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INTRODUZIONE
Il Futurismo, fondato da Filippo Tommaso Marinetti nel 1909, è stato il primo
significativo movimento d’avanguardia sorto in Italia. I principali centri di
diffusione della neonata dottrina artistica sono stati inizialmente Milano e Roma,
città legate all’esperienza di artisti di spicco come Umberto Boccioni, Giacomo
Balla ed Enrico Prampolini. Tuttavia, soprattutto a partire dalla seconda metà
degli anni Dieci, con l’avvento di quello che oggi viene unanimemente definito
Secondo Futurismo, il movimento ha iniziato ad espandersi nella provincia
trovando adesioni anche in molti centri minori. Si sono delineate così tante
nuove realtà geografico-culturali che hanno contribuito ad arricchire il variegato
universo futurista. Il proposito di questa tesi è proprio quello di focalizzare
l’attenzione su una di queste realtà locali: il lavoro, articolato in quattro capitoli,
si pone infatti come obiettivo un’indagine volta a ricostruire le esperienze
futuriste vissute nelle città di Parma e Piacenza tra gli anni Dieci e gli anni Venti
del Novecento.
Nel primo capitolo si fornisce una contestualizzazione storica e artistica del
fenomeno e, attingendo quasi esclusivamente dai testi dei manifesti futuristi, si
tenta di sintetizzare i punti teorici fondamentali del movimento marinettiano,
ricostruendone al contempo le fasi salienti.
Il secondo capitolo è dedicato alle vicende di Parma nei primi anni Dieci: si
è provveduto pertanto ad inquadrare l’attività del primo gruppo futurista
cittadino, capitanato da Riccardo Talamazzi, e a delineare i momenti piø
significativi della cosiddetta “rivoluzione futurista di Parma”, scoppiata in
occasione della prima serata organizzata in città con la presenza di Marinetti. In
seguito si è approfondita la figura del poeta ed agitatore Renzo Provinciali,
principale elemento di raccordo tra i vertici del movimento ed il gruppo locale e
personaggio chiave dell’anarco-futurismo italiano.
Introduzione
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La ricostruzione della fredda accoglienza ricevuta dal Futurismo a Piacenza
è alla base del terzo capitolo, che si apre con l’analisi della posizione
tradizionalista del pittore e critico d’arte Francesco Ghittoni, in polemica con la
nuova generazione di artisti ed estimatori delle novità portate dall’avanguardia.
Piø avanti si approfondiscono le presenze futuriste in città nel biennio 1919-20,
concentrate nell’Esposizione Nazionale Futurista tenuta nel ridotto del Teatro
Municipale e in una conferenza di Marinetti a Palazzo Farnese nel 1920.
L’attenzione converge quindi sull’esperienza de «Il Falco», prima rivista
piacentina d’avanguardia, e sulla figura di Giuseppe Steiner, ufficiale mutilato,
intimo amico di Marinetti, nonchØ poeta ed artista parolibero.
Il quarto capitolo infine è rivolto a definire l’attività avanguardistica di
Giuseppe Steiner, Piero Illari ed Osvaldo Bot, le tre personalità principali del
Futurismo tra Parma e Piacenza, artisti che hanno trovano un campo d’indagine
comune nell’elaborazione delle sintesi grafiche di stati d’animo, originali esempi
di quella fusione di poesia, grafica e pittura perseguita dal movimento, che nelle
due città emiliane ha avuto risultati particolarmente interessanti.
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CAPITOLO PRIMO
INQUADRAMENTO STORICO-ARTISTICO
DEL MOVIMENTO FUTURISTA
I primi anni del Novecento sono stati caratterizzati, in campo artistico e
tecnologico, da un graduale distacco dal passato e da un rapido progresso. Il XX
secolo si è aperto con alcune delle piø grandi invenzioni della storia
dell’umanità: la luce elettrica, l’automobile e l’aeroplano, in particolare, hanno
completamente rivoluzionato la vita dell’uomo. Le poetiche decadentiste
avevano già avvertito la crisi del secolo romantico di fronte ad un mondo sempre
piø movimentato, ma chi se ne rese conto, con lucida coscienza e programmatica
provocazione, fu Filippo Tommaso Marinetti, fondatore, teorico ed animatore del
Futurismo, il primo movimento d’avanguardia nato in Italia. Se, infatti, correnti
come il Simbolismo e il Crepuscolarismo appaiono oggi come i primi timidi
tentativi di dare una risposta nuova alla tradizione, ripensando la funzione del
poeta e del fare poesia, il Futurismo invece fu un vero e proprio movimento
d'avanguardia organizzato e programmatico, animato da un gruppo fondato
sull’affinità elettiva dei suoi adepti e caratterizzato da un’ideologia globale che
abbracciava tutti i settori dell’esperienza artistica. Fu soprattutto il primo
movimento destinato a rompere l’isolamento provinciale della nostra cultura e a
riaprire un dialogo tra l’Italia e l’Europa.
Il proposito principale del Futurismo fu quello di combattere con furia
iconoclasta tutto ciò che era ascrivibile al passato e alla tradizione, esaltando allo
stesso tempo una nuova forma d’arte che fosse specchio della modernità e del
progresso che la società stava vivendo e che coinvolgesse la totalità degli aspetti
della cultura: dalla letteratura, alla pittura, alla musica, al teatro. Elemento
Capitolo primo – Inquadramento storico-artistico del movimento futurista
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peculiare, nonchØ prima geniale trovata di Marinetti, fu l’arte di far manifesti,
ovvero la capacità di teorizzare la cultura a venire attraverso la continua stesura
di manifesti in cui, in un intreccio di teoria e poesia, si esprimevano programmi e
proposte che partivano da premesse ideologiche votate ad un cambiamento
radicale della sensibilità e dunque ad una rivoluzione del linguaggio e dello stile
tradizionali.
Il Manifesto del Futurismo, primo proclama ufficiale del movimento,
pubblicato in francese sul giornale parigino «Le Figaro» il 20 febbraio 1909,
conteneva già i punti programmatici essenziali della nuova poetica futurista,
annunciati da Marinetti col suo caratteristico tono irruente, provocatorio e a tratti
visionario. Per celebrare la figura dell’uomo nuovo che, libero dagli orpelli
decadentisti, vuole chiudere con il passato, egli trasfigurò l’episodio di un suo
incidente automobilistico: a bordo della sua macchina da corsa era stato
ostacolato da due ciclisti e, sbandando, era finito in un fossato. Nel manifesto
l’automobile diviene simbolo della benefica irrazionalità che spinge il futurista a
gettarsi fuori strada piuttosto che perseguire la via del razionale rappresentata dai
due ciclisti. Marinetti esce dal «materno fossato» come da un bagno purificatore
grazie ad un atto temerario che lo ha reso un homo novus. Il testo era un inno alla
vitalità aggressiva; celebrava l’amore del pericolo, l’energia atletica e meccanica,
il coraggio, l’audacia e la ribellione, sintetizzando il tutto nelle immagini del
salto mortale, dello schiaffo, del pugno. Punto fondamentale di questo primo
manifesto era l’esaltazione della velocità rappresentata dall’automobile da corsa
e, dunque, la celebrazione della scattante bellezza del mezzo meccanico, simbolo
del progresso, in contrapposizione ai canoni del classicismo tradizionale: «un
automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è piø bello della Vittoria
di Samotracia». Elementi irrinunciabili della nuova corrente erano inoltre la
glorificazione della guerra «sola igiene del mondo» e la necessità di distruggere
musei, biblioteche e accademie d’ogni specie al fine di togliere di mezzo una
cultura morta che si reggeva sul passatismo e liberare l’Italia «dalla sua fetida
cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquarii».
Capitolo primo – Inquadramento storico-artistico del movimento futurista
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Alla passione per la macchina e il progresso faceva da contrappunto il
fastidio per il mondo organico e naturale, palesato nel secondo manifesto scritto
da Marinetti nell’aprile del 1909: Tuons le clair de lune!, poi tradotto in
Uccidiamo il chiaro di luna. Con perfetto spirito antiromantico in questo testo si
lodavano le «lune elettriche» dei lampioni e dei fanali delle automobili, ben piø
importanti per i futuristi del soffuso chiarore della luce lunare, dando luogo così
ad una vera e propria dichiarazione di guerra a tutti i sentimentalismi che per
anni avevano ammorbato la letteratura e l’arte.
Figlio dell’età delle macchine e immune da ogni memoria storica, il capo
del Futurismo lanciò il suo appello «a tutti gli uomini vivi della terra»,
rivendicando al contempo il diritto alla “follia” ed il valore della condizione
infantile intesa come stato di gioia e di libertà in grado di riesumare la verginità
originaria dell’immaginazione, elementi, questi, ripresi dalla cultura decadentista
e simbolista alla luce della quale si era formato durante i suoi studi condotti tra
Francia e Italia alla fine del XIX secolo.
Nei primi anni del Novecento Marinetti aveva già raggiunto la notorietà
pubblicando su riviste milanesi e parigine poesie di stampo simbolista e liberty in
lingua francese, che avevano suscitato l’attenzione di poeti come Catulle Mendès
e Gustave Kahn, uno dei primi proclamatori del verso libero. Nel 1905 aveva
fondato la rivista milanese «Poesia» che, prima di divenire organo ufficiale del
Futurismo, aveva ospitato principalmente autori simbolisti: non stupisce dunque
che ancora nel 1909 si appoggiasse a stilemi simbolisti, evidenti nella prosa
poetica dei primi manifesti, ricchi di metafore, allegorie e immagini che evocano
il piacere della sensazione. Emblematica di questa fase è la collaborazione con
Gian Pietro Lucini, poeta alfiere del simbolismo nostrano intento a svecchiare la
cultura letteraria italiana. Per lui l’atto di ribellione contro il principio d’autorità
era rappresentato dall’utilizzo del verso libero desunto dalla tradizione francese
di fine Ottocento, che diveniva così il mezzo piø consono per trasferire in poesia
la realtà del mondo moderno. Marinetti sostenne in un primo momento questa
tesi dando vita con Lucini all’inchiesta sul verso libero lanciata da «Poesia» nel
Capitolo primo – Inquadramento storico-artistico del movimento futurista
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1905: fu proprio attorno a questa discussione che si creò un primo nucleo di
letterati, tra cui Paolo Buzzi, Corrado Govoni e Aldo Palazzeschi, che in seguito
aderirono al Futurismo contribuendo a farlo decollare. Le intenzioni di Marinetti
si fecero però ben presto piø radicali e per tagliare i ponti con la tradizione
dovette necessariamente indirizzare i suoi strali contro quelle poetiche che aveva
contribuito a diffondere. Mentre Lucini auspicava l’avvento di un simbolismo
nazionale, i futuristi già si prodigavano per gettare le basi della prima
avanguardia letteraria europea, che si potè dire compiuta con la teorizzazione
delle parole in libertà formulata nel Manifesto tecnico della letteratura futurista
datato 11 maggio 1912, in cui si cantava la fine di qualsiasi verso, anche di
quello libero, e la distruzione della sintassi tradizionale.
L’avversione nei confronti del passato non poteva permettere a Marinetti di
indugiare nell’ambito del verso libero e per proporre un movimento artistico che
fosse davvero capace di riportare l’Italia al passo delle altre nazioni serviva un
atto di ribellione totale ai canoni imposti dalla cultura accademica: è in
quest’ottica che si pone l’appello alla distruzione dei musei e delle biblioteche.
Non si può certo pensare che egli auspicasse davvero tutto ciò, è evidente che si
trattava di affermazioni paradossali e simboliche: il passato andava relegato al
suo posto e la nuova arte doveva essere espressione di una poetica originale che
fosse al passo coi tempi, dinamica come la società che doveva rappresentare.
Nacque così una nuova estetica della vita moderna che mirava ad abbracciare
tutti i campi artistici e soprattutto aveva l’ambizione di divenire un punto di
riferimento nel dibattito artistico europeo. Scegliere «Le Figaro» come testata da
cui lanciare il movimento si rivelò in questo senso un’azzeccata manovra
strategica, che permise al testo ideologico e poetico di essere rapidamente ed
efficacemente divulgato, destando scalpore e suscitando dibattiti anche al di fuori
dei confini nazionali.
Marinetti intuì che per diffondere il proprio messaggio era necessario creare
un linguaggio adatto alla nuova società di massa, per questo si occupò di generi
snobbati dalla maggior parte degli artisti a lui contemporanei come la pubblicità,
Capitolo primo – Inquadramento storico-artistico del movimento futurista
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la cartellonistica e l’editoria, indispensabili per raggiungere la visibilità mediatica
che si voleva dare al movimento. Strumento di divulgazione del Futurismo
divenne l’utilizzo del volantino, già sfruttato per campagne politiche e pubblicità
industriali, che permetteva una comunicazione immediata e facilmente fruibile.
La diffusione del movimento fu garantita inoltre dalla frequente organizzazione
di “serate futuriste” durante le quali si leggevano manifesti e si presentavano
quadri e poesie di fronte ad un pubblico eterogeneo com’era quello solito
frequentare i teatri del tempo: ai provocatori spettacoli del gruppo partecipavano
indistintamente borghesi ed intellettuali ma anche giovani studenti ed operai, che
spesso si trovavano a prendere le difese di Marinetti e compagni contro i
conservatori. Il filo conduttore delle serate consisteva infatti nell’intrattenere la
platea diffondendo le idee futuriste tramite un continuo ricorso alla provocazione
del pubblico, che a sua volta rispondeva con lanci di ortaggi, concorrendo così a
dar vita ad una battaglia in miniatura in cui lo spettatore era coinvolto in prima
persona: non di rado queste serate venivano interrotte dalle forze dell’ordine, il
cui intervento forniva, nel bene e nel male, pubblicità gratuita al movimento.
Grazie a questo martellante battage propagandistico ben presto si aggiunse al
drappello dei poeti un agguerrito nucleo di pittori che contribuì in maniera
decisiva a dare risonanza internazionale al Futurismo, che usciva così da un
recinto esclusivamente letterario per proporsi come avanguardia totale.
Il gruppo incontrò Marinetti a Milano attorno al gennaio del 1910 per
stendere la bozza del Manifesto dei pittori futuristi, che inizialmente uscì come
volantino a cura di «Poesia» e fu presentato al Politeama Chiarella di Torino l’8
marzo, per poi essere edito dalla Direzione del Movimento Futurista con la data
dell’11 febbraio 1910 e le firme di Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi
Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini. A questo primo manifesto, in cui già si
affermavano il disprezzo per il passato e il desiderio di un’arte nuova che
rispecchiasse il ritmo della progredita società contemporanea, ne seguì l’11 aprile
uno piø specifico, il Manifesto tecnico dei pittori futuristi, in cui furono chiariti i
punti salienti su cui era basata la nuova dottrina artistica. Si proclamava così il
Capitolo primo – Inquadramento storico-artistico del movimento futurista
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distacco dalla convenzionale pittura accademica e l’avvento di una nuova
sensibilità, la «sensazione dinamica» finalizzata a rappresentare l’interazione tra
il soggetto del quadro e lo spazio circostante, la cui concezione tradizionale
veniva frantumata. Ciò che interessava non era piø l’imitazione della natura ma
la resa del dinamismo universale e della realtà intesa come moto costante: «le
cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come
vibrazioni, nello spazio che percorrono. Così un cavallo in corsa non ha quattro
gambe: ne ha venti». In poche parole la volontà era quella di opporre alla pittura
antica, statica e dunque lontana dalla vita reale, una pittura capace di rendere
l’idea del movimento e della velocità e di «porre lo spettatore al centro del
quadro». La «sensazione dinamica», resa attraverso l’uso di colori puri, primari e
secondari, accostati secondo il principio del «complementarismo congenito»,
poggiava dunque sull’utilizzo della tecnica divisionista, imprescindibile per i
futuristi quanto il verso libero nella poesia e la polifonia nella musica.
Per i firmatari del manifesto i primi tempi rappresentarono una fase di
rodaggio e di ricerca durante la quale superare ciascuno le proprie influenze, allo
scopo di creare il nuovo linguaggio pittorico. Nel 1910 infatti il gruppo non
aveva ancora raggiunto i risultati conquistati da altre importanti correnti
pittoriche come l’Espressionismo in Germania o il Cubismo in Francia e operava
ancora sulla scia di influenze simboliste e decadentiste tardoottocentesche:
Boccioni oscillava tra divisionismo ed espressionismo munchiano, Carrà tra
accademismo ottocentesco e nuove ricerche sul colore, Severini era interessato al
postimpressionismo francese, Russolo muoveva dalla pittura simbolista. I primi
risultati di questa fase sperimentale mostrano segni di modernismo
esclusivamente a livello dei contenuti, mentre la forma rimane sostanzialmente
legata ad una tecnica tradizionale: ne sono chiari esempi opere di Umberto
Boccioni come La città sale e Rissa in galleria, dipinti del 1910, ancora
divisionisti, in cui la novità, piø ideologica che stilistica, sta nel fatto che assoluta
protagonista dei quadri diventa la città e con essa la nevrosi della folla in una
grande metropoli contemporanea.
Capitolo primo – Inquadramento storico-artistico del movimento futurista
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Inizialmente ad essere rivoluzionari erano piø i temi rappresentati che non la
resa: I funerali dell’anarchico Galli di Carlo Carrà, dipinto nel 1911, esplicita la
spontanea simpatia con cui il Futurismo, nel suo furore contro la tradizione,
vedeva «il gesto distruttore dei libertari», ossia degli anarchici che incarnavano la
sfida al potere e la sovversione. Marinetti era interessato però da aspetti dinamici
come la pratica del gesto esemplare e della violenza, non certo dalle ragioni
sociali per cui gli anarchici si battevano, non a caso nel manifesto «il gesto
distruttore dei libertari» veniva messo sullo stesso piano del patriottismo e del
militarismo. Si trattava quindi di una simpatia per il coraggio e l'estremismo, non
per l'ideologia classista dell'anarchia: durante la Prima Guerra Mondiale i
futuristi, come interventisti, si trovarono schierati contro gli anarchici, che si
rifiutavano di combattere la guerra dei padroni e di uccidere proletari di altri
paesi.
Un quadro esemplare per comprendere il percorso di ricerca condotto dai
pittori futuristi è Lampada ad arco di Giacomo Balla (fig.1): vistosamente datato
1909, ma quasi certamente ritoccato tra il 1910 e il 1911, questo dipinto
documenta perfettamente il travagliato passaggio dalla fase divisionista e
simbolista al Futurismo. La diffusione della luce sprigionata dalla lampada,
simbolo del progresso della tecnica, provoca l’ironico oscuramento di una falce
di luna, incarnazione delle tanto detestate romanticherie passatiste, richiamando
idealmente i manifesti Uccidiamo il chiaro di luna e Contro Venezia passatista,
in cui Marinetti, in data 27 aprile 1910, sentenziava: «Venga finalmente il regno
della divina Luce Elettrica a liberare Venezia dal suo venale chiaro di luna da
camera ammobiliata». Nel rispetto di uno dei punti programmatici fondamentali
del Manifesto tecnico dei pittori futuristi qui la luce, resa attraverso tocchi
divisionisti di vari colori per meglio rappresentarne l’irraggiamento, dissolve la
plasticità degli oggetti e diventa la vera protagonista dell’opera.
Dopo una prima fase di ricerca la pittura futurista raggiunse dunque la sua
piena maturità nel 1911: a testimonianza di ciò può bastare il confronto tra Rissa
in galleria (fig.2), del 1910, e la versione definitiva di La risata (fig.3), del 1911,
Capitolo primo – Inquadramento storico-artistico del movimento futurista
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due opere in cui Umberto Boccioni passò dal modernismo dei contenuti alla
messa in pratica dei principi del dinamismo e della compenetrazione dei piani
che frantumano le figure. Indispensabile per questa evidente evoluzione stilistica
fu il contatto con altre correnti avanguardistiche europee: dopo aver partecipato a
varie mostre collettive, fra cui l’esposizione alla Mostra d’arte libera inaugurata
il 30 aprile 1911 in un padiglione, sede della fabbrica in disuso della fabbrica
Ricordi a Milano, la volontà di apertura verso l’Europa portò i pittori futuristi a
stabilire un dialogo con le tendenze piø avanzate del panorama artistico
continentale. Fondamentale fu il viaggio intrapreso da Boccioni, Carrà e Russolo
che, assieme a Marinetti, nel novembre del 1911, raggiunsero Gino Severini a
Parigi. Qui furono introdotti nell’ambiente artistico d’avanguardia e conobbero
tra gli altri Apollinaire, Picasso e Braque, entrando così in contatto con le
avanzate ricerche della pittura cubista e stabilendo relazioni che permisero al
movimento di compiere formidabili passi avanti a livello tecnico e stilistico.
A Parigi i pittori futuristi organizzarono la mostra che segnava il debutto del
movimento al di fuori dei confini nazionali e, contemporaneamente, doveva
servire da confronto con la moderna pittura francese. L’esposizione, che si tenne
dal 5 al 24 febbraio 1912 presso la Galerie Bernheim-Jeune, vide la
partecipazione di Boccioni, Carrà, Russolo e Severini, accompagnati
naturalmente da Marinetti, mentre era assente Balla che pur essendo in catalogo
con Lampada ad arco non inviò nulla.
In apertura di catalogo era presente l’accusa ai maestri cubisti colpevoli,
secondo Boccioni e compagni, di fare un’arte eccessivamente statica e votata
sostanzialmente ad un accademismo mascherato che malcelava la venerazione
per la pittura classicista. I futuristi parlavano qui per la prima volta di
simultaneità di stati d’animo, sottolineando gli aspetti che li differenziavano dai
francesi: all’interno dell’opera si doveva dare vita alla simultaneità d’ambiente,
cioè ad uno smembramento degli oggetti che aveva come modello la
scomposizione cubista ma vi univa il fondamentale apporto del dinamismo e del
movimento. Le critiche mosse da Guillaume Apollinaire, che li accusava di aver
Capitolo primo – Inquadramento storico-artistico del movimento futurista
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rubato dai cubisti le idee piø ardite, non tenevano conto del fatto che la validità
del neonato Futurismo stava proprio nell’aver sintetizzato lezioni diverse come
quelle sul colore espressionista e sulla scomposizione cubista e averle unite al
mito del movimento, apporto esclusivamente futurista. E’ infatti evidente che i
pittori italiani non ignoravano i principi cubisti di scomposizione della forma
secondo piani visivi: era senz’altro cubista la tecnica che prevedeva di
suddividere la superficie pittorica in diversi piani che registrassero ognuno una
diversa prospettiva spaziale, ma, mentre i francesi si limitavano a rendere una
quarta dimensione esclusivamente spaziale, i futuristi utilizzavano la
scomposizione per rappresentare la dimensione temporale, ovvero il movimento.
In pratica per loro il difetto dei cubisti stava nell’eccessivo spirito analitico che li
portava a risultati troppo statici e razionali, mentre la pittura futurista rivendicava
l’elemento emozionale come specifico e peculiare dell’avanguardia italiana.
La mostra parigina ebbe un’immediata e notevole risonanza sulla stampa e il
gruppo futurista, ormai forte di un linguaggio maturo, era pronto per rivelarsi a
tutta Europa. L’esposizione fu ospitata in marzo alla Sackville Gallery di Londra
per poi essere allestita a Berlino in aprile-maggio ed approdare tra il 1912 e il
1914 in svariate altre città come Amsterdam, Monaco, Budapest e Lipsia.
Nel frattempo le sperimentazioni futuriste proseguivano senza soste
giungendo in piø campi a risultati di indubbia originalità e potenza: la pittura e la
scultura di Umberto Boccioni erano al tempo tra le piø avanzate nel panorama
artistico europeo, basti pensare al mirabile esempio di “continuum sintetico” del
movimento che venne fornito dall’opera scultorea Forme uniche della continuità
nello spazio (fig.4), concepita da Boccioni dopo aver redatto il Manifesto tecnico
della scultura futurista, datato 11 aprile 1912, in cui si riprometteva di estendere
la teoria del dinamismo anche a questa forma d’arte. Un aspetto peculiare del
movimento fu infatti quello di puntare al superamento della distinzione tra le
varie discipline artistiche collegando diversi livelli sensoriali al fine di realizzare
l’opera totale. Questa direzione sinestesica fu intrapresa da Carlo Carrà col
manifesto La pittura dei suoni, rumori e odori dell’11 agosto 1913, e sviluppata
Capitolo primo – Inquadramento storico-artistico del movimento futurista
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da Giacomo Balla e Fortunato Depero nel celebre Ricostruzione futurista
dell’universo, manifesto datato 11 marzo 1915 in cui si teorizzava la fusione
totale delle arti al fine di rendere «l’espressione dinamica, simultanea, plastica,
rumoristica della vibrazione universale».
Il dibattito sulla pittura e su principi quali il dinamismo e la simultaneità
favorirono senz’altro la codificazione della letteratura futurista, la cui modernità,
fino all’inizio del 1912, risiedeva esclusivamente nei contenuti e nei temi trattati,
mentre lo stile, come si è detto, era ancora legato al verso libero di stampo
simbolista e luciniano. Marinetti aveva promosso l’utilizzo del verso libero in
quanto forma poetica in grado, col suo dinamismo, di restituire le sensazioni
della frenetica vita contemporanea, ma per dar vita ad una poesia che riflettesse
pienamente la polifonia dei rumori, dei suoni e dei colori della modernità
bisognava fare un ulteriore passo avanti e liberarsi dalle costrizioni della sintassi
tradizionale. Col Manifesto tecnico della letteratura futurista, redatto l’11
maggio del 1912, Marinetti annunciava i precetti fondamentali del nuovo
linguaggio che doveva essere veloce, dinamico, adatto ai tempi moderni e capace
di suggerire in maniera immediata il fluire ininterrotto delle sensazioni.
Occorreva perciò demolire la sintassi disponendo i sostantivi a caso, usare i verbi
all’infinito, abolire gli aggettivi, gli avverbi e la punteggiatura, che veniva
sostituita dall’uso di segni matematici e musicali. Ogni sostantivo doveva essere
accostato per analogia al proprio doppio, metodo che permetteva di collegare
realtà diverse, suggerendo tra loro un rapporto di somiglianza fantastica. Abolite
le congiunzioni, dunque, le parole dovevano fondere gli oggetti con le immagini
da essi evocate, ad esempio «donna-golfo» o «piazza-imbuto». All’impianto
logico del pensiero si sostituiva la piø sintetica forma dell’analogia, già usata dai
simbolisti ma sfruttata al massimo da Marinetti coll’espediente delle «parole in
libertà».
Caratteristica fondamentale della nuova dottrina linguistica era inoltre il
rifiuto del punto di vista dell'io, ovvero del soggettivismo. La psicologia
dell’uomo «avariato dalla biblioteca e dal museo» andava sostituita con