4
significava presentarsi come esperti di civiltà, con un messaggio della superiorità della civiltà
cristiana, quanto dell’umanesimo di cui si faceva interprete. Scriveva Paolo VI: «Tutto ciò che è
umano ci riguarda. Noi abbiamo in comune con tutta l’umanità la natura, cioè la vita, con tutti i suoi
doni, con tutti i suoi problemi. Siamo pronti a condividere questa prima universalità. Dovunque è
l’uomo in cerca di comprendere se stesso e il mondo, noi possiamo comunicare con lui… non siamo
la civiltà, ma fautori di essa»
3
.
Seguendo l’esempio di Paolo VI, anni dopo, altri due Papi parleranno davanti all’Assemblea
Generale, riprendendo un dialogo mai interrotto con la società civile. Questo breve lavoro si
propone di prendere in esame i discorsi che Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno
pronunciato durante le loro visite alle Nazioni Unite e analizzarne criticamente gli aspetti
fondamentali, le somiglianze e le divergenze, tutto questo con l’aiuto della lente d’ingrandimento
rappresentata dalla stampa di quel periodo e con l’esame delle reazioni che questi eventi suscitarono
nell’opinione pubblica.
1. PAOLO VI E IL SUO TEMPO
Successore di Papa Giovanni XXIII, Giovanni Battista Montini salì al soglio pontificio il 21
giugno 1963, dopo un breve conclave, prendendo il nome di Paolo VI. Il nuovo Papa si trovò ad
esercitare i poteri di capo spirituale della Chiesa Cattolica in un periodo storico pieno di fermenti e
trasformazioni, minacciato da continui pericoli, in un mondo che cambiava a ritmo accelerato ma in
cui non si riusciva a intravedere in che direzione avrebbero portato quelle trasformazioni.
Dalla fine della seconda guerra mondiale fino a quel momento l’umanità aveva tremato dinanzi
a paurose minacce: la guerra di Corea, che nel 1950 aveva rappresentato la prova più drammatica
delle nuove dimensioni mondiali del confronto tra il blocco socialista e il blocco capitalista,
un’opposizione che negli anni della guerra fredda aveva fatto temere realmente la possibilità di un
nuovo conflitto mondiale; il fallimento clamoroso della conferenza di Parigi, la crisi per la chiusura
del canale di Suez, l’anarchia del Congo, crisi provocata dalla postazione dei missili sovietici a
Cuba. Questi e altri erano i problemi che gli stati si trovarono a dover affrontare in quel periodo, e
fino a quel momento si erano riusciti ad evitare i pericoli più grandi. Proprio questo, sebbene non
mancassero ostacoli e preoccupazioni, il mondo stava cominciando a respirare un’aria nuova, di
fiducia e pluralismo delle nazioni, e questa nuova piega che le relazioni internazionali stavano
prendendo era dovuta anche alla grande ondata di decolonizzazione che si era verificata. Erano
tempi pieni di contraddizioni e non erano ancora chiare le conseguenze e i risultati che sarebbero
scaturite da tali tendenze.
3
PAOLO VI, Ecclesiam Suam, Enciclica del 6 agosto 1964.
5
In quegli anni oltre alle istituzioni politico-sociali, stava subendo profonde metamorfosi anche
un’altra istituzione dalle radici millenarie: il Vaticano. Sotto la guida del predecessore di Paolo VI,
la Chiesa cattolica aveva cominciato un cammino tortuoso e pieno di ostacoli, ma necessario per
rimanere al passo coi tempi. L’intera struttura del cattolicesimo era attraversata da grandi
trasformazioni e questo percorso aveva preso il suo avvio qualche mese prima con l’apertura del
Concilio Vaticano II. Negli anni ‘60 nessuna capitale del mondo, civile o religiosa, era come il
Vaticano sotto il riflettore, perché nessuna capitale viveva anni di così grande trapasso.
Uomo mite e riservato, dotato di una vasta erudizione e, allo stesso tempo, profondamente legato
ad un’intensa vita spirituale, Paolo VI si trovò a dover prendere in mano le fila del discorso
interrotto dalla scomparsa di Giovanni XXIII e seppe portare a buon fine il percorso innovativo che
era l’obiettivo dei lavori del Concilio Vaticano II. Il nuovo pontefice si rese conto delle
responsabilità che la storia gli poneva dinanzi e cercò di affrontarle nel modo migliore possibile.
Un’immagine molto dettagliata di Paolo VI ci può essere fornita dalla lettura dell’intervista
fattagli dall’inviato del Corriere della Sera Alberto Cavallari, proprio alla vigilia della partenza per
gli Stati Uniti, il 3 ottobre 1965. Il giornalista lo descrive come «un uomo del nostro tempo, che non
intende eludere nulla, deciso ad una sincerità che rifiuta i rapporti facili, la simbolica simpatia o la
simbolica solennità. Un uomo non desideroso del gesto facile, ma del discorso privo di effetti,
cosciente che il suo tempo comporta solitudine, dubbio, contraddizione; e il coraggio impopolare di
esprimerli; un Papa, insomma, che conosce la situazione storica in cui si muove e la vive con
un’emozione segreta»
4
. Paolo VI appare come il contrario di un pontefice tecnocrate, indeciso,
amletico e limitato ai simboli.
Proprio durante questa intervista il Papa parla esplicitamente delle difficoltà e della complessità
del mondo di quegli anni e del ruolo della Chiesa in quei processi, rendendosi conto e confidando
con grande umiltà le responsabilità che gravavano sul suo ministero di capo della Chiesa cattolica:
«Bisogna essere semplici e avveduti nel cogliere il senso degli anni che stiamo vivendo. La Chiesa
vuole diventare poliedrica per riflettere meglio il mondo contemporaneo. Per diventarlo ha deciso di
affondare l’aratro nei terreni inerti, anche nei più duri, per smuovere, vivificare, portare alla luce ciò
che restava sepolto. Questa aratura provoca scosse, sforzi, problemi. Al nostro predecessore toccò il
compito di affondare l’aratro. Ora il compito di condurlo avanti è caduto nelle nostre mani»
5
. E
ancora: «Molti si chiedono perché la Chiesa compie queste fatiche, molti si chiedono il perché del
dialogo. Ma se lo chiedono perché non hanno coscienza del vero problema. Il problema vero è che
la Chiesa si apre al mondo e trova un mondo che in gran parte non crede. Dobbiamo affrontare chi
4
A. CAVALLARI, Colloquio con Papa Paolo VI, in «Corriere della Sera», 3 ottobre 1965, p. 4.
5
Ibidem.
6
non crede più e chi non crede in noi dicendo: noi siamo fatti così, diteci perché non credete, perché
ci combattete»
6
.
Anche per quanto riguarda i complicati rapporti tra Stato e Chiesa, il Papa si esprime
chiaramente, dimostrando ancora una volta l’intenzione di arrivare ad un compromesso che possa
conciliare le posizioni delle due parti e la volontà di non interferire nelle decisioni di dominio
esclusivo del potere civile: «Noi siamo in una posizione delicata Chiesa-Stato, Stato-Chiesa: ecco
un rapporto reso difficile dal fatto d’essere noi in Italia. Sappiamo che, per questo aspetto,
significhiamo un problema per la vita italiana. Certe volte siamo scomodi anche per coloro che ci
vogliono bene. Ma bisogna trovare una soluzione. Bisogna giungere a un rispetto reciproco.
Ognuno deve stare nel proprio campo. Noi desideriamo che gli italiani facciano la loro esperienza
liberamente. Ma viviamo sullo stesso suolo e l’intrecciarsi della vita quotidiana spesso contraddice
le nostre linee generali. Spesso per la Chiesa è scomodo avere i piedi sulla terra»
7
.
Dalle parole del pontefice risulta evidente come la Chiesa di quel momento aveva accolto il
“pluralismo dei problemi” del mondo moderno, ma ora era arrivato il momento di interpretare
questo pluralismo e scegliere un “pluralismo di strumenti”: era proprio questo il destino di Paolo VI
e del Vaticano che stava cambiando.
2. PAOLO VI E L’ONU
Nata alla fine della seconda guerra mondiale sulle macerie della Società delle Nazioni,
l’Organizzazione delle Nazioni Unite costituì un organismo del tutto innovativo e con degli
obiettivi che avrebbero richiesto impegno e sforzo costante da parte di tutti i suoi membri
8
. In quei
vent’anni di attività, l’Onu aveva cercato, tra alti e bassi, di scongiurare i pericoli maggiori che il
corso degli eventi avevano prospettato, sebbene non si fosse dimostrata il riparo infallibile della
pace nel mondo. Ciò nonostante, le Nazioni Unite avevano raggiunto parecchi successi e col passare
6
Ibidem.
7
Ibidem.
8
Cfr. Articolo 1 dello Statuto delle Nazioni Unite: «I fini delle Nazioni Unite sono: 1)mantenere la pace e la
sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le
minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con
mezzi pacifici, ed in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la
soluzione delle controversie o della situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della
pace; 2) sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei
diritti e dell’auto-decisione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale; 3)
conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico,
socio culturale o umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali per tutti senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione; 4) costituire un centro per
il coordinamento dell’attività delle nazioni volta al conseguimento di questi fini comuni».
7
del tempo avevano acquisito agli occhi dell’opinione pubblica mondiale sempre più prestigio e
considerazione, guadagnandosi la fiducia e la speranza della maggior parte dei popoli, che
vedevano in questo organismo un difensore dei diritti inalienabili degli uomini.
Queste aspettative e questa stima era stata dimostrata più volte anche dalla Santa Sede che non
aveva un seggio nell’Assemblea Generale, ma dal 1964 aveva ottenuto lo status di osservatore
permanente nella persona di monsignor Giovannetti. Lo stesso Paolo VI aveva più volte espresso
l’ammirazione nei confronti dell’Onu e il sostegno spirituale e morale che gli avrebbe sempre
portato. A tal proposito sono significative le espressioni che il Papa utilizzò durante l’udienza
dell’11 luglio 1963, rivolgendosi al Segretario generale dell’Onu, il birmano Maha Thray Sithu U
Thant: «L’Onu è una realtà storica di troppo grande importanza per lasciarci indifferenti. La Santa
Sede ha un altissimo concetto di codesto organismo internazionale per un duplice motivo: primo,
perché lo considera strumento di fratellanza tra le nazioni, secondo perché ravvisa in esso la forma
in via di sviluppo e di perfezionamento, della vita equilibrata e unitaria di tutta l’umanità nel suo
ordine storico e terreno, lo considera frutto di una civiltà a cui la religione cattolica che ha nella
Santa Sede il suo centro propulsore, ha dato i suoi principi vitali»
9
. Il pontefice intravedeva inoltre
un parallelismo tra la missione della Santa Sede e gli scopi connaturati alle Nazioni Unite:
«L’universalità propria della Chiesa cattolica, che qua a Roma ha il suo cuore pulsante, sembra in
qualche modo riflettersi dalla sfera spirituale a quella temporale dell’Onu. Le ideologie di coloro
che appartengono alle Nazioni Unite sono certamente molteplici e diverse e la Chiesa cattolica
guarda ad esse con la dovuta attenzione; ma la convergenza di tanti popoli, di tante razze, di tanti
Stati in un’unica organizzazione, destinata a scongiurare i mali della guerra e a promuovere i beni
della pace, è un fatto che la Santa Sede rileva come rispondente alla sua concezione dell’umanità e
rientrante nell’ambito della sua missione spirituale nel mondo»
10
.
Ancora una volta, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa, Paolo VI ribadì la sua fede
nell’azione pacificatrice ed elevatrice dell’Onu, nel messaggio che per quell’occasione inviò al
Segretario generale. Rivolgendosi «a tutte le autorità che hanno responsabilità della terra», il
pontefice rinnovò loro «il pressante appello» perché «facciano tutto quanto è loro possibile nella
verità, nella giustizia, nella libertà e in fraterno amore»
11
.
Nel dicembre 1964, Paolo VI si recò in India e da Bombay lanciò al mondo un appello che egli
stesso definì “un grido angosciato”. Era la richiesta alle nazioni di rinunciare alla corsa agli
9
[Articolo non firmato] La pace invocata, in «L’Osservatore Romano», 3 ottobre 1965, p. 5.
10
Ibidem.
11
Ibidem.
8
armamenti e di destinare il denaro così risparmiato ad un grande fondo mondiale per aiutare le
popolazioni povere e sottosviluppate. Il testo dell’appello di Bombay fu inviato dal Papa al
Segretario generale delle Nazioni Unite, il quale rispose dicendo di esserne rimasto “profondamente
commosso” e rivolse al pontefice un invito ufficiale perché intervenisse dinanzi all’Assemblea
generale dell’Onu che, per l’occasione, sarebbe stata riunita in seduta speciale. Paolo VI accolse la
proposta e cominciarono così i preparativi per quel viaggio oltreoceano. La notizia fece presto il
giro del mondo e venne ben accolta dalla quasi totalità dell’opinione pubblica di ogni paese, che
riponeva speranza e fiducia in quella visita storica, ma che vedeva anche una dimensione inedita nei
difficili rapporti tra il potere spirituale rappresentato dal pontefice e il potere temporale e civile che
si rifletteva nei rappresentati delle nazioni all’Assemblea generale dell’Onu. A tal proposito si può
riportare in modo esemplificante le considerazioni dell’Osservatore romano riguardo a quella visita
senza precedenti: «Il Papa si reca all’Onu per testimoniare la missione conciliatrice, pacificatrice e
positiva della Chiesa sul piano temporale, in vista di una realtà storica non scevra di minacce, anche
se feconda di fermenti nuovi, nella quale si giocano i due estremi del progresso o della distruzione
totale. La visita all’Assemblea generale esprime anche una realtà nuova nei rapporti tra la Chiesa e i
poteri politici del nostro tempo: vale a dire la nuova e più giusta coscienza che si è formata nel
mondo sulla validità, l’importanza e l’utilità dell’insegnamento della Chiesa ai fini del progresso
umano, insegnamento disinteressato e obiettivo»
12
.
Da parte sua Paolo VI, dopo aver accettato l’invito, ribadisce l’importanza del suo viaggio negli
Stati Uniti, utilizzando un’ironia molto sottile: «Già, già, ora faremo anche questo viaggio. Ci hanno
chiesto di andare per celebrare il 20° anno dell’Onu e noi abbiamo risposto di sì. Il Papa non può
mica rispondere: “Grazie tante non ho tempo. Fosse per noi, si potrebbe anche risparmiare fatica e
quattrini. Ma per la prima volta i capi di tutto il mondo riuniti vogliono ascoltare la parola del
rappresentante di Cristo e noi non possiamo non fare questo viaggio. Dovremo fare come dice il
Salmo: parlerai davanti ai re e non ti confonderai. Ma chissà se anche noi riusciremo a cavarcela
bene o male davanti a tanta gente importante»
13
.
3. IL DISCORSO DI PAOLO VI ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE
Il 4 ottobre 1965, Paolo VI entrò nel Palazzo di vetro a New York, sede delle Nazioni Unite, un
luogo che, quasi come un microcosmo simbolico, forniva la visione del mondo di quel tempo: un
mondo in cui i continenti emergevano sulla scena internazionale, in cui si moltiplicavano a ritmo
veloce nazioni nuove, in cui si agitavano in modo spesso disordinato e confuso, forze multiformi ed
12
Ibidem.
13
A. CAVALLARI, Colloquio con Papa Paolo VI, cit.