2
alternative non solo nelle ipotesi ab inizio,
prevedendone ad esempio l’accesso ai condannati con
pene detentive fino a tre o quattro anni, ma anche
nel caso d’istanza proposta successivamente
all’inizio dell’esecuzione.
Lo scopo di questa legge è quello di garantire
l'eguaglianza dei soggetti in sede d’esecuzione di
pena, in particolare concedendo a tutti la possibilità
di ottenere la sospensione della pena. Con la
sospensione della pena vengono adottate le misure
alternative alla detenzione : a)affidamento in prova
al servizio sociale, b)affidamento in prova per
tossico dipendenti e alcooldipendenti, c)affidamento
in prova del condannato militare, d)liberazione
condizionale, e)semilibertà, f)detenzione
domiciliare, g)semidetenzione.
Nel 1890 assistiamo alla nascita di un codice di
impronta illuministica ,nel sistema delle pene, oltre
all'abolizione della pena di morte, si distingueva tra
detenzione e reclusione regolando quest'ultima
secondo i principi dell'esecuzione progressiva e in
funzione della rieducazione ed emenda del
condannato.
Nel 1925, il ministro Rocco presentò un disegno di
legge per la delegazione al governo "...della facoltà
di modificare" la legislazione in materia penale.
L'idea di fondo del nuovo codice consisteva da un
lato, in una maggiore severità contro la delinquenza
in nome della difesa dello Stato e degli interessi
individuali e collettivi ritenuti da questo meritevoli
di tutela, dall'altro, nell' introduzione di nuovi
istituti considerati più moderni e adeguati alla
prevenzione del delitto, come le misure di sicurezza.
3
Si ha l'introduzione delle misure di sicurezza
accanto alla tradizionale pena retributiva fissa nel
suo ammontare e proporzionata alla gravità del
reato,e le misure di sicurezza. Infine il discorso si
conclude con il concetto rieducativo della pena e la
condizione dei condannati che scontano la pena in un
penitenziario e quelli invece che usufruiscono di
misure alternative alla detenzione che prima degli
altri hanno la possibilità di reintegrarsi nella
società.
4
CAPITOLO I
EVOLUZIONE STORICA DELL’ESECUZIONE PENALE
1.1. CENNI STORICI
Il carcere come luogo di pena viene visto come un
dato naturale: chi commette un reato deve scontare la
pena passando un certo periodo della sua vita
rinchiuso dentro uno spazio istituzionale definito
"carcere". Eppure questo, come strumento di
esecuzione della pena, è una creazione relativamente
recente. Nel medioevo la prigione era solo un luogo
dove veniva custodito l'imputato in attesa del
processo .
1
In un sistema di produzione pre-
capitalistico il carcere come pena non esiste; questa
affermazione è storicamente verificabile con
l'avvertenza che ad essere ignorato non è tanto il
carcere come istituzione, quanto la pena
dell'internamento come privazione della libertà. Per
la società feudale si può correttamente parlare di
carcere preventivo e di carcere per debiti, ma non si
può altrettanto correttamente affermare che la
semplice privazione della libertà, protratta per un
periodo determinato di tempo e non accompagnata da
alcuna sofferenza ulteriore, fosse conosciuta e
quindi prevista come pena autonoma e ordinaria.
2
La
pena vera e propria consisteva in qualche cosa di
essenzialmente diverso dalla sola privazione della
libertà; la pena era rappresentata da una somma di
denaro, da una sofferenza fisica, dall'esilio, dalla
gogna, dalla morte. È solo a partire dal seicento che
queste punizioni
1
Fassone,La pena detentiva in Italia dall’Ottocento alla riforma penitenziaria,Mulino ,Bologna,1980
2
Melossi,Patarini.Carcere e Fabbrica.Le origini del sistema penitenziario.Mulino,Bologna,1972
5
cominciano ad essere sostituite dal carcere che
lentamente si affermerà come l'unica pena. Tra la
fine del settecento e i primi dell'ottocento, sotto la
spinta del pensiero illuminista, si compiono i primi
passi verso l'umanizzazione della pena e
nell'esecuzione penale emerge il ruolo della
detenzione in sostituzione delle pene corporali.Con
l'avvio del processo di accumulazione capitalistico,
e quindi con una nuova visione della vita basata
sulla laboriosità, si è potuto assistere ad una
evoluzione del concetto di pena, che ha interessato
in modo particolare tutti quegli individui
appartenenti alla classe dei "non occupati":
vagabondi, mendicanti e prostitute. Verso questi
soggetti, all'inizio del XVI secolo si era sviluppata
una legislazione fortemente repressiva caratterizzata
da durissime pene corporali.
3
Successivamente
compare dunque un nuovo elemento che va ad
arricchire il concetto di pena: la rieducazione. La
componente punitiva, tuttavia, resta pur sempre la
caratteristica principale della pena: lo dimostrano le
pessime condizioni di vita all'interno di questi
istituti e i principi su cui si basavano la disciplina e
il lavoro.
Nel XVIII secolo, la figura del "povero" da soggetto
non rispondente ai valori del tempo, diventa
individuo socialmente pericoloso con la conseguente
scomparsa della componente rieducativa all'interno
del concetto di pena. Il carcere abbandona la logica
del lavoro e della disciplina come strumento di
rieducazione e si concentra su attività di carattere
afflittivo, attraverso la segregazione e la
reintroduzione delle pene corporali.
3
Mantovani,op,cit.pag.764
6
A partire dal XIX secolo, in Europa le prigioni
diventano la norma: costante di questi istituti è
l'impronta rieducativa fondata sulla solitudine,
sull'isolamento, sul lavoro forzato, sull'umiliazione
e sull'indottrinamento religioso.
4
Originariamente mero strumento di custodia
dell'imputato, il carcere ha visto modificata nel
tempo la sua funzione. Numerose sono le posizioni a
proposito della funzione della pena carceraria,
spesso fra loro discordanti. Innanzi tutto la
comprensione del significato della pena,ad un primo
livello la pena si presenta come coercizione
applicata e sofferenza inflitta al colpevole del reato;
ad un secondo livello invece la pena assume il
significato a seconda della funzione che le si
attribuisce. In base al primo livello la pena è intesa
come sanzione criminale irrogata dall'autorità
giudiziaria mediante un regolare processo, essa
presenta il carattere dell’afflittività: il castigo
inflitto a colui che ha violato la legge .In base al
secondo livello la pena assume un diverso significato
a seconda degli effetti che essa produce ed in vista
dei quali essa è adottata dallo Stato. Le teorie sulla
funzione della pena tradizionalmente vengono
distinte in assolute e relative. Sono dette assolute
quelle dottrine retributivistiche, secondo le quali si
punisce quia peccatum est, e cioè perché è stato
commesso un delitto; sono invece teorie relative
tutte le dottrine utilitaristiche per le quali si
punisce ne peccetur, vale
a dire, per impedire che nel futuro si commettano
altri delitti. Secondo le prime la pena trova la
4
E. Fassone, La pena detentiva in Italia dall'Ottocento alla riforma penitenziaria, Mulino, Bologna, 1980
7
ragione in se stessa; per le altre è un mezzo per
conseguire uno scopo estrinseco, e precisamente il
bene della società.
5
Da necessario strumento di
controllo e di recupero di soggetti pericolosi, il
carcere è divenuto sempre di più la pena per
eccellenza in cui il condannato viene abbandonato a
se stesso, senza che nulla possa modificare il suo
stato. Ci si chiede quali siano le sue reali finalità
penali, quali effetti fisici e psichici produca sui
detenuti, quale sia il suo rapporto con una società in
rapido cambiamento.
5
E. Fassone, La pena detentiva in Italia dall'800 alla riforma penitenziaria, cit.,
8
1.2.CODICE ZANARDELLI
La scelta del termine "esecuzione penale" è
ricompresa esclusivamente nei titoli relativi alla
«esecuzione delle sentenze» e alla «esecuzione della
condanna al confino».
6
Un Libro dedicato esclusivamente all'esecuzione
penale lo troviamo, per la prima volta, nel Codice di
procedura penale del 1913, al Libro IV. All'interno
di tale Libro, intitolato «Della esecuzione e di
alcuni procedimenti speciali», vengono distinte due
parti: l'una riguardante «l'esecuzione per gli effetti
penali»; l'altra riguardante «l'esecuzione per gli
effetti civili». È, quindi, solo da questo momento
che può parlarsi correttamente di "esecuzione
penale". Relativamente alla codificazione post-
unitaria, è necessario dire che si affermarono, nella
seconda metà del XIX secolo, soprattutto nell'Europa
continentale, due opposte scuole di pensiero
criminalistico: la Scuola classica e la Scuola
positiva. La prima si sviluppò nell'ambito della
situazione politico-culturale creata dall'illuminismo,
e sosteneva il libero arbitrio dell'uomo, e quindi la
sua responsabilità morale, e di conseguenza una
concezione etico-retributiva della pena (che doveva
essere afflittiva, personale, proporzionata,
determinata e inderogabile).Espressione del pensiero
della Scuola classica fu il Codice penale (Zanardelli)
del 1890, cui seguì il Regolamento del 1891.
7
La
mancanza di novità fu forse determinata sia dal
carattere conservatore dell'Italia post-unitaria nei
suoi primi anni di vita (ancora molto legata ad una
6
. Garofali, "Il controllo sull'esecuzione penale nei suoi precedenti storici", in Rassegna di studi penitenziari, 2, 1977,
p. 227.
9
società agricolo-terriera), sia alle mutate condizioni
degli ultimi anni del secolo. Inoltre, dal punto di
vista delle teorie criminalistiche, forse un altro
elemento di freno fu l'affermarsi, in netta
contrapposizione alla Scuola classica, della Scuola
positiva. Tale scuola di pensiero affermava la
pericolosità sociale del soggetto deviante, che
doveva, quindi, essere sottoposto a «misure
utilitaristiche di difesa sociale (misure di sicurezza)
volte a prevenire ulteriori manifestazioni criminose
mediante (il loro) l'allontanamento dalla società, e
nei limiti del possibile, il (loro) riadattamento alla
vita sociale»).
Il più grande merito della Scuola positiva fu quello
di spostare l'attenzione dal fatto all'agente, dal
reato al criminale, e quindi di aver posto l'accento
sulla personalità del soggetto.
Il primo codice risale all'epoca dell'Italia unita noto
come Codice Zanardelli (dal nome del ministro della
giustizia che fu proponente dell'ultimo progetto
trasformato poi in codice), nonostante una certa
modernità, nonostante l'equilibrio complessivo dato
dall'insieme delle sue disposizioni, era un codice che
nasceva già vecchio, non in grado di soddisfare le
istanze di riforma che provenivano dalla Scuola
positiva
8
.
Nel sistema delle pene, oltre all'abolizione della
pena di morte, si distingueva tra detenzione e
reclusione regolando quest'ultima secondo i principi
dell'esecuzione progressiva e in funzione della
7
Beccarla,Dei delitti e delle pene,a cura di A.Bugio,Feltrinelli ed.,Milano 2004
8
Ghisalberti,La codificazione del diritto in Italia(1865-1942),ed.Laterza,Bari,2000
10
rieducazione ed emenda del condannato
9
.Il Codice
Zanardelli era accusato di aver tenuto poco conto del
soggetto attivo del reato e delle esigenze di
prevenzione dovute alla sua personalità; non vi era,
infatti, una tipologia delinquenziale, mancava un
sistema di misure che tenesse conto della
pericolosità del reo. Sul piano processuale rilievo
dava la posizione degli imputati economicamente più
deboli per come godessero di minore tutela in
termini di difesa sia di fronte ai maggiori poteri
concessi al pubblico ministero sia in materia di
libertà personale. La detenzione finiva in molti casi
col divenire così una carcerazione a tempo
indeterminato. Con i profondi mutamenti politici che
sopraggiunsero poco dopo, permisero al fascismo
l’elaborazione di un nuovo codice penale cui si
aggiunse l'ambizione, tipicamente dittatoriale, di dar
vita ad una produzione codicistica propria, che fosse
espressione del nuovo regime instaurato.
10
9
S.Moccia,I codici pre-unitari e il codice Zanardelli,Padova,1993
10
Beccarla,Dei delitti e delle pene,a cura di A.Bugio,Feltrinelli ed.,Milano 2004
11
1.3.PRINCIPI COSTITUZIONALI
La Costituzione Italiana detta in materia di pene
alcuni principi fondamentali.
Il principio di legalità sancito dall'art. 25, ovvero il
divieto di irrogare una sanzione penale diversa da
quella espressamente prevista dalla legge per un
determinato reato e in un'entità diversa rispetto ai
minimi e ai massimi edittali. L'articolo 25 della
Costituzione, affermando in maniera esplicita la
riserva di legge in materia penale, sancisce il
principio costituzionale di legalità: del reato, perché
non si può essere puniti se non per un fatto previsto
dalla legge come reato; della pena, perché questa
deve essere inflitta in forza di legge e quindi deve
essere certa, nella specie e nella quantità secondo il
tenore edittale, prima della commissione del reato;
della misura di sicurezza, che si applica in aggiunta
o in alternativa alla pena in senso stretto sulla base
dell'accertamento della pericolosità sociale
dell'autore del fatto, soltanto nei casi previsti dalla
legge .
11
La pena è personalissima, essa colpisce
soltanto l'autore del reato e non i suoi parenti e
figli. Questo principio enuncia innanzi tutto il
divieto di responsabilità penale per fatto altrui, il
che equivale all'affermazione che ciascuno può
essere punito soltanto per un fatto proprio previsto
dalla legge come reato. Il carattere personale della
pena ha portato all'abolizione di alcune sanzioni che
si ripercuotevano direttamente sui congiunti del reo,
come la confisca del patrimonio. A differenza di
quanto avveniva nel passato, la pena si estingue con
la morte del reo.
11
F. Ramacci, Istituzioni di diritto penale, seconda edizione, Giappichelli, Torino, 1992, pag. 22.
12
Lo stesso articolo 27 della Costituzione, al terzo
comma, fissa il principio di umanizzazione della
pena: "Le pene non possono consistere in trattamenti
contrari al senso di umanità". La Costituzione con
questo articolo ha inteso bandire ogni trattamento
disumano e crudele che non sia inscindibilmente
connesso alla restrizione della libertà personale.
12
Come corollario del principio di umanizzazione,
nello stesso art. 27 della Costituzione è
espressamente escluso il ricorso alla pena di morte.
Altro principio costituzionalizzato, è quello della
necessità della pena: questa è considerata un
elemento garantista del nostro sistema giuridico e
perciò stesso non sostituibile. L'abolizione, perciò,
dovrebbe considerarsi incostituzionale. Pertanto,
finché la Costituzione fonda il nostro diritto penale
sul principio di responsabilità individuale, è
possibile parlare di sanzioni alternative non alla
pena in generale, ma soltanto alla pena detentiva.
La pena è proporzionata al reato. Il principio di
proporzionalità della pena è stabilito dagli articoli 3
e 27, primo e terzo comma, della Costituzione che
impongono rispettivamente il trattamento
differenziato delle singole situazioni diverse e
l'ineludibile giustizia della pena, intrinseca al
carattere personale della responsabilità e
presupposto dell'azione rieducatrice della pena
13
.
L'articolo 27 della Costituzione enunciando "Le pene
(...) devono tendere alla rieducazione del
condannato" sancisce il principio del finalismo
rieducativo della pena. Circa il concetto di
12
F. Mantovani, Diritto penale, parte generale, IV ed., Cedam, Padova, 2001
13
F. Mantovani, Diritto penale, parte generale, IV ed., Cedam, Padova, 2001
13
rieducazione, esso non può essere identificato con il
pentimento interiore, l'emenda morale, spirituale,
astrattamente possibile con qualsiasi pena ed in
qualsiasi condizione carceraria. Ma viene inteso
come concetto di relazione, rapportabile alla vita
sociale e che presuppone un ritorno del soggetto
nella comunità
Secondo Antolisei,
14
rieducare il condannato significa
riattivare il rispetto dei valori fondamentali della
vita sociale; rieducazione non può essere intesa se
non come sinonimo di "recupero sociale", di
"reinserimento sociale", di "risocializzazione".
Nel 1947 fu approvato il testo definitivo della
Costituzione, elaborato dalla "Commissione dei
settantacinque", promulgato da Enrico De Nicola ed
entrato in vigore il primo gennaio del 1948.
Nella sua dizione attuale l'articolo 27, terzo comma,
della Costituzione recita: "le pene non possono
consistere in trattamenti contrari al senso di umanità
e devono tendere alla rieducazione del
condannato".Non possono istituirsi pene crudeli né
irrogarsi sanzioni collettive".
"Tendere" non significa realizzare necessariamente,
ma fare il possibile per realizzare la rieducazione
stessa. Per il rispetto della libertà morale e della
dignità dell'uomo il procedimento di
risocializzazione non può essere imposto ma soltanto
favorito: la pena tende, non costringe alla
rieducazione
15
. L'esecuzione delle pene sulla base del
principio costituzionale della rieducazione
costituisce per lo Stato un dovere di carattere etico,
14
F. Mantovani, Diritto penale, parte generale, IV ed., Cedam, Padova, 2001
14
la cui violazione implicherebbe la negazione di un
imperativo categorico che legittimerebbe
l'inosservanza dei precetti. Tuttavia non è
un'impresa facile combinare carcere e rieducazione.
Bisognerà aspettare le pronunce della Corte
Costituzionale del '74 e soprattutto l'Ordinamento
penitenziario del 1975 per chiarire il significato e la
portata del principio rieducativo, fino ad allora la
prospettiva di una umanizzazione della pena ed il
fine rieducativo a cui essa deve tendere si limitarono
ad una più attenta considerazione delle condizioni
materiali dei detenuti e delle loro sofferenze.
Il principio del finalismo rieducativo della pena
pone interrogativi di legittimità costituzionale per
taluni tipi di pena.
Particolarmente controverso è il problema della
compatibilità dell'ergastolo con i principi della
Costituzione, ed in particolar modo con il principio
di rieducazione sancito dall'articolo 27, comma
terzo, della Costituzione. Se per rieducazione
s'intende acquisizione della capacità di vivere
nell'ambiente sociale e non già pentimento interiore
del colpevole, non si comprende come siffatto
obiettivo possa essere conseguito attraverso una pena
perpetua.
Questo interrogativo viene tradotto in eccezione di
incostituzionalità solo agli inizi degli anni
settanta.
16
La Corte Costituzionale con la sentenza 22
novembre del 1974, n. 264 ha ritenuto legittimo
l'ergastolo; movendo dalla concezione
"polifunzionale" della pena ha affermato che la
15
G. Zuccalà, Della rieducazione del condannato nell'ordinamento positivo italiano, cit.
16
Corte di Assise di Verona, ordinanza 11 marzo, in Giurisprudenza Costituzionale, 1972, pag. 1808.
15
"funzione della pena non è certo il solo
riadattamento dei delinquenti, (...) non vi è dubbio
che dissuasione, prevenzione, difesa sociale, stiano,
non meno della sperata emenda, alla radice della
pena".
Indipendentemente dal carattere polifunzionale della
pena, sostenuto dalla Corte, va riconosciuto che, il
forte contrasto tra il finalismo rieducativo e la pena
perpetua, si è notevolmente ridimensionato con
l'ammissione degli ergastolani alla liberazione
condizionale avvenuto con l'entrata in vigore della
legge 25 novembre 1962, n. 1634. La concessione di
tale beneficio, in presenza di un accertato
ravvedimento, è da ritenersi "dovuta" a seguito della
giurisdizionalizzazione dell'istituto avvenuta con la
sentenza n. 204 del 1974.
17
Con la sentenza n. 204 del 4 luglio 1974 la Corte ha
ribadito il diritto del condannato "... a che,
verificandosi le condizioni poste dalla norma di
diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione
della pretesa punitiva venga riesaminato al fine di
accertare se in effetti la quantità di pena espiata
abbia o meno assolto positivamente al suo fine
rieducativo".
La dottrina
18
ritiene che la posizione adottata dal
legislatore sia il più corretto, e vale a dire
mantenimento dell'ergastolo e ammissione degli
ergastolani alla liberazione condizionale:
17
Corte Costituzionale, 22 novembre 1974, n. 274, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 1976, pag. 262 con nota di M. Pavarini,
La Corte costituzionale di fronte al problema penitenziario: un primo approccio in tema di lavoro carcerario
18
P. Nuvolone, Il problema della rieducazione del condannato, in AA.VV., Sul problema della rieducazione del
condannato, Atti del II convegno di diritto penale, Cedam, Bressanone, 1963, pag. 355.