2del’economia sula politica; ma l’economia delo sviluppo si rivela una
disciplina troppo giovane per presentare soluzioni efficaci al tema della povertà,
mentre le dinamiche che portano ad una subordinazione della filosofia, della
sociologia e dela politica al’economia fanno si che si cora il rischio di adotare
dei meccanismi basati su teorie eccessivamente setoriali. E’ da notare che una
tendenza di questo tipo stride con il fatto che la complessità sia diventata il
paradigma scientifico del 2000.
In un simile contesto l’introduzione del microcredito pare un qualcosa di
decisamente rivoluzionario: un meccanismo che parte dal basso e dalla realtà
locale, che mira a contrapporsi al’idea del’elemosina, che spinge ala
valorizzazione dei poveri (“Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno.
Insegnagli a pescare elo nutrirai per tuta la vita.”). Come deto, nel XX secolo il
microcredito rappresenta un’idea in neta controtendenza rispeto ale concezioni
dominanti, ma le radici di questo approccio sono in realtà piuttosto antiche;
ripercorrendo la storia a ritroso possiamo vedere che ciò che accomuna l’azione
di un anarchico francese, di un sindaco tedesco, di un contadino africano o di un
economista bengalese, che si confrontano con una realtà locale di indigenza, è
l’idea che l’accesso al credito possa essere utilizzato come elemento per liberare
delle energie produttive ed instaurare un processo di miglioramento delle
condizioni di vita di chi si trova al limite inferiore dela scala sociale. E’
interessante notare che una conclusione di questo tipo venga raggiunta in epoche
e luoghi diversi, in quanto rafforza la validità del’approccio. L’introduzione del
modello microcreditizio è passata attraverso una successione di fasi, durante le
quali si è però perso di vista un dibattito concreto sulla validità di questo tipo di
modello; alla fortissima ostilità iniziale, in molti casi basata su preconcetti, è
seguito un periodo di progressiva esaltazione, legata però a una valutazione
spesso limitata del’impato del’atività svolta. Questa situazione non ha
comunque impedito una crescita continua del’importanza del microcredito come
strumento di sviluppo, portando al’adozione di approcci radicalmente diversi da
Paese a Paese: per questa ragione si può comprendere l’importanza di un’analisi
3dei risultati conseguiti dalle soluzioni specificamente ideate nelle diverse aree
geografiche.
In questo senso la situazione del’America Latina si rivela particolarmente
interessante, in quanto questa è una regione caratterizzata fin da un lontano
passato da fortissimi problemi di disuguaglianza nella distribuzione della
ricchezza.
Il Perù rientra tra i Paesi maggiormente attenti a questo tipo di approccio, e si
caraterizza per l’instaurazione di un processo di formalizzazione del setore,
rispondendo ad una logica che mira alla sintesi tra componenti sociali e
componenti bancarie; ovviamente si tratta di un procedimento particolarmente
complesso, che va sottoposto a continue verifiche per confermare la validità della
soluzione. Questa evoluzione si manifesta nella storia di Mibanco, che
rappresenta un caso particolarmente interessante, in quanto nasce dalla
trasformazione di una ONG (ACP) in una banca commerciale che mantiene la
mission di servire la parte povera della popolazione.
Lo scopo della tesi è quello di analizzare le peculiarità del settore
microfinanziario sudamericano e in particolare peruviano, ponendo poi l’accento
proprio su uno studio del’esperienza e dei risultai conseguiti da Mibanco, al fine
di comprendere l’efficacia di questo particolare approccio.
41. Nascita e sviluppo del’idea
1.1 La storia del microcredito
1.1a Le origini
I primi rilevanti tentativi di atuazione di forme di credito a favore del’economia
più debole, affini sotto alcuni punti di vista al moderno concetto di microcredito,
sono rappresentate dale “tontine”. Il termine “tontine” richiama
etimologicamente il nome di Lorenzo Tonti, banchiere napoletano che ha
immaginato ed iniziato questa pratica, suggerendola al re di Francia, nel 1653.
Al’inizio si tratava di un’operazione finanziaria per mettere insieme una certa
somma tra alcune persone che versavano quote a scadenza stabilita, ed il cui
successo dipendeva dala continuità dei versamenti dele quote; l’evoluzione di
questo principio porta alle tontine a rotazione, ossia un meccanismo mediante il
quale più persone mettono insieme periodicamente una certa somma di denaro e
la destinano a vantaggio di uno di loro a turno. In Africa, la natura del fenomeno
è particolarmente interessante, in quanto il fine di queste associazioni è quello di
creare una società reale fuori dal’economia e fuori dalo stato che funzioni con le
proprie regole, coniugando dunque l’aspeto economico a quelo sociologico.
Proseguendo nela storia del credito, è rilevante l’azione del francese Pierre
Joseph Proudhon (1802-1864), uno dei protagonisti della rivoluzione del 1848.
Questo filosofo autodidatta, caratterizzato da un pensiero fortemente
5indipendente, elabora una propria dotrina economica basata sul’idea di
raggiungere la giustizia sociale sostituendo al “dirito individualistico” (ossia al
dirito che tende semplicemente a garantire al’individuo le sue acquisizioni,
giuste o ingiuste che siano) un “dirito sociale”, che garantisca la perfeta equità
di tutti i rapporti della vita associata. Affermando l’inutilità delo stato e
del’azione politica e dichiarandosi anarchico, nel 1849, per trasformare la
società ricorre alla fondazione della Banca del popolo, la quale opera i suoi
prestiti senza percepire un vero e proprio interesse. In questo modo avrebbe
concesso la possibilità ai lavoratori di ottenere i mezzi indispensabili per mettere
in valore e per impiegare autonomamente la propria capacità lavorativa,
sfuggendo alla necessità di dipendere da un padrone. Un secondo effetto previsto
da Proudhon è quello di garantire la formazione di una fitta rete di rapporti
sociali, che avrebbe consentito, nel lungo periodo, un globale miglioramento
della distribuzione della ricchezza. La Banca tuttavia viene liquidata appena sette
settimane dopo la sua creazione, in seguito alla condanna di Proudhon a tre anni
di carcere per avere scritto alcuni articoli contro Luigi Napoleone Bonaparte, e
quindi senza la possibilità di un riscontro pratico delle idee messe in atto.
Per tutto il XIX secolo i temi legati alla povertà si manifestano in maniera
insistente in seguito agli efeti dela corsa al’industrializzazione. Il dibatito tra
gli economisti si concentra sulle ragioni delle disuguaglianze crescenti, portando
al’elaborazione di pensieri economici e politici radicalmente diversi1. In questo
periodo l’economia nel tentativo di diventare una scienza, si orienta sempre più
verso l’adozione di approcci matematici e l’elaborazione di modeli; gli studi di
Adam Smith, di Alfred Marshall e di Karl Marx, legati ad un’atenta analisi
sociale e del contesto storico, vengono affiancati da analisi sempre più ristrette
al’aspeto quantitativo. Leon Walras, ad esempio, concentra la propria
atenzione sul’analisi del’economia pura, definita come “teoria dela
determinazione dei prezzi in un regime ipotetico di libera concorrenza assoluta”,
contribuendo a rendere l’economia una scienza sempre più matematica, molto
1 Giovanni Pavanelli, Valore, distribuzione, moneta, Milano, Franco Angeli, 2003.
6lontana dalla quotidianità degli uomini2. Ma le basi di un approccio di questo tipo
sono anche di natura filosofica, e possono essere individuate nel’utilitarismo
morale: negli scritti di Jeremy Bentham (1748-1832), il maggiore esponente di
questa corrente di pensiero, la legislazione civile e la morale vengono fondate sul
concetto di utile e viene introdoto un calcolo dela felicità che riduce l’essere
umano ad una macchina alla ricerca della massimizzazione del piacere e della
minimizzazione del dolore. In questa progressiva trasformazione del pensiero
economico, il problema pratico del’accesso al credito può essere affrontato solo
da chi rimane direttamente a contatto con la realtà della povertà, come accade al
giovane sindaco di Flammersfeld: Friedrich Wilhelm Raiffeisen. Durante il suo
incarico si occupa di studiare con attenzione la condizione dei contadini,
arivando ad evidenziare gli effeti nefasti del’usura sula realtà rurale; la
soluzione che propone arriva nel 1864 con la fondazione della prima cooperativa
di credito. La cooperativa ha come obiettivo quello di offrire alle banche aderenti
dele cauzioni reciproche, per consentire ai suoi membri l’accesso al credito. A
questa iniziativa che riguarda l’ambito rurale si affianca la nascita dele
cooperative di risparmio e credito in ambiente urbano di Schulze-Delitsch,
ponendo così le basi per lo sviluppo delle banche mutualistiche europee.
Proseguendo nello studio delle origini del microcredito, si evidenzia un
approccio molto affine, per condizioni ambientali e per soluzioni adottate, a
quello moderno: quello delle casse mutue rurali. Si tratta di un sistema adottato
nelle colonie francesi prima e dopo la seconda guerra mondiale, per dare una
spinta alla debole economia coloniale. Il punto di contatto è rappresentato dal
fatto che l'erogazione del credito non viene più associata alla presentazione di
garanzie reali (terra, bestiame o costruzioni), ma viene legata a garanzie morali,
mettendo in gioco la solidarietà dei debitori per il rimborso: si tratta della
cauzione solidale. È da notare che i risultati di questo sistema, misurati attraverso
il tasso di rimborso, per i primi anni si avvicinano al 100%, per poi entrare in
crisi a partire dagli anni Sessanta, in seguito ai processi di decolonizzazione ed
2 Henri Denis, Storia del pensiero economico, Oscar Studio Mondatori, Milano, 1973.
7alla conseguente destabilizzazione dell'economia coloniale. Il fallimento di
un’iniziativa diquesto tipo è dunque associabile al venir meno delle istituzioni
che ne garantivano il funzionamento, e sotolinea l’importanza dele condizioni
politiche del’ambiente in cui si opera.
Nel’estate del 1961, a Caracas, Venezuela, un gruppo di volontari, dopo aver
raccolto finanziamenti negli Stati Uniti, si riunisce per avviare un progetto di
aiuto al miglioramento delle condizioni di vita dei poveri della città; dallo sforzo
di queste 30 persone nasce Acción International3. Il primo decennio è impiegato
in un lavoro di penetrazione nella realtà locale, per arrivare a comprendere i
problemi e creare una scala delle esigenze della comunità. È un periodo nel quale
lavorando insieme ai residenti vengono realizzate scuole, linee elettriche,
programmi di insegnamento, con un’espansione del’atività anche in Brasile,
Colombia e Perù. Questa situazione di reiterata attività sul terreno in un territorio
ampio consente la formazione di una conoscenza e di una comprensione sempre
più profonda delle determinanti della struttura del tessuto sociale, e porta i
responsabili di Acción a concludere che il sistema adottato rappresenti una
riorganizzazione delle risorse della comunità e non un loro incremento.
Ammesso il fallimento (seppur relativo) delle precedenti iniziative, facendo
tesoro del’esperienza accumulata, l’atenzione si sposta su un’analisi dele
condizioni del lavoro nei centri urbani, arrivando ad intuire le potenzialità
del’economia informale: un mondo di microimprenditoria, caraterizzato da un
forte dinamismo potenziale, ridotto ad una lotta per la sopravvivenza nella
ricerca di ottenere le somme necessarie al pagamento di interessi del 10%
giornaliero agli usurai locali. Il passo successivo è l’idea di inserirsi in questo
meccanismo mediante l’elargizione di credito su base fiduciaria, per spezzare
questo circolo vizioso e consentire una crescita delle microattività, ottenendo un
miglioramento effettivo delle condizioni di vita della popolazione povera. Nel
1973, a Recife, Brasile, vengono elargiti i primi piccoli prestiti alle microimprese
a tasso d’interesse commerciale, otenendo otimi risultati; nel giro di 4 anni il
3 http://www.accion.org/
8numero dei prestiti sale ad 885 con la creazione o la stabilizzazione di 1386 posti
di lavoro.
Ancora una volta il confronto diretto con il problema della povertà porta
al’evidenziazione del’importanza focale del’accesso al credito. Non si può
dunque affermare che il microcredito, seppur marginale nel pensiero economico,
rappresenti un'idea rivoluzionaria: fin dalle origini, i tentativi di lotta alla povertà
in regioni scarsamente sviluppate o in via di sviluppo, in aree sia rurali che
urbane, hanno portato al’elaborazione di soluzioni parzialmente simili, ed
al’adozione di principi comuni. Tutavia la presa in considerazione in ambito
accademico così come in quello delle istituzioni internazionali di un approccio di
questo tipo incontra numerose resistenze. Fino alla comparsa di un economista
bengalese: Muhammad Yunus. Un economista capace di elaborare questa forma
di credito a vantaggio della fascia più povera della popolazione, in maniera tale
da renderlo uno dei più diffusi metodi di lotta alla povertà a livello mondiale. Il
tutto nel giro di 30 anni. Il tutto nonostante una miriade di difficoltà ed ostacoli.
1.1b Il Bangladesh
L'esperienza di Yunus inizia nel 1976, in una zona rurale del Bangladesh: il
piccolo villaggio di Jobra. Le caratteristiche di Jobra, e più in generale del
Bangladesh, sono piuttosto peculiari; si tratta di una nazione giovane, nata nel
1971 otenendo l’indipendenza dal Pakistan, con una popolazione di 141.340.476
abitanti, dei quali solo 1/4 vive in zone urbanizzate. La parte rimanente, ossia
circa 100 milioni di persone, è concentrata nell'ampia pianura alluvionale che
occupa la maggior parte del paese. La superficie totale è pari a 144.000 km², con
densità di popolazione di 1055 abitanti per chilometro quadrato; un dato
decisamente impressionante, che tuttavia sottovaluta la realtà in quanto le zone
montagnose presenti al nord sono praticamente inabitate a causa delle condizioni
estremamente inospitali. I territori destinati all'agricoltura sono dunque costellati
di villaggi, nei quali si affolla una quantità notevole di gente, la maggior parte
9della quale vive in condizioni di estrema povertà. È questa la realtà di Jobra,
piccolo agglomerato urbano sulla strada che collega l'università di Chittagong
alla città ed è qui che inizia l'esperienza bengalese del microcredito.
L’impulso che spinge un professore dela locale università, Muhammad Yunus,
ad accostarsi alla vita degli abitanti del villaggio, è quella di utilizzare le nozioni
universitarie per dare un aiuto pratico all'organizzazione del lavoro agricolo in un
periodo di grave carestia. Durante questa prima fase della sua esperienza,
studiando il problema dell'irrigazione al fine di incrementare il rendimento dei
terreni, l'economista si imbatte in un grande pozzo totalmente inutilizzato,
costruito con il finanziamento della comunità internazionale e del governo locale.
Le ragioni dell'abbandono di uno strumento dispendiosissimo e teoricamente
utilissimo in regioni sottoposte ad un clima monsonico, vengono rapidamente
individuate nella totale inadeguatezza dei macchinari di questo tipo rispetto alle
esigenze dei contadini; i problemi di manutenzione e di sostituzione dei
componenti dei macchinari, la stessa complessità legata all'utilizzo di tali pozzi,
li rendono del tutto inadatti. Rispetto a questa soluzione, si ha quella più
semplice, meno dispendiosa e molto più efficace, della costruzione di pozzi
azionati a mano. Purtroppo però questi ultimi non sono inclusi nei progetti
governativi, con il risultato che milioni di dollari vengono letteralmente sprecati
nella realizzazione di opere inutili per chi dovrebbe invece esserne il
beneficiario. Il problema messo in luce da Yunus con questo esempio diretto non
rappresenta l'eccezione, quanto piuttosto la regola delle modalità d'impiego degli
aiuti internazionali; non è che alla base vi sia una cattiva coscienza, quanto
piuttosto la presunzione di poter trovare soluzioni senza avere una conoscenza
diretta della situazione, ossia senza operare sul campo. Si tratta di un dato
particolarmente importante, perché implica la necessità di adottare sistemi di
intervento che partano il più possibile dal basso, al fine di sfrutare l’esperienza
di chi affronta il problema quotidianamente, ed al contempo al di fuori di
meccanismi burocratici afflitti da problemi cronici di corruzione; la necessità di
10
un intervento dal basso4 è forse il primo elemento alla base dello sviluppo
dell'approccio del microcredito.
Proseguendo nel suo lavoro di collaborazione con gli agricoltori, l'economista
bengalese si rende conto che gli incrementi di produttività, ottenuti con i nuovi
metodi suggeriti ai contadini, determinano un profitto direttamente proporzionale
alla quota di terra da questi posseduta; il risultato è di conseguenza ben lontano
dall'essere un aiuto diretto alla fascia più povera degli abitanti del villaggio.
Diventa necessario poter adottare dei programmi maggiormente selettivi, che non
operino a favore di una comunità nel suo insieme, ma a favore dei meno abbienti
della comunità.
È un punto fondamentale, colegato con l’approccio decentrato, in quanto
richiede l’abbandono degli standard di povertà internazionali, e la loro
sostituzione con degli standard locali; il fine è quello di arrivare a costruire una
matrice multidimensionale che consenta di definire con la maggiore accuratezza
possibile i beneficiari di un intervento di sviluppo5.
Con questi presupposti, dopo il “fallimento”della sua prima iniziativa, Yunus
concentra le proprie attenzioni sui diseredati del villaggio, su coloro che non
possiedono né terra né beni, e giunge al’intuizione fondamentale del suo
modello: la mancanza di un legame con la terra, altrimenti presente per i
contadini, rappresenta un elemento di dinamismo e di mobilità, una condizione
che garantisce apertura alle idee nuove. Nuovamente è bene riflettere su questo
punto, poiché si trata di un ribaltamento del’approccio tradizionale ala realtà
dela povertà. L’individuo al vertice basso dela scala sociale, viene visto soto
una nuova luce, evidenziandone le potenzialità inespresse e focalizzando i propri
sforzi al’individuazione di un metodo per supportare queste potenzialità. Ed il
problema non è più rappresentato dal come aiutare una comunità di villaggio nel
suo insieme, ma dal come trovare e mettere in atto un meccanismo che consenta
a questi individui di uscire dalla propria situazione di indigenza.
4 “grassroot approach”
5 Muhammad Yunus, Il banchiere dei poveri, Milano, Feltrinelli, 2004.
11
Il conseguimento di un obiettivo di questo tipo richiede innanzi tutto uno studio
degli equilibri economici alla base della vita del villaggio (nuovamente, una
conoscenza che può essere otenuta solo mediante l’esperienza direta), ed è in
questa direzione che si muove Yunus. Con la collaborazione di alcuni studenti
riesce a tracciare un quadro della situazione che lascia piuttosto sorpresi; nel XX
secolo, in un piccolo insediamento del Bangladesh, la sopravvivenza di
quarantadue persone dipende dalla possibilità di ripagare un debito complessivo
di 856 taka, pari a circa 27 dollari. Il volto della povertà si manifesta in maniera
stupefacente, al punto da colpire profondamente l’economista. La sua prima
istintiva reazione è quela di donare la somma; il principio del’aiuto esterno per
risolvere un problema, lo stesso principio spesso alla base degli interventi
internazionali a favore dello sviluppo. Yunus comprende però che la carità può
essere solo un paliativo, non la cura, poiché l’impato sula vita di quele persone
sarebbe stato solo temporaneo. Ma non solo; donare denaro ai bisognosi può
portare con sé pesanti conseguenze dal punto di vista umano e sociale.
Nuovamente si ha una messa in discussione delle iniziative a sostegno delle
popolazioni povere: queste elargizioni di fondi a fondo perduto, compiute con le
migliori intenzioni, possono rappresentare in realtà un danno per i destinatari. Se
a questo si aggiunge che tali interventi sono effettuati spesso in maniera
approssimativa, diventa evidente che la strada da percorrere è molto diversa da
quela adotata. Per tornare al’esempio presente nel testo del professore
bengalese, la costruzione di un pozzo per un gruppo di contadini diviene uno
spreco di denaro pubblico. Aprendo una parentesi sul ruolo della carità in un
paese musulmano, ecco il pensiero di un filosofo iraniano, profondo conoscitore
del’Islam: “….la carità, quale virtù spirituale, non è quela quantitativa e
materiale, oggi tanto in auge, Molti vogliono essere caritatevoli verso gli uomini
senza avere un senso di reverenza verso Dio. L’uomo che diventa oggeto di
questa carità si riduce a un animale a due gambe di cui sono considerati solo i
bisogni materiali, mentre le sue necessità più profonde, quali la bellezza o
l’amore, sono ignorate o sono relegate nela categoria del lusso. Non vi è termine
12
di paragone tra la carità spirituale, la carità dei santi, e la carità umana e materiale
che riduce l’uomo a una bestia: gli dà cibo e vestiti, ma intanto lo priva di una
protezione vera. Gli insegna a camminare, ma gli toglie la vista, la sola che
potrebbe indicargli dove andare.”6.
Complessivamente dunque, le riflessioni di Yunus lo spingono verso la necessità
di trovare un metodo per intervenire in maniera selettiva a favore dei poveri
(passando da una definizione assoluta di povertà ad una definizione relativa
basata sulla realtà locale), ottenendo un miglioramento effettivo (anche in questo
caso conta la realtà locale come parametro di riferimento) nelle loro condizioni di
vita. Considerato che la visione del’economista bengalese è fondata sul’idea che
il povero rappresenti una ricchezza (una prospettiva persino necessaria in una
situazione come quella del Bangladesh), il passo successivo è trovare il capitale
da prestare, e verificare quali risultati possono essere conseguiti mediante il
prestito (con il fine immediato di ridurre l’influenza del’usura). Di fronte
al’esigenza di reperire i fondi necessari al’avvio del’esperimento, la soluzione
più semplice pare essere quella di rivolgersi ad una banca, la banca nazionale di
Janata. I primi ostacoli iniziano proprio nel rapporto con l’agenzia di Jobra.
L’erogazione di un prestito nel sistema bancario bengalese è sotoposto a
condizioni che escludono, a priori, le persone che maggiormente ne avrebbero
bisogno; le motivazioni ufficiali sono l’analfabetismo e l’assenza di garanzie
reali, con una serie di postulati:
il credito deve essere accompagnato da istruzione, tecnologia ed una rete
di trasporti,
la povertà cronica ha un effetto deleterio sullo spirito e le aspirazioni dei
poveri,
le donne delle fasce più povere non hanno alcun tipo di competenza ed è
dunque inutile cercare di inserirle nei progetti; inoltre procedendo in
questo modo verrebbero esposte alle pressioni dei mariti per ottenere il
denaro ricevuto,
6 Seyyed Hossein Nasr,Ideali e realtà del’Islam, Rusconi, 1974.
13
la religione ed il costume paralizzano la libertà d’azione dei poveri (ed in
particolare delle donne),
nelle realtà rurali esistono strutture di potere radicate che impediscono il
successo di un programma di credito.
Si tratta di preoccupazioni in parte legittime, in parte frutto di una conoscenza
superficiale della povertà. Ma il problema cruciale è che invece di cercare di
individuare un metodo per limitare i rischi, la posizione della banca resta
bloccata al punto di partenza, costituendo una sorta di barriera per settori vasti
della popolazione e di privilegio per altri.
Il confronto tra Yunus ed il funzionario del’agenzia è inizialmente senza
risultato; la sua proposta è rivoluzionaria per gli schemi classici della banca e
diventa necessario rivolgersi ad un individuo dotato di maggior potere
decisionale. L’incontro seguente avviene con il diretore regionale dela Banca
Janata. Il colloquio si svolge in maniera simile al precedente, fino al punto in cui
il direttore introduce una condizione per accettare il progetto: l’individuazione di
una persona benestante che sia disposta a farsi garante per i beneficiari. Tuttavia
si tratterebbe di un meccanismo problematico in quanto potrebbe facilmente
degenerare in un sistema di sfruttamento da parte del garante. La situazione di
stalo viene superata con l’individuazione del garante dela somma in Yunus
stesso: si tratta di un prestito di 10000 taka, pari a circa 300 dollari. Dopo
ulteriori 6 mesi di scambi di lettere e di documenti, nel dicembre del 1976 Yunus
riesce ad ottenere dala Banca Janata un’apertura di credito a favore dei poveri di
Jobra.
1.1c La fase sperimentale
Inizia in questo modo la fase sperimentale del progeto del’economista
bengalese. L’esperienza maturata durante i precedenti approcci alo studiodegli
equilibri economici e sociali del villaggio consente a Yunus di descrivere un
quadro dettagliato della situazione da affrontare. È innanzitutto un procedimento
14
di selezione dei destinatari, forse la fase più importante per la verifica delle idee
messe in atto. Il Bangladesh, nazione multietnica e multireligiosa, è un paese a
maggioranza islamica. L’uso abituale dela pratica religiosa (musulmana ma
anche induista) del purdah (letteralmente velo o cortina), consistente
nel’indossare abiti che mascherino le forme femminili e nel nascondere le donne
dietro a muri o tende appositamente realizzati nella casa, dipende dalla volontà di
assoggettare la popolazione femminile. Una società patriarcale di questo tipo
utilizza un pretesto religioso per escludere le donne dal’accesso ala cultura,
dalla possibilità di svolgere una propria attività lavorativa, limitandone i compiti
ala cura dela casa ed al’educazione dei bambini, con il fine ultimo di
perpetuare tale schema organizzativo. Contemporaneamente gli stessi principi
vengono adottati dal sistema creditizio, che si manifesta dunque fortemente
sessista; la raccolta di risparmio presso le donne viene infatti effettuata
normalmente, mentre l’erogazione di un prestito deve passare necessariamente
attraverso la richiesta del marito.
Sotto condizioni di questo tipo la scelta di Yunus di concentrare i propri sforzi
nei confronti della popolazione femminile rappresenta un approccio decisamente
rivoluzionario per la piccola nazione musulmana. Ma quali sono le ragioni che
spingono il professore bengalese in questa direzione?
Innanzitutto, molto semplicemente un desiderio di riequilibrare la situazione,
bilanciando una discriminazione di genere: nel progeto sperimentale l’obietivo
iniziale è quello di includere le donne in una misura pari ad almeno il 50% del
totale.
Con il passare del tempo, ed il procedere del’atività, si fa strada un nuovo
motivo, legato allo sviluppo: la convinzione che, passando per le mani delle
donne il credito possa portare a cambiamenti più rapidi rispetto a quando viene
gestito dagli uomini. Spingendo un po’ più a fondo l’analisi sula realtà
femminile, si evidenzia come le condizioni di fame e povertà, ampiamente
diffuse in Bangladesh, abbiano una ricaduta maggiore sulla donna. A proposito di
questo punto Yunus scrive: “Nela nostra società la donna povera vive
15
nel’insicurezza più totale. È insicura nella casa del marito, dalla quale può essere
estromessa in qualsiasi momento: il marito può divorziare da lei semplicemente
ripetendo per 3 volte la formula “Io ti ripudio”. Non sa né leggere né scrivere, e
in generale non le è permesso di uscire di casa per guadagnarsi da vivere,
neanche se è lei che lo desidera. È insicura nella famiglia del marito, così come
lo era nella propria: tutti non aspettano altro che di poterla allontanare, per essere
in meno a condividere il cibo. Se, una volta ripudiata, ritorna nella casa dei
genitori, sarà considerata un peso per la famiglia e una vergogna agli occhi dei
vicini.”7 In queste condizioni terribili, offrendo una possibilità ad una donna,
questa sarà ansiosa di costruirsi una sicurezza, in primo luogo di natura
economica. Quello che entra in gioco è una scala di valori, che vede la famiglia e
dunque l’educazione dei figli, al primo posto, seguita dalla casa e dal
miglioramento della sua vivibilità. Molto differente è la scala di valori maschile,
che tende, superato il reddito indispensabile per la sopravvivenza, al
soddisfacimento delle proprie esigenze personali. Volendo dunque avere un
impatto effetivo sule condizioni di vita dei poveri di Jobra, l’elargizione dei
prestiti diventa progressivamente orientata a privilegiare le donne, ed in
particolare le madri di famiglia.
Gli ostacoli che si frappongono nuovamente sulla strada del progetto di Yunus
sono decisamente numerosi; alle prevedibili reazioni dei mariti, dei mullah, degli
usurai, si affiancano sorprendentemente contestazioni di funzionari e di
professionisti (tutte persone di una certa cultura) nei confronti di tale scelta.
Individuati i destinatari dei prestiti, il passo successivo è la definizione delle
modalità d’azione che consentano di superare i problemi emersi. Come deto, le
regole del purdah nei villaggi rurali sono particolarmente rigide, e per questo
motivo la necessità di informare le donne sulla possibilità di usufruire di uno
speciale programma di credito non può essere soddisfatta mediante approcci di
tipo tradizionale. L’inizio del progeto di Yunus consiste quindi nel recarsi
7 Muhammad Yunus, Il banchiere dei poveri, Milano, Feltrinelli, 2004, p.88.