4
avvalsi principalmente dei contributi di Giovanni Gambarin), con il Caleffi, e infine con
l’Orlandini.
Il secondo capitolo si occupa, invece, di Giuseppe Mazzini come biografo e come
editore foscoliano, nonché dei suoi rapporti con la Magiotti. In primo luogo, basandoci
soprattutto sugli studi di Paolo Mario Sipala, si è tentato di analizzare l’interesse e la
passione che Mazzini nutrì per Foscolo come uomo e letterato, a partire dagli anni
giovanili fino a quelli dell’esilio. In secondo luogo, ci siamo occupati di descrivere la
vicenda storica delle due edizioni foscoliane curate dal Mazzini, ovvero quella del
Dante datata 1842 e quella degli Scritti Politici pubblicati due anni dopo e contenenti la
Lettera Apologetica, da lui scoperta nei magazzini del libraio londinese William
Pickering. Si è poi cercato di mettere in luce la peculiare interpretazione mazziniana del
Foscolo come esempio di virtù patria per la gioventù italiana secondo il programma da
lui ideato per formare negli italiani una vera e fattiva coscienza nazionale.
L’appendice, infine, riporta il carteggio tra il Mazzini e la Magiotti. Le lettere qui
trascritte sono tutte edite: quelle di Mazzini a Quirina si trovano nell’epistolario
dell’edizione nazionale del Mazzini, mentre quelle della Donna Gentile sono state
pubblicate dal Linaker, anche se non tutte integralmente. È questa nondimeno la prima
volta che è possibile rendersi conto dell’alternarsi del dialogo tra i due corrispondenti e,
tuttavia, per una maggiore correttezza filologica, ci sembra auspicabile una nuova
edizione del carteggio basata strettamente sugli originali conservati nella Biblioteca
Nazionale di Firenze (mss., X, H) operazione che, purtroppo, per limiti di tempo non è
stato possibile realizzare in questa sede.
5
Capitolo I
PER UNA BIOGRAFIA DI QUIRINA MOCENNI MAGIOTTI
Quirina Mocenni Magiotti, nota ai più come la “Donna Gentile del Foscolo”, si
guadagnò questo epiteto grazie all’instancabile e incrollabile disponibilità dimostrata al
poeta durante l’intero periodo della loro conoscenza. Una disponibilità che ben presto
divenne devozione, trascorrendo dai toni della passione amorosa a quelli di un affetto
quasi materno, anche per i continui aiuti finanziari che non mancò mai di inviargli dopo
la sua fuga da Milano. Dopo la morte del Foscolo nel 1827, questi sentimenti si
mutarono in un fermo proposito di rendere omaggio alla sua memoria anche attraverso
lo straordinario patrimonio librario e manoscritto di cui, per diverse vie, era entrata in
possesso. L’importanza di Quirina nella tradizione foscoliana risiede, infatti, nel ruolo
che svolse in quanto depositaria di opere e documenti del poeta che le furono richiesti
da quanti tra i posteri intesero scriverne una biografia o pubblicarne gli scritti rimasti
inediti. Era stato lo stesso Ugo Foscolo ad attribuirle questo ruolo, utilizzando la casa
fiorentina della Donna Gentile in via dei Servi come deposito temporaneo dei suoi libri,
e ancor più con quella lettera del 30 dicembre 1815, una sorta di lascito testamentario,
che la dichiarava tutrice dei suoi libri fiorentini e milanesi. A questo proposito Giuseppe
Nicoletti mette in evidenza la natura essenzialmente intellettuale che la loro relazione
finì per assumere e quindi il compito affidato al libro come surrogato di un’effettiva
passione amorosa.
1
Se per Quirina la stima verso il cantore dei Sepolcri sfociò in amore, altrettanto
non si può dire per il Foscolo. La sua personalità irrequieta prediligeva passioni
travolgenti, tragiche, tormentate: in questi termini non poteva di certo innamorarsi di
una donna come Quirina. Possiamo concordare con Emilio Del Cerro nell’asserire che
con lei il poeta fu soltanto galante, ricercando una qualche sicurezza e stabilità
psicologica che, certamente, il carattere nobile e insieme pratico della donna poté
1
G. NICOLETTI, La biblioteca foscoliana della donna gentile, in ID. La memoria illuminata,
autobiografia e letteratura tra Rivoluzione e Risorgimento, Firenze, Vallecchi Editore, 1989, pp. 189-
230.
6
assicurargli.
2
Le fu amico, ma non senza una vena di insincerità allorché dalla Svizzera
nel 1816 le chiedeva di sposarlo, adducendo come motivazioni la tarda età e la solida
amicizia, motivi questi che non poterono soddisfare una donna che lo aveva davvero
amato.
3
Quirina, tuttavia, fu ben consapevole di non poter legare a sé un uomo come il
Foscolo e, dopo aver ragionevolmente fatto declinare la propria passione in fedele
amicizia, non mancò di dimostrare tutto il suo buon senso anche in questa circostanza,
rifiutando una proposta di matrimonio infattibile e poco sentita.
Gli anni giovanili di Quirina
Nata a Siena nel giugno del 1781 da Teresa Regoli e Ansano Mocenni, agiato
mercante e possidente, Quirina ereditò dal padre la capacità di ben governare l’ azienda
domestica, tanto che fu addirittura lodata nel «Giornale agrario toscano» per i
perfezionamenti che introdusse nelle coltivazioni e nella gestione dell’azienda agricola.
4
A fianco di queste “occupazioni virili” da saggia amministratrice condivise con la
madre un non comune interesse per la cultura letteraria. Teresa, infatti, aveva
trasformato il salotto domestico in un circolo mondano e intellettuale dove si riunivano
le figure più eminenti del panorama culturale senese, soprattutto uomini che orbitavano
attorno all’astro ormai splendente di Vittorio Alfieri, assiduo frequentatore di casa
Mocenni durante i suoi soggiorni senesi. Tra costoro ricordiamo Francesco Gori
Gandellini, a cui l’Alfieri dedicò la tragedia Antigone nel 1782 e La congiura de’ Pazzi
nel 1787, Mario Bianchi, co-destinatario delle lettere inviate dal poeta astigiano alla
Regoli Mocenni, Giuseppe Ciaccheri, fondatore della Biblioteca pubblica di Siena,
l’arciprete Ansano Luti, provveditore dell’Università di Siena, Pietro Giacomo Belli,
2
E. DEL CERRO, Gli amori di Ugo Foscolo a Firenze, in ID. Epistolario compreso quello amoroso di
Ugo Foscolo e di Quirina Mocenni Magiotti, Firenze, Salani, 1888.
3
“Teco io m’ ammoglierei come un amico; e appunto perché siamo avanzatetti l’ uno e l’ altra in età, e
quasi fuori del mondo, ti darei e domanderei soave riposo domestico e commercio d’ anima e d’ intelletto
e perpetua corrispondenza d’ affetti.” Lettera del 31 marzo 1816 di U. Foscolo a Q. Mocenni Magiotti in
U. FOSCOLO, Epistolario, a cura di G. Gambarin e F. Tropeano, Firenze, Felice Le Monnier, 1966, vol.
VI, p. 371.
4
Candida Quirina Luisa Maria Mocenni fu battezzata il 21 giugno 1781, padrino fu il cavalier Angiolo di
Lauro Quirini, patrizio veneto e in sua vece Mario Bianchi. Vedi l’alberetto genealogico in J.
BERNARDI, C. MILANESI, Lettere inedite di Vittorio Alfieri alla madre, a Mario Bianchi e a Teresa
Regoli Mocenni, Firenze, Le Monnier, 1864, pp. 116-117.
La notizia della menzione che il «Giornale agrario toscano» avrebbe fatto nei suoi riguardi si apprende
dalla prefazione di F. S. Orlandini alle Opere edite e postume di Ugo Foscolo, a cura di E. Mayer e F. S.
Orlandini, Firenze, Le Monnier, 1850-62.
7
Candido Pistoj, Giovan Battista Mugnaini, e il poeta arcade Anton Maria Borgognini.
Casa Mocenni divenne circolo di quei letterati che, prima dell’arrivo dell’Alfieri a Siena
nel 1777, si erano riuniti attorno a Maria Fortuna Mengacci, poetessa improvvisatrice e
donna colta, membro dell’Arcadia e poi Accademica Intronata, che dovette abbandonare
Siena per raggiungere i familiari ad Arezzo. Venuto meno questo importante centro di
ritrovo, Teresa Regoli seppe raccogliere degnamente l’eredità del precedente salotto
organizzando serate in cui si discorreva di letteratura, scienza, politica e morale, nonché
dei pettegolezzi e degli scandali della città: era insomma l’animatrice del crocchio di
letterati senesi più in vista e conosciuti. Il marito Ansano Mocenni che la sposò in
seconde nozze nel 1778, in seguito alla morte della prima moglie Maria Angiola
Pescetti, non condivise la stima di cui godeva la carismatica moglie, anzi, nelle lettere
dell’Alfieri e della Stolberg, egli viene ricordato come un uomo rustico e collerico,
nonché come lo sgradito terzo incomodo nella maggior parte delle situazioni, fino ad
essere denominato “il Brontolone”. Ecco i giudizi espressi dalla contessa Stolberg
d’Albany a suo riguardo: “Je deteste, ma chère Thérèse, votre brutale de Brontolone qui
est encore plus bête que méchant”, e ancora: “votre Brontolone, ma chère Thérèse, est
bien ennuieux pour vous et bien ridicule pour les autres avec son dîner et ses
cardinaux”.
5
In occasione dell’incriminazione di Ansano, reo di aver pronunciato di
fronte ai suoi compaesani una sorta di discorso in favore della democrazia, la contessa
scrisse a Teresa:
Votre mari est une bête, mais il est coupable d’actions, et non pas d’opinions; il se fait imprimier,
et se vante d’enseigner la démocratie.[…] Je sais que votre mari et un imbécile, mais tout le monde
pouroit dire la même chose. Vous scavez que j’ai toujours pensé de même sur cette action
extravagante de votre Brontolone, même dans le tems de François.
6
Vittorio Alfieri, invitando la Regoli e il Bianchi a Pisa in occasione del gioco del Ponte,
definì il marito di lei, Ansano Mocenni, come il “terzo d’aggiunta”.
7
Sembra, infatti,
che Teresa avesse ricercato conforto per il suo infelice matrimonio nella compagnia di
5
Lettera del 15 maggio 1798 di L. Stolberg a T. Regoli Mocenni e all’arc. Luti e lettera del 31 luglio
1798 della contessa ai medesimi destinatari, in G. L. PELISSIER, Lettres inédites de la comtesse d’
Albany a ses amis de Sienne (1797-1820), Paris, Albert Fontemoing éditeur, 1904, vol. I, pp. 77 e 115.
6
Lettera del 24 gennaio 1800 di L. Stolberg a T. Regoli Mocenni e all’arc. Luti, ivi, p. 238.
7
“Mi spiace che non si possano decidere su questo Ponte, ma capisco benissimo tutte le ragioni, e gli
ostacoli; ma però voglio piuttosto avere il terzo d’aggiunta, che non averli loro: e se nient’altro può
guastare il venir loro, lo invitino pure per parte mia anche lui.” Lettera del 28 febbraio 1785 di Vittorio
Alfieri a Mario Bianchi in V. ALFIERI, Epistolario, a cura di L. Caretti, Asti, Casa d’Alfieri, 1963, vol. I,
p. 232.
8
Mario Bianchi, vero e proprio cavalier servente che vestiva i panni del corteggiatore
ufficiale, secondo quanto consentito dai costumi dell’epoca.
Nota ai senesi come la “Venere gialla” a causa dell’idropisia che l’afflisse fino a
causarne la morte il 21 settembre 1802, la Mocenni fu cultrice stimata di lettere e belle
arti, come si può arguire dalle numerose richieste rivoltele dall’Alfieri di esprimere
pareri riguardo ai suoi scritti. Il poeta astigiano ne additava il “buonsenso” e il “core”
per i giudizi pronunciati relativamente alle sue tragedie e ne lodava il “discernimento e
il buon naso”.
8
Oltre ad essere un’appassionata lettrice, Teresa si cimentò
personalmente come poetessa e nell’arte dell’incisione, come dimostrano alcuni distici
di sua composizione, poi stampati dal Milanesi, e taluni rametti intagliati con effigi di
Santi, oggi conservati nella Biblioteca comunale degli Intronati di Siena.
9
Tali
inclinazioni artistiche e intellettuali si tramandarono alla figlia Quirina che pure
sperimentò in modo dilettantesco le arti figurative, come è attestato da un’esercitazione
ad acquerello di un soffitto a grottesche, copia di Bernardino Poccetti, firmata e datata
1798.
10
La Donna Gentile trascorse quindi la propria giovinezza in un ambiente di
persone colte, laddove di frequente si recitavano componimenti poetici, satire ed
epigrammi, talvolta opera di scrittori autorevoli, talvolta composti dai medesimi
frequentatori del salotto. Non è da escludere, dunque, che la giovane abbia goduto del
privilegio di ascoltare le tragedie alfieriane recitate dall’autore stesso, introdotto nel
salotto Mocenni dal carissimo amico Gori Gandellini.
Un’altra presenza, pur lontana da Siena, che influenzò indirettamente il corso di
vita di Quirina fu quella della celebre contessa d’Albany, compagna dell’Alfieri, amica
e costante corrispondente della madre Teresa. Nelle lettere alla Regoli, raccolte in
un’edizione curata dal Pelissier, la contessa parla di numerosi e svariati argomenti: dagli
avvenimenti politici correnti alle sue assidue letture, dalle avventure galanti di Siena e
Firenze, a questioni personali.
11
Troviamo, peraltro, in queste missive molteplici
8
Nella lettera del 31 gennaio 1785 di V. Alfieri a M. Bianchi da cui è tratta la prima citazione, nel passo
immediatamente precedente si legge: “ Mi farà vero piacere la Sig.ra Teresina a dirmi tutto quello che le
sarà passato per la mente nel rileggere le tragedie ultime: sì in bene che in male. L’avrò caro assai; e chi
sa ch’io da una Donna che sente non cavi più lumi assai, che da professori che hanno il cuor col pelo?
Anzi non c’ è dubbio: buon senso e core fanno i giudici nelle cose passionate. Son tutto loro.” L’ altra
citazione è tratta dalla lettera del 28 febbraio 1785 di V. Alfieri a M. Bianchi. Entrambe si trovano in V.
ALFIERI, Epistolario, cit., pp. 222-223 e p. 233.
9
I distici composti dalla Regoli Mocenni si trovano in J. BERNARDI, C. MILANESI, Lettere inedite di
Vittorio Alfieri alla madre, a Mario Bianchi e a Teresa Regoli Mocenni, cit.
10
L’immagine viene riprodotta in AA.VV., La cultura artistica a Siena nell’ Ottocento, a cura di C. Sisi,
E. Spalletti, Cinisello Balsamo, Amilcare Pizzi, 1994, p. 21. L’opera è oggi custodita in una collezione
privata, proprietà degli eredi della famiglia Mocenni.
11
G. L. PELISSIER, Lettres inédites de la comtesse d’ Albany a ses amis de Sienne (1797-1820), cit.,
voll. 2.
9
consigli riguardo all’educazione e alla formazione dei figli di Teresa, rivolti soprattutto
al piccolo Vittorio, il preferito della contessa, a cui si raccomandano massime morali e
letture istruttive.
12
Ma l’eccentrica contessa d’Albany si occupò anche di dispensare
consigli sulle prospettive matrimoniali di Quirina, impegnandosi fin dal 1797 nella
ricerca di un buon partito da proporle. Fu, infatti, consigliera delle sue disgraziate nozze
con Ferdinando Magiotti, come si legge nella lettera del 27 febbraio 1802 dove esprime
francamente il suo parere riguardo ai vantaggi che Quirina avrebbe potuto conseguire
tramite l’unione con questo ricco membro della piccola nobiltà di provincia, anche se
poi non esita a definire il futuro coniuge “un imbecille” e a rilevare quanto il “maestro
assoluto ed onnisciente” del matrimonio sarebbe stato il padre Camillo Magiotti:
Je ne sais encore rien, ma chère Thérèse, de votre mariage qui m’ intéresse tant et que je
raccomande tous le dimanches à celui qui en est chargé. Je voudrais qu’il réussisse, puisque vous
le désirez, quoique je ne donnerois pas ma fille à un imbécile de cette nature, dont la vue seule me
ferait fuir à cent lieux. […] Dans un pays monarchique il y a deux classes bien distintes, et votre
fille, en épousant Magiotti, ne jouira pas plus des avantages de la noblesse que en épousant un
négociant de Rome.
13
In seguito, dopo la morte di Teresa, la d’Albany scriverà all’arciprete Luti parlando in
modo malevolo delle nozze di Quirina, di cui pure era stata la principale suggeritrice,
fino ad arrivare alla frequente insinuazione che il Capitano Magiotti, conscio delle
deficienze del figlio, avrebbe voluto sostituirsi ad esso nel talamo nuziale: “le Capitaine
est entêté et avare, et aurait voulu de sa part plus de tendresse : car c’est un vieux
libertin qui, je crois, aurait voulu la femme de sons fils pour lui ; mais il ne se
ressouvient pas qu’il est vieux.”
14
La contessa, inoltre, afferma che se Quirina avesse
avuto maggiore esperienza del mondo sarebbe stata in grado di gestire la situazione a
proprio vantaggio, lusingando il suocero senza concedergli quanto desiderava :
Je ne conçois pas comment il est venu dans l’esprit du vieux Magiotti de devenir l’amant de sa
belle-fille ; mais les hommes sont comme les femmes : ils croient de pouvoir toujours plaire, sans
12
Vittorio Francesco Maria Mocenni, battezzato il 24 giugno 1784, con V. Alfieri come compare e in sua
vece F. Gori Gandellini, morì a Milano nel dicembre 1810. Fu il preferito dalla contessa d’ Albany tra i
figli dell’amica Teresa, chiamato affettuosamente “le fils chèri de ma chère Thérèse” con cui avvierà una
diretta corrispondenza epistolare dopo la morte della madre.
13
Lettera del 27 febbraio 1802 di L. Stolberg a T. Regoli Mocenni, in G. PELISSIER, Lettres inédites de
la comtesse d’ Albany a ses amis de Sienne (1797-1820), cit., vol. I, pp. 328-329.
14
Lettera del 28 maggio 1803, di L. Stolberg all’arc. Luti, ivi, vol. II, p. 88.
10
réfléchir à leur age. Je sais que, du temps de sa femme, passait pour n’être pas le père de l’
imbécile, et de s’être déjà marié trop tard pour sa femme. Cette jeune personne, qui était très jolie,
était entourée de jeunes gens qui savaient tous les secrets du ménage et les disaient. Ainsi il n’aura
pas acquis depuis vingt-cinq ans. Ordinairement on ne recupère pas ce qui est perdu, et on ne
ressuscite pas ce qui est mort depuis tant d’années. Si la Quirina avait eu plus d’usage du monde,
elle ne l’aurait pas rebuté ; mais elle l’aurait tenu a bado jusqu’à ce qu’elle eut obtenu ce qu’elle
aurait voulu de lui, et l’ aurait flatté sans lui rien accorder ; mais je conçois qu’il l’a ennuyée. Son
grand malheur est d’avoir perdu sa mère qui aurait tout arrangé. Je suis étonnée qu’elle n’a pas
pensé à lui faire assurer une contradote. Il fallait y penser avant la signature du contrat de mariage.
Il parait que la Thérèse était déjà malade, car tout cela s’est mal fait.
15
Nelle lettere della Stolberg il suocero di Quirina, dalla fama di celebre “seccatore”,
appare come un vecchio satiro costantemente intento a vigilare sulla nuora per ottenerne
i favori e, non è un caso, viene ripetutamente citato come “Cerbero”. Ma le insinuazioni
della d’Albany sulla Donna Gentile non si arrestarono a tali subdole accuse, al
contrario, proseguirono fino a lamentare la brutta abitudine, che a suo avviso Quirina
possedeva, di divorare gli uomini con lo sguardo, mostrando chiaramente di esserne a
digiuno: “je crois qu’elle aurait besoin d’un amant, et qu’elle le cherche sans le trouver.
Elle a une manière de regarder les hommes qui annonce qu’elle est à jeun ; c’est même
ridicule de les dévorer des yeux comme elle fait”.
16
Per di più, a dire della contessa,
l’aspetto fisico della giovane Quirina, considerata grassoccia e poco graziosa, non le era
d’aiuto nella ricerca disperata di un amante:
Jusqu’à présent elle n’a pas trouvé une personne avec qui se familiariser, et elle ne va qu’aux
stanze, ne connaissant personne ; et puis parce que les jeunes femmes. Elles se craignent
réciproquement, et elles craignent surtout celles qui sont désoccupées et qui ont besoin d’un
Cavalier Servente. Je crois que Quirina le désire fortement, mais ils sont rares ; et elle n’est pas
jolie, son teint surtout est mauvais ; elle n’a que la jeunesse.
17
La d’Albany scherniva poi la sua goffaggine che, certamente, non le consentiva di
sedurre gli uomini al primo colpo ma, dato che alla lunga chiunque avrebbe potuto
trovare un amante, anche Quirina non sarebbe stata da meno.
18
Nonostante le frequenti maldicenze su Quirina, la contessa mostrò anche di
provare una certa compassione per la sorte della giovane, la cui sventura sarebbe stata
15
Lettera del 4 giugno 1803, di L. Stolberg all’arc. Luti, ivi, p. 92.
16
Lettera del 16 aprile 1803 di L. Stolberg all’arc. Luti, ivi, p. 77.
17
Lettera del 19 marzo 1803 di L. Stolberg all’arc. Luti, ivi, p. 66.
18
Lettera del 23 aprile 1803 di L. Stolberg all’arc. Luti, ivi, p. 81.
11
quella di aver perso la madre prima di poter condurre a termine, con le dovute
precauzioni, il matrimonio. L’opinione della contessa era che Teresa avrebbe potuto
provvedere alla situazione economica della figlia con una controdote, per impedire che
ella dipendesse dall’avaro suocero Magiotti, e sosteneva che la ragione principale delle
nozze sarebbe stata la volontà della madre di trasferirsi a Firenze. Nel frattempo però la
d’Albany tentava di giustificarsi agli occhi dell’arciprete Luti, sostenendo di non avere
niente di cui rimproverarsi per il ruolo svolto nella vicenda nuziale, dato che aveva già
esposto a Teresa la sua opinione riguardo al futuro sposo:
J’ai vu, mon cher Archiprêtre, chez la Quirina, le petit lit qui vous est destiné; puisque vous vivrez
dans l’intimité avec le Capitaine, tachez de gagner sa confiance, et de la persuader de faire quelque
chose en faveur de sa belle-fille qui est sacrifiée de toutes les manières. Je ne conçois pas comment
dans le contrat de mariage on n’ a pas stipulé les articles nécessaires. Apparemment que la Thérèse
était déjà malade; elle avait envie de ce mariage pour venir a Florence. Je n’ai rien à me reprocher,
car j’ai bien écrit tout ce que j’ en savais, et la Quirina en convient aussi. Si la Thérèse avait vécu,
la chose allait d’une autre manière ; elle aurait pris de l’ empire sur le Cerbère, car c’en est un ; il
est toujours en présence; il n’a rien à faire et ne la perd pas de vue un moment. Je crois que si la
père du jeune homme de Sienne mourait, et qu’il voulut de la Quirina, vu sa situation, elle le
prendrait, car je la crois comme la premier jour de ses noces; et je puis vous assurer que d’abord
que j’ai vu ce grand flandrin de mari, j’ai d’abord été persuadée qu’il était peur propre à se marier.
Si le beau-père avait le sens commun, il se laisserait donner un petit-fils, mais il parait avoir peur
de changer la race des imbéciles. Nous parlerons de tout cela à fond, et il me parait que vous
pourriez, en vous laissant ennuyer, prendre de l’ empire sur lui pour rendre service à cette jeune
personne qui peut devenir très malheureuse après la mort de cet ennuyeux mortel. La vie qu’elle
mène est terrible; je ne conçois pas comment elle peut y résister à son age.
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D’altronde appare ben comprensibile il vivo risentimento provato da Quirina verso la
d’Albany anche e soprattutto negli anni successivi quando, al ruolo della contessa come
ministra delle sue sventurate nozze, si aggiunse quello di interlocutrice del Foscolo. Con
tutta probabilità, l’atteggiamento della Donna Gentile verso la contessa fu
contrassegnato da una nota d’invidia per le attenzioni che il poeta riservava alla celebre
e potente nobildonna, dato che ciò violava quell’esclusività di confidenze epistolari con
il Foscolo che la Magiotti tentava di rivendicare a sé. Se ne ha un esempio nel 1816,
allorquando Quirina, irritata che il poeta avesse scritto alla contessa, si sfogava con lui
per la mancata delicatezza della d’Albany nel rivelare ai frequentatori del suo salotto il
contenuto della missiva, facendone oggetto di mondani pettegolezzi:
19
Lettera del 7 ottobre 1803 di L. Stolberg all’arc. Luti, ivi, pp. 120-121.