economica. La vulnerabilità sociale non è uno stato acquisito una volta per
tutte, ma una condizione dinamica strettamente legata alle traiettorie biografiche dei
soggetti, alle loro attese ed alle loro effettive realizzazioni nel quadro di una struttura
sociale delle opportunità. Proprio per questo ho preferito indagare i loro vissuti e le
soggettive percezioni attraverso il loro libero racconto, rendendo protagoniste le parole
di queste donne, anziché i dati, con l‟intento di spingermi, per quanto possibile, al di là
degli etichettamenti acquisiti e delle manifestazioni della realtà date per scontate.
5
I Povertà e vulnerabilità.
I.1 Il concetto di povertà.
La povertà è uno dei temi chiave delle riflessione sociologica: attorno ad essa
s‟intrecciano discorsi istituzionali, e di senso comune, ed ha ispirato da sempre il dibattito
sul welfare state. Ma la centralità del tema della povertà rinvia anche a dati statistici e a
modi di definirli, classificarli e interpretarli, come viene del resto riconosciuto dalla
ricerca più avvertita in merito: “piuttosto che studiare la povertà o l‟esclusione sociale
come status o condizioni „oggettive‟, sembra più fruttuoso analizzare come esse siano
interpretate, riconosciute e socialmente definite -ad esempio come povertà „meritevole‟
„non meritevole‟- all‟interno di una data società”
5
.
Comprendere la povertà, intenderne il significato come fenomeno sociale e prospettarne
una possibile soluzione, in quanto problema che attraversa la società, è sempre apparso, e
tuttora continua ad apparire, un compito molto arduo per la sociologia
6
. Come i più
recenti studi rilevano, non esiste una definizione standardizzata ed univoca di povertà ma
essa risulta essere il frutto di una costruzione sociale; sono numerosi, infatti, gli approcci
che hanno indirizzato riflessioni ed indagini su tale tematica, e non sempre si sono
susseguiti nel tempo. E' possibile, tuttavia, suddividere la varietà di questi approcci in due
principali correnti di pensiero e di ricerca che hanno utilizzato il termine povertà per fare
riferimento a due fenomeni sociali differenti.
7
Alla prima corrente, definita dalla maggior parte degli studiosi, come “tradizionale”,
appartiene la definizione di povertà come status, ovvero come condizione statica di un
soggetto, di esclusione essenzialmente a livello economico e di risorse materiali e che
implica una logica binaria (un individuo è povero oppure non è povero al di sopra o al di
sotto di una determinata “soglia”)
8
.
La seconda corrente, invece, mostra un'idea dinamica e processuale di povertà, intesa
come fase di un processo che si può innescare in un percorso biografico, che implica
5
Cfr. Saraceno C., (a cura di) Social Assitance Dynamics in Europe, Bristol, The Polity Press, Bristol, 2002.
6
Cfr. Francesconi C., “Segni” di impoverimento. Una riflessione socio-antropologica sulla vulnerabilità, Angeli,
Milano, 2003, pag. 19.
7
Ibidem.
8
Ibidem.
6
sicuramente situazioni determinate da scarse risorse economiche e materiali alle quali,
però, si affiancano quasi sempre anche altri tipi di deprivazioni.
Il primo approccio ha dominato tutti gli studi condotti sulla povertà a partire dalle
ricerche realizzate fra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo in Gran Bretagna da Booth
e Rowentree fino al secondo dopoguerra nei maggiori Paesi Europei: tutti questi studi
offrivano una visione statica, quantitativa ed oggettiva del fenomeno “povertà”.
L'obiettivo di queste ricerche era quello di quantificare il numero di poveri, di misurare il
loro livello di povertà e di comprendere quanto consumavano. Il principale criterio di
misurazione che ne è derivato, tuttora ampiamente utilizzato nelle statistiche ufficiali, è il
cosiddetto metodo delle soglie, che si serve di parametri quali il livello di reddito o la
spesa per consumi per determinare una linea (o, in alcuni casi, più linee) sotto la quale
collocare tutti i soggetti definibili “poveri”.
9
Le ricerche tradizionali di tipo “statico”, servendosi del metodo delle soglie, hanno
condiviso una visione della povertà prendendo in esame solo le deprivazione strutturali.
Questo genere di indagini, d'altra parte, era guidato da una visione ottimistica tale per cui,
lo sviluppo economico e sociale e le capacità di modernizzazione dei vari Paesi, insieme
all'opera di un Welfare State garantista, proprio dell'economia fordista, avrebbero presto
sanato o limitato le situazioni di povertà considerate realtà transitorie.
La prima indagine di carattere nazionale (1951-1953), promossa dalla Camera dei
Deputati Italiana e svolta da un'apposita Commissione Parlamentare sulla miseria e sui
mezzi per combatterla, faceva riferimento ad una concezione di povertà come mancata
soddisfazione di bisogni primari e non come disuguaglianza di accesso al benessere per
determinare uno stato di deprivazione assoluta. Tale ricerca registrò, insieme alla
presenza di realtà povere nell'intera area meridionale italiana e all'interno della classe
operaia, un'opinione comune nel ritenere scontata l'ipotesi di un inevitabile
riassorbimento delle situazioni di povertà, che sarebbero apparse sempre più circoscritte
soprattutto grazie allo sviluppo economico del Paese ed all'opera dello stato sociale. Per
oltre vent'anni da questa ricerca si sviluppò in Italia un approccio teso a considerare il
“problema povertà” in modo marginale e solo come deficit di tipo essenzialmente
9
Ivi, pag. 20.
7
economico
10
. Contribuì a rafforzare tale visione la maturazione del Welfare State che si fa
garante e si pone come rimedio di tutte le situazioni di bisogno che si presentano
all'interno della società, attraverso meccanismi automatici di redistribuzione di ricchezza,
generalizzando i servizi e di una “omogeneizzazione delle situazioni di accesso”,
perdendo tuttavia di vista la specificità delle singole situazioni. Verso la fine degli anni
settanta, la capacità redistributiva del welfare state entra in crisi ed appare manifesta non
solo l'incapacità di avere affrontato adeguatamente il “problema povertà”, ma anche il
suo contributo nell'avere nascosto una povertà che, in quegli anni, tende a riemergere
come fenomeno sociale visibile che si ripropone come questione centrale all'interno della
società. In quegli stessi anni l'idea statica ed assoluta di povertà entra in crisi per lasciare
spazio gradualmente ad una concezione multicausale e multidimensionale di povertà. In
proposito Sarpellon, afferma sulla rivista di sociologia “Promozione sociale”, che si sta
assistendo ad una “riscoperta della povertà”
11
, con l'emergere di componenti relazionali e
personali accanto alla dimensione puramente economica del reddito. Emerge la natura
multidimensionale e multicausale del concetto che vede la povertà come la conseguenza
finale di diverse cause, nonché come l'espressione di sintesi di un più ampio processo in
cui una serie di circostanze e di situazioni prende il posto “dell'unico fattore causale”.
L'introduzione del concetto di “qualità della vita” ha ampliato, infatti, la concezione della
povertà ponendola in connessione con la qualità delle relazioni personali e sociali, oltre
che a bisogni che non possono essere soddisfatti semplicemente attraverso il denaro:
“condizioni di salute, istruzione e alloggio, ma ancora tipo di lavoro, sicurezza per il
futuro, relazioni familiari e rapporti sociali sono tutti elementi che determinano il modo
reale di vita reale delle persone e che solo in parte possono venire spiegati con il solo
riferimento alla situazione economica”.
12
Tale multidimensionalità pone seri interrogativi
sulla definizione e sullo stesso concetto di povertà. I ricercatori del Censis, in un
importante sondaggio del 1979, hanno quindi proposto di distinguere tre tipi di povertà:
le povertà assolute, definibili tali in base al basso livello di reddito, alla mancanza di
lavoro, alle precarie condizioni di vita e di alloggio; le nuove povertà, quali conseguenza
dell'incapacità della società di garantire la soddisfazione dei bisogni sempre più
10
Ivi, pp. 21-22.
11
Cfr. Sarpellon G., “Dalla povertà nascosta alle nuove povertà”, in Guidicini P., Pieretti G. (a cura di), Le
residualità come valore. Povertà urbane e dignità umana, Angeli, Milano, 1993, pp. 300-308.
12
Cfr. Sarpellon G. (a cura di), La povertà in Italia, Angeli, Milano, 1982, vol. I, pag. 63.
8
diversificati; ed infine, le povertà post-materialistiche non definibili in termini materiali,
ma da rapportare ad aspettative personali, soggettive, relazionali e qualitative.
13
Per quanto riguarda le nuove povertà, i ricercatori del Censis hanno elencato:
- le povertà abitative urbane, legate agli effetti del più recente processo di urbanizzazione
e del disordinato sviluppo delle grandi aree cittadine (diminuzione dell'offerta di nuovi
appartamenti in affitto, divario crescente fra fabbisogno e disponibilità di alloggi,
aumento delle coabitazioni, crescita degli sfratti);
- le povertà di organizzazione sociale, caratterizzate da gravi carenze della rete idrica e
fognaria, della rete di trasporti, delle strutture di riscaldamento e di distribuzione delle
fonti energetiche, delle strutture ospedaliere e sanitarie, del verde pubblico;
- le povertà di gruppo e fascia sociale, determinate dalle gravi carenze che si riscontrano
nella struttura ambientale e dei servizi sociali e che vanno a compromettere la qualità
della vita delle fasce sociali deboli, quali gli anziani, gli handicappati, i malati di mente, i
tossicodipendenti, le donne lavoratrici con figli piccoli, gli immigrati;
- le povertà di personalizzazione e qualità dei bisogni sociali, originate da un duplice
processo: “da un lato la volontà e l'esigenza di avere servizi sociali il più possibile
personalizzati e qualitativi; e dall'altra la crescente consapevolezza che l'espansione delle
strutture pubbliche tende spesso alla burocratizzazione o ad un basso livello del servizio,
con l'effetto di spingere a cercare altrove (magari sul mercato privato) la soddisfazione,
qualitativa e personalizzata, del proprio bisogno”. In altri termini, sarebbe in atto una
“riprivatizzazione del consumo sociale e collettivo” che permette a molti di avere il
servizio nei termini in cui soggettivamente lo si vuole, ma che allo stesso tempo crea in
molti condizioni di frustrazione, di soggettiva “povertà” per non potere accedere ad
alternative di tipo privato”, sia nel settore dell'edilizia abitativa, sia in quelli dei servizi
sanitari e dei servizi scolastici.
14
L'emergere delle povertà “post-materialistiche” è stato illustrato dagli studiosi del Censis
in riferimento ad un documento della Commissione Europea pubblicato nel 1977:
“quando un essere umano ha acquisito un certo grado di sicurezza fisica ed economica,
egli può cominciare a perseguire altri obiettivi di tipo non materialistico quali il bisogno
di amare e di essere amato, il bisogno di sentirsi appartenere ad un gruppo, il bisogno di
13
Cfr. Francesconi C., op. cit., pp. 22-23.
14
Cfr. Villa F., Dimensioni del servizio sociale, Vita e pensiero, Milano, 2000, pp. 36-37.
9
essere riconosciuto nella sua identità individuale e collettiva, il bisogno di essere stimato
in quanto persona etc.”
15
. La classificazione operata dal Censis sembra rispecchiare la
nota classificazione dei bisogni di Maslow, in quanto il concetto di “povertà post-
materialistiche” si riferisce ai bisogni superiori o “metabisogni”, mentre le “povertà
assolute” e le “nuove povertà” possono corrispondere ai bisogni primari e secondari.
L'aspetto più innovativo di questa indagine consiste nella scoperta di una natura
multiforme e multidimensionale del concetto di povertà e che esistono bisogni umani di
appartenere a un gruppo, di essere riconosciuto come individuo e stimato come persona, i
quali, se non vengono appagati, impediscono la piena integrazione nel sociale: si tratta di
una povertà relazionale quindi, di una perdita di senso e di significato che, da
atteggiamento individuale , si a trasforma in un disagio sociale più ampio.
E' interessante rilevare, come già nello studio del Censis, si colga un graduale passaggio
da una concezione statica ed assoluta della povertà ad una visione più ampia e complessa,
che non tiene conto solamente della componente reddituale ma anche di quella
relazionale e sociale. Tuttavia, alcuni studiosi si sono mostrati critici verso tale analisi, ed
in particolare verso i concetti di “nuove povertà” e di “povertà post-materialistiche”
come il già citato Sarpellon, il quale afferma che i due concetti corrispondono a bisogni
di natura psicologica e culturale e sviano l'attenzione da quelli che sono i reali problemi
della povertà vera e propria. Sostiene, inoltre, che con queste categorie si privilegiano le
esigenze della classe media delusa da aspettative di miglioramenti economici e politici,
ma non “povera” ed esclusa dall'accesso ai beni fondamentali e dalla società
16
. Sarpellon
intende ridefinire la povertà delimitandola entro l'ambito economico affermando che “la
povertà cioè viene definita come quella situazione nella quale il soggetto preso in
considerazione (persona, famiglia o gruppo) dispone di un ammontare di risorse
economiche inferiori ad un livello stabilito”
17
; l'Autore ritiene che questa soluzione
consenta di ottenere alcuni importanti vantaggi, come la misurabilità del fenomeno, pur
riconoscendo che la sua traduzione operativa richiede alcune cautele metodologiche.
Una definizione aggiornata, a mio parere, del concetto di povertà è offerta dallo stesso
Sarpellon il quale ritiene che “per povertà si intende la mancanza di risorse (e cioè di
15
Ivi, pag. 37.
16
Ivi, pag. 38.
17
Cfr. Sarpellon G. (a cura di), Percorsi di povertà e reti di servizi, Angeli, Milano, 1991.
10
redditi in denaro, beni materiali e servizi organizzati da enti pubblici o privati, come
alloggi e istruzione) tali che gli individui , le famiglie, le categorie di persone interessate
sono escluse dai minimi modi di vita accettabili e dalle normali abitudini e attività”.
Secondo l'Autore, la seguente schematizzazione esprime la duplicità di prospettive
attraverso le quali può essere considerata la povertà:
1. povertà intesa come processo sociale/condizione individuale (o familiare);
2. povertà intesa come fenomeno globale/settoriale (come, ad esempio, la mancanza
di mezzi economici);
3. povertà come situazione oggettiva (definita da osservatori esterni)/soggettiva
(soggettivamente percepita dai singoli);
4. povertà assoluta/relativa. La povertà assoluta è definita rispetto ad un livello
minimo stabilito, mentre quella relativa è definita rispetto ad un ambiente sociale
al quale si riferisce.
Nell'interpretazione di Sarpellon queste quattro coppie di significati della povertà non
vanno intese in modo alternativo (né tra di loro né al loro interno), ma ciascuna di esse
contiene una propria parte di verità che può essere utilizzata in funzione degli obiettivi
previsti nei diversi studi sulla povertà. La definizione di sintesi alla quale giunge l'Autore
è che per “povertà si deve intendere una situazione dinamica e globale, empiricamente
rilevabile e soggettivamente percepibile, nella quale i bisogni fondamentali non vengono
stabilmente soddisfatti”
18
.
Già tale definizione pone l'accento sul carattere dinamico anziché statico della povertà ed
apre la strada ad un approccio qualitativo e multidimensionale che vede la povertà non
come un destino per i soggetti, ma la possibile fase di un processo che occorre
approfondire
19
. L'assunto fondamentale di tale approccio è che la povertà è un problema
spiegabile solo all'interno di una complessa dinamica processuale in cui si sviluppa la
vita dei soggetti, che può in diversi periodi attraversare sia fasi di caduta verso situazioni
di maggior impoverimento, sia fasi di risalita verso stadi di stabilità e di integrazione: si
18
Cfr. Sarpellon G. (a cura di), La povertà in Italia, vol. I, Angeli, Milano, 1982, pp. 72-75.
19
Cfr. Francesconi C., “Segni” di impoverimento. Una riflessione socio-antropologica sulla vulnerabilità, Angeli,
Milano, 2003, pp. 25-28.
11
tratta di un mondo caratterizzato da percorsi spesso irripetibili, in cui la variabile
economica gioca un ruolo importante ma legato a esperienze e motivazioni fluttuanti.
20
La povertà è collocata al centro di una rete di relazioni della quale occorre analizzare la
dinamica e ciò significa che le situazioni dei soggetti non sono costanti nel tempo, ma si
muovono lungo un continuum in cui “più si scivola verso il basso”, più i fattori di
deprivazione si incrociano e si accumulano l'uno sull'altro. In tale percorso si può partire
da momenti di quasi “normalità” e si può giungere fino agli ultimi stadi del processo di
impoverimento che coincidono con il fenomeno della povertà estrema: con quest'ultimo
termine si intende non un caso eccezionale ma il possibile esito e punto limite di una
deriva del soggetto e di una graduale decomposizione ed abbandono del sé.
21
La prospettiva con cui si legge la povertà, secondo quest'ultimo approccio, è basata sulla
dinamica processuale degli eventi e alle transizioni che inducono nei soggetti una
particolare esposizione al rischio di scivolamento verso il basso. Sul piano della ricerca,
l'ambito innovativo è dato dalla centralità attribuita alla dimensione tempo: proprio
perché la povertà è dinamica, può essere un'esperienza della vita che si sviluppa in una
fase più o meno lunga compromettendo, nel soggetto e nella sua famiglia, le capacità di
progettarsi e di “offrire performance relazionali adeguate alla situazione sociale di
appartenenza”.
22
Questo approccio teorico nell'analisi dei processi di impoverimento pare piuttosto idoneo
a leggere le traiettorie biografiche dei soggetti “oggetto” della presente ricerca, ovvero le
donne “badanti” extracomunitarie nell'Alta Valmarecchia: percorsi fatti di aspettative
realizzate o deluse verso un miglioramento della propria esistenza in terre lontane e
povere, sradicamento dal Paese di origine e dal proprio mondo e tentativi di integrazione
in un nuovo contesto sociale.
Questa visione del fenomeno povertà, o meglio dell'impoverimento, si allontana
completamente da quelle tradizionali anche perché queste ultime lo hanno sempre legato
all'evoluzione storica e sociale del Paese: è evidente, invece, che la povertà non è un
problema residuale ma si pone al centro di molti meccanismi che operano a livello
20
Ivi, pagina 9.
21
Ivi, pp.26-27. Per il concetto di decomposizione ed abbandono del sé, si veda, in particolare Guidicini P., Pieretti
G., e Bergamaschi M. (a cura di), Povertà urbane estreme in Europa. Contraddizioni ed effetti perversi delle
politiche di welfare, Angeli, Milano, 1995, pp. 75-107.
22
Cfr. Francesconi C., op. cit., pag. 26.