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Nel numero della Rivista di psicologia analitica che commemora il centenario
della nascita di Ernst Bernhard, intitolata Maestri scomodi, titolo che ho ripreso
per questo lavoro, si ritrovano nell’editoriale alcune parole di Romano Madera
che più di altre ho sentito vere: “ …Bernhard è stato uomo e analista originale,
forse bizzarro, poliedrico fino allo smarrimento per chi si impegna in qualche
modo a studiarne il pensiero e la biografia.”
La vastità degli argomenti delle riflessioni di Bernhard sono a volte spaesanti,
pur tuttavia costituendo il fascino di questo intellettuale.
La tesi è formata da quattro capitoli.
Nel primo capitolo ho affrontato la biografia di Bernhard, concentrandomi sulle
vicende a partire dal suo arrivo in Italia e dei suoi rapporti umani e culturali.
Nel secondo capitolo mi sono occupato della religiosità di Bernhard, ed in
particolar modo il rapporto tra l’hassidismo, l’identità ebraica e la psicologia del
profondo.
Nel terzo capitolo ho svolto quella che considero un’introduzione alla
psicoterapia bernhardiana, soffermandomi su aspetti vari e differenti, con
l’intento di offrire una visuale rapida ed ampia.
Nel quarto capitolo ho messo in risalto l’influenza culturale in Italia di Bernhard,
toccando alcuni punti nevralgici che a mio avviso ne hanno oscurato
l’importanza.
Ho abbondantemente utilizzato e inserito stralci delle mie interviste, che
accompagnano quasi costantemente la lettura, tentando di far dialogare tra loro
anche voci dissonanti. Numerosi sono i contatti avuti, tra Roma e Firenze,
sempre umanamente arricchenti; tra questi mi preme ringraziare, per la
straordinaria disponibilità e competenza:
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Paolo Aite
Gianfranco Draghi
Bianca Garufi
Margherita Pieracci Harvell
Luciana Marinangeli
Marcello Pignatelli
Silvia Rosselli
Mario Trevi
Grazie al loro contributo questa tesi è divenuta possibile.
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Capitolo primo
Chi è Ernst Bernhard? Cenni biografici
Ernst Bernhard nacque a Berlino il 18 settembre 1896 da genitori ebrei. Il
padre ed il nonno, entrambi medici, provenivano da una famiglia originaria
dell’Ungheria, la madre invece da famiglia austriaca. Allevato molto rigidamente
dal padre, si sentì pienamente accettato dalla madre e dalle due nonne, alle quali
doveva una religiosità profonda, semplice e schietta, che rimase tratto singolare e
caratteristico della sua personalità, e radice di una fede e spiritualità che non
l’avrebbero mai abbandonato.
Degli anni antecedenti l’arrivo in Italia non si hanno notizie puntuali, ma si
proverà a ricostruirli ugualmente attraverso le uniche fonti disponibili.
Durante la Prima Guerra Mondiale, alla quale partecipò come volontario nella
Sanità, lesse al fronte per la prima volta le opere del filosofo Martin Buber,
rimanendone profondamente impressionato. Fu allora che decise di approfondire
la figura di Gesù, nella quale Buber riconosceva il rabbi ebraico. Terminata la
Guerra, nel periodo in cui si dedicava agli studi di medicina, Bernhard fece visita
a Buber; l’incontro fu determinante per la sua vita di ebreo, anche perché prese
coscienza del suo temperamento hassidico, e hassid era stato anche il bisnonno
paterno, che aveva seguito dall’Ungheria a Berlino il proprio rabbi. L’Ungheria
del resto fu uno dei Paesi in cui maggiormente prese piede il movimento
hassidico. Bernhard pensava che nell’hassidismo come mai altrove, negli ultimi
secoli, si rivelasse e manifestasse la forza dell’anima ebraica e leggeva volentieri
i racconti degli hassidim raccolti da Buber.
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Alla base del hassidismo vi è un’esperienza religiosa intesa come immediata, Dio
è presente in ogni cosa ed azione pura, una grande libertà interiore sostituisce,
per importanza, lo studio della Torah (centro, da sempre, dell’insegnamento
rabbinico) che pur rimanendo fondamentale, passa in secondo piano rispetto alla
pietà del cuore.
Portati a termine gli studi in medicina, egli apre a Berlino uno studio di
pediatria ed in quegli anni milita in un partito socialista. Il suo spirito aperto ai
problemi filosofici e religiosi, trova in quel periodo alimento nella cultura
tedesca ed in quella ebraico-tedesca; nonostante le persecuzioni e l’esilio che
sarebbero giunti infatti, Bernhard fu sempre molto lontano dal considerare la sua
vita a Berlino, e la cultura tedesca, all’ombra dell’antisemitismo. Si arriva quindi
ad una data che Bernhard considererà fondamentale, per la particolare fecondità,
nonostante le sempre più minacciose condizioni socio-politiche. Siamo nel 1932.
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1.1 Il 1932 . Un anno di svolta
Nel 1932 Ernst Bernhard conobbe il chirologo Julius Spier; anch’egli ebreo
emigrato a Berlino e nato a Francoforte nel 1887, si trasferì a Zurigo per svolgere
il lavoro analitico con Carl Gustav Jung. Spier, che fu direttore di banca,
dipendente di una casa editrice e successivamente studente di canto, scoprì di
avere una vera e propria vocazione per la lettura della mano e quella che egli
chiamò psicochirologia. Aveva fama di medium, di “personalità magica”, di
possedere una straordinaria capacità di introspezione psicologica ed il suo nome
rimane strettamente legato alla più nota Etty Hillesum. Bernhard in particolare
rimase colpito dall’insegnamento che nella mano di un neonato fossero
ravvisabili le linee fondamentali determinanti l’evoluzione futura.
Nell’Introduzione alla Mitobiografia, il testo edito da Adelphi che raccoglie,
postumi, gli unici scritti pubblicati di Bernhard, Hélène Erba-Tissot,
psicoterapeuta sua allieva,
1
pone in risalto il valore della chirologia quale base di
riflessione di una essenziale distinzione che diverrà fondamento di tutta la prassi
psicoterapeutica di Bernhard: la distinzione tra destino individuale e destino
collettivo dell’uomo. Ogni individuo partecipa ad un’eredità e destino comune,
assieme alla sua epoca, al suo popolo, alla sua famiglia, destino “trasmesso”
dagli ultimi rappresentanti di questa lunga catena, i suoi genitori. Erede di tutto
ciò, l’uomo deve cercare il suo peculiare posto nella società in quanto membro di
essa. Ma l’essere umano porta in sé un’altra fondamentale tendenza: quella a
differenziarsi dai propri simili, dal collettivo, sino a compiere un’esistenza unica
e a divenire unico, come uniche sono le linee della mano nella loro disposizione.
Ma non si tratta, come fa notare la Tissot, di fraintendere la tendenza alla
differenziazione con un desiderio di originale stravaganza, caricatura mal riuscita
1
Erba-Tissot,H.,in Bernhard E.,1969.
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di ciò che Carl Gustav Jung ha chiamato istinto all’individuazione. Quanto più
l’uomo diverrà unico nella sua individualità, tanto più riuscirà a trovare nella
società il posto che è suo, gli appartiene e gli compete, quello che nessun altro
può occupare così perfettamente.
Sul suo tavolo di lavoro, contemplando una statua del Buddha, Bernhard
riflette sulla catena delle incarnazioni passate, sul divenire dell’essere, sul
contatto con innumerevoli elementi collettivi, attraverso i quali giunge a
differenziarsi l’unicum, il singolo. E delle incarnazioni passate l’uomo porta con
sé il karma, ecco il motivo per il quale Bernhard parlerà spesso di destino
“karmico” anziché collettivo.
Esaminando le linee delle due mani, studiando l’astrologia per tutta la vita, e
occupandosi di taoismo, di cui era - come si vedrà - profondo conoscitore ed
ammiratore, Bernhard giunse a comprendere e a formulare l’importanza di queste
due tendenze, al collettivo e all’individuale, prima ancora, ci tengo già ora a
sottolinearlo, di incontrare il pensiero di Jung. E difatti Bernhard riconobbe
successivamente la decisiva importanza del processo d’individuazione junghiano,
riconoscendo il confronto tra individuo e valori collettivi quale elemento portante
e centrale della psicologia di Jung, che non a caso egli preferiva chiamare,
piuttosto che psicologia analitica, “psicologia del processo di individuazione”.
E del 1932 sono anche i primi grandi sogni di Bernhard, primi forti ed
importanti elementi di una vitale attenzione che egli avrà sempre nei confronti
della vita onirica, del mondo delle immagini, della “quarta dimensione” per dirla
con parole sue. Egli stesso scriverà che a partire da quell’anno germogliarono
tutte le sue maggiori intuizioni e presero forma, a partire anche dai sogni, i grandi
temi esistenziali che avrebbero dato l’orientamento decisivo alla sua vita.
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Appunta un sogno della notte fra il 30 e il 31 dicembre 1932: “Mi vien detto
in sogno che la mia vita è benedetta come quella di Tobia e che sentirò
consapevole, la guida di Dio.”
2
Trentatre anni più tardi, il 9 maggio 1965,
dettando un commento a questo sogno, dirà : “Posso dire che in questo sogno è
racchiusa tutta la mia vita fino a oggi; non ho fatto altro che cercare di
realizzarlo.”
2
Ibidem,pag.3.
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1.2 L’incontro con C.G.Jung
“Jung mi aveva prospettato di lavorare presso di lui come assistente. Ma non
se ne fece nulla. Questo rapporto non chiarito tra Jung e me si è trascinato a
lungo: una situazione piuttosto spiacevole.”
3
Il primo incontro tra Ernst Bernhard e Carl G. Jung, che segnerà l’inizio di un
rapporto difficile, complesso, segnato da avvicinamenti e silenzi singolari, è da
ascriversi al gennaio del 1934. Rileviamo questa data da una lettera dello stesso
Bernhard del 15 ottobre 1934, nella quale egli scrive a Jung facendo riferimento
al loro primo incontro, nel gennaio dello stesso anno, in cui conversarono su di
una immagine dipinta da Bernhard.
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Quest’ultimo, dopo aver svolto due analisi
freudiane con Sandor Radò e Otto Fenichel, aveva svolto a Berlino due analisi
junghiane con Kathe Buegler (1898-1977) e Toni Sussmann (1883-1967).
Con la lettera sopra citata, con la quale Bernhard chiede espressamente di
svolgere un lavoro psicologico personale con Jung, si da il via ad un carteggio
quanto meno particolare, curato e commentato da Giovanni Sorge, che riflette il
poco chiaro rapporto che intercorse tra i due medici.
Nel 1935 Bernhard ebbe il primo soggiorno presso Jung a Zurigo, nella
stagione invernale, dopo che questi aveva più volte espresso l’impossibilità di
incontrarlo a fronte dell’enorme mole di studio e lavoro. La formazione fu quasi
sicuramente molto breve, visto che già nel gennaio del 1936, in una lettera da
Berlino a Marie-Jeanne Schmid, prima segretaria e collaboratrice dello
psicoanalista svizzero, egli afferma di sperare di “poter fare di quando in quando
una seduta anche con il prof. Jung.”
5
Intanto Bernhard avrebbe continuato il suo
lavoro con la nota analista Toni Wolff, pur richiedendo nuovamente, ma invano,
3
Bernhard, E., 1969, pag. 12.
4
Sorge G., a c. di, 2001.
5
Bernhard E., in Sorge G., a c. di, 2001, pag.27.
12
degli incontri personali con Jung, dal quale ottenne un attestato che garantiva la
prosecuzione della formazione in psicoterapia con propri collaboratori. In realtà
la risposta di Jung appare fredda, rispetto ad una fervente richiesta scritta di
incontro, tra l’altro sullo sfondo, accennato da Bernhard, di un imminente scelta
di trasferimento dalla Germania per la sua appartenenza ebraica, condizione che
iniziava a divenire rischiosa.
Bernhard inoltre parla, sempre con estrema sintesi e riservatezza, del suo
lavoro analitico e chirologico, e della compagna viennese Dora Friedlaender
6
(1896-1998), che diverrà sua moglie in Italia dopo la Liberazione, oltre che
analista junghiana e sua collaboratrice. La loro relazione, essendo Dora non
ebrea, fu un ulteriore motivo che spinse Ernst a lasciare la Germania, e forse
segnò la visione ecumenica che egli caldeggiava anche nelle coppie, sostenendo
con entusiasmo i matrimoni misti, come mi ha raccontato, con un aneddoto di
vita personale, Margherita Pieracci Harvell.
7
Con la lettera del 6 agosto 1936 Ernst Bernhard richiede un altro attestato al
“prof. Jung”, che ne certifichi le conferenze zurighesi sulla lettura della mano e
sostengano la sua formazione psicoterapica oltre che, e ciò viene rimarcato
esplicitamente, la sua ricerca e pratica in chirologia. L’attestato ha il compito di
facilitare l’espatrio in Inghilterra, dove Bernhard ha deciso di emigrare e dove
vuole continuare la formazione analitica.
A questo punto, sospendiamo temporaneamente l’esame del carteggio fra il
maestro e l’allievo, contrassegnato da una ricerca emotivamente calda di
Bernhard e da un certo ( professionale ?) distacco di Jung, per dare spazio agli
6
Dora Friedlaender diverrà la sua seconda moglie; Bernhard, scelto l’esilio volontario, si separò
dalla prima moglie, anch’ella non ebrea, e madre dei suoi figli: Silke e Michael.
7
Pieracci Harvell, Margherita, 2004, comunicazione personale.”…Bernhard mi disse subito del
suo matrimonio misto e fece grandi elogi dei matrimoni misti, di cui pensava, all’opposto del
Priore Roger Schultz (di Taizè, n.d.r.), che avvicinassero i gruppi invece che irrigidirli sulle loro
posizioni…”
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eventi di natura biografica che segnarono la vita del pediatra berlinese, oltre che
quella, inevitabilmente, di tanti intellettuali italiani del Dopoguerra.
1.3 Bernhard arriva in Italia
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Lasciati Zurigo ed il rapporto breve ed intenso con Jung, Bernhard tornò a
Berlino “per emigrare pochi mesi dopo, diciamo così, ‘per caso’, in Italia.” Il
tentativo di emigrare in Inghilterra infatti fallì.
Gerard Adler, analista junghiano amico intimo di Bernhard, che faceva parte
del comitato appositamente istituito dal The Home Office, il Ministero degli
Interni inglesi, e che si adoperò per far accettare la domanda, racconta ad Aldo
Carotenuto perché questa venne respinta: “Bernhard himself had written in his
application that he was interested in and worked with astrology.” Carotenuto così
aggiunge e commenta : “il presidente della Commissione,(…) con le stesse
parole di Adler “a well known English psychiatrist”, era assolutamente contrario
all’entrata di Bernhard in Inghilterra. E’ proprio il caso di dire che la storia della
Psicologia analitica in Italia era scritta nelle stelle!”
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L’aneddoto difatti stupisce e sorprende non poco: a mio avviso non
menzionare i propri titoli medici e la formazione analitica in corso, per dichiarare
di volersi occupare di astrologia è per lo meno singolare, ancor di più se si pensa
al clima dei tempi, così vicini ad essere coperti dal manto scuro del Nazismo. O
forse si dovrebbe tentare di comprendere il credo bernhardiano, votato alla
dichiarata diversità, come ebbe a dire a Paolo Aite “Mi presento per come sono,
nella mia differenza.”
10
8
Carotenuto, A., 1977
9
Ibidem, pag. 45.
10
Aite, P., in Aa. vv., 1996.