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Capitolo 1 - Lo snowboard
1.1 Generalità
In questo capitolo si descriveranno le caratteristiche principali dello snowboarding, con
riferimento alla variante adattata di questo sport, oggetto del lavoro di tesi.
Lo snowboarding, conosciuto in Italia piø semplicemente come snowboard, è uno sport di
scivolamento su neve, nato negli anni '60 negli Stati Uniti. Lo si pratica utilizzando una tavola
costruita a partire da un'anima di legno e provvista di lamine e soletta in materiale sintetico
simili a quelle dello sci.
Lo snowboarding è divenuto disciplina olimpica nel 1998. Ai Giochi olimpici invernali del
2006 si sono disputate anche le gare di snowboardcross, sia maschile che femminile.
1.2 Storia
Si narra che già negli anni '20 qualcuno sulle Alpi avesse provato a montare su una strana
tavola restandovi temerariamente in equilibrio durante la discesa verso valle. Pare che anche
gli Slavi si lanciassero lungo i pendii disponendosi trasversalmente su degli sci piuttosto
larghi e lunghi.
Non rimangono però testimonianze certe di questi esperimenti che comunque non ebbero un
seguito. La vera patria dello snowboard invece sono certamente gli Stati Uniti.
La storia comincia nel 1963 nel Michigan quando il signor Sherman Popper, per far giocare i
suoi bambini incollò assieme due sci con l'idea di riprodurre un attrezzo simile al monosci che
stava già diffondendosi tra gli sciatori piø pazzi. Il signor Popper s'avvide però che i suoi
ragazzi si disponevano di traverso sulla tavola, questo fatto gli fece subito venire in mente la
stretta analogia di questa posizione con quella del surfista da onda e battezzò il modello che
derivò da queste riflessioni "Snurfer".
Esso fu ottenuto elaborando un surf da onda assemblandovi dei bordi metallici e progettando
un apposito attacco. Questo intraprendente inventore registrò il nome e cedette i diritti alla
ditta Brunswick che incominciò a produrre in serie lo Snurfer vendendone alquanti modelli.
Queste tavole giallo-nere di legno compensato fecero il giro degli Stati Uniti ed una di esse
arrivò tra le mani di Jack Burton Carpenter che, allora quattordicenne, cominciò ad elaborare
lo Snurfer per migliorare le sue prestazioni agonistiche. Burton proveniva dalla scuola dei
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surfisti d'onda e incominciò a produrre surf da neve nel 1977. Questi modelli somigliavano
molto allo Snurfer di Popper; si diversificavano un po' per il fatto che essi erano stretti come
un monosci, costruiti di legno di acero laminato, con gli attacchi di gomma regolabili e muniti
di una superficie antisdrucciolo.
Un ingegnere di New York, D. Milovitch, anch'egli ispirato dal surf d'onda, fabbricò alcuni
evoluti prototipi di tavole da neve e registrò il brevetto di queste soprannominandole
"Winterstick".
Le tavole di Milovitch furono costruite dapprima in legno resinato, ma la loro fragilità
consigliò di fabbricarle con un'anima schiumata racchiusa tra laminati in fibra di vetro e con
base in PTEX
Le enormi spese a cui andò incontro Milovitch per produrre tali sticks non furono
ricompensate altro che da una unanime positiva critica.
Purtroppo il costo di tali tavole si rivelò troppo alto per invogliare le masse a gettarsi
nell'avventura dello snowboard. Vi fu un terzo pioniere della produzione di snowboard, e
risponde al nome di Tom Sims. Quest'ultimo fu commercialmente avvantaggiato rispetto ai
suoi colleghi perchØ egli già produceva Skate-boardes e tavole da onda. Egli cominciò col
produrre lo Ski-boardes che era sostanzialmente una tavola di plastica sagomata incollata ad
una base da skate. Piø avanti Sims si mise a produrre una tavola in fibra piuttosto simile al
Winterstick, con la differenza che questa era munita di una pinna centrale di alluminio
flessibile. Anche Sims vendette poche tavole, ma non si diede per vinto e cominciò a
sperimentare legno e lamine. Sagomò la tavola ispirandosi come forma al monosci,
mantenendola però piø stretta e meno sciancrata L'attacco era costituito da una doppia cinghia
in gomma detta Leash. La costruzione di questo modello fece nascere una forte polemica con
Jack Burton che accusò Sims di aver copiato i suoi già affermati snowboard. Con queste sue
tavole Sims vinse il primo campionato mondiale svoltosi nel Colorado durante la primavera
del 1981. I successi agonistici, come sempre accade, furono di supporto per quelli economici.
Lo snowboard stava per conquistare le masse. Questi modelli dell'inizio degli anni ottanta
sono però lontani dai modelli degli anni novanta: essi erano scarsissimamente flessibili, poco
resistenti alla torsione, la posizione dei piedi era eccessivamente arretrata, e troppo distanziata
tra di loro; su queste tavole in definitiva si doveva lavorare ancora parecchio per migliorarne
le prestazioni.
Per la verità durante gli anni settanta vi era già stato chi dello snowboard sembrava aver
capito molto, va ricordato a questo proposito Robert C. Weber, ideatore statunitense di
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snowboard tanto geniale quanto sfortunato. Il suo progetto di snowboard, brevettato nel
giugno del 1973 e descritto nei minimi particolari con dovizia di schizzi e disegni, precorre il
progetto di uno snowboard di ottimo livello degli anni novanta in quanto vi Ø indovinata la
distribuzione delle masse, la sciancratura, la posizione dei piedi, l'angolazione di questi
rispetto all'asse della tavola, la cui asimmetria ricorda molto da vicino quella delle odierne
tavole da competizione.
Il progetto di Weber era perciò quello di un ottimo snowboard dell'ultima generazione, ma
purtroppo non ebbe successo perchØ l'ideatore non trovò nessuno che lo aiutasse a metterlo in
produzione.
Questo fu un vero peccato perchØ, se fosse andata altrimenti, lo snowboard si troverebbe oggi
vent'anni piø avanti.
Quelli che fecero una vera fortuna vendendo gli snowboard furono Sims e Burton che, dopo il
primo periodo già citato di tentativi falliti, incominciarono a puntare gli occhi sul vastissimo
mercato europeo, che nel frattempo soprattutto nelle località turistico-invernali della Francia
dove, nel frattempo, aveva riscosso un buon successo la pratica del monosci.
I produttori statunitensi ebbero l'intelligenza e la lungimiranza di far commercializzare in
Europa i propri modelli dalle grosse industrie produttrici di sci europee, le quali sfruttando gli
avanzatissimi processi tecnologici ed i macchinari a loro disposizione, riuscirono anche a
migliorarne sempre piø la qualità quando non anche la sostanza (le tavole NITRO per
esempio sono costruite dalla ditta di sci Volkl).
Inoltre, come era già accaduto per lo sci alpino, se gli europei si dimostrarono ancora una
volta lenti a recepire le novità, una volta che essi si interessarono al fenomeno snowboard, si
gettarono subito alla ricerca di valorizzare al massimo questo fenomeno.
Si pensi all'eccezionale incremento sia del numero di manifestazioni agonistiche, che del
livello tecnico raggiunto dai concorrenti, oppure al fenomeno nascente dello Snowboard
estremo.
Il francese Bruno Gouvy ha già disceso con la tavola montagne incredibili come la ovest
dell'Eiger, l'est del Cervino, l'Everest e les Groundes Jourasses, e l'italiano Emanuele Dondi
ha, per primo, disceso la nord della Marmolada ed il Cervino dalla parete sud.
Questi uomini, compiendo tali imprese, magari anche criticabili a causa della loro oggettiva
pericolosità e per l'alone di esibizionismo che si portano appresso, hanno il duplice merito di
testare severissimamente il mezzo meccanico, suggerendo alle ditte produttrici le modifiche
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del caso, ed inoltre fungono da eccezionale cassa da risonanza per diffondere il messaggio che
Ø insito nello sciare con lo snowboard.
Una cosa Ø sicura, e cioè che dal rudimentale Snurfer con il quale giocavano i figli del signor
Popper di strada se ne Ø fatta moltissima, resta però certo che non si può nemmeno
immaginare quella che sarà l'evoluzione dello snowboard nel XXI secolo. Lo snowboarding è
diventata disciplina olimpica dal 1998 nei giochi di Nagano, successivamente alla nascita
della Federazione Internazionale dello Snowboarding. Oggi si stima che i praticanti di questo
sport siano in oltre 3,5 milioni.
1.3 I generi
Nello snowboard, come in molti altri sport, esistono varie discipline e vari terreni su cui
venire praticato. Per questo motivo esistono diversi tipi di materiali e varie combinazioni di
attrezzatura piø o meno efficaci rispetto alla disciplina scelta. Le discipline praticabili con lo
snowboard possono essere riassunte in due grandi gruppi a seconda del tipo di attrezzatura
che si possiede:
• Hard (scarponi rigidi e tavole strette per maggiore velocità);
• Soft (scarponi morbidi e tavole simmetriche e larghe per una maggiore elasticità).
Le discipline piø conosciute e diffuse sono legate alla seconda tipologia di attrezzatura:
freestyle, freeride e half-pipe. Il freeride è lo stile piø comune. Fondamentalmente consiste
nello scendere per un declivio innevato con la tavola da snowboard. Questo stile è lo
snowboarding cosiddetto fuori pista quindi in neve fresca.
L'obiettivo del freestyle è di prodursi in salti acrobatici e "figure" usando gli attrezzi a
disposizione (ringhiere, piattaforme ecc...) e la conformazione del terreno. Per la pratica di
questo stile molte stazioni sciistiche mettono a disposizione zone appositamente progettate
dette snowpark. Ha molto in comune con lo skateboard (disciplina dalla quale eredita anche
strutture come l' half-pipe e le ringhiere) e la maggior parte delle competizioni è dedicata a
questo stile.
L'halfpipe è la disciplina nella quale l'atleta si muove lungo le pareti di un fosso
semicilindrico torcendosi in aria per cambiare la direzione del movimento.
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Figura 1.1 Da sinistra: halfpipe, freeriding, freestyle.
Le tavole soft sono per la maggior parte direzionali (ovvero con naso e coda rialzati per
andare anche all'indietro ma con forma di sciancratura asimmetrica) e, come dice la parola
stessa, relativamente morbide. Queste tavole infatti devono flettersi per poter assorbire in
modo ottimale gli impatti con il suolo quando si atterra da un salto, quando si fa un rail o piø
semplicemente quando si curva in pista e devono garantire al tempo stesso un buon controllo
per correggere gli errori durante le manovre.
Per il freeriding e la neve fresca ovviamente si usano queste tavole in quanto con naso e coda
rialzati che permettono una surfata ottimale anche in un metro di polvere!
Ci sono ovviamente tavole piø orientate al freestyle (piø reattive, piø dure, piø precise e con
nose e tail non troppo alti) e tavole piø orientate al freeriding (piø molli, meno reattive e con
nose e tail grandi e alti). BenchØ gli stili siano effettivamente diversi, essi si sovrappongono e
spesso è difficile separare nettamente la pratica dell'uno o dell'altro, specialmente nel caso del
freeride e del freestyle.
Le discipline legate all’utilizzo di attrezzature HARD sono indicate a chi ricerca nella surfata
la tecnica perfetta, l'alta velocità e le curve al limite della conduzione, e sono essenzialmente
3: freecarve (detto anche snowboard alpino), race, e slalom. Lo snowboard alpino è praticato
su neve ben battuta come sulle piste sciistiche. Questo stile richiede scarponi rigidi simili a
quelli utilizzati nello sci alpino e tavole direzionali piø rigide di quelle usate per gli altri stili.
La sua espressione agonistica è lo slalom.
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Figura 1.2 Freecarve
Le tavole hard sono molto diverse da quelle soft. La punta è rialzata mentre la coda è piatta,
il che impedisce l'andatura in switch (cioè all'indietro), la larghezza al centro è molto ridotta
(max 22 cm), la lunghezza totale elevata (esistono tavole oltre i 190 cm) e la loro flessibilità
estremamente ridotta. Lo scarpone hard ha una scarpa esterna in materiale plastico e una
interna dove poter infilare il piede; la parte esterna è molto alta e serve da supporto nelle
curve backside e a facilitare la flessibilità in avanti.
1.4 Tipologie di movimento
L'atleta deve ovviamente essere in grado di mantenere l'equilibrio in posizione eretta e non.
Questo viene reso possibile tramite lo spostamento del baricentro corporeo in modo
opportuno e dai movimenti di flesso-estensione delle articolazioni dell'arto inferiore. Per
quanto riguarda la fase di frenata, questa è ottenuta mediante l'applicazione di una pressione
sotto le dita o sotto il tallone (la tavola nei due casi si sposterà verso destra e verso sinistra,
rispettivamente) e concentrando il peso sulla parte posteriore della tavola. La condizione di
frenata diventa tanto maggiore quanto piø le direzioni dell'asse della tavola e quella del
percorso divengono perpendicolari. Il controllo della pressione serve inoltre a determinare la
velocità di movimento. Il cambiamento di direzione avviene ruotando la parte superiore del
corpo. Nella pratica dello snowboard, il rider può assumere due diverse posizioni, dette
Regular e Goofy. La prima è quella posizione in cui il piede sinistro viene tenuto in
corrispondenza dell'attacco anteriore. In posizione goofy, invece, è il piede destro ad essere
tenuto in corrispondenza dell'attacco anteriore. Di fondamentale importanza sono i movimenti
di rotazione, che possono essere di due differenti tipi: backside e frontside. Viene definita
rotazione backside o heelside quella rotazione che viene compiuta staccando dal dente del
salto offrendo inizialmente la schiena verso la direzione di marcia (o l’atterraggio). Viceversa
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si parla di rotazione frontside o toeside quando staccando dal dente si ruota offrendo
inizialmente la frontalità verso il senso di marcia. Per eseguire una rotazione (qualunque essa
sia) è necessario, in fase di stacco, eseguire una torsione col busto (spalle, braccia e testa), in
modo da imprimere una coppia di forze al corpo che, svincolato dal terreno (in fase aerea),
tenderà a ruotare su se stesso. Da questa iniziale constatazione si capisce facilmente che
maggiore sarà la spinta iniziale, maggiore saranno la forza e la velocità della rotazione, e
quindi la tendenza del corpo di continuare a ruotare.
1.5 Organizzazione
Questo sport, come il surf e lo skateboard, per molti (soprattutto negli USA) viene percepito
non come semplice passatempo, ma come uno stile di vita, intorno al quale ruotano le altre
attività e non viceversa. Spesso si rasenta l'integralismo e ciò ha portato, soprattutto negli anni
novanta grazie alla giovane età media dei praticanti, a scontri e polemiche con il mondo dello
sci e le stazioni sciistiche invernali. Da una parte si criticava lo spazio dedicato agli
snowboarder da parte delle stazioni sciistiche, visto il crescente interesse della gente verso
questo sport, e dall'altra si contrapponeva una certa resistenza nel cambiare le regole e si
percepiva questo nuovo movimento come una specie di invasione degli spazi dedicati agli
sciatori.
Questo si riflette anche nell'organizzazione a livello internazionale, che vede due
organizzazioni contrapposte: la sezione snowboarding della FIS e il circuito TTR (Ticket To
Ride). Il secondo, il vero circuito pro con i nomi piø importanti della scena, organizza
competizioni indipendenti che hanno fatto la storia (quali gli US Open di snowboarding, The
Arctic Challenge, Air&Style) ecc., supportati dalle ditte del settore che, come in tutti gli altri
action sports, sono fondamentali per la vita stessa del movimento. Molti snowboarder non
intendono scendere a compromessi con quella che viene da loro percepita come la vecchia
nomenclatura dello sci alpino, disertando il circuito FIS se non per le qualificazioni alle
Olimpiadi invernali. Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) riconosce solo la FIS perciò
solo i suoi atleti tesserati possono partecipare ai Giochi Olimpici invernali. Molti altri
professionisti rifiutano di partecipare ai Giochi per protesta contro le regole e la concezione
dello snowboarding come disciplina olimpica, dove il loro ruolo, a differenza del circuito
TTR, viene messo in secondo piano. Per l'Italia gli atleti devono essere tesserati FIS per
accedere alle Olimpiadi.
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1.6 Adaptive snowboarding
Figura 1.3 Adaptive snowboarding
1.6.1 Generalità
Il termine adaptive snowboarding si riferisce a una versione modificata di questo sport, con
cambiamenti relativi all'attrezzatura, alle regole e ai tipi di tecniche, che permettono a persone
con disabilità fisiche di partecipare all'attività sportiva. Le tipologie di disabilità possono
essere di tipo cerebro-spinale, visivo o strettamente legate all'amputazione di uno o di
entrambi gli arti inferiori. Nelle varie prove che comprendono elementi di race e di freestyle,
vengono considerati, per la classificazione dei partecipanti, i tempi al meglio di 2 o 3
prestazioni. In genere, le tavole vengono scelte sulla base delle caratteristiche dell'atleta, quali
altezza, peso o livello di abilità. Lo spessore della tavola ha una lunghezza compresa tra
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quella che separa il mento dal naso. Mentre i progetti delle tavole sono simili, i dettagli
separano le scelte in tre stili, che sono freestyle, freeriding e snowboard alpino. Alcuni atleti
utilizzano degli stabilizzatori, oltre al movimento dei vincoli, per aiutarsi nel mantenimento
dell'equilibrio. In base al tipo di amputazione o di generica diversità nella funzionalità degli
arti inferiori, o al tipo di protesi utilizzata, viene deciso quale debba essere il piede principale
(lead foot) sulla tavola.
1.6.2 Classificazione degli atleti in base alla disabilità
Il Comitato Paralimpico Internazionale dichiara che la classificazione degli atleti è di
fondamentale importanza per assicurare che ogni atleta possa competere in modo equo con gli
altri atleti. La classificazione gioca quindi due ruoli importanti: da una parte stabilisce dei
criteri di idoneità per determinare le tipologie e il grado di disabilità rilevanti per lo sport,
ovvero non solo un atleta deve avere una disabilità, ma questa deve anche essere
significativamente severa; da un’altra raggruppa gli atleti in modo da garantire la
competitività. Nell’adaptive snowboard esistono essenzialmente tre categorie di disabilità:
1. Disabilità visive
2. Standing (amputazioni, lesioni incomplete del midollo spinale, danni
cerebrali)
All’interno di tale categoria, è possibile una ulteriore classificazione degli
atleti, esposta di seguito:
• Atleti con disabilità severe in entrambi gli arti inferiori (es.
amputazioni al di sopra del ginocchio di entrambi gli arti inferiori)
• Atleti con disabilità severe in uno degli arti inferiori (es. amputazioni
al di sopra del ginocchio di uno degli arti inferiori)
• Atleti con disabilità in entrambi gli arti inferiori (es. amputazioni al di
sotto del ginocchio di entrambi gli arti inferiori)
• Atleti con disabilità in uno degli arti inferiori (es. amputazioni al di
sotto del ginocchio di uno degli arti inferiori)
• Atleti con disabilità in entrambi gli arti superiori (es. amputazioni di
entrambi gli arti superiori al di sopra dei gomiti)
• Atleti con disabilità in uno degli arti superiori (es. amputazioni di uno
degli arti superiori al di sopra del gomito)
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• Atleti con disabilità di uno degli arti superiori e di uno degli arti
inferiori (es. amputazioni di uno degli arti superiori e di uno degli arti
inferiori)
3. Sitting (paraplegia)
In questa trattazione, verrà considerato il secondo tipo di disabilità (standing), e in particolare
si parlerà di atleti amputati a livello transfemorale (AKA, Above Knee Amputee).
1.6.3 Cenni sulla regolamentazione
Tutti i percorsi, indipendentemente dal livello di disabilità dell’atleta, devono avere una
lunghezza, misurata verticalmente, compresa tra i 100 e i 240 metri, mentre la lunghezza
complessiva del tragitto sul terreno deve essere compresa tra i 400 e i 600, con un tempo
effettivo di discesa tra i 40 e i 70 secondi. La pendenza della pista deve essere compresa tra i
14 e i 18 gradi. Durante la discesa, gli atleti devono oltrepassare una serie di gates, ognuno
consistente in due pali (turning pole e outside pole) connessi tramite una bandiera triangolare.
Se i partecipanti presentano disabilità visive, deve essere inoltre prevista la presenza di un
percorso alternativo apposito. Per quanto riguarda l’attrezzatura utilizzata, è obbligatorio
indossare il casco, sia durante le competizioni che durante gli allenamenti, mentre l’utilizzo di
protezioni per la schiena non è obbligatorio, sebbene fortemente consigliato. Prima delle
competizioni, è obbligatorio almeno un periodo di allenamento, che deve avere una durata di
circa una o due ore e deve essere tenuto il giorno precedente l’evento. Nella discesa durante le
competizioni, un unico partecipante può trovarsi sulla pista, e possono essere calcolati 2 o 3
tempi di discesa diversi per ogni rider, dei quali verrà considerato, per la classifica finale, solo
il migliore. Nel calcolo dei risultati, i tempi di ogni atleta vengono moltiplicati per un fattore,
associato alla percentuale della sua disabilità, ottenendo un coefficiente, con precisione al
centesimo di secondo, che viene inserito in uno di 6 gruppi (dipendenti dal grado di
disabilità), che vanno dal piø veloce al piø lento. I tempi che non vengono moltiplicati per tale
coefficiente non possono essere mostrati ai partecipanti, nØ agli allenatori.
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Capitolo 2 - Fisiologia articolare dell’ arto inferiore
2.1 Generalità
In questo capitolo vengono descritte le caratteristiche delle articolazioni di ginocchio e
caviglia da un punto di vista anatomico, e si farà riferimento ai cambiamenti che avvengono
nella fisiologia articolare dell’arto inferiore a seguito di un intervento di amputazione
transfemorale, al fine di comprendere le caratteristiche dei movimenti realizzati dagli atleti
diversamente abili e quindi le differenze che intercorrono tra essi e gli atleti normodotati.
2.2 L’articolazione di ginocchio
2.2.1 Anatomia
Il ginocchio è un complesso articolare formato dai due condili femorali, dall'estremità
superiore della tibia e dalla faccia posteriore della rotula. Se dal punto di vista anatomico può
essere considerata un' articolazione bicondiloidea, funzionalmente è un ginglimo angolare o
troclea. Vi si possono riconoscere due componenti:
• articolazione femoro-tibiale
• articolazione femoro-rotulea
La discordanza delle superfici articolari a contatto tra femore e tibia è in buona parte
compensata dalla presenza di due dischi fibrocartilaginei (menischi) applicati sul contorno
delle due fosse glenoidee della tibia. Mentre il menisco interno presenta un aspetto
semilunare, quello esterno ha forma di anello quasi completo; entrambi sono completati da
tessuto fibroso a livello dell'eminenza intercondiloidea.
I tre capi articolari sono avvolti da una capsula fibrosa particolarmente ispessita
posteriormente e rinforzata da formazioni legamentose con caratteri diversi, alcune tese dal
femore alla tibia (legamento collaterale interno) ed al perone (legamento collaterale esterno),
altre dalla rotula alla tibia (legamento rotuleo). L'articolazione del ginocchio è inoltre
rinforzata da espansioni tendinee terminali; quella dei muscoli vasti è la piø estesa e ricopre
l'articolazione anteriormente, medialmente e lateralmente; sempre anteriormente si trova
anche il tensore della fascia lata. Posteriormente il ginocchio è coperto dall'inserzione sui
condili femorali del gastrocnemio.
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Un ruolo particolarmente importante è svolto dai legamenti crociati. Il legamento crociato
anteriore (o antero-esterno, LCA) origina dal tubercolo intercondiloideo mediale della tibia e
con una direzione obliqua in alto, indietro e in fuori termina sulla faccia interna del condilo
laterale; il legamento crociato posteriore (o postero-interno, LCP) origina dalla parte
posteriore della fossa intercondiloidea e con una direzione obliqua in avanti, in dentro ed in
alto, termina alla faccia interna del condilo mediale.
Figura 2.1 Articolazione di ginocchio
Il ginocchio è principalmente un’articolazione a un grado di libertà (la flesso-estensione), che
lavora principalmente in compressione, per azione della gravità. Accessoriamente, è possibile
osservare un secondo tipo di movimento: la rotazione sull’asse longitudinale della gamba,
ottenibile solo quando è in posizione di flessione. Dal punto di vista meccanico, il ginocchio
deve conciliare due imperativi che si contraddicono: possedere una grande stabilità in
estensione completa, posizione nella quale il ginocchio è sottoposto a gravose sollecitazioni
dovute al peso del corpo e alla lunghezza dei bracci di leva; acquistare una grande mobilità a
partire da un determinato angolo di flessione, ampiezza di movimento necessaria durante la
corsa e per un sicuro appoggio del piede in rapporto alle asperità del terreno.
Il primo grado di libertà è condizionato dall’asse trasversale XX’ attorno a cui si effettuano i
movimenti di flesso-estensione, in un piano sagittale. Questo asse, posto nel piano frontale,
attraversa orizzontalmente i condili femorali. Per la costruzione a sbalzo del collo femorale,
l’asse della diafisi femorale non è situato esattamente nel prolungamento dell’asse dello
scheletro della gamba; forma con quest’ultimo un angolo ottuso aperto in fuori di 170-175°
(valgismo fisiologico). In compenso, le tre articolazioni dell’anca (H) del ginocchio (K) e
della caviglia (C) sono allineate sulla stessa retta HOC (vedi Figura 2.2 Assi
dell'articolazioneFigura 2.2), che è l’asse meccanico dell’arto inferiore. A livello della gamba,
l’asse corrisponde a quello dello scheletro, mentre nella coscia forma un angolo di 6° con
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quello del femore. D’altra parte, poichØ le anche sono poste a maggior distanza l’una
dall’altra in rapporto alle caviglie, l’asse meccanico dell’arto inferiore è leggermente obliquo
in basso e in dentro, e forma un angolo di 3° con la verticale. PoichØ l’asse di flesso-
estensione XX’ è orizzontale, non forma la bisettrice (Ob) dell’angolo del valgismo
fisiologico: risultano 81° fra XX’ e l’asse del femore e 93° tra XX’ e l’asse della gamba. Ne
consegue che durante la flessione completa, l’asse della gamba non viene proprio dietro
all’asse del femore, ma piuttosto dietro e un po’ in dentro, il che sposta il tallone verso il
piano di simmetria: la flessione estrema porta il tallone a contatto della natica a livello della
tuberosità ischiatica. Il secondo tipo di movimento consiste nella rotazione attorno all’asse
longitudinale YY’ della gamba, movimento che avviene quando il ginocchio è flesso. La
conformazione del ginocchio rende questo movimento impossibile quando l’articolazione è in
completa estensione. L’asse della gamba è allora sovrapposto all’asse meccanico dell’arto
inferiore e la rotazione assiale non si effettua piø sul ginocchio ma nell’anca. L’asse ZZ’
antero-posteriore perpendicolare ai due descritti in precedenza permette, quando il ginocchio
è flesso, dei movimenti di lateralità di 1-2 cm alla caviglia, movimenti che scompaiono in
estensione completa.
Figura 2.2 Assi dell'articolazione
La flessione attiva arriva a 140° se l’anca è stata precedentemente flessa, e a soli 120° se
l’anca è in estensione. Questa differenza di ampiezza è dovuta alla diminuzione dell’efficacia
dei muscoli posteriori della gamba quando l’anca è estesa. La flessione passiva del ginocchio
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ha un’ampiezza massima di 160° e permette al tallone di giungere a contatto con la natica
(Figura 2.3).
Figura 2.3 Angoli di flesso-estensione
Il movimento di rotazione della gamba attorno al suo asse longitudinale può essere effettuato
solo quando il ginocchio è flesso. La rotazione interna arriva fino a circa 40° contro i 30° di
quella esterna. Tale ampiezza varia in rapporto al grado di flessione. Esiste infine una
rotazione assiale detta “automatica”, in quanto è inevitabilmente e involontariamente
collegata ai movimenti di flesso-estensione. Si realizza al termine dell’estensione e all’inizio
della flessione. Quando il ginocchio si estende, il piede viene portato in rotazione esterna,
mentre quando il ginocchio è flesso, la gamba ruota verso l’interno (Figura 2.4).
Figura 2.4 Angoli di rotazione longitudinale dell'articolazione
2.2.2 Il movimento di flesso-estensione
Il movimento fondamentale del ginocchio, ovvero la flesso-estensione, si realizza a livello di
una articolazione di tipo trocleare: le superfici dell’estremità inferiore del femore
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costituiscono un segmento di puleggia, che ricorda per la sua forma un doppio carrello
d’aereo. I due condili femorali, convessi nei due sensi, formano le due facce della puleggia e
corrispondono alle ruote del carrello; si prolungano in avanti con le superfici della troclea
femorale. Per quanto riguarda la scanalatura della puleggia (Figura 2.5), è rappresentata in
avanti dalla scanalatura della troclea femorale e al di dietro dalla fossa intercondiloidea. Dal
lato della gamba, le superfici hanno forma inversa e danno luogo a due docce parallele
(glenoidi), incurvate e concave, separate da una cresta smussa antero-posteriore: ciascuna
delle facce articolari (GI e GE) si dispone dentro una doccia della superficie (S). Le superfici
articolari sono poi separate da una cresta smussa antero-posteriore dove si trova l’eminenza
intercondiloidea tibiale. In avanti, sul prolungamento di questa cresta viene a situarsi la cresta
smussa della faccia posteriore della rotula (R) i cui due versanti prolungano la superficie delle
facce articolari. Questo insieme di superfici possiede un asse trasversale che coincide con
l’asse dei condili quando i due capi articolari sono a contatto. Le facce articolari tibiali
corrispondono ai condili, mentre il massiccio delle spine tibiali viene ad alloggiarsi
nell’incisura intercondiloidea; questo montaggio costituisce funzionalmente l’articolazione
femoro-tibiale. In avanti, le due parti della superficie articolare della rotula corrispondono alle
due facce della troclea femorale mentre la cresta smussa verticale si incastra nella scanalatura
della troclea; così si viene a costituire un secondo insieme funzionale, cioè l’articolazione
femoro-patellare. Le due articolazioni descritte sono comprese in un’unica articolazione
anatomica, quella del ginocchio.
Figura 2.5 Flesso-estensione del ginocchio
I fratelli Weber (1836) hanno dimostrato che il condilo ruota e scivola contemporaneamente
sulla faccia articolare tibiale durante il movimento. Questa è la sola maniera per evitare la
lussazione posteriore del condilo pur permettendo la massima flessione. Esperienze piø
recenti (Strasser, 1917) hanno dimostrato che la proporzione di rotolamento e di scivolamento