erano aperti grazie alla possibilità di partecipare direttamente alle attività di
supporto e supervisione dei due progetti: infatti, insieme alle due operatrici che si
occupano di Donnattiva, ho potuto intervistare venti donne inserite in entrambe le
realtà, assistere ad alcune lezioni dei corsi di formazione, partecipare al momento
della distribuzione mensile di aiuti alimentari alle famiglie degli orfani e visitare
buona parte delle donne intervistate nelle loro case.
Le interviste con queste donne hanno riguardato argomenti piuttosto
generali, quali la vita quotidiana ad Asmara, i problemi che devono affrontare ogni
giorno e il confronto con l’infanzia vissuta al villaggio; con alcune di loro sono
anche riuscita ad affrontare l’argomento dell’educazione dei figli e delle figlie e le
difficoltà riscontrate nel trasmettere e riformulare il modello educativo e il percorso
identitario in questo periodo di chiusura dopo il secondo conflitto e di confronto
con il cambiamento sociale. Tuttavia, molte donne che ho conosciuto e intervistato
si sono dimostrate estremamente riservate e inizialmente mi stupiva il fatto che
durante le interviste tenessero gli occhi bassi e mi si rivolgessero raramente,
rendendo vani i miei sforzi di instaurare una qualche forma di comunicazione con
loro.
Data una simile situazione, ritengo che sia stata fondamentale la presenza
durante le interviste e le home visit di Latebran e Rosina
2
, due delle operatrici del
GMA Eritrea: il loro ruolo, infatti, è stato ben più che quello di semplici traduttrici
dal tigrino all’inglese o all’italiano. Con loro si è instaurato un rapporto di fiducia e
di reciproca apertura che mi ha molto arricchito umanamente e culturalmente:
spesso, dopo le interviste, ci fermavamo a chiacchierare insieme davanti a un
bicchiere di the, riprendevamo i temi emersi durante le interviste, discutevamo
della difficile situazione attuale dell’Eritrea e, con il passare del tempo, entrambe
hanno condiviso con me momenti, episodi, riflessioni sulla propria vita e sulle
proprie esperienze. Grazie alla loro grande disponibilità al dialogo e al confronto,
ho potuto approfondire e arricchire la mia conoscenza della società eritrea sia in
quegli aspetti culturali legati alla vita quotidiana con i quali molto spesso mi
incontravo e scontravo, sia discutendo di argomenti critici rispetto all’ortodossia di
pensiero del governo di Issaias Afeworki.
2
Ho scelto dei nomi fittizi per tutelare l’identità delle persone intervistate.
2
È stata proprio una conversazione con Rosina, che mi ha raccontato la sua
esperienza di servizio militare durata sei lunghi anni, in aggiunta a quanto già
conoscevo sulla guerra di liberazione e soprattutto sulla condizione dei rifugiati
eritrei all’estero, a portarmi a riflettere su questo argomento e sulle conseguenze
che il National Service Program ha sulle generazioni più giovani del paese, così come
sul tessuto familiare e sociale. Il desiderio di conoscere meglio tale situazione,
unitamente alle riflessioni sull’andamento del lavoro di ricerca che stavo
conducendo, mi hanno portato a compiere due considerazioni metodologiche che
hanno influenzato la ricerca e la redazione della tesi.
La prima riguarda il metodo con cui svolgere le interviste: inizialmente,
infatti, avevo chiesto di poter utilizzare sempre il registratore, benché la timidezza
delle donne intervistate mi avesse portato a riflettere sulla necessità di creare un
contesto meno formale e intrusivo. La conversazione con Rosina è stata però
illuminante a questo proposito: è stata lei, infatti, a dirmi che mi avrebbe
raccontato tutto sulla sua esperienza al National Service se però io fossi stata disposta
a spegnere il registratore e a prendere appunti, che poi avrei conservato come
informazioni personali e utilizzato solo dopo essere tornata in Italia. Ho creduto
quindi più utile, in questa come in altre occasioni successive, non ostinarmi a voler
registrare i dialoghi o a voler intervistare persone che, in situazioni informali, mi
raccontavano esperienze personali o mi rendevano partecipe delle proprie
impressioni e riflessioni: probabilmente, in questo modo, non ho potuto riportare
fedelmente le parole degli intervistati, ma sicuramente questo metodo mi ha
permesso di avvicinarmi alla realtà sperimentata quotidianamente dai cittadini di
Asmara, superando, almeno in alcuni momenti e con alcune persone, la superficie
di normalità e di apparente tranquillità imposta dal regime autoritario.
La seconda considerazione riguarda la necessità di contestualizzare le
informazioni ottenute durante la ricerca sul campo, inserendole in una prospettiva
diacronica che, partendo dalle origini dell’impero abissino e dalla colonizzazione
italiana arrivi alla contemporaneità. La realtà conosciuta in Eritrea, infatti, si lega
visivamente e ideologicamente alla propria storia: il passato coloniale affiora
nell’architettura degli edifici e nella topografia cittadina, che però non nasconde i
forti richiami all’epoca della guerra di liberazione, dal momento che le date del
referendum per l’indipendenza sono scritte sulle vetrine di molti negozi di quello
3
che è stato ribattezzato Viale della Liberazione. Inoltre, i rimandi al passato
coloniale e al periodo della lotta per l’indipendenza erano forti e continui anche
nelle interviste e nelle conversazioni informali con la gente: la situazione attuale di
crisi è difficile da comprendere se non si confronta con il periodo di
intraprendenza economica, al contempo sperimentato e subito durante il periodo
coloniale e soprattutto attuato nei primi anni ‘90, così come è difficile valutare le
implicazioni positive e negative del servizio militare femminile senza fare
riferimento alla contraddittoria figura delle patriote, le donne che hanno
combattuto durante la guerra di liberazione per l’indipendenza del proprio paese e
per un cambiamento sociale che coinvolgesse anche le relazioni tra i generi.
Proprio partendo da questa esperienza che intreccia strettamente passato e
presente in Eritrea, mi è sembrato molto importante completare la ricerca sul
campo con una ricerca bibliografica. Grazie a essa ho cercato di comprendere e
presentare il clima culturale del periodo coloniale in Europa e in Italia avvalendomi
di studi pubblicati recentemente sull’esperienza coloniale italiana, i quali mi hanno
permesso di leggere, riportandole nel loro contesto originale, alcune opere redatte
da funzionari dell’amministrazione coloniale italiana in Eritrea. Ho quindi
affrontato il periodo della guerra di liberazione, cercando di integrare la
numerosissima bibliografia storica con le pubblicazioni a cura dell’EPLF e della
NUEW e con le storie di vita raccolte da antropologi che si sono interessati
all’argomento. Infine, per fornire un quadro completo sulla situazione dell’Eritrea
contemporanea, mi sono avvalsa delle mie interviste e delle note di campo, ho fatto
riferimento alla scarsa bibliografia disponibile e ho effettuato una ricerca di articoli
pubblicati su quotidiani e riviste specializzate. Senza dubbio questa tesi ha acquisito
una forte impostazione storica che, tuttavia, ritengo imprescindibile per
contestualizzare e comprendere pienamente le riflessioni in chiave antropologica
sul percorso di evoluzione e cambiamento dell’identità femminile eritrea.
4
1. IL PASSATO COLONIALE
1.1. La terra del fiume Mareb
La storia dell’Eritrea e del suo popolo, prima della formazione della colonia
italiana, si fonde con la storia delle popolazioni che hanno da sempre abitato il
Corno d’Africa e, in particolare, con la storia dell’impero etiopico a partire dal suo
nucleo originario, il regno di Axum, fino alla sua espansione nei secoli successivi e
al confronto con le nazioni coloniali interessate a espandersi in quest’area del
continente africano.
Alcuni studiosi che si sono interessati alla storia del Corno d’Africa hanno
sottolineato la centralità politica e culturale dell’Etiopia e la sua influenza sulle
popolazioni circostanti, le quali avrebbero così recepito e condiviso una serie di
“temi panetiopici
1
”, chiaro sostegno alla tesi della Grande Etiopia. Calchi Novati
rifiuta quest’ipotesi dubbia, politicamente orientata e propone invece un quadro a
mio parere più simile anche all’attuale situazione del Corno d’Africa. L’Abissinia, il
nome storico dell’impero etiopico, viene dunque presentata come uno “stato
multinazionale
2
”, composto da popolazioni sicuramente simili in alcuni aspetti
culturali, ma dotati di sistemi politici e di organizzazione della vita sociale, di
religioni diverse, che hanno dato vita a un regno molto composito e caratterizzato
da forti spinte verso l’autonomia.
La porzione di territorio che attualmente costituisce l’Eritrea rappresentava
3
,
fino alla creazione della colonia italiana nel 1890, la propaggine settentrionale
dell’impero etiopico, benché le coste del Mar Rosso e l’altopiano tigrino fossero
definite Bahar Negash, ovvero regno del mare, durante il periodo del regno di Axum
1
Calchi Novati G., Il Corno d’Africa nella storia e nella politica. Etiopia, Eritrea e Somalia tra nazionalismi,
sottosviluppo e guerra, Torino, Società Editrice Internazionale, 1994, p. 9.
2
Calchi Novati G., op. cit., p. 9.
3
Ogniqualvolta nel testo si parla di Eritrea si intende, fino al momento della fondazione della
colonia (1890), la porzione settentrionale dell’impero abissino che oggi corrisponde allo stato
eritreo.
5
e, successivamente, Mareb Mellash, cioè la terra oltre il fiume Mareb
4
. Come ogni
provincia dell’impero, l’Eritrea era governata da un rappresentante dell’autorità
imperiale, il Bahàr-Negasì, il “rettore o reggente del mare
5
”. L’Eritrea, dunque, pur
essendo descritta come una terra dotata di una certa indipendenza, costituiva in
ogni caso una regione dell’impero etiopico, il cui potere, nel corso dei secoli, mutò
notevolmente, diventando in alcuni periodi più intenso ed estendendosi fino al Mar
Rosso; in altri, invece, si fece più debole e le spinte centrifughe ebbero un peso
maggiore.
1.2. Il regno di Axum: dalla regina di Saba all’apogeo
Il nucleo originario dell’impero etiopico è il regno di Axum, situato
nell’attuale Tigray
6
, la cui fondazione risale al X secolo a.C. La storia del regno
affonda nella leggenda, dal momento che Menelik I, capostipite della dinastia
etiopica che culminerà con Haile Selassie, sarebbe figlio della regina Makeda o
Azieb, identificata con la regina di Saba e del biblico re Salomone. Pollera riporta
anche una seconda parte della leggenda secondo la quale Menelik, dopo essersi
recato dal padre a Gerusalemme per essere riconosciuto come figlio, tornò in
patria con un ampio seguito di dignitari che avrebbero portato in Abissinia nuove
professioni finora sconosciute, l’organizzazione statale, la religione di Israele e,
soprattutto, l’Arca dell’Alleanza
7
.
La leggenda, riportata da un codice copto del IV secolo e dalle cronache del
Kebra-Negast redatte tra il 1314 e il 1322, testimonia della forte influenza semitica in
Abissinia in ambito religioso, artistico e linguistico: il gheez, la più antica lingua
franca parlata nel Corno d’Africa e ora utilizzata esclusivamente come lingua di
culto è di origine semitica, così come anche il tigrigna e l’amhara.
Un secondo fondamentale influsso esterno sulla formazione del regno di
Axum fu la conversione al Cristianesimo: San Frumenzio, nei primi decenni del IV
secolo, evangelizzò l’Etiopia e il re Ezana si convertì immediatamente alla nuova
4
Cfr. Calchi Novati G., op. cit., p. 160; Pollera A., Le popolazioni indigene dell’Eritrea, Bologna,
Cappelli Stampa, 1935, pp. 23 e 283; Prattico F., Nel Corno d’Africa. Eritrea ed Etiopia tra cronaca e
storia, Roma, Editori Riuniti, 2001, p. 61.
5
Pollera A., op. cit., p. 23.
6
Per la trascrizione dei nomi dei luoghi ho adottato la modalità anglofona, che è quella utilizzata
anche oggi in Eritrea nella traslitterazione dall’alfabeto tigrino a quello latino.
7
Cfr. Calchi Novati G., op. cit., pp. 17-18.
6
fede, mentre nel secolo successivo divenne cristiana anche la maggior parte della
popolazione dell’altopiano. La Chiesa etiope si sviluppò, aderendo nel 451 d.C.
all’eresia monofisita e dando ampio spazio al movimento monastico: numerosi
conventi copti vennero costruiti in Etiopia e il monachesimo divenne un
importante sostegno per la classe politica al potere
8
.
Il regno di re Ezana segnò il periodo di massimo splendore di Axum, che si
era già rafforzato grazie alla costruzione presso Adulis, in prossimità dell’attuale
Massawa, di un porto sul Mar Rosso, aprendo così la strada ai rapporti commerciali
con l’Oriente e all’espansione del regno. Ezana ampliò i confini di Axum verso il
Sudan, sottomettendo i nomadi Beja; si schierò a favore di Bisanzio contro la Persia
e riuscì a conquistare l’attuale Yemen e a governarlo dal 525 al 572.
Con l’ascesa del re persiano Cosroe II, Axum perse il predominio sullo
Yemen: il regno stava entrando nella fase decadente, non riuscì più a espandersi
oltre i confini del Mar Rosso e, a causa dell’invasione musulmana, si trovò sempre
più isolato.
1.3. L’ “invasione” musulmana e la decadenza
L’arrivo di popolazioni musulmane dalla Mecca dopo il 615 d.C. costituì non
solo la terza importante influenza sull’Etiopia, ma anche una delle cause della
decadenza di Axum che, ben presto, si trovò a essere l’unico regno cristiano in un
territorio le cui popolazioni si stavano rapidamente convertendo all’Islam: Axum
rimase dunque isolato dalle proprie matrici spirituali e privo di sbocchi sul mare,
mentre la compagine statale si stava disintegrando in tanti piccoli stati
9
.
Secondo Calchi Novati l’adozione di due fedi religiose nelle diverse aree del
Corno si sovrapporrebbe alla dialettica, da sempre presente in questa zona, tra
l’altopiano, il cuore dell’impero, abitato da popolazioni stanziali e dedite
all’agricoltura e il bassopiano più arido, in cui prevalgono il nomadismo e la
pastorizia. La facilità con cui l’Islam si è diffuso nel bassopiano è, secondo lo
storico, da attribuirsi non solo a una somiglianza tra i territori in cui la predicazione
di Maometto ha avuto origine e quelli dell’Etiopia, ma anche alla facilità con cui la
8
Cfr. Calchi Novati G., op. cit., pp.19 e 31; Pollera A., op. cit., p. 285.
9
Cfr. Calchi Novati G., op. cit., pp. 20-21; Pollera A., op. cit., pp. 43-44; Prattico F., op. cit., p 52.
7
struttura meno centralizzata e più flessibile dell’Islam si è adattata al modo di vita
dei pastori
10
.
Il Cristianesimo rimase come segno caratterizzante della dinastia imperiale,
che tentò di restaurare il potere tra il XII e il XIII secolo durante la cosiddetta
“restaurazione salomonide
11
”. Il sovrano Zara Yakob rafforzò i rapporti tra lo
Stato e la Chiesa giovandosi in particolare del supporto dei monaci e cercò di
consolidare il potere centrale dell’imperatore a scapito dei sovrani locali. Tuttavia,
durante i regni dei suoi successori, gli scontri tra l’impero etiopico cristiano e i
principati musulmani si fecero sempre più numerosi.
Lo scontro decisivo, riportato tanto da Calchi Novati quanto da Pollera, si
ebbe intorno alla metà del XVI secolo e vide contrapposti il negus Lebna Denghel
e poi il suo successore Claudio contro Ahmed Ibn Ibrahim, chiamato in tutte le
fonti abissine Gran, il mancino. Gran era l’imam del sultanato di Adal, un potente
principato islamico che nel 1527 si rifiutò di pagare il consueto tributo
all’imperatore. L’impero etiopico mosse dunque guerra ad Adal, ma gli anni
successivi videro l’avanzata vittoriosa delle truppe di somali e dancali di Gran che
conquistavano i territori dell’impero e convertivano la popolazione all’Islam: nel
1535 solo il Tigray non era stato ancora sottomesso. Questa situazione preoccupò
non poco il negus che si risolse a chiedere aiuto ai portoghesi i quali, volendo
contrastare la formazione di uno stato musulmano sulle coste del Mar Rosso,
inviarono un contingente a sostegno dell’imperatore, in nome della comune fede
cristiana. I portoghesi sbarcarono a Massawa nel 1541, un anno dopo la morte di
Lebna Denghel e l’ascesa al trono di Claudio; poco tempo dopo Gran fu ucciso
accidentalmente in battaglia e le sorti della guerra si rovesciarono, permettendo a
Claudio di recuperare parte dei territori perduti. Nella battaglia finale, che per
Pollera sarebbe stata combattuta nel 1544 a Bet-Ishak, mentre per Calchi Novati si
sarebbe svolta nel 1559 a Fatagar, l’imperatore Claudio perse la vita, ma il
successore di Gran non poté sfruttare appieno la propria vittoria, a causa di una
terribile carestia che aveva colpito l’Adal.
Negli anni successivi i due regni nemici furono separati dall’insediamento,
nello Scioà e nell’Amhara, di popolazioni oromo provenienti dall’attuale Somalia
10
Calchi Novati G., op. cit., pp. 7, 8, 20.
11
Ibidem p. 22.
8
costiera: per Adal cominciò la decadenza, mentre l’impero etiopico iniziò un lungo
periodo di crisi e isolamento. La capitale venne spostata a Gondar, ma l’imperatore
divenne sempre più una figura simbolica, mentre i singoli regni che componevano
l’impero acquisivano grandi autonomie.
1.4. La restaurazione dell’impero
La spinta all’accentramento venne, infatti, da un sovrano di un regno del
Nord, Kassa Haylu, che gradualmente sottomise i capi degli altri regni e nel 1855 si
fece incoronare imperatore col nome di Tewdoros II. Tewdoros non fu solo un
condottiero, ma cercò anche di ristrutturare lo stato in termini istituzionali ed
economici, riformando la Chiesa, che voleva sottomettere maggiormente
all’autorità statale, potenziando l’esercito e le vie di comunicazione, sostituendo
l’amarico al gheez e cercando di definire le prime misure per abolire la schiavitù:
molte di queste riforme precorsero i tempi e non vennero attuate, ma la strada alla
modernizzazione e all’accentramento era stata aperta e i successori di Tewdoros
l’avrebbero seguita.
Tewdoros II morì a Magdala nel 1868, opponendosi alla penetrazione degli
inglesi in Etiopia, dei quali, in precedenza, lo stesso imperatore aveva auspicato
l’appoggio per porre fine al pericolo dell’espansione egiziana. Tewdoros fu il primo
imperatore a doversi confrontare con gli interessi coloniali delle potenze europee,
che si manifesteranno in modo preponderante durante il regno del suo successore.
A Tewdoros, dopo alcune lotte interne, subentrò Yohannes IV, che proseguì
sulla via delle riforme, pur cercando di non opporsi in modo così netto come il suo
predecessore alle autonomie dei ras locali, né di limitare il potere ecclesiastico.
Yohannes, inoltre, proseguì nella lotta contro l’espansione dell’Egitto e si oppose
agli interessi europei, britannici e italiani soprattutto, nel Corno d’Africa.
L’imperatore era cosciente del fatto che l’unico modo per opporsi ai colonizzatori
era conservare l’unità dello stato e la fedeltà dei ras; in particolare cercò di
coinvolgere, senza successo, il ras dello Scioà, Menelik, suo oppositore, aspirante al
titolo di negus e alleato dell’Italia.
Yohannes morì nel 1889 ucciso dai dervisci del Mahdi provenienti dal Sudan;
a lui succederà Menelik, sotto il cui regno si aprono le vicissitudini coloniali che
interessano l’impero etiopico e che porteranno alla formazione dell’Eritrea.
9
1.5. Dai primi contatti con l’Europa all’apertura del Canale di Suez
Come si è già accennato, i primi contatti tra l’Europa e l’Abissinia risalgono
alla metà del Quattrocento: il Portogallo aveva preceduto le altre nazioni europee
nella scoperta del continente africano e, benché non fosse direttamente interessato
all’Etiopia, quanto piuttosto a ottenere la supremazia commerciale in Asia,
sostenne l’impero abissino nello scontro con la crescente potenza musulmana di
Gran. Al termine di questa lunga guerra fu il Portogallo a ottenere i vantaggi
maggiori: le città-stato musulmane situate lungo le coste del Corno persero
l’egemonia nell’Oceano Indiano e l’Etiopia non riuscì a conquistare uno sbocco sul
mare, mentre il Portogallo ottenne il controllo sulle vie marittime del commercio
con l’Asia.
La strada verso il Corno d’Africa era stata aperta: nonostante l’impero
etiopico sia rimasto sostanzialmente indipendente, a parte i pochi anni di dominio
italiano durante il periodo fascista, l’area ha subito l’influsso dell’Europa e
soprattutto dei suoi modelli di sviluppo politico ed economico a partire dal XVI
secolo
12
.
Fu innanzitutto la Gran Bretagna, che aveva già vari interessi in Egitto e in
Sudan, a “mettere gli occhi” sull’impero etiopico: durante il regno di Tewdoros II
Etiopia e Gran Bretagna intrattennero rapporti amichevoli e collaborativi, fino a
quando l’imperatore etiopico si rese conto dei reali interessi di dominio che gli
inglesi avevano nei confronti del suo paese. Accusato di aver fatto imprigionare
alcuni ambasciatori europei, Tewdoros cercò di opporsi alla spedizione militare del
generale Napier, ma quando comprese che la sconfitta era ormai prossima, si
suicidò nel forte di Magdala. Il suo gesto viene ancora oggi ricordato come il primo
atto di resistenza contro la colonizzazione europea.
L’anno dopo la morte di Tewdoros, nel 1869, venne aperto il Canale di Suez
in territorio egiziano e sotto la protezione di Gran Bretagna e Francia, i cui
interessi si scontravano proprio nell’area del Corno. Nel giro di pochi anni anche
l’Italia avrebbe avanzato le proprie pretese sui territori dell’impero etiopico.
12
Cfr. Calchi Novati G., op. cit., p. 45.
10