ii
Da esperimenti di cattura-marcatura-ricattura, precedentemente svolti da studiosi locali, è stato
possibile stabilire che i siti di foraggiamento delle tartarughe sudafricane si trovano più a nord
rispetto a quelli di nidificazione, in aree costiere, presumibilmente circoscritte, soprattutto sulla
costa orientale del continente africano. Se gli esemplari saggiati avessero saputo compensare il
dislocamento, sarebbero riusciti a tornare alle loro aree residenziali.
Nel primo esperimento, una tartaruga è stata rilasciata a sud del Madagascar, l’altra a est di
tale isola. La prima è riuscita a ritrovare il suo feeding ground sulle coste africane, mentre la
seconda ha compiuto movimenti di natura esplorativa a lunga distanza ed è stata
presumibilmente pescata prima di ritrovare la sua area di foraggiamento. In ogni caso, nessuna
delle due tartarughe ha mostrato un comportamento tale da far presupporre il possesso di una
‘mappa’, quindi di un sistema di vera navigazione.
Nel secondo esperimento, tre tartarughe sono state rilasciate in un punto situato più a nord
rispetto alla fascia in cui presumibilmente si trovano i loro siti di foraggiamento, in modo da
valutare se possedessero almeno un sistema di valutazione della latitudine geografica o
magnetica. Una delle tre femmine dislocate aveva feeding ground ancora più a nord del luogo
di rilascio e vi si è diretta semplicemente nuotando verso nord. Le altre due invece non hanno
trovato la loro area residenziale dirigendosi verso nord, ed hanno allora mostrato movimenti
erratici in alto mare che le hanno portate ad attraversare praticamente l’intero Oceano Indiano
da ovest ad est. In una successiva fase, hanno mostrato un cambiamento di comportamento
che le ha portate a dirigersi, a pochi giorni di distanza l’una dall’altra, decisamente verso
l’arcipelago delle Maldive, da cui poi, però, si sono allontanate in direzione est.
I dati inviati dai trasmettitori sul comportamento di immersione delle tartarughe durante i loro
spostamenti hanno inoltre mostrato significativi cambiamenti di tale comportamento nei vari
tratti dei viaggi ricostruiti, consentendo di identificare i momenti in cui gli animali hanno avuto
fasi esplorative, di alimentazione o di altro tipo. Inoltre, in alcune tartarughe è stato rilevato un
comportamento di basking in alto mare, mai descritto in precedenza.
Questi risultati mostrano quindi che le tartarughe comuni non riescono, in genere, a
compensare gli spostamenti passivi subiti, e non sono perciò capaci di ritornare alle zone
costiere da cui abitualmente transitano durante la migrazione, evidenziando piuttosto un
comportamento di ricerca a lungo raggio che le porta, inaspettatamente per questa specie, ad
assumere abitudini pelagiche. Esse non sembrano quindi essere dotate di un sistema di vera
navigazione, che consenta loro di compensare il dislocamento e di stabilire la rotta verso casa,
iii
dopo aver determinato la propria posizione rispetto all’obiettivo e la direzione da tenere per
raggiungerlo. Le tartarughe comuni sudafricane compiono i loro spostamenti migratori a lunga
distanza avvalendosi di una semplice strategia, consistente nel muoversi lungo costa tenendo
sempre la terraferma verso ovest e orientandosi verso ovest nel caso dovessero trovarsi
inavvertitamente in alto mare, fino a ritrovare la costa africana.
Il mio ruolo negli esperimenti è inizialmente consistito nell’accedere alle informazioni trasmesse
giornalmente dai satelliti. I dati fornivano le localizzazioni degli animali (latitudine, longitudine,
data e ora) e informazioni sul loro comportamento di immersione. Tali dati venivano filtrati in
base a criteri decisi a priori, in modo da eliminare quelli erronei derivanti da imperfezioni nel
sistema di localizzazione Argos. Con i dati filtrati sono state poi effettuate elaborazioni
statistiche e sono state prodotte cartine geografiche con le rotte ricostruite, sia usando carte
nautiche dell’area che in formato elettronico, anche tramite appositi programmi di gestione di
dati geografici.
Oltre ad aver svolto per più di un anno lavoro di gestione ed elaborazione dei dati forniti dal
satellite e di analisi delle rotte delle tartarughe, nel 1999 ho preso parte ad una campagna di
ricerca in Sud Africa in cui sono stati svolti altri esperimenti di telemetria satellitare sulle
migrazioni delle tartarughe marine. Non mi è stato possibile, sia per motivi temporali che
tecnici, riportare nella mia tesi anche questo esperimento. In ogni caso, questa occasione mi ha
permesso di maturare sul campo un’esperienza diretta dei metodi utilizzati in questi esperimenti
(messa a punto del trasmettitore, sua applicazione sull’animale, controllo del suo
funzionamento), e di partecipare in prima persona alle attività connesse al normale lavoro di
gestione di una popolazione nidificante di tartarughe marine (rilevazione delle nidificazione,
marcatura e misurazione delle femmine).
1
Capitolo 1
Introduzione
Le migrazioni degli animali e i sistemi di orientamento usati
La migrazione è un fenomeno ampiamente diffuso che interessa animali di differenti gruppi, sia
terrestri che acquatici. Non è facile trovare una definizione univoca di migrazione nella
letteratura scientifica, poiché può manifestarsi con periodicità stagionale o giornaliera,
interessare tutti gli individui di una specie o solo alcune popolazioni. E’ una strategia che
l’individuo ha dovuto mettere in atto per sopravvivere e riprodursi, sfruttando in modo ottimale
ogni risorsa che l’ambiente rendeva disponibile. In senso puramente evolutivo la migrazione può
essere descritta come la strategia adattativa che consente all’animale di mantenersi in un
ambiente ottimale (Pardi, 1973; Baldaccini, 1992). Come evento direzionale, la migrazione è
guidata da diversi sistemi di orientamento, più o meno complessi e spesso opportunamente
integrati (Papi, 1999).
Tra gli animali è molto comune un meccanismo di orientamento con il Sole che prende il nome
di bussola solare (Pardi, 1979; Papi, 1992). Il Sole può essere usato per riconoscere, assumere
e conservare una direzione geografica ben determinata. Ovviamente l’animale deve sapere in
che posizione si trova il Sole nelle diverse ore del giorno, informazione fornita da un ritmo
endogeno circadiano, detto anche orologio biologico. La regolazione dell’angolo d’orientamento
che l’animale tiene rispetto al Sole avviene appunto in base a tale orologio biologico interno,
che informa l’animale sull’orario soggettivo del giorno e quindi sull’angolo da tenere. Tale
rapporto è facilmente dimostrabile tramite esperimenti di sfasamento del ritmo endogeno
giornaliero. L’angolo di orientamento, non è assunto in base alla posizione del Sole nel cielo, ma
rispetto al suo azimut, cioè rispetto alla sua proiezione sul piano orizzontale. Il fenomeno può
essere dimostrato mostrando agli animali, per mezzo di uno specchio, il sole ad una altezza
diversa da quella reale: l’orientamento rimane invariato se l’azimut del sole riflesso non è
cambiato (Pardi, 1979).
2
Molti uccelli che migrano di notte, basano il loro orientamento sulle stelle (Sauer, 1957; Papi,
1992). La bussola stellare è basata sul riconoscimento delle costellazioni, soprattutto quelle
circumpolari. E’ possibile dimostrare l’orientamento stellare ponendo gli uccelli in un planetario
in cui gli astri siano disposti in modo diverso; essi tenderanno a muoversi seguendo sempre le
stesse stelle anche se in posizione differente (Emlen, 1975).
E’ stato dimostrato che esiste anche una bussola lunare, ma che non sembra venga usata per
l’orientamento verso obiettivi determinati. Appartiene ad alcuni crostacei che vivono su litorali
sabbiosi e che compiono migrazioni perpendicolari alla riva (Papi e Pardi, 1953)
Il campo magnetico terrestre è una sorgente di informazione direzionale che molti animali
usano per orientarsi (Wiltschko e Wiltschko, 1995). Quando in laboratorio la manipolazione
sperimentale del campo magnetico induce variazioni prevedibili dell’orientamento di un animale,
se ne deduce che l’animale in esame è in grado di stabilire l’orientamento del campo magnetico,
ed è lecito affermare che possiede un equivalente biologico della bussola magnetica. In molti
casi la capacità di orientamento magnetico è solamente sospettata per il fatto che gli animali
possono mantenere una rotta costante, anche in apparente assenza di altri fattori orientanti
(Luschi et al., 1996; Papi e Luschi, 1996).
Un semplice sistema di orientamento con una o più bussole, non è però sufficiente per spiegare
le prestazioni note di orientamento e navigazione di alcuni animali. E’ necessario, infatti,
postulare l’esistenza di sistemi di navigazione più complessi.
Esistono diversi meccanismi di ricerca di un obiettivo determinato (Baker, 1984; Wallraff, 1991;
Papi, 1992):
Ricerca casuale o sistematica (Random or systematic search). Sono metodi con cui l’animale
tenta di raggiungere la sua meta in assenza di informazioni specifiche.
Orientamento su base genetica (Genetically based orientation). Fenomeni basati su
informazioni genetiche.
Orientamento su orme precedenti (Trail-following). Si manifesta quando l’animale segue una
traccia lasciata lungo un cammino già percorso, di solito quello di andata; che non implica,
però, fenomeni di memoria.
Orientamento basato sul viaggio d’andata (Route-based orientation). Gli animali si servono
di informazioni assunte e memorizzate durante il percorso di andata per ritrovare il luogo di
partenza. Il caso più semplice è quello dell’inversione di percorso (route reversal), in cui
l’animale ripercorre il tragitto di andata, basandosi su stimoli e punti di riferimento di cui
conserva memoria. Il ritorno effettuato con inversione di rotta (course reversal) implica che
3
l’animale abbia registrato la direzione bussolare del viaggio d’andata. Comunque, il meccanismo
più complesso di un orientamento di questo tipo, è sicuramente quello detto di integrazione del
percorso (path integration), in cui l’animale, tenendo conto della direzione e della lunghezza di
ogni tratto del percorso di andata, è in grado di aggiornare continuamente la propria posizione
rispetto al punto di partenza e di raggiungerlo seguendo un percorso diretto (Wehner, 1992).
Pilotaggio (Pilotage). Un animale in un territorio da lui abitualmente frequentato, si muove con
sicurezza da un punto all’altro conoscendo la posizione reciproca di una serie di punti di
riferimento. Essi finiscono per essere incorporati in una sorta di ‘mappa’ topografica mentale,
che oggi è spesso indicata con il termine di ‘mappa cognitiva’.
Navigazione vera (True navigation). E’ il meccanismo di guida spaziale che presuppone sia la
capacità di determinare su riferimenti esterni la propria posizione rispetto all’obiettivo e la
direzione da tenere per raggiungerlo, sia di assumere la direzione calcolata con uno dei
meccanismi di orientamento astronomico o magnetico sopra ricordati. L’intero meccanismo va,
allora, sotto il nome di mappa e bussola; con questa definizione si intende che l’animale può
procedere come una persona che, per dirigersi verso la sua meta, stabilisce prima la propria
posizione su una carta topografica, deduce da questa la direzione del suo obiettivo e vi si dirige
poi con l’aiuto di una bussola. Il caso più semplice è quello che la mappa sia di tipo topografico
e acquisita con la frequentazione dei luoghi. Essa ha allora l’estensione dei luoghi noti e
l’animale, trasportato e rilasciato più lontano, è incapace di orientarsi. In altri casi il meccanismo
di mappa e bussola è operante anche al di fuori dell’ambito visitato, per un processo di
acquisizione di informazioni a distanza. Si può per esempio immaginare che la memoria di punti
di riferimento visibili da lontano e mai visitati possa servire ad orientarsi quando ci si trova
vicino ad essi (Baker, 1984). Tuttavia, l’unico caso ben conosciuto di mappa estesa al di là della
zona familiare è quello del colombo viaggiatore, che, oltre alla mappa dei luoghi familiari,
possiede una mappa olfattiva molto più ampia, che egli acquisisce in base agli odori portati dai
venti (Papi, 1991; Papi e Wallraff , 1992).
Nella grande maggioranza dei casi i meccanismi di navigazione sono usati per raggiungere un
luogo già noto all’animale: si parla allora di homing o ‘ritorno a casa’ (Papi, 1992). L’homing può
essere interno quando si svolge verso aree ristrette note all’animale (territorio, home range),
oppure esterno quando avviene da zone lontane, spesso completamente sconosciute
all’individuo, o comunque in un ambiente uniforme nel quale non è possibile l’uso di punti di
riferimento. Fenomeni di homing compaiono nel regno animale quando l’organizzazione nervosa
ha raggiunto il livello di complicazione necessario per riconoscere e ritrovare un luogo
circoscritto e determinato, che l’animale distingue da altri luoghi con caratteristiche ecologiche
simili. Nei rettili l’homing può riguardare il ritorno sia all’area nativa per fini riproduttivi, sia al
proprio rifugio.
4
Volendo indagare i meccanismi della navigazione in una determinata specie animale, è
necessario conoscere almeno il decorso spazio-temporale dei movimenti compiuti da una serie
di soggetti campione disponibili per la ricerca. I metodi di studio di questi fenomeni, che
interessano una grande parte del mondo animale, vanno di pari passo con lo sviluppo della
tecnologia. All’inizio di queste ricerche, e in parte ancora oggi, veniva utilizzato il sistema di
cattura-marcatura-ricattura basato sull’applicazione agli individui di contrassegni come
targhette, anelli, tatuaggi e sul ritrovamento successivo degli animali che li portavano (Papi,
1992). E’ un metodo però poco efficiente perché la percentuale di esemplari risegnalati è
generalmente molto bassa. Inoltre i dati che si ottengono riguardano l’ubicazione della località
di partenza e di arrivo, il tempo massimo impiegato, talvolta i tempi di sosta, ma rimangono
sconosciute altre notizie sulle rotte seguite e sui tempi impiegati.
Più recentemente si è fatto ricorso alla telemetria per ottenere dati più continui e precisi, anche
se ancora parziali. Si possono allora utilizzare rilevamenti radar sugli uccelli in migrazione
(Priede, 1992) o radiotrasmittenti applicate agli animali da rilevare con appositi ricevitori e
antenne (radiotracking); si è diffuso ultimamente il metodo di applicare agli animali apparecchi
registratori (data logger) che immettono in memorie elettroniche i dati relativi alla direzione e
alla velocità di moto e, talora parametri fisici ambientali (temperatura, pressione, luminosità) e
fisiologici (attività, frequenza cardiaca, temperatura corporea) che possono anche permettere la
ricostruzione del percorso tenuto (Benvenuti et al., 1998; Bonadonna et al., 2000). Se poi
all’apparecchio fosse collegato un sistema di posizionamento su scala globale (GPS, Global
Position System), potrebbero essere registrate, a brevi intervalli di tempo, anche la latitudine, la
longitudine e l’altitudine a cui si trova l’animale. Il metodo presuppone però il recupero delle
memorie (quest’ultimo esperimento non è ancora effettuato).
In molti casi la ricostruzione dei percorsi è possibile solo ricorrendo alla telemetria satellitare
(French, 1994). Appositi satelliti in orbita polare a bassa quota possono ricevere le emissioni di
radiotrasmittenti di piccola potenza, 1W o anche meno, applicate agli animali, calcolarne la
posizione geografica in base all’effetto Doppler e trasmettere a terra i dati relativi. Negli
organismi acquatici la trasmissione avviene solo se l’animale affiora, mentre in immersione
l’apparecchio rimane silente per risparmiare l’energia delle batterie. Purtroppo anche in questa
tecnica si riscontrano numerosi inconvenienti, tra cui discontinuità nelle localizzazioni e
imprecisione di dati forniti.