2
misurazione della terra, nel quale Eratostene calcola appunto la
circonferenza terrestre ottenendo una cifra non molto lontana da quella
reale
2
) e di Ipparco di Nicea (del quale ci rimane un’unica opera intitolata
Interpretazione dei Fenomeni di Arato e di Eudosso); in seguito neppure
Tolomeo si asterrà da questa prassi.
La mia trattazione tuttavia si concentrerà su un problema specifico legato
ai Prolegomena e all’intera Geografia di Strabone: quali furono le fonti delle
quali Strabone si servì per la compilazione della sua imponente opera
geografica
3
?
Prima di addentrarmi nell’argomento e analizzare così le fonti scritte delle
quali si valse il nostro Autore per la Geografia, mi pare necessario
domandarsi fino a che punto si fosse spinta l’esperienza autoptica di
Strabone: Strabone fu un grande viaggiatore?
E, se la risposta è affermativa, in che misura la conoscenza diretta dei
luoghi che poté visitare si riflette nella Geografia?
In II 5, 11 Strabone con un certo orgoglio ci comunica di avere viaggiato
molto, sicuramente più di qualsiasi altro predecessore che avesse scritto
un trattato di natura geografica.
2
La cifra proposta da Eratostene era infatti di 252.000 stadi, che dovrebbero
corrispondere a circa 39.690 km. Il margine d’errore della misurazione di Eratostene
appare veramente minimo (la circonferenza terrestre misura infatti 40.000 km.), ed il suo
risultato è tanto più apprezzabile se si considerano anche l’epoca e gli strumenti dei quali
disponeva.
3
M. Dubois (M. DUBOIS, Examen de la Géographie de Strabon. Etude critique de le
methode et des sources, Paris 1891) ha compiuto un ampio studio sulle fonti e sui metodi
di compilazione dei Γεωγραφικά; tuttavia l’Autore non nutriva una grande ammirazione
nei confronti di Strabone, che considerava uno scrittore secondario e di scarsa abilità.
Pertanto le critiche rivolte da Dubois al Geografo d’Amasea sono oltremodo aspre.
3
Poi Strabone aggiunge di essersi spinto dall’Armenia – verso ovest- fino
alle parti della Tirrenia di fronte alla Sardegna e verso sud dal Ponto
Eusino sino ai confini estremi dell’Etiopia.
E’ pertanto innegabile che Strabone avesse compiuto una serie di viaggi.
Probabilmente visitò diverse regioni dell’Asia Minore fin dalla giovinezza,
fu certamente a Creta dove ebbe modo di conoscere il suo prozio (STRAB.
X 4, 10), soggiornò a Roma in più di un’occasione e vi si trattenne anche
per lunghi periodi
4
, percorse quindi il Lazio, la Campania e la Tirrenia,
giungendo a vedere in lontananza, dalla città di Populonia, le coste della
Corsica e della Sardegna e l’isola di Aithalìa, cioè l’odierna isola d’Elba
(STRAB. V 2, 6).
Nel 25-24 a.C. viaggiò per l’Egitto al seguito dell’amico Elio Gallo (STRAB.
II 5, 12; XI 11, 5; XVII 1, 24) e si stabilì anche per qualche tempo ad
Alessandria (“...ἡµεῖς ἐπιδηµοῦντες τῇ Ἀλεξανδρείᾳ πολὺν χρόνον...”
STRAB. II 3, 5; questo soggiorno dovette essere molto importante per
Strabone, poiché ad Alessandria egli ebbe sicuramente modo di leggere e
consultare un grandissimo numero di rotoli, accrescendo così la propria
cultura e la conoscenza delle opere di quegli autori che poi avrebbero
costituito le sue fonti per la composizione della Geografia).
Pur tuttavia generalmente si ritiene che da questi viaggi, non intrapresi a
scopo d’esplorazione geografica, Strabone non abbia tratto soverchia
materia per la compilazione della sua opera.
4
Strabone si recò infatti nella capitale per la prima volta nel 44 a. C., poi, come
testimonia egli stesso in VI 2, 6 8 (Strabone in questo passo ricorda di essere stato
testimone della sanguinosa morte del pastore-brigante siculo Seleuro, sbranato dalle
belve feroci durante un combattimento di gladiatori), vi fu di nuovo nel 35 e nel 29 a. C.,
dopo la vittoria di Ottaviano (STRAB. X 5, 3).
Strabone tornò di nuovo a Roma intorno al 7 a. C., come conferma la sua descrizione del
portico di Livia (STRAB. V 3, 8), che venne appunto dedicato in quella data.
4
Pertanto all’epoca di questi viaggi Strabone non contemplava ancora il
progetto della Geografia, la cui data di stesura peraltro è ancora oggetto di
disquisizioni e polemiche
5
.
Quindi, in definitiva, l’esperienza personale di Strabone ha un’importanza
limitata nell’economia dell’opera; del resto lo stesso Strabone precisa che il
geografo non deve necessariamente avere visto tutto quello che descrive,
poiché gli basta avere interrogato testimoni degni di fede (II 5, 11).
5
Mi sembra tuttavia esagerata la tesi di B. Niese, secondo la quale Strabone avrebbe
atteso alla stesura della Geografia solamente in tarda età, fra il 17 ed il 19 d. C.
Il punto di vista di Niese era respinto anche da Pais. Quest’ultimo infatti faceva notare
che:
- la maggior parte degli avvenimenti ricordati da Strabone si riferisce al periodo che va
dalla battaglia di Azio (31 a. C.) al 7 a. C. ;
- solo di rado (precisamente quattro volte) vengono menzionati dal Geografo i fatti
accaduti negli ultimi anni dell’impero di Augusto (6-14 d. C.);
- mentre nella Geografia gli avvenimenti occorsi tra il 6 d. C. ed il 14 d. C. sono
ricordati raramente (Strabone non parla, per esempio, delle guerre galliche del 6 d. C.
e delle guerre pannoniche del 4-11 d. C.) e gli eventi tra il 14 d. C. ed il 16 d. C. sono
pressoché taciuti, Strabone menziona più di venti volte nel corso dell’opera Tiberio e
fatti risalenti al 17-18 d. C.
Poste queste premesse Pais arrivava a concludere che, con buona probabilità, Strabone
doveva avere iniziato la composizione della Geografia già nell’ultimo decennio del I secolo
a. C., forse intorno al 7 a. C., data nella quale sappiamo che si trovava a Roma (STRAB. V
3, 8); ecco quindi spiegato, secondo Pais, perché la maggior parte degli avvenimenti citati
nella Geografia risalgono agli anni dal 31 al 7 a. C. In seguito Strabone, presumibilmente
intorno al 18 d. C., avrebbe ritoccato il testo dei Γεωγραφικά; a quei tempi però non
doveva trovarsi a Roma, poiché trascurò di valersi nella Geografia dei nuovi documenti
che avrebbe potuto vedere o reperire nella capitale, quali ad esempio la carta di Agrippa e
l’allora recentissima opera storica sui Parti di Isidoro Caraceno.
Inoltre Pais sosteneva che Strabone fosse stato spinto a riprendere in mano la sua opera
perché l’avvento di Tiberio dovette sembrargli troppo importante per non inserirlo nei
Γεωγραφικά, tanto più che proprio in quegli anni Germanico dava un nuovo assetto
all’Asia Minore (patria del nostro Geografo), rinnovando le relazioni con i Parti ed
annettendo all’impero la Cappadocia.
In conclusione secondo Pais Strabone aveva iniziato a comporre i Γεωγραφικά tra il 9 ed il
5 a. C., poi, accantonato il progetto, lo aveva ripreso intorno al 18 d. C, ma, essendo
ormai vecchio e stanco, aveva aggiunto alla sua opera solo i fatti recenti che riteneva più
significativi (come appunto il trionfo di Germanico). Quindi Pais scartava decisamente
l’ipotesi di Niese, perché se Strabone avesse veramente composto la Geografia tra il 17 ed
il 19 d. C. avrebbe di sicuro menzionato un numero molto maggiore di avvenimenti
risalenti a quel periodo (e non solo una ventina!).
Sull’argomento Cfr.: E. PAIS, Intorno al tempo ed al luogo in cui Strabone compose la
Geografia storica, in «AAT» XL, 2 (1890), pp. 327-360.
5
Infatti la maggior parte delle informazioni delle quali Strabone poté
disporre proviene da fonti scritte.
Lo stesso Geografo d’Amasea non si astiene dal menzionare quali fossero
gli esponenti più autorevoli della scienza geografica.
Proprio con questa sorta di “canone dei geografi” si apre il primo capitolo
del primo libro della Geografia.
Strabone ci informa che:
“ Οἵ τε γὰρ πρῶτοι θαρρήσαντες αὐτῆς ἅψασθαι τοιοῦτοι δή τινες ὑπῆρξαν·
Ὅµηρος te καὶ Ἀναξίµανδρος ὁ Μιλήσιος καὶ Ἑκαταῖος, ὁ πολίτης αὐτοῦ,
καθὼς καὶ Ἐρατοσθήνης φησί καὶ ∆ηµόκριτος δὲ καὶ Εὔδοξος καὶ ∆ικαίαρχος
καὶ Ἔφορος καὶ ἄλλοι πλείους ἔτι δὲ οἱ µετὰ τούτους, Ἐρατοσθήνης τε καὶ
Πολύβιος καὶ Ποσειδώνιος, ἄνδρες φιλόσοφοι.” (STRAB. I 1, 1)
6
In questo passo Strabone propone una classificazione dei geografi ordinata
in base ad un criterio cronologico; vengono così passati in rassegna i vari
esponenti della scienza geografica, dal più antico ai più recenti.
In VIII 1, 1 il nostro Autore procede invece ad una diversa classificazione
7
.
In questo passo infatti Strabone sostiene che fino ai suoi tempi la
geografia era stata trattata in tre tipi di opere letterarie
8
:
6
“ I primi infatti a occuparsi di geografia furono Omero, Anassimandro di Mileto ed
Ecateo, suo concittadino, come sostiene anche Eratostene; poi Democrito, Eudosso,
Dicearco, Eforo e molti altri, e dopo di loro Eratostene, Polibio e Posidonio, tutti quanti
filosofi.”
7
Cito il passo in questione:
“ Ἅπερ Ὅµηρος µὲν πρῶτος, ἔπειτα καὶ ἄλλοι πλείους ἐπραγµατεύσαντο, οἱ µὲν ἰδίᾳ Λιµένας
ἣ Περίπλους ἣ Περίοδους γῆς ἢ τι τοιοῦτον ἄλλο ἐπιγράψαντες, ἐν οἷς καὶ τὰ Ἑλλαδικὰ
περιέχαται, οἱ δ ̉ ἐν τῇ κοινῇ τῆς ἱστορίας γραφῇ χωρὶς ἀποδείξαντες τὴν τῶν ἠπείρων
τοπογραφίαν, καθάπερ Ἔφορός τε ἐποίησε καὶ Πολύβιος, ἄλλοι δ ̉ εἰς τὸν φυσικὸν τόπον καὶ
6
- peripli (Περίπλους), portolani (Περὶ λιµένων o Λιµένας) e giri della terra
(Περίοδοι γῆς);
- trattati di storia universale con una sezione appositamente dedicata
all’argomento geografico (è il caso delle Ἱστορίαι di Eforo e Polibio);
- descrizioni geografiche presenti all’interno di opere più
specificatamente fisico-matematiche (Strabone si riferisce alle opere di
Ipparco e Posidonio).
Dalla lettura di I 1, 1 e VIII 1, 1 è possibile quindi constatare che gli autori
citati da Strabone sono tutti quanti greci, siano essi poeti, filosofi o storici.
Del resto conosciamo il giudizio poco lusinghiero di Strabone sugli storici
latini:
“ Οἱ δὲ NῶH Ῥωµαίων συγγραφεῖς µιµοῦνται µὲν τοὺς Ἔλληναςm ἀλλ’οὐκ ἐπὶ
πολύ· καὶ γὰρ ἃ λέγουσι παρὰ τῶν Ἑλλήνων µεταφέρουσινm ἐξ ἑαυτῶν δ οὐ
πολύ µὲν προσφὸρονται τὸ φιλείδηµονm ὥσθ̉m ὁπόταν ἔλλειψις γένηται
παρ ἐκείνωνm οὐκ ἔστι πολὺ τὸ ἀναπληρούµενον ὑπὸ τῶν ἑτέρωνm ἄλλως τε
τὸν µαθηµατικὸν προσέλαβόν τε τινα καὶ τῶν τοιούτων, καθάπερ Ποσειδώνιός τε καὶ
Ἵππαρχος.” (STRAB. VIII 3, 1)
“ Quindi Omero si è occupato della geografia per primo; in seguito anche molti altri se ne
sono occupati, alcuni scrivendo in modo specifico Portolani oppure Peripli o Giri della
terra o altri scritti di questo genere, nei quali vengono trattate anche le cose riguardanti
la Grecia, altri trattando, all’interno di opere storiche a carattere generale, in sezioni
separate la topografia dei continenti, come appunto hanno fatto Eforo e Polibio, altri
ancora invece hanno introdotto tra argomentazioni fisiche e matematiche qualche
considerazione di questo tipo, come Posidonio ed Ipparco.”
8
Su questa suddivisione praticata da Strabone Cfr.: F. PRONTERA, Prima di Strabone:
Materiali per uno studio della geografia antica come genere letterario, in AA. VV., Strabone.
Contributi allo studio della personalità e dell’opera, Perugia 1984, pp. 201-202.
7
καὶ τῶν ὀνοµάτωνm ὅσα ἑνδοξόταταm τῶν πλείστων ὄντων Ἑλληνικῶνo”
(STRAB. III 4, 19)
9
Rarissimi quindi sono i casi in cui Strabone cita autori latini
10
; in tutta la
Geografia compaiono solamente sette nomi di scrittori romani (ricordo a
titolo d’esempio IV 1, 1, passo nel quale Strabone fa riferimento ai
Commentari di Cesare, e XIV 2, 25, passo nel quale allude al Brutus di
Cicerone).
Strabone e Omero
Constatata quindi la scarsa simpatia di Strabone per gli storici latini,
torno ora ad occuparmi del cosiddetto “canone dei geografi” proposto dal
nostro Autore.
In entrambe le classificazioni (I 1, 1 e VIII 1, 1) spicca il nome di Omero,
definito anche “fondatore della scienza geografica” (I 1, 2)
11
.
9
“ Gli storici romani imitano quelli greci, ma non del tutto; infatti le cose che dicono le
derivano dai Greci, mentre ciò che di proprio aggiungono non testimonia grande sete di
sapere, cosicché ogni volta che c’è una lacuna tra i primi, non viene pienamente colmata
dai secondi, se è vero che tutti i nomi più illustri sono per la maggior parte greci.”
10
Cfr. E. PAIS, Straboniana: contributo allo studio delle fonti della storia e
dell’amministrazione romana, Torino 1886, pp. 7-11. In queste pagine Pais menziona i
passi nei quali Strabone cita autori latini e sottolinea lo scarsissimo utilizzo che Strabone
fa delle fonti romane. Pais osserva inoltre che il disprezzo del Geografo di Amasea nei
confronti degli storici romani non è del tutto giustificato; infatti, se Strabone fosse stato
in grado di leggere le opere di Catone o di Varrone, certamente egli avrebbe espresso ben
altri apprezzamenti sul valore degli scrittori latini. L’opinione di Pais è che Strabone nei
Γεωγραφικά ricordi di rado gli autori romani soprattutto perché, malgrado i suoi ripetuti
soggiorni nell’Urbe, egli rimase sempre in maggiore dimestichezza con i Greci,
specialmente con i filosofi ed i letterati della natia Asia Minore, piuttosto che con i
Romani, con i quali tutto sommato, nonostante l’amicizia con Elio Gallo, ebbe sporadiche
frequentazioni.
11
Strabone nel medesimo passo tiene anche a precisare che molti dei geografi suoi
predecessori, fra i quali lo stesso Ipparco, avevano già considerato Omero “ ἀρχηγέτην τῆς
γεωγραφίας.” (STRAB. I 1, 2)
8
Omero riveste un ruolo del tutto privilegiato all’interno della Geografia; le
lunghe digressioni ed i frequenti commenti eruditi su questioni di
geografia e filologia omerica hanno spesso contribuito ad un’aspra critica
dell’opera di Strabone.
Del resto lo stesso Geografo evidentemente avverte la necessità di
giustificare l’ampio utilizzo di Omero e la validità scientifica delle nozioni
etnico-geografiche presenti nelle opere del Poeta.
Per questo Strabone nei capitoli 4-10 dei Prolegomena si impegna in una
strenua difesa di Omero (poi ripresa in altre sezioni dell’opera) dai suoi
detrattori, primo fra tutti Eratostene, che considerava il Poeta alla stregua
di un mero inventore di favole.
Rimane da domandarsi da dove possa nascere questa smodata
ammirazione di Strabone nei confronti di Omero, e soprattutto questa
cieca fiducia nelle sue conoscenze geografiche.
In primis credo che sia necessario ricordare l’importanza della figura
d’Omero nell’ambito della tradizione e della cultura greca.
Anche in età ellenistica la lettura e lo studio del Poeta erano un punto di
partenza irrinunciabile per l’acquisizione di una παιδεία di tutto rispetto,
tant’è vero che anche i più agguerriti contestatori di Omero non si erano
certo spinti fino a dichiarare l’inutilità della conoscenza delle opere
omeriche.
Pur tuttavia, a prescindere da questo valore basilare che poteva avere
Omero nella tradizione greca, non bisogna nemmeno dimenticare, come
giustamente osserva A. M. Biraschi
12
, che Strabone concepisce e poi scrive
12
Cfr.: A. M. BIRASCHI, Strabone e Omero, in AA. VV., Strabone e la Grecia, Napoli 1994,
p. 29.
9
la sua Geografia in un particolare momento di ripresa classicistica, in atto
in età augustea, che appunto rientrava in un programma culturale che
auspicava un’integrazione fra mondo greco e romano.
Inoltre va aggiunto a queste considerazioni anche il fatto che Strabone
amava professarsi seguace della filosofia stoica
13
(in I 2, 3 Strabone
chiama gli Stoici οἱ ἡµετέροι, e in I 2, 34 definisce confidenzialmente
Zenone ὁ ἡµετέρος) e in quell’ambiente filosofico la poesia antica era
sempre stata apprezzata in quanto depositaria di un impareggiabile valore
pedagogico.
Ho quindi brevemente analizzato le motivazioni che poterono contribuire a
far sì che Strabone utilizzasse così ampiamente Omero.
Inoltre sulla difesa straboniana di Omero ricordo: G. AUJAC, Strabon et la science de son
temps, Paris 1966, pp. 19-21 (l’Autore sottolinea in queste pagine la devozione
straboniana nei confronti d’Omero, considerato appunto da Strabone “padre di tutte le
scienze”. Aujac pone l’accento anche sul fatto che il Geografo d’Amasea nei Prolegomena
dimostrava di sopravvalutare di gran lunga le conoscenze scientifico-geografiche del
Poeta); A. M. BIRASCHI, Strabone e la difesa di Omero nei Prolegomena, in AA. VV.,
Strabone. Contributi allo studio della personalità e dell’opera, Perugia 1984, pp. 129-153
(nel suo articolo l’autrice si dedica in particolar modo alla questione riguardante
l’appartenenza di Strabone alla Media Stoa, ricordando che i filosofi stoici si erano da
sempre sforzati di recuperare la “sapienza antica”, e quindi riconoscevano ad Omero ed
alla sua poesia un supremo ed imprescindibile valore culturale e educativo).
Per un quadro esauriente della citazioni omeriche presenti in Strabone rimando invece a
W. R. KAHLES, Strabo and Homer. The Homeric citations in the Geography of Strabo,
Chicago 1976.
13
Sullo stoicismo di Strabone può risultare interessante la lettura di G. FRITZ, De
Strabone Stoicorum disciplinae addicto, Münster 1906. Nel suo breve libro Fritz teneva a
precisare che Strabone non si era dedicato solamente alla storia ed alla geografia, bensì
si era impegnato anche in vasti studi filosofici ed aveva aderito con convinzione allo
stoicismo di mezzo. Secondo Fritz quindi l’aspetto filosofico del pensiero straboniano
meritava un’analisi più attenta, e non andava dimenticato che già in età imperiale
Plutarco in due occasioni (PLUT. Vit. Luculli 28; PLUT. Vit. Caesaris 63) aveva menzionato
Strabone definendolo ὁ φιλόσοφος (e non, sottolineava Fritz, ὁ ἱστορικός oppure ὁ
συγγραψεύς o ancora ὁ γεωγράφος), e Stefano di Bisanzio, ormai nel VI secolo, non
esitava a parlare di Strabone chiamandolo filosofo stoico.
10
A conclusione di queste riflessioni ritengo opportuno citare i due passi
dell’VIII libro nei quali Strabone ribadisce l’assoluta necessità di riferirsi
costantemente al Poeta
14
:
“ Λέγω δέ ταῦταm συµβάλλων τά τε νῦν καὶ τὰ υφʹ Ὁµήρου λεγόµενα· ἀνάγκη
γάρ ἀντεξετάζεσθαι ταῦτα ἐκείνοις διὰ τὴν τοῦ ποιητοῦ δόξαν καὶ συντροφίαν
πρὸς ἡµᾶςm τότε νοµίζοντος ἑκάστου κατορθοῦσθαι τὴν παροῦσαν πρόθεσινm
ὅταν ᾖ µηδὲν ἀντίπιπτον τοῖς οὕτω σφόδρα πιστευθεῖσι περὶ τῶν αὐτῶν
λόγοις · δεῖ δὴ τά ὄντα λέγειν καὶ, τὰ τοῦ ποιητοῦ παρατιθένταςm ἐφ̉ ὅσον
προσήκειm προσσκοπεῖνo” (STRAB. VIII 3, 3)
15
Ed ancora, dopo qualche paragrafo:
“ Οὐκ ἄν δ ἐξητάζοµεν ἴσως ἐπὶ τοσοῦτον τὰ παλαιάm ἀλλ ἤρκει λέγειν ὡς
ἔχει νῦν ἕκασταm εἰ µή τις ἦν ἐκ παίδων ηµῖν παραδεδοµένη φήµη περί τούτων·
14
In realtà nella Geografia è presente anche un’altra digressione nella quale Strabone
sottolinea la superiorità di Omero distinguendolo dagli altri scrittori; essa si colloca al
principio della trattazione dedicata alla Troade, ed è considerevolmente più breve rispetto
alle due succitate digressioni d’argomento analogo del libro VIII.
La riporto qui di seguito:
“ Οἱ συγγραφεῖς οὐχὶ τὰ αὐτὰ γράφοντες περὶ τῶν αὐτῶν, οὐδὲ σαφῶς πάντα· ὧν ἐν τοῖς
πρώτοις ἐστὶν Ὅµηρος, εἰκάζειν περὶ τῶν πλείστων παρέχων· δεῖ δὲ καὶ τὰ τούτου διαιτᾶν καὶ
τὰ τῶν ἄλλων.” (STRAB. XIII 1, 1)
“ Gli scrittori non scrivono le stesse cose sui medesimi avvenimenti, né espongono ogni
cosa con chiarezza; fra i primi c’é Omero, che offre argomenti sulla maggior parte delle
cose: è necessario quindi distinguere quel che egli dice e quel che dicono gli altri.”
15
“ Dico queste cose perché sto confrontando le condizioni presenti con quelle descritte
da Omero; è necessario infatti che noi facciamo questo confronto a causa della fama del
Poeta e per la familiarità che abbiamo con lui sin da bambini, dal momento che ognuno
di noi ritiene che di volta in volta la presente trattazione sia stata condotta in modo
corretto quando niente è in conflitto con quello che si crede fermamente sui medesimi
argomenti; bisogna quindi dire le cose come stanno ora e considerare inoltre, nella
misura nella quale conviene, le cose esposte dal Poeta.”
11
ἂλλων δ ἂλλα εἰπόντωνm ἀνάγκη διαιτᾶνo Πιστεύονται δ ὡς ἐπὶ τὸ πολὺ οἱ
ἐνδοξότατοί τε καὶ πρεσβύτατοι καὶ κατ̉ ἐµπειρίαν πρῶτοι· Ὁµήρου δ εἰς
ταῦτα ὑπερβεβληµένου πάνταςm ἀνάγκη συνεπισκοπεῖν καὶ τὰ ὑπ ἐκείνου
λεχθέντα καὶ συγκρούειν πρὸς τὰ νῦνm καθάπερ καὶ µικρὸν ἔµπροσθεν
ἔφαµεν.” (STRAB. VIII 3, 23)
16
Terminata quest’analisi sulle motivazioni che condussero Strabone ad
affidare ad Omero un ruolo tanto rilevante nella sua opera, passerò ora a
considerare la presenza omerica nei passaggi della Geografia dei quali mi
occupo in modo specifico, cioè il capitolo 7 e i frammenti del VII libro
17
(l’Epiro, la Macedonia e la Tracia) e il capitolo 5 del IX libro (la Tessaglia).
16
“ Forse io non dovrei esaminare tanto a lungo cose così antiche, ma mi dovrebbe
bastare esporre nel dettaglio le cose come stanno ora, se su questi argomenti non ci
fossero racconti tramandatici fin da bambini; dal momento che raccontano le cose in
modi diversi, è necessario dare un giudizio. In generale sono ritenuti maggiormente degni
di fede gli autori più famosi, i più antichi e i primi in fatto d’esperienza; dal momento che
Omero ha superato tutti in queste cose, bisogna esaminare le cose che dice e confrontarle
con quelle presenti, come ho già detto poco fa.”
17
Purtroppo infatti la descrizione straboniana di queste zone dell’ οἰκουµένη ci è giunta
solamente in stato frammentario. La seconda metà del VII libro si ricostruisce con:
- gli excerpta della Geografia (realizzati in un’epoca nella quale si disponeva ancora
dell’edizione completa della Geografia), compresi nella cosiddetta Crestomazia
(epitome di autore anonimo risalente al IX secolo, la quale però non segue sempre il
testo straboniano, ma aggiunge spesso informazioni tratte da altre fonti), conservata
nel codice Palatinus Heidelbergensis graecus 398;
- gli excerpta dell’epitome vaticana (il Vaticano greco 482, databile al 1350 circa);
- i commenti fatti da Eustazio (XII secolo) ad Omero e Dionisio il Periegeta; Eustazio
utilizzava un’edizione di Strabone che non era ancora stata privata della fine del VII
libro;
- alcuni scolii e citazioni, come per esempio quelle presenti nei Deipnosophistaí di
Ateneo di Naucrati (fine del II secolo d. C.) e negli Ethniká di Stefano di Bisanzio (VI
secolo d. C.);
- un brevissimo frammento del testo completo dei Γεωγραφικά conservato in un papiro
di Colonia (Papyrus Colon. inv. n. 5861).
Per quanto riguarda i problemi relativi alla trasmissione del testo della Geografia ed alle
epitomi di Strabone Vedi: F. SBORDONE, Excerpta ed epitomi della Geografia di Strabone,
in AA. VV, Atti dell’VIII Congresso Internazionale di Studi Bizantini, Roma 1953, pp. 202-
206.
Per il prospetto dei codici straboniani è possibile utilizzare l’opera di A. DILLER, The
textual tradition of Strabo’s Geography, Amsterdam 1975.
Sia Diller che Aly e Sbordone (cfr.: W. ALY, F. SBORDONE, De Strabonis codice rescripto
cuius reliquiae in codicibus Vaticanis Vat. gr. 2306 et 2061 A servatae sunt, scripsit
12
Ovviamente mi dedicherò in modo diffuso e dettagliato ai vari passi nei
quali Strabone si rifà ad Omero e lo cita nei capitoli dedicati al commento.
In questa sede però mi sembra necessario fornire un’idea generale
sull’importanza che il Poeta riveste proprio nelle sezioni dell’opera da me
tradotte.
Nel VII libro Strabone affronta una delle parti più complesse dell’intera
Geografia, dal momento che si trova a dover descrivere un territorio che
non solo è estremamente vasto, ma anche in gran parte continentale.
La lontananza dal mare costringe pertanto Strabone a ricorrere ad altri
procedimenti di localizzazione alternativi al riferimento alla costa
(Strabone prende ad esempio come punti di riferimento il corso del
Danubio e la via Egnatia, che ai suoi tempi si snodava da Apollonia fino a
Kypsela).
Il medesimo discorso vale anche per il quinto capitolo del IX libro, nel
quale Strabone si occupa della Tessaglia.
Anche in questo caso le caratteristiche fisiche generali della regione non
permettono certo al nostro Autore di localizzare tutte le città indicandone
la posizione rispetto al litorale.
Wolfgangus Aly; corollarium Adiecit Franciscus Sbordone, Città del Vaticano 1956) hanno
studiato il codice indicato come π, che venne copiato a Bisanzio nel V o VI secolo e
riportava il testo straboniano. La parte conservata di questo palinsesto si trova nella
Biblioteca Vaticana. I manoscritti posteriori al codice π derivano da un archetipo
intitolato Γεωγραφικά. Il più importante manoscritto medievale del quale disponiamo è il
Parisinus graecus 1397, risalente al X-XI secolo, che contiene i libri I-IX della Geografia.
L’editio princeps dei Γεωγραφικά è quella aldina (Venezia 1516).
La prima traduzione italiana è quella di M. A. Buonaccioli (M. A. BUONACCIOLI, La prima
parte della Geografia di Strabone, di greco tradotta in volgare italiano da M. Alfonso
Buonaccioli, Venezia 1562; M. A. BUONACCIOLI, La seconda parte della Geografia di
Strabone, di greco tradotta in volgare italiano da M. Alfonso Buonaccioli, Ferrara 1565).
13
D’altro canto queste zone dell’οἰκουµένη presentavano un’eccezionale
varietà e mescolanza di popolazioni, dovuta a diverse e frequenti
migrazioni sulle quali Strabone ama intrattenerci, data appunto
l’importanza che l’etnografia aveva nella concezione greca della geografia.
Si trattava quindi di un territorio instabile, dalle frontiere in continuo
mutamento (basti pensare alla Macedonia ed alla Tessaglia, e soprattutto
ad una regione di confine come la Perrebia).
Alle succitate difficoltà va aggiunto il fatto che per queste regioni
l’esperienza autoptica di Strabone (specie per l’entroterra), doveva ridursi
probabilmente a ben poca cosa.
Per queste ragioni quindi e per le evidenti difficoltà nel reperire dati e
documenti, proprio in queste sezioni dell’opera Strabone segue tanto da
vicino Omero ed i principali commentatori di Omero (cioè Apollodoro di
Atene e Demetrio di Scepsi).
Maggiormente emblematico è tuttavia il caso della Tessaglia. Strabone
delinea un vero e proprio quadro della Tessaglia omerica, divisa in dieci
distretti e sottoposta ad altrettante signorie.
Ovviamente le citazioni omeriche si susseguono fitte per l’intero capitolo.
Del resto questo tipo di trattazione doveva risultare gradito agli ascoltatori
ed ai lettori greci delle sue opere, che conoscevano perfettamente la poesia
omerica
18
.
18
A questo proposito ricordo che Tozer (H. F. TOZER, Selections from Strabo, whit an
Introduction on Strabo’s Life and Works, Oxford 1893) sosteneva che Strabone desiderava
essere letto dai Romani, ma si aspettava realisticamente di essere letto dai Greci.
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Le fonti antiche
Strabone indica come successori di Omero Anassimandro di Mileto ed
Ecateo, anch’egli di Mileto. Prosegue poi ricordando Democrito di Abdera,
Eudosso di Cnido, Dicearco di Messene ed Eforo di Cuma
19
.
In I 1, 11 Strabone accorda ad Anassimandro (610-546 a. C. circa), allievo
di Talete, il merito di essere stato il primo a realizzare una carta,
disegnando appunto l’οἰκουµένη su una tavoletta; nello stesso passo
Ecateo viene riconosciuto come il primo autore ad avere scritto un’opera
geografica.
Ecateo di Mileto
Dalle diverse citazioni presenti nella Geografia sappiamo che Strabone
disponeva dell’opera di Ecateo
20
(ovvero la Περιήγεσις γῆς); inoltre Ecateo
19
Cfr.: F. PRONTERA, Prima di Strabone: materiali per uno studio della geografia antica
come genere letterario, in AA. VV., Strabone. Contributi allo studio della personalità e
dell’opera, Perugia 1984, pp. 189-256. Prontera fornisce un’ampia panoramica della
tradizione geografica greca preesistente a Strabone, partendo appunto dagli albori della
geografia, non trascurando di ricordare i più antichi resoconti di viaggi ed esplorazioni,
quali i Peripli di Scilace, di Annone e di Eutimene.
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Ecateo di Mileto (FGrHist 264) visse tra la seconda metà del VI secolo e l’inizio del V.
Grazie ad una serie di viaggi acquisì vaste conoscenze geografiche ed etnografiche, che
poi confluirono nella sua Periegesi della terra, un’opera geografica in due libri a loro volta
intitolati Europa ed Asia. Nella Περιήγεσις γῆς Ecateo inizia la sua descrizione
dell’οἰκουµένη dall’Iberia, prosegue trattando l’Europa, l’Asia, l’Egitto ed infine la Libia (i
Γεωγραφικά di Strabone seguono il medesimo schema. Dopo i Prolegomena infatti la
Geografia è così suddivisa:
- libro III: Iberia;
- libro IV: Gallia e Britannia;
- libri V-VI: Italia;
- libro VII: popolazioni del Reno, Illiria, Epiro, Macedonia, Tracia;
- libri VIII-X: Grecia e isole;
- libri XI-XIV: Caucaso e Asia Minore;
- libro XV: India, Persia;
- libro XVI: Assiria, Siria, Arabia;
- libro XVII: Egitto, Etiopia, Libia).
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aveva visitato la Macedonia e la Tracia, per cui la sua Periegesi risultò
utilissima a Strabone per la compilazione del VII libro della Geografia (area
transdanubiana e cisdanubiana).
Nel settimo capitolo del VII libro Ecateo viene esplicitamente citato solo in
VII 7, 1, tuttavia sono innumerevoli le notizie ricavate dal periegeta di
Mileto (anche se forse alcune provengono da fonti intermediarie, prima fra
tutte Eforo), soprattutto per il quadro dei gruppi etnici e delle istituzioni
epirote (VII 7, 8) e sull’interno del territorio epirota e macedone (VII 7, 9).
Probabilmente vanno ricondotte ad Ecateo anche le informazioni
straboniane riguardanti la città epirota di Bouthrotos (VII 7, 5), ed ancora
le nozioni geografiche relative all’Epiro meridionale (VII 7, 6).
Eudosso di Cnido e Dicearco di Messene
Anche Eudosso di Cnido è frequentemente citato da Strabone
21
.
Matematico ed astronomo vissuto nella prima metà del IV secolo a. C.,
discepolo dell’Accademia, Eudosso compì una serie di viaggi e si stabilì
infine a Cizico, sulla Propontide, dove fondò una scuola che divenne
presto famosa.
Il nostro Geografo lo apprezza particolarmente perché egli aveva compiuto
una serie di viaggi e poteva così vantare un’esperienza autoptica su diversi
territori.
Dai frammenti che ci rimangono sappiamo che nella Periegesi venivano descritte le
popolazioni, le città, i fiumi, le montagne ed i porti; Ecateo delinea inoltre con molta
attenzione la natura dei territori, e spesso non rinuncia ad un accenno alla storia arcaica
dei luoghi.
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Strabone in IX 1, 2 afferma che Eudosso era estremamente competente in fatto di
climi; in XVII 1, 30 ricorda poi che Eudosso si era dedicato allo studio del movimento
degli astri presso Heliopolis in Egitto.