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I. Introduzione
“la culla della razza umana, il luogo di nascita del linguaggio umano, la
madre della storia, la nonna di leggenda, e bisnonna della tradizione. I
materiali più preziosi e più istruttivi per la storia dell'uomo ci sono giunti
solamente dall’ India..”
Le parole di Mark Twain sono perfette per introdurre lo sfaccettato mondo del
Bharat, o India che dir si voglia.
La sua mastodontica estensione le ha fatto guadagnare il titolo di subcontinente,
vantando la più grande democrazia al mondo e registrandosi come seconda per
popolosità. Camminando per l‟India si ha la sensazione di sbirciare attraverso un
caleidoscopio di immagini dove sono riflesse una miriade di tradizioni, costumi,
feste, popoli e religioni differenti.
Tutto ciò la rende una delle sedi spirituali più famose e antiche nel mondo e
l‟atmosfera mistica che pervade tutta l‟India si respira ovunque: nei tranquilli
monasteri buddhisti, nell‟animazione dei templi induisti fittamente popolati dalle
statue delle divinità e nei luoghi di culto disseminati a migliaia in tutto il paese.
In India convivono induismo, islam, buddismo, la religione Sikh e il
cristianesimo, insieme a religioni minori che comprendono lo zoroastrismo e il
jainismo.
Ciò potrebbe conferire l‟idea di un‟anarchia complessa e incontrollabile, in realtà
la cosa sorprendente è che in questo paese fin dall‟antichità ognuno crede in ciò
che vuole; si ammette, si accetta e si osserva la differenza.
L‟India è la diversità personificata in tutte le sue sfumature, o meglio, è l‟unità
delle infinite diversità presenti al mondo.
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II. L’India: tre voci per tre stili di vita
Come ho già accennato, l‟India è un paese sconfinato, dove fioriscono moltissime
culture e religioni, ma il mio breve soggiorno non mi ha permesso di conseguire
una conoscenza approfondita di tutto il panorama spirituale e culturale.
Nonostante ciò, durante i giorni trascorsi a Mysore, ho avuto la fortunata
occasione di conoscere tre persone, che attraverso i loro occhi e le parole hanno
cercato di farmi vivere secondo il loro credo, almeno per qualche ora.
L‟aspetto più indicativo che differenzia questi individui è sicuramente quello
religioso; ciò che bisogna tener presente quando ci si addentra in tali argomenti, è
che la sfera spirituale non si riduce al solo culto, ma assorbe il singolo in un
mondo regolato da leggi e tradizioni che lo condizionano in ogni aspetto della sua
esistenza.
Ciò che li rende simili è il forte rispetto reciproco e la pacifica accettazione che
crea un ambiente di totale armonia.
Le religioni più diffuse in India oggi sono:
1. induismo che conta più dell‟80% della popolazione ( circa 800 milioni di indiani)
2. islam per il 13% della popolazione
3. cristianesimo, buddhismo, sikhismo, jainismo per il 7% della popolazione.
Grazie alle testimonianze di tre persone appartenenti rispettivamente al gruppo
religioso induista, musulmano e cristiano ho schematizzato una panoramica
d‟insieme che aiuta a mettere in evidenza gli usi e costumi della diverse tradizioni
religiose che coesistono in questo sterminato paese.
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II.1 L’induismo di Sudha
Figura 1. “ Sudha”
Sudha ha trentaquattro anni, vive a Mysore da sempre e le sue giornate
trascorrono tranquille nella routine immutabile che accomuna molte donne
indiane.
Ci siamo incontrate per caso nel mercato locale della città; senza rendermene
conto la stavo fissando da qualche minuto, come affascinata da quelle movenze
così eleganti e discrete che al posto di renderla una tra le tante la facevano brillare
di luce propria.
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Notò la mia indiscrezione, ma al posto di fuggire timidamente al mio sguardo, mi
chiede di parlarle: di me, del mio paese e del motivo che mi ha spinta fino in
India.
Dopo aver svolto le sue commissioni accetta di spendere il pomeriggio con me
nel tentativo di mostrarmi cosa vuol dire “essere hindu”: prepariamo del chai,
chapati, parota e mi svela la ricetta di un inedito pollo al curry.
“ Tutto ciò che esiste rientra in una scala gerarchica” così la donna dal sari a fiori
inizia a illustrarmi la via per percorrere il labirinto delle credenze hindu.
La visione del cosmo è piramidale e molto rigida:
1. DIVINITà
2. ESSERI UMANI
3. ANIMALI
4. VEGETALI
Ognuno di questi gradini al suo interno è suddiviso in caste che anticamente
avevano un valore giuridico, andato perduto nel 1947 in seguito a specifici
provvedimenti della Costituzione.
Il sistema di casta era classificato secondo il varna, il colore rappresentativo di
appartenenza a uno dei cinque gruppi:
1. BRAHMANI, detti anche bramini, sono simboleggiati dal colore bianco che
rimanda alla purezza e alla luce spirituale (età dell‟oro). La loro vocazione li ha
condotti alla vita religiosa, per questo le figure emblematiche sono sacerdoti,
studiosi di testi sacri e predicatori della parola esoterica tramandata oralmente da
secoli. Il metallo simbolico è l‟oro poiché mantiene sempre le sue qualità peculiari
senza corrompersi nel tempo.
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2. KSHATRIYA, guerrieri e governanti il cui colore è il rosso a proposito del calore
e all‟espansione (età dell‟argento). Sono subordinati alla casta dei brahmani e
assolvono funzioni riguardanti il governo per unire cielo e terra in accordo con i
principi spirituali.
3. VAISHYA, individui che assolvono funzioni industriali e commerciali il cui
colore è giallo scuro tendente al marrone (età del bronzo). Questa è la casta che
provvede alle contingenze, ogni tipo di professione, arte o mestiere che
contribuisce a rendere possibile la vita dell‟uomo; dall‟agricoltura,
all‟allevamento e al commercio.
4. SHUDRA, gli antichi servitori e moderni lavoratori che si dedicano alle
occupazioni prettamente manuali e pesanti, il colore che li rappresenta è il nero
(età del ferro). Questi individui sono legati alla vita delle apparenze, delle
emozioni e della sensibilità.
5. PARìA, meglio conosciuti come intoccabili, sono quella casta fuori-casta che
comprende individui dediti a mansioni ritenute assolutamente impure come gli
addetti alla pulizie delle latrine o delle strade.
Fino a qualche tempo fa gli intoccabili non potevano sfiorare nemmeno con la
propria ombra persone appartenenti a caste superiori, pena inevitabile la morte.
La casta è uno strato sociale chiuso sia verso l'esterno, cioè i membri di una casta
sono i soli a poter svolgere attività lavorative e religiose connesse a quella casta;
che verso l'interno, nel senso che i membri della medesima casta non sono uguali
tra di loro, fino al punto da assegnare a ogni membro determinate possibilità e
compiti rigorosi.
Di una casta si fa parte per nascita e si è vincolati a essa anche nella scelta del
partner matrimoniale, oltre che nella specializzazione lavorativa ereditaria.
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Ogni gruppo, infatti, è vincolato a uno o più mestieri, trasmessi ereditariamente.
E' esclusa in via di principio qualsiasi mobilità intercastale e, in aree rurali, è
ancora frequente una distribuzione spaziale tra caste diverse all'interno di uno
stesso villaggio, con quartieri e pozzi separati.
Nel corso degli anni questo sistema ha fatto emergere numerose discriminazioni e
lotte di rivendicazione da parte delle caste più basse, sintomo di un immobilismo
sociale di vastissima portata.
Ogni casta ha il proprio dharma, ossia una serie di doveri da compiere; si tratta di
preghiere, servizi nei confronti della comunità, di dominio delle proprie passioni.
La casta nella quale un individuo nasce non è una scelta, ma il risultato delle sue
azioni in una vita precedente e pertanto ritenuta giusta perché vista come
“espiazione” o “premio” delle azioni passate.
A questi concetti si ricollega facilmente la legge del karma che giustifica la
pacifica accettazione di ogni destino giacché considerato come uno stato
provvisorio nel lungo iter del samsara, ossia il ciclo di rinascite dovuto alla
trasmigrazione delle anime.
Sudha ci conferma che il sistema castale è stato abolito, ma i privilegi e le
restrizioni relativi ai diversi gruppi continuano a gravare sulla popolazione
indiana.
Se i confini netti tra le cinque caste sono sfumati negli anni, oggi la società
indiana continua a distinguere tra una classe alta, ricca e benestante e una infima, i
famosi dalit che rimangono gli intoccabili di sempre.
La giovane indiana fa parte della classe alta, proviene da una famiglia benestante
che le ha permesso di studiare e vivere relativamente al passo con i tempi, indiani
ovviamente, senza farle mai mancare nulla.
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Sorridendo, più tardi capirò il motivo, mi dice che oggi è madre di due figli
maschi e zia di una piccola indiana, il marito lavora in un albergo al centro di
Mysore e tutta la famiglia è dedita al culto di Shiva.
In India si crede in milioni di divinità che possono assumere qualsiasi forma;
animali, uomini, alberi..
“A ogni elemento presente in natura può essere conferito il titolo di divinità “
questo spiega anche la credenza incondizionata in maestri di vita come la famosa
Amma che dona la consapevolezza di sé con un solo abbraccio o la venerazione di
alberi ritenuti portatori di verità.
A mettere ordine in questo panorama caotico e vario troviamo però tre principali
filoni religiosi Hindu:
1. VAISHNAVA, il culto di Visnu suprema divinità solare
2. SHIVA, culto del benefico del dio in cui si compendiano le esperienze opposte
dell‟uomo
3. SHAKTA, culto di Devi, madre divina dell‟universo considerata energia creatrice
(sakty) e aspetto dinamico della divinità
Sudha mi spiega che i culti della stessa divinità possono essere vissuti in modi
molto diversi per questo è impossibile mettere in evidenza una concezione
univoca dei tre filoni religiosi. In linea generale Shiva è concepito come il
distruttore e il restauratore, il primo degli asceti e il simbolo della sfrenata
sensualità che turba le mogli degli asceti della foresta, è un benevolo pastore di
anime e un pericoloso tentatore; è l'infanticida che uccide il figlio che la moglie
Parvati ha creato dagli umori del proprio corpo, ma è anche quello che lo risuscita
una volta compreso l'errore, donandogli al testa di elefante e così la sapienza.
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Ogni mattina Sudha si reca davanti all‟idolo di Shiva venerato sotto forma di
lingam nel centro della casa, dispone i bastoncini d'incenso profumato, accende
delle piccole candele e sussurra delle preghiere in onore del Dio.
Dopo il rituale, la giovane donna applica tra le sopracciglia il bindi, in
corrispondenza di uno dei due chakra (il primo nel mezzo della fronte corrisponde
al famoso terzo occhio) che simboleggia l‟intelligenza astratta oltre
all‟appartenenza alla religione induista. Tradizionalmente il bindi è fatto con una
polvere colorata che si applica con le dita, detta kumkum di colore rossastro, ma
si sono poi aggiunte le versioni commerciali adesive di ogni colore e forma, con
elementi dorati e pietruzze. Un altro elemento interessante è il sindoor, una
polvere rossa come il kumkum, ma di composizione chimica diversa che si
applica nella riga in mezzo ai capelli ed è simbolo dello status di donna sposata.
Sempre legato al matrimonio è il tikka, una catenina fissata ai capelli con un
piccolo uncino che termina nel centro della fronte con un pendente che
simboleggia il terzo occhio; viene indossato dalle donne durante il primo anno di
matrimonio o per occasioni speciali. Per concludere Sudha mi ricorda il tilak, un
segno fatto sulla fronte con le dita utilizzando polveri colorate la cui forma varia
in relazione alla tradizione induista di riferimento. Il tilak è un segno prettamente
religioso, pertanto non ha nulla a che fare con le mode e l‟abbigliamento
femminile; viene portato da donne e uomini nelle festività religiose, o da alcuni
anche ogni giorno, secondo le tradizioni locali. Inoltre, un sacerdote applica il
tilak a chi entra in un tempio come segno di benedizione della divinità.
Quando chiedo a Sudha di descrivermi la sua vita quotidiana, prontamente mi
indica la cucina e pronuncia una frase che io assumerei come emblema della
comune condizione femminile in India “ .. Che tu possa essere madre di un
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centinaio di figli maschi” tipica formula di augurio e benedizione pronunciata in
occasione dei matrimoni indiani. Sudha non lavora, il suo dovere consiste nel
prendersi cura del piccolo nucleo familiare e svolgere le occupazioni domestiche
che la impegnano quotidianamente.
Come la maggior parte delle donne indiane, il suo matrimonio è stato combinato
dalle famiglie degli sposi, sempre tenendo presenti i vincoli imposti dal sistema
castale, in base alla convenienza.
Il 90% dei matrimoni in India sono tuttora degli “affari”, i legami d‟amore
ricoprono una piccola percentuale che riguarda, come li definisce la mia
interlocutrice, i più coraggiosi che osano contrastare la volontà dei propri genitori
per seguire quella che per noi è una naturale passione. Il fattore che più incide nei
legami matrimoniali tra due individui è sicuramente la dote, una somma di denaro
che la famiglia della sposa mette a disposizione per la futura unione.
La donna quindi, fin da bambina, ricopre una posizione disagiata che si traduce in
un ingente dispendio di denaro al momento del matrimonio: avere figli maschi
risulta una necessità, per questo motivo il tasso di infanticidio femminile è molto
alto e, solo ora, comprendo anche il significato della frase di augurio pronunciata
durante la cerimonia. La dote può rivelarsi anche un‟arma letale e silenziosa che
genera quelle che vengono chiamate appunto ”morti per dote”.
In certi casi la cucina domestica può passare dal regno in cui la donna è la regina a
una vera e propria trappola; non capita raramente che un uomo uccida la moglie
simulando un incidente domestico per avere la possibilità di combinare un altro
matrimonio e rinnovare la dote. Anche se la situazione indiana sembra progredire
e migliorare certe tragedie rimangono parte integrante del patrimonio culturale
che, giusto e sbagliato che sia, produce migliaia di vittime ogni anno. Sudha è una