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CAPITOLO 1
INTRODUZIONE
1.1 Le work-related diseases, o malattie
lavoro-associate
Secondo alcune ricerche sulla psicopatologia del lavoro vita
lavorativa ed extra-lavorativa non sono né separate né separabili;
questo vuol dire che non si può parlare di qualità della vita se non
si fa riferimento anche alla qualità del lavoro e al benessere del
lavoratore (Favretto, 1994).
Nell‟ambito delle patologie da lavoro, ci troviamo attualmente
di fronte a una fase di cambiamento; infatti, mentre si assiste a
una progressiva diminuzione dei disturbi a origine monofattoriale
(ad esempio disturbi dovuti ad una continua o elevata esposizione
a gas, vapori, polveri, ecc.), contemporaneamente possiamo
notare un aumento del disagio lavorativo e delle patologie di tipo
aspecifico, causate da un insieme di fattori eterogenei: si tratta
delle cosiddette “work-related diseases”, o malattie lavoro-
associate (Baldasseroni et al., 2001). Questa situazione ha due
fondamentali implicazioni. In primo luogo, gli operatori della
prevenzione si trovano di fronte ad una diversa domanda di
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salute rispetto al passato. In secondo luogo, gli aspetti culturali e
organizzativi del lavoro assumono un ruolo sempre più
importante nella comprensione di patologie cronico-
degenerative, legate prevalentemente alla sfera psichica, ma
anche agli apparati locomotore, digerente e cardiovascolare.
Questo quadro, pertanto, suggerisce ricerche volte ad indagare le
relazioni tra organizzazione del lavoro e stress occupazionale.
1.2 L’esposizione ai solventi
La necessità di regolamentare l‟esposizione alle sostanze
tossiche nell‟ambiente di lavoro ha portato a un aumento
consistente nel corpo di leggi e regolamenti che sono stati, di
norma, basati su studi specifici. Nei paesi occidentali, dagli anni
‟70 i limiti di sicurezza per le esposizioni a breve termine a
molte sostanze tossiche sono stati stabiliti utilizzando
osservazioni e misurazioni comportamentali (Rosenzweig,
Leiman e Breedlove, 1998).
In letteratura sono numerosi gli studi che testimoniano le
possibili conseguenze negative che una storia di esposizione a
solventi (sostanze alla base dell‟attività conciaria) può avere sulla
salute psicologica e fisica delle persone che ne sono state a
contatto. I solventi, e più in generale le sostanze tossiche, agendo
infatti sul sistema nervoso centrale, possono compromettere le
principali funzioni di questo: percezione, movimento e
motivazione. Inoltre, agendo sul sistema nervoso periferico,
possono danneggiare parte della sezione autonoma di questo: in
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particolare, il sistema simpatico (che prende parte alla risposta
somatica allo stress) e quello parasimpatico (che tende a
conservare le risorse dell‟organismo e a ristabilire l‟omeostasi). I
solventi producono effetti sottili, non oggettivamente osservabili
come danni fisici (Rosenzweig et al., 1998): per questo i danni
vengono spesso valutati attraverso misure di tipo
comportamentale. Vari autori concordano nell‟affermare che gli
effetti precoci dell‟esposizione a solventi si manifestano
primitivamente come disturbi soggettivi e solo successivamente
in segni oggettivamente misurabili (anche se non è stata ancora
dimostrata l‟automatica progressione dai sintomi ai segni) e che,
tra gli effetti dell‟esposizione protratta a basse dosi di solventi, ci
siano una significativa diminuzione delle capacità di attenzione e
concentrazione, ridotte abilità visivo-motorie e difficoltà
mnestiche (Camerino, Cassitto, Fanelli, Fattorini e Gilioli, 1994).
Tra gli effetti psicologici di una storia più o meno lunga di
esposizione a solventi sono inoltre presenti anche sintomi di
stress, quali ansia e depressione (Cassidy, 1999). Varie ricerche
in passato, soprattutto nell‟ambito della medicina del lavoro, si
sono occupate di valutare la sintomatologia neuropsichica legata
a vari tipi di sostanze tossiche; tra queste possono essere
ricordate alcune ricerche in particolare, condotte dagli autori
dell‟Euroquest; in ambito italiano quella condotta da Gilioli
(1994) e quella condotta da Lucchini et al. (1997), entrambe
basate sul confronto tra un gruppo esposto e uno non esposto a
sostanze tossiche; quella di Lucchini et al., ad esempio, è volta a
valutare la sintomatologia neuropsichica e i livelli di stress
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soggettivo in soggetti professionalmente esposti a gas anestetico,
confrontando, all‟interno della stessa realtà lavorativa (ambito
ospedaliero), i soggetti esposti con i soggetti non esposti.
Tuttavia da questo studio è emerso che per entrambe gli aspetti
non ci sono differenze statisticamente significative tra i due
gruppi, sebbene i sintomi di disagio emotivo e del
comportamento fossero riportati con una maggiore frequenza dal
gruppo dei non esposti; la spiegazione va ricercata nel fatto che
in questo gruppo rientra il personale che si occupa di emergenze
(pronto soccorso). Nessuna chiara associazione è inoltre emersa
tra i sintomi riportati dai due gruppi e anzianità nella mansione
(nel gruppo esposto) o anzianità complessiva in azienda (nel
gruppo non esposto). In ambito internazionale, un‟importante
ricerca è quella condotta da Chouanière et al. (2002), finalizzata
ad indagare effetti neurotossici in lavoratori esposti a basse dosi
di toluene; anche in questo studio è stato utilizzato l‟Euroquest e
non è stata individuata nessuna chiara associazione tra i sintomi
riportati e, in questo caso, il livello di esposizione; tuttavia
l‟esposizione a basse dosi era associata a decrementi in un test di
memoria.
Poiché la presente ricerca è finalizzata ad approfondire le
condizioni lavorative e la salute psicofisica dei lavoratori del
settore conciario, diventa decisamente opportuno considerare gli
effetti e i rischi legati all‟esposizione ai solventi.
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1.2.1 Conseguenze a livello psicologico
Le persone che vengono a contatto in modo più o meno
diretto con i solventi presentano una maggiore frequenza di
sintomi relativi a depressione, ansia, fatica, stati di confusione
(e rispettivi correlati somatici) rispetto a soggetti di controllo
(Morrow, Kamis e Hodgson, 1993); tali condizioni si ritrovano
anche in persone che presentano sintomi di stress occupazionale
(Cassidy, 1999). Inoltre i soggetti esposti a solventi riuscirebbero
ad identificare accuratamente i cambiamenti esperiti dovuti a tale
esposizione, distinguendoli da analoghi cambiamenti fisiologici
(es. relativi all‟ansia) riconducibili a variabili disposizionali
(Morrow et al., 1993).
Studi neuropsicologici hanno documentato disfunzioni
frontali (in particolare nel solco principale della corteccia
prefrontale) in soggetti con una storia analoga; i deficit osservati
sembrano coinvolgere la memoria di lavoro. Haut et al. (2000)
hanno utilizzato la tecnica PET (tomografia a emissione di
positroni) per esaminare l‟attivazione neurale durante compiti di
memoria in persone con una storia di esposizione ai solventi,
confrontandoli con l‟attivazione analoga in soggetti che non
presentavano una storia di questo tipo. Gli autori hanno osservato
che persone appartenenti a gruppi diversi, e aventi performance
equivalenti, presentavano un diverso tipo di attivazione neurale:
era infatti possibile notare picchi frontali atipici durante lo
svolgimento del compito solo nei soggetti che facevano parte del
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primo gruppo. I risultati hanno pertanto suggerito che, tra i
possibili effetti di un‟esposizione ai solventi, ci siano anche
alterazioni della memoria di lavoro che sarebbero superate grazie
ad un‟attività compensatoria delle stesse regioni anteriori.
Un‟ altra funzione psicologica compromessa dall‟esposizione
ai solventi è l‟attenzione. Problemi di questo tipo sono stati
spesso riscontrati nell‟ambito della neurotossicologia, in
relazione all‟esposizione a solventi a lungo termine, ma la
conoscenza circa i siti anatomici coinvolti in questo processo
degenerativo è ancora poco approfondita; tuttavia alcuni studi
hanno considerato la corteccia frontale come la regione di
cambiamenti strutturali o funzionali nelle persone esposte a
solventi per lunghi periodi o vittime di intossicazioni accidentali
(van Thriel, Kleinsorge, Zupanic e Seeber, 2000). Morrow
(1994) ha confrontato i tempi di reazione durante lo svolgimento
di compiti di questo tipo, in soggetti nei quali era presente o
meno una storia di esposizione ai solventi (simili, invece, per età
e livello di scolarità). Dai risultati è emerso un maggior tempo di
reazione nelle risposte fornite dai soggetti che presentavano una
tossicità media, dovuta a solventi, rispetto ai controlli; i risultati
suggerirebbero, secondo l‟autore, un tipo di disturbo che
coinvolgerebbe i primi stadi di orientamento dell‟attenzione.
Un ulteriore e ricorrente problema che è stato individuato in
questa popolazione è quello della nevrastenia (van Vliet et al.,
1989), che si presenta con un basso tono sia psicologico che
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fisico; tuttavia, la prevalenza di effetti neurotossici cronici
sottoforma di sintomi di questo disturbo sembra essere
maggiormente associata alla presenza di stress lavorativo,
piuttosto che all‟esposizione ai solventi, suggerendo quindi una
particolare importanza dell‟influenza del primo sullo sviluppo di
questo malessere (van Vliet et al., 1989).
Altre possibili conseguenze documentate sono la sindrome
apnoica ostruttiva del sonno (Muttray et al., 1999) e
l‟encefalopatia tossica (TE) (Gregersen, Angelso, Nielsen,
Norgaard e Uldal, 1984; Abjornsson et al., 1998). La prima è un
disturbo respiratorio caratterizzato da episodi ripetuti di
cessazione della respirazione, che durano per 10 secondi o più
durante il sonno, causando così possibili condizioni di
affaticamento, mialgia e incrementi temporanei della pressione
sanguigna. Il rischio di sviluppare i sintomi dell‟encefalopatia
tossica sembra essere maggiore in coloro che, a causa della loro
specifica tipologia d‟occupazione, hanno subìto un‟esposizione a
solventi per periodi prolungati (Gregersen et al., 1984). Questo
disturbo influenzerebbe negativamente lo stress psicologico
individuale percepito, le abilità di coping e alcune funzioni
sociali, tra cui la prestazione lavorativa (Abjornsson et al., 1998).
Un altro importante aspetto da sottolineare è che, solitamente,
l‟individuazione della sindrome apnoica ostruttiva del sonno
precede una successiva diagnosi di encefalopatia (Muttray et al.,
1999).
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Da uno studio di Candura et al. (2000) è emerso che anche
malattie neurodegenerative idiopatiche, cioè che non sono
causate da altre malattie (come, ad esempio, il morbo di
Alzheimer), sono riconducibili ad una prolungata esposizione ai
solventi. Gli autori fanno notare che numerose intossicazioni
legate al tipo di lavoro svolto possono infatti coinvolgere il
sistema nervoso centrale e, quindi, manifestarsi in un‟ampia
varietà di sintomi neuropsicologici: una gamma che comprende
sia disturbi di tipo comportamentale che evidenti psicosi. Gli
stessi studiosi sottolineano, inoltre, che esistono alcuni tipi di
danni tossici che non presentano nessuna chiara e palese
manifestazione clinica, ma che tuttavia rendono il cervello più
vulnerabile ad ulteriori fattori dannosi, o comunque accelerano la
perdita fisiologica dei neuroni. Un‟attenta anamnesi
occupazionale appare quindi cruciale, sia per la diagnosi di
eventuali manifestazioni psichiatriche associate al lavoro, sia per
la conseguente interruzione dell‟esposizione tossica e per l‟inizio
della terapia (Candura et al., 2000).
1.2.2 Gli effetti di un’esposizione prolungata
Il rischio legato ad un‟esposizione prolungata è stato
segnalato da vari studi.
Da una ricerca di Moen, Riise, Haga e Fossan (1990), per
esempio, è emerso che essa provoca effetti psicologici avversi se
eccessivamente protratta nel tempo (attraverso analisi statistiche
adeguate è stato possibile escludere gli effetti di altre variabili,
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quali l‟età, il consumo di alcol e di sigarette, la presenza di una
commozione cerebrale e il livello di scolarità); tra essi si possono
individuare una compromissione della memoria e della capacità
di rappresentazione (in particolare, l‟astrazione spaziale), come
emerge dai risultati dei test ai quali il campione fu sottoposto
dopo quattordici giorni dall‟ultima esposizione. Rallentamenti
nella percezione e nell’attività motoria si intensificherebbero a
causa di una prolungata esposizione ai solventi, legata allo
svolgimento del proprio lavoro (Bazylewicz-Walczak,
Walenczak, Wesolowski e Jakubowski, 1992); in particolare,
un‟esposizione superiore ai quindici anni, provocherebbe
alterazioni delle funzioni psichiche e un deterioramento delle
condizioni generali di salute con maggiore probabilità rispetto a
periodi di esposizione di durata inferiore (Bazylewicz-Walczak et
al., 1992); altri autori concordano tuttavia che è sufficiente
un‟esposizione superiore ai cinque anni per riscontrare questo
tipo di alterazioni (Gilioli, 1994).
In generale, la sintomatologia soggettiva sembra ridursi dopo
un periodo più o meno lungo di esposizione, per esempio per i
meccanismi di adattamento oltre ad altri non ancora individuati.
Tuttavia, la letteratura e l‟esperienza clinica mostrano che i
soggetti esposti da lungo tempo presentano una sintomatologia
soggettiva ricorrente ma che, a causa della durata e delle
caratteristiche di insorgenza, viene accettata come segno tipico
dell‟invecchiamento (Fanelli, Fattorini, e Salerno, 1991).
Morrow, Ryan, Hodgson e Robin (1991) hanno individuato
alcuni fattori di rischio che possono essere particolarmente
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nocivi per le persone che sono state esposte per periodi più o
meno lunghi a solventi organici, peggiorando le conseguenze
neuropsicologiche a lungo termine riscontrate in questi soggetti;
tra essi troviamo un elevato livello di esposizione e il distress
psicologico.
1.2.3 Altre possibili conseguenze
In letteratura, inoltre, è ampiamente riconosciuto il fatto che
l‟esposizione occupazionale a solventi sia associata ad un
incremento della probabilità di sviluppare cancro al colon
(anche se questa malattia è di per sé una condizione abbastanza
rara) e, tra i fattori di rischio di questo, troviamo anche una
situazione di stress lavorativo (Spiegelman e Wegman, 1985).
Il cancro della cavità nasale è un‟altra delle possibili
conseguenze dell‟intossicazione dovuta a solventi (Feron, Arts,
Kuper, Slootweg e Woutersen, 2001); il cromo o i solventi
organici (in quanto usati durante la fase di rifinizione e emessi
nell‟aria) possono infatti essere assimilati dall‟organismo proprio
attraverso le vie dell‟olfatto e per questo possono essere
considerati i principali agenti coinvolti nello sviluppo di questa
malattia (Feron et al., 2001).