7
Di opposto avviso, invece, fu la Cassazione, che, con varie
argomentazioni, ne affermò la natura giuridica privata (Cass., Ss. Uu.,
7 marzo 1940)
1
.
La dottrina prese posizione sul problema mediante una serie di
contributi piuttosto brevi ma, al contempo, davvero densi di contenuti
e di spunti ricostruttivi, in quanto volti a trascendere il fatto specifico
portato innanzi alla cognizione dei due giudici ed a trasporre la
questione sul piano più generale della stessa configurabilità di enti
pubblici a struttura di società anonima per azioni e – ove risolta in
senso positivo tale questione – della differenza specifica tra queste
particolari figure soggettive e le società anonime per azioni private.
Un dato emerge, prima di ogni altro, dalla lettura di questi
contributi, che per lo più assunsero la forma di note alle due sentenze
sopra richiamate. Compare subito una contrapposizione – della quale
sembrano essere ben consapevoli gli stessi Autori dei contributi in
questione – tra due differenti approcci al problema: un approccio che
può definirsi formalista (nettamente prevalente) ed un approccio che
può definirsi sostanzialista.
Il primo di questi – che nega in radice la stessa ammissibilità
del problema concernente gli enti pubblici a struttura di società per
azioni – si caratterizza per assumere le definizioni normative alla
stregua di dati intrinsecamente certi, chiari e, soprattutto, univoci.
Se il legislatore ha qualificato una certa figura soggettiva come
società anonima per azioni, significa che questa figura soggettiva ha
natura giuridica privata, con tutte (o quasi) le conseguenze giuridiche
che ne derivano. Ciò sul presupposto per cui a determinate strutture
assunte dalle figure soggettive – in primo luogo alla struttura di
società anonima per azioni – debba necessariamente corrispondere una
determinata natura giuridica
2
.
1
Sull’analisi specifica di questa vicenda giurisprudenziale cfr. paragrafo 7.
2
Come è noto, il termine «formalismo», soprattutto se qualificato dall’aggettivo
«giuridico», può assumere, ed in effetti ha assunto, una pluralità di significati tra
loro anche molto diversi. Sul punto cfr. A. E. CAMMARATA, Formalismo giuridico,
in Enc. Dir., XVII, 1012 ss. Nel testo, peraltro, si assume un preciso significato del
termine «formalismo», quello così detto «interpretativo», i cui caratteri essenziali
sono esplicitati da G. TARELLO, Formalismo, in Nov. Dig. It., VII, ad vocem, 577:
«In genere, si parla di formalismo (interpretativo) per alludere a tutti quei metodi
che, nel ricavare da una norma un significato ai fini della soluzione di un problema
giuridico si affidano ad elementi che si assumono essere intrinseci alla norma (o al
8
A questo riguardo, possono essere ricordate le considerazioni
svolte da G. Ferri, che, nel criticare fermamente tali approcci
formalisti, così scrive in uno dei più significativi contributi dell’epoca
sulla questione: «Direi anzi che la questione [relativa sempre alla
natura giuridica dell’Agip] può considerarsi nuova anche nella
dottrina, dato che gli Autori, più che considerarne attentamente i vari
aspetti, si limitano a fare delle nude affermazioni, le quali per lo più
consistono nel derivare la natura privata dell’ente dalla forma che
questo assume e nel porre come un postulato la natura privata della
società anonima»
3
.
In effetti, negli scritti dei molti Autori che seguono questo
approccio è difficile riscontrare delle argomentazioni che vadano al di
là di «nude affermazioni».
Si veda, per tutti, quanto scrive lo stesso F. Cammeo: «Il
decreto legge 3 aprile 1926, n. 556, autorizza lo Stato insieme
all’Istituto nazionale delle assicurazioni e alla Cassa nazionale per le
assicurazioni sociali (ora Istituto nazionale fascista di previdenza
sociale) alla costituzione di una società anonima per l’industria e il
commercio dei petroli (art. 1, co. 2) ed eventualmente per le ricerche
sistema delle norme) in questione, trascurando fattori storici, teleologici, economici,
funzionali, ambientali o, in una parola, fattori (che si assumono) estrinseci. Chi
adotta un metodo “formalistico” dell’interpretazione presuppone che il “diritto”
costituisca un’entità autonoma […] ed il discorso giuridico sia un discorso i cui
termini hanno un significato definibile all’interno di questa entità autonoma. Il
seguace del metodo “formalista” tende a presentare i problemi giuridici come
problemi dell’interpretazione ed i problemi dell’interpretazione come problemi di
ricerca del significato di proposizioni normative. Tale significato viene concepito
come intrinseco alla norma, e non riconducibile al significato attribuito alla norma
dalle persone storiche che l’hanno formulata e/o stabilita (es., nessun valore viene
attribuito ai lavori preparatori); e, nella determinazione di tale significato, non si fa
riferimento agli interessi che il legislatore ha voluto tutelare (distinzione tra volontà
della legge e volontà del legislatore storico) né si tiene conto del peso degli interessi
in questione nel caso da risolvere o comunque degli interessi che pur non essendo
direttamente in questione sarebbero o si pretende sarebbero pregiudicati dalla
decisione in questione. Il complesso delle norme costituisce discorso chiuso, che
non entra in relazione diretta con altri discorsi (politici, sociologici, economici, ecc.)
ed in cui ogni termine può essere messo in relazione solo con altri termini interni al
discorso. Compito del giurista, sia esso un servant, un giudice o un avvocato,
diviene quello di enucleare i significati impliciti delle norme».
3
G. FERRI, Azionariato di Stato e natura giuridica dell’ente, in Foro It., 1941, I,
200.
9
minerarie relative al petrolio (art. 6). Tale società anonima rimane
disciplinata dal codice di commercio e nessuna disposizione che
deroghi alle norme del medesimo è stata mai emanata. L’atto
costitutivo e lo statuto sono stati emanati, pubblicati, affissi ed
omologati secondo le regole ordinarie. Essi si trovano nella cancelleria
commerciale del tribunale civile di Roma nel fascicolo n. 461
dell’anno 1926. Tale essendo la forma e la definizione giuridica
dell’ente non ci sembra che esso possa configurarsi come pubblico.
Quando pure i suoi scopi potessero ritenersi pubblici, la volontà della
legge di imprimere all’organizzazione che li persegue il carattere
privato, prevarrebbe sopra qualunque altra considerazione»
4
.
Identiche le conclusioni cui giunge anche R. Ravà, autore di
uno dei saggi più significativi dell’epoca sull’azionariato dello Stato e
degli enti pubblici, in cui viene preso in esame anche il caso specifico
dell’Agip: «Dato il rilievo sulla forma che, in concreto, tali società
hanno assunto in Italia, ritengo che debba apparire fondata
l’affermazione da me precedentemente fatta circa la non esistenza di
un problema relativo alla natura giuridica delle società di Stato e
degli enti pubblici; d’altra parte, le osservazioni svolte sui più rilevanti
momenti della vita di tali società costituiscono una ulteriore conferma
del fatto che esse, almeno da un punto di vista strettamente giuridico,
offrono un esempio di società anonime che non sono in alcun modo
nettamente differenziabili dalle normali società per azioni»
5
.
4
F. CAMMEO, nota a Cons. St., sez. IV, 19 gennaio 1938, in Giur. It., 1938, 109; le
stesse argomentazioni, successivamente, anche in ID., Società commerciale ed ente
pubblico, Firenze, s. d., 15 ss. Si nota l’enfasi posta sulla «definizione giuridica»,
assunta a dato dogmatico dal significato intrinsecamente certo, chiaro ed univoco,
laddove, invece, anche le «definizioni giuridiche», in quanto elementi interni alle
norme giuridiche, non possono che essere, esse stesse, oggetto di interpretazione.
Sul punto cfr., per tutti, G. TARELLO, L’interpretazione della legge, Milano, 1980,
153 ss. ed, in particolare, 237 ss.
5
R. RAVÀ, Azionariato dello Stato e degli enti pubblici, in Riv. Dir. Comm., 1933, I,
347. L’Autore, in particolare, ritiene che le società per azioni partecipate dallo Stato
o da un ente pubblico, anche nelle ipotesi in cui la costituzione delle medesime sia
specificamente prevista dalla legge, possano avere una valenza pubblicistica soltanto
su di un piano economico, ma non su quello giuridico: cfr., in particolare, 340 ss. In
questo filone si iscrivono anche, tra gli Studiosi più autorevoli dell’epoca, V. M.
ROMANELLI, Vigilanza e tutela, in Foro It., 1931, III, 202 ss.; R. FRANCESCHELLI,
Diritto pubblico e diritto commerciale, in Stato e diritto, 1940, 35 ss.; A. VENDITTI,
Negozi associativi economici, Milano, 1932, 184 ss.
10
Le osservazioni critiche che, nel periodo storico in esame, sono
state svolte in riferimento agli approcci di tipo formalista – i quali,
tuttora, per quanto concerne l’oggetto specifico di questo studio,
sembrano caratterizzare una notevole parte della dottrina: cfr.,
ampiamente, paragrafo 5 – investono entrambi i postulati dai quali
essi muovono.
In primo luogo, si è rilevato come questi approcci – sulla
scorta, probabilmente, del pensiero filosofico-politico del periodo
liberale, influenzato, a sua volta, dalle più radicali dottrine del
giusnaturalismo – sembrano postulare a priori il mito della infallibilità
del legislatore
6
.
Le definizioni legislative vengono, infatti, aprioristicamente
assunte come dati dal contenuto intrinsecamente certo, esatto ed
univoco. Da queste, poi, si tende a ricavare, in via esclusiva, quella
che si assume essere la autentica volontà del legislatore, considerata,
anch’essa, alla stregua di un dogma inconfutabile.
Se poi compaiono talune evenienze normative che sembrano
porsi in contrasto con la definizione recata dalla norma – come nella
questione che si sta esaminando: la costituzione dell’Agip venne
imposta, nella sostanza, da un atto normativo e, quindi, a differenza
delle maggior parte delle altre società anonime per azioni in mano
pubblica, non fu espressione di autonomia privata – queste stesse, in
forza del principio di non contraddizione, vengono fondamentalmente
svalutate al rango di mere eccezioni alla regola, di per sé inidonee ad
inficiare l’intrinseca esattezza ed univocità della definizione
normativa, oppure ricondotte, comunque, nell’ambito di quest’ultima,
ma con evidenti forzature
7
.
È, peraltro, da rilevare, a questo riguardo, che il mito della
infallibilità del legislatore, nei precisi termini appena descritti, andava
6
Per le considerazioni di cui al testo, in riferimento alla dottrina del periodo storico
in esame, cfr., ampiamente, P. GROSSI, Scienza giuridica italiana – Un profilo
storico (1860-1950), Milano, 2000, 4 ss.
7
Cfr., ad esempio, P. FRAGALI, Concetto e natura della società di economia mista,
in Studi in onore di M. D’Amelio, Roma, 1933, estr., 21, il quale, nel rilevare che la
costituzione di talune società per azioni avviene talvolta in forza di specifiche
previsioni legislative (come nel caso dell’Agip), sostiene che tale circostanza non è
comunque rilevante al fine di ipotizzarne la natura giuridica pubblica perché… «lo
Stato, mediante il riconoscimento della personalità giuridica, partecipa sempre alla
creazione del soggetto di diritto».
11
progressivamente svanendo già all’epoca in cui si collocano gli studi
in esame.
Una parte notevole della dottrina più avveduta, infatti, già
aveva piena consapevolezza della circostanza per cui, mentre in taluni
settori del diritto – come, specialmente, quello penale – un elevato
grado di certezza ed univocità intrinseca delle definizioni normative
non può mancare, per evidenti ragioni di garanzia, in altri settori del
diritto – come, ad esempio, quello civile, commerciale e, soprattutto,
amministrativo, in particolare per quanto concerne la disciplina degli
interventi pubblici nell’economia o i rapporti tra Stato e mercato o, più
in generale, la dialettica tra pubblico e privato – le leggi, e soprattutto
le leggi speciali, costituiscono il risultato, molto spesso di valenza
meramente contingente, di processi decisionali assai più attenti a
fornire soluzioni (ritenute) in concreto adeguate ai continui problemi
che emergono dalla realtà effettuale, piuttosto che alle esigenze della
scienza e della sistematica giuridica; il che, unito ad una sovente
scarsa competenza giuridica e di tecnica di redazione dei testi
normativi in capo allo stesso legislatore – già concepito, allora, non
più alla stregua di un’entità dal carattere trascendente, ma dal carattere
assai mondano – determina, inevitabilmente, una certa crisi in ordine
alla intrinseca esattezza ed univocità delle definizioni giuridico-
formali contenute nei testi normativi – ed, in particolare, nelle leggi
speciali – e, di conseguenza, una certa inaffidabilità di quegli approcci
volti a ricavare in via esclusiva da tali definizioni la (presunta)
autentica volontà del legislatore, posta, a sua volta, a fondamento di
concetti giuridici considerati intrinsecamente certi, univoci ed
immutabili
8
.
8
Con riferimento alle considerazioni di cui al testo appare sufficiente ed al
contempo assai significativo ricordare i risultati cui giunse l’appassionante polemica
intorno ai concetti giuridici svoltasi, proprio negli anni 1935-1945, tra S. PUGLIATTI
(Logica e dato positivo in rapporto ad alcuni fenomeni giuridici anomali, in Arch.
Giur. Filippo Serafini, vol. CXIII, 1935, 158 ss. e La logica e i concetti giuridici, in
Riv. Dir. Comm., 1941, 197 ss.) e A. C. JEMOLO (I concetti giuridici, in Atti della
Regia Accademia delle Scienze di Torino, cl. sc. mor., vol. LXXV, t. II, 1940, 246
ss. e Ancora sui concetti giuridici, in Riv. Dir. Comm., 1945, I, 130 ss.), alla quale
presero poi parte anche W. CESARINI SFORZA (Destino dei concetti giuridici, in
Bollettino dell’Istituto di filosofia del diritto della Regia Università di Roma –
Facoltà di giurisprudenza, 1940, 169 ss.; Sulla relatività dei concetti giuridici,
ibidem, 1941, 153 ss. e Concetti e precetti, ibidem, 1942, 127 ss.) e G. CALOGERO
12
La seconda osservazione critica che è stata mossa agli approcci
di tipo formalista investe l’altro postulato dal quale essi muovono,
cioè che a determinate strutture giuridiche assunte dalle figure
(La natura dei concetti giuridici, in Riv. Dir. Comm., 1945, 112 ss.), ora raccolta in
N. IRTI (a cura di), La polemica sui concetti giuridici, Milano, 2004. Come nota N.
Irti nella presentazione della raccolta da Lui curata, il particolare momento storico in
cui si collocano questi studi, caratterizzato da notevolissimi mutamenti istituzionali,
economici e sociali (Stato totalitario, ordinamento corporativo e, soprattutto,
trapasso dalla società agricola alla società industriale, irrompere della legislazione
speciale, riforma dei codici ottocenteschi), determina, in tutti gli Autori citati, un
profondo ripensamento critico della validità intrinseca dei concetti giuridici – spesso
assunti dalla scienza giuridica come dati necessari ed immutabili – in forza di una
inevitabile discrasia tra gli stessi concetti giuridici e la continua e caotica evoluzione
dei dati di diritto positivo. Ciò conduce tutti gli Autori citati, seppur attraverso
diversi itinerari e diversi approcci al problema, ad acquisire piena consapevolezza
della intrinseca storicità, contingenza, non universalità dei concetti giuridici e,
quindi, ad abbandonare – o, quanto meno, a porre in seria discussione – gli approcci
di tipo formalista. Merita di essere ricordato, su questo punto, il pensiero di A. C.
Jemolo, che interessa specificamente le considerazioni svolte nel testo: «In genere il
giurista è da un lato portato a troppo credere nella razionalità delle norme, dall’altro
a troppo esigere dal legislatore. […] È possibile che nel complesso delle norme di
diritto positivo sianvi elementi che non collimino con certi concetti sempre accolti:
ed allora occorrerà abbandonare questi concetti. […] Onde è ben possibile che di
fronte all’applicazione che si vorrebbe fare si dia un contrasto tra la nozione e la
finalità che si è proposta in quel caso il legislatore, sicché la nozione non sia più
vera di fronte a quella data legge, dove il legislatore ha usato un vecchio termine,
ma gli ha attribuito un contenuto diverso. […] I concetti giuridici sono certo stati
per il legislatore ostacoli e remore ben più lievi che non fossero principi politici o
religiosi: ma non si può negare che un dato concetto di proprietà, di demanio, di
società di commercio, di attività commerciale, se si ponga come un pilastro che non
sia possibile scardinare senza un controllo di sistema e di chiarezza legislativa che si
risolverebbe in danno politico, viene bene ad essere un ostacolo per il legislatore.
Oggi questi ostacoli si superano con estrema facilità, se pure si avvertono. […]
Mentre un tempo le definizioni dei codici, o, pure in assenza di definizioni, i
concetti ricavabili da essi, erano veramente dei capisaldi cui si poteva fare
affidamento, oggi i codici non sono che sistemi chiusi, senza alcun effettivo
predominio sull’ambito ben più vasto della legislazione speciale. E la figura da loro
scolpita solo nell’ambito del codice stesso ha lineamenti sicuri; ma di fronte ad ogni
legge speciale deve di nuovo essere saggiata, per assicurarsi che la legge
evocandone il nome non abbia in realtà inteso raffigurare altro istituto, con tratti
diversi. […] Il giurista può quindi solo constatare questo indebolirsi del concetto
stesso di istituti giuridici, che pur lo tocca così da vicino: né ha come tale sensibili
possibilità di reazione. Ciò che egli può e deve onestamente fare, è non chiudere gli
occhi al fenomeno, non continuare a lavorare come se esso non esistesse».
13
soggettive debbano necessariamente corrispondere determinate nature
giuridiche delle medesime.
Tutte le società anonime per azioni, in quest’ottica, sarebbero,
in rerum natura, delle figure soggettive private.
Ma ciò, per l’appunto, come specificamente rileva G. Ferri,
costituisce soltanto un mero postulato, che, a ben vedere, nessuno
degli Autori in esame si appresta a dimostrare.
A questo riguardo, anzi, possono ricordarsi le considerazioni
svolte su questo stesso punto da M. S. Giannini, già nel 1940:
«Comunque poi, non si vede alcuna ripugnanza, né di diritto positivo
e neppure logica, fra la natura pubblica di un ente e la struttura di
società anonima: nel nostro ordinamento, a quanto posso conoscere, vi
sono vari casi di tal specie: l’Istituto di credito per il lavoro degli
italiani all’estero (r.d.l. 15 dicembre 1923, n. 3148, convertito dalla l.
17 aprile 1925, n. 522), l’Azienda tabacchi italiani (r.d.l. 6 gennaio
1927, n. 13, convertito dalla legge 15 dicembre 1927, n. 2399),
l’Istituto italiano di credito fondiario, alcuni istituti regionali di credito
fondiario e agrario, alcune Casse di risparmio di istituzione sociale»
9
.
In aperta contrapposizione agli approcci formalisti si pongono,
in quegli stessi anni, gli approcci sostanzialisti.
Questi ultimi, smitizzando la presunta certezza intrinseca dei
dati normativi, si caratterizzano, per ciò che attiene specificamente al
problema affrontato in questa sede, per ricavare la natura giuridica
delle figure soggettive, in particolare di quelle in mano pubblica
organizzate nelle forme della società anonima per azioni, mediante
procedimenti ermeneutici volti ad individuare, al di là delle definizioni
giuridico-formali, quella che potrebbe essere definita, nell’ambito
dell’ordinamento giuridico considerato nella sua interezza ed in tutta
la sua complessità, la «soglia razionale» del carattere pubblico.
9
M. S. GIANNINI, Rilievi intorno alle persone giuridiche pubbliche, in Stato e
Diritto, 1940, estr., 16. Su questo punto si veda specificamente paragrafo 5. Non
appare superfluo ricordare, inoltre, che, anche da un punto di vista storico, oltre che
dogmatico, non sembra esservi alcuna incompatibilità tra natura giuridica pubblica e
struttura di società per azioni della figura soggettiva, se è vero che proprio le prime
figure soggettive che, storicamente, hanno assunto la struttura di società anonima
per azioni – cioè, le Compagnie coloniali del Seicento e del Settecento, come la
celebre Compagnia delle Indie – presentavano innegabili connotazioni
pubblicisticistiche. Sul punto cfr., per tutti, le interessanti pagine di F. GALGANO,
Lex Mercatoria – Storia del diritto commerciale, Bologna, 1993, 78 ss.
14
Operazione, questa, che nulla ha a che vedere con approcci
irrazionalisti al fenomeno giuridico o con istanze metagiuridiche che
rifiutano i dati del diritto positivo.
L’indagine sulla natura giuridica delle figure soggettive,
infatti, viene svolta entro limiti rigorosamente giuridici: posta la non
necessaria corrispondenza biunivoca tra struttura e natura giuridica
delle figure soggettive, si ricerca la autentica natura giuridica di queste
ultime in base ad un criterio distintivo tra figure soggettive pubbliche
e figure soggettive private che, pur prescindendo dalle definizioni
giuridico-formali, si assume come valido proprio perché è ricavato
dalla complessiva disciplina giuridica delle figure soggettive e,
soprattutto, dagli interessi sostanziali ad essa sottesi, considerati,
questi ultimi, alla luce dei principi dell’ordinamento giuridico
10
.
Come si è già avuto modo di rilevare, uno dei contributi più
significativi che la dottrina sostanzialistica del periodo storico in
esame ha apportato allo studio degli enti pubblici a struttura di società
per azioni è quello di G. Ferri, le cui premesse metodologiche sono
chiaramente annunciate: «Se non ci si vuole accontentare di un aspetto
puramente formale e si vuole scendere alla sostanza del problema, si
deve per lo meno considerare fino a qual punto la partecipazione dello
Stato incida nella struttura e nell’organizzazione dell’ente, se e quali
variazioni si determinino nei suoi scopi»
11
.
L’Autore muove dalla constatazione per cui, seppur i vari
criteri elaborati dalla dottrina per distinguere le figure soggettive in
pubbliche e private (potestà di imperio; esistenza di controlli di
10
Per le considerazioni di cui al testo cfr., ancora, G. TARELLO, L’interpretazione
della legge, cit., 382 ss.; sul ruolo dei principi dell’ordinamento giuridico come
«moralità ultima» del diritto – in particolare negli ordinamenti giuridici complessi,
caratterizzati da una abnorme e caotica legislazione speciale – cfr., per tutti, R.
DWORKING, The model of Rules, in University of Cicago Law Review, 1967, XXXV,
14 ss.
11
G. FERRI, Azionariato di Stato e natura giuridica dell’ente, cit., 200. Che l’Autore
in esame adotti un approccio di tipo sostanzialista, come si vedrà, non significa che
Egli, con riferimento specifico all’Agip, ne giunga ad affermare la natura giuridica
pubblica. Significa, piuttosto, che, da un lato, su di un piano più generale, viene
respinto l’assunto – in verità mai dimostrato – della incompatibilità logico-giuridica
tra natura giuridica pubblica e struttura di società per azioni della figura soggettiva e,
dall’altro, si cerca di individuare un valido discrimine tra società per azioni soltanto
partecipate da un soggetto pubblico e società per azioni in mano pubblica che
posseggono, invece, esse stesse natura giuridica pubblica.
15
vigilanza e tutela; creazione ad opera dello Stato; ecc.) conducono alla
«impossibilità di risolvere con sicurezza matematica il problema nelle
singole ipotesi e alla necessità di avvalersi di un procedimento per
approssimazione», tuttavia il grado relativamente maggiore di
affidabilità per l’individuazione delle figure soggettive pubbliche
viene offerto dal criterio della obbligatorietà dello scopo
12
.
Applicandosi tale criterio alle figure soggettive in esame si
avrà che «nel caso in cui lo Stato è gestore diretto dell’impresa la
realizzazione dello scopo è sostanzialmente dipendente dalla sua
volontà, e che tale volontà non ha bisogno di estrinsecarsi mediante
l’assoggettamento a controlli o mediante l’imposizione di limiti
all’attività dell’ente, potendo manifestarsi direttamente come volontà
della corporazione. Ma tutto ciò è vero solo da un punto di vista
economico, perché, giuridicamente, una volta che l’ente sia sorto,
esso è autonomo rispetto allo Stato, con la conseguenza che la volontà
dell’ente, anche se manifestata da organi dello Stato e per conto di
questo, non si confonde con la volontà dello Stato ed è quindi
suscettibile di limitazioni e controlli. In sostanza, anche in questa
ipotesi, l’obbligatorietà dello scopo si rivela non in ciò che la
corporazione si proponga praticamente di realizzare lo scopo
prefissosi, ma in ciò che la realizzazione dello scopo è obbligatoria
nonostante una diversa volontà dell’ente».
Da queste considerazioni deriva, come corollario logico, che,
con riguardo alle società anonime per azioni in mano pubblica, può
asserirsene la natura giuridica pubblica solo ed esclusivamente nei
casi in cui «la partecipazione dello Stato importi una variazione nella
organizzazione e nel funzionamento della società, per modo che il
potere di determinazione dell’azione sociale sia in un certo senso ed
entro certi limiti sottratto all’organo sovrano della società», proprio
al fine di assicurare e garantire la realizzazione dello scopo
obbligatorio
13
.
12
Criterio, come è noto, elaborato principalmente da H. ROSIN, Das Recht der
őffentlichen Genossenschaft, Friburgo, 1886, 16 ss.
13
G. FERRI, op. cit., 205-206. Questa stessa tesi viene esplicitamente condivisa
anche da A. ARENA, Le società commerciali pubbliche – Natura e costituzione,
Milano, 1942, 186. Molto spesso si ritiene, erroneamente, che quest’ultimo studio
citato abbia come oggetto specifico quelle stesse figure soggettive oggetto di questa
ricerca. In verità, lo studio di A. Arena – all’opposto di quanto potrebbe suggerire il
16
Questa tesi merita la massima attenzione perché – come si avrà
modo di rilevare ampiamente al paragrafo 7 – viene attualmente
impiegata, seppur con talune modificazioni di non poco conto, dalla
prevalente giurisprudenza amministrativa al fine di distinguere le
società per azioni semplicemente partecipate da un soggetto pubblico
dalle società per azioni che invece posseggono esse stesse natura
giuridica pubblica.
I cardini sui quali essa poggia per l’individuazione della natura
giuridica pubblica delle società per azioni partecipate dallo Stato sono
fondamentalmente due, tra loro strettamente connessi: a) il rilievo che
viene posto sull’elemento della obbligatorietà dello scopo; b)
l’esistenza di un rapporto di diritto pubblico tra lo Stato e la società da
esso partecipata, posto proprio a garanzia della obbligatorietà dello
scopo, il quale, ancorché non venga esplicitato dall’Autore, può
senz’altro ravvisarsi nella relazione intersoggettiva di direzione o di
vigilanza (intese, queste espressioni, in senso tecnico).
titolo che reca – prendeva in esame una questione non soltanto diversa, ma,
addirittura, opposta a quella oggetto della presente ricerca. Non si trattava, infatti, di
ravvisare la natura giuridica pubblica in talune figure soggettive organizzate secondo
la struttura di società anonima per azioni, per verificare se in forza di tale natura
giuridica dovessero essere assoggettate ad uno statuto giuridico complessivamente
diverso rispetto a quello proprio delle società anonime per azioni private. Ma, al
contrario, di ravvisare in taluni enti pubblici economici dell’epoca – espressamente
qualificati dalla legge come tali ed il cui fondo di dotazione risultava suddiviso in
quote attribuite a diversi soggetti pubblici (Banca Nazionale del Lavoro; Istituto di
credito per le imprese di pubblica utilità; Ente nazionale metano; ecc.) – una
struttura assimilabile, seppure in via analogica, a quella delle società anonime per
azioni, e ciò al fine ultimo di poter dimostrare una tendenziale riconduzione di
queste figure soggettive pubbliche allo statuto giuridico proprio delle società
anonime per azioni private, in particolare per quanto atteneva alla dimensione
organizzativa (cfr., parte I, sezione II, e, specialmente, parte II, sezioni I e II).
Questa tesi, come poi ha rilevato una autorevole dottrina successiva (V.
OTTAVIANO, Scritti in tema di enti pubblici, ora in Scritti giuridici, I, Milano, 1992,
471 ss.), non ha avuto alcun seguito. Essa, probabilmente, mirava a conciliare due
opposte esigenze. Da un lato, rendere un omaggio di carattere meramente formale
all’ideologia panpubblicistica del regime fascista (si veda, in particolare, quanto è
scritto a p. 27, nota 5). Dall’altro, dimostrare, nella sostanza, la sottoposizione
integrale di taluni importanti enti pubblici economici dell’epoca al regime giuridico
proprio delle società anonime per azioni private: istanza, quest’ultima, di matrice
chiaramente e sostanzialmente panprivatistica.
17
Si tratta, come appare evidente, della applicazione, alle società
anonime per azioni in mano pubblica, del noto criterio dei così detti
indici rivelatori della natura giuridica pubblica delle figure soggettive.
A questo riguardo, tuttavia, devono ricordarsi le considerazioni
critiche svolte, in quegli stessi anni, da M. S. Giannini: «Allora tutti
gli “indici” che la dottrina ha cercato di stabilire, per determinare la
natura pubblica di un ente, vengono a porre in luce non delle proprietà
essenziali, ma delle caratteristiche consequenziali, se pur necessarie,
della natura pubblica stessa: ma per la contingenza dell’elemento
“scopo”, e per la plurivocità con cui può essere voluta la natura
pubblica dello scopo stesso, essi non possono individuare con
sicurezza la natura pubblica di un ente, ma solo fornire degli indizi
(elementi di prova) da considerare sempre nel loro complesso (e mai
singolarmente), a una indagine che non può non restare sempre
empirica e storica»
14
.
Alla luce di queste ultime considerazioni appare, dunque, un
poco fragile l’impostazione di G. Ferri, laddove essa, da un lato,
sembra poggiare eccessivamente l’accento sul dato, anch’esso
meramente formale, della personalità giuridica propria della società,
per ricavarne una separazione netta dallo Stato, e, poi, dall’altro, si
sforza di ricercare qualche indice rivelatore della natura giuridica
pubblica della medesima, che dovrebbe consistere, fondamentalmente,
in un rapporto ulteriore di direzione o di vigilanza tra lo Stato – questa
volta, però, non in qualità di azionista, ma di pubblico potere – e la
società da esso partecipata
15
.
14
M. S. GIANNINI, Rilievi intorno alle persone giuridiche pubbliche, cit., 7.
15
Per le ragioni appena rilevate appaiono poco persuasive anche le argomentazioni
addotte da G. MIELE, La distinzione fra ente pubblico e privato, in Riv. Dir. Comm.,
1942, ora in ID., Scritti giuridici, Milano, 1987, 365 ss. L’Autore, come noto,
definisce pubblico l’ente «che si trova con lo Stato in un particolare rapporto di
diritto pubblico, svolgendo a servizio di esso un’attività che deve ritenersi propria
dell’ente così per la titolarità come per l’esercizio» (392). Da questa premessa Egli
conclude, con riferimento alla natura giuridica delle società in mano pubblica, in
questi termini: «Sembra lecito affermare, pertanto, che in generale non v’ha
incompatibilità fra il carattere commerciale di un’impresa e la sua natura di persona
giuridica pubblica: di ciò, se occorresse ulteriore prova, si trova conferma anche
nell’art. 2201 del codice civile, che pone l’obbligo dell’iscrizione nel registro delle
imprese per gli enti pubblici aventi ad “oggetto esclusivo o principale un’attività
commerciale”. Naturalmente, da un lato devono ricorrere i requisiti che si sono visti
propri della categoria degli enti pubblici, dall’altro non è possibile escludere una
18
Semmai, procedendo in quest’ottica, il principale tra i così
detti indici rivelatori della natura giuridica pubblica della società
anonima per azioni partecipata dallo Stato dovrebbe ravvisarsi proprio
nella stessa partecipazione pubblica di maggioranza o totalitaria; ma
ciò, evidentemente, non può essere
16
.
qualche deviazione dalle norme che reggono le ordinarie imprese commerciali»
(417), come, ad esempio, l’art. 2221 del codice civile, che sottrae gli enti
commerciali alle procedure del fallimento e del concordato preventivo (417, nota
111). Ad ogni modo, l’Autore afferma la natura giuridica pubblica dell’Agip (414
ss.).
16
Sembrerebbe che le considerazioni svolte nel testo in riferimento alle tesi di G.
Ferri debbano condurre, necessariamente, ad imbattersi nel tema, sempre attuale,
della rilevanza e dei limiti della personalità giuridica. L’autorevole Studioso, infatti,
ritiene necessario, al fine di individuare la natura giuridica pubblica delle società
partecipate dallo Stato, un ulteriore rapporto pubblicistico di direzione e/o vigilanza
tra lo Stato e la società proprio sull’assunto per cui quest’ultima, in quanto persona
giuridica, è comunque un soggetto di diritto diverso e distinto dallo Stato, aderendo,
evidentemente, alla teoria così detta della “realtà” della personalità giuridica,
all’epoca largamente accolta dalla dottrina italiana sulla scorta dello studio di F.
FERRARA (sen.), Teoria delle persone giuridiche, in Trattato di diritto civile
italiano, II, Napoli, 1923, 387 ss., a sua volta ispirato al pensiero di O. VON GIERKE,
Giovanni Althusius e lo sviluppo storico delle teorie giusnaturalistiche, trad. it.,
Torino, 1943, 43 e 158 ss. I termini del problema della personalità giuridica nel
diritto privato – concernente il contrasto tra teoria della “realtà” e teoria della
“finzione”, nonché il loro attuale superamento in termini di analisi del linguaggio
(su cui, per tutti, cfr. F. D’ALESSANDRO, Persone giuridiche e analisi del
linguaggio, in Studi in memoria di Ascarelli, I, Milano, 1969, 243 ss.) – sono a tutti
noti ed in questa sede è impossibile anche soltanto accennarne. È da rilevare,
peraltro, che, a ben vedere, la soluzione, in un senso o nell’altro, del problema della
personalità giuridica non appare decisiva, nelle argomentazioni di G. Ferri di cui al
testo, ai fini della questione che in questa sede interessa. Questo problema, infatti,
non sembra porsi, nel pensiero dell’Autore, nella sua tipica dimensione privatistica,
concernente il maggiore o minore grado di autonomia della persona giuridica con
specifico ed esclusivo riferimento alla capacità di imputazione di fattispecie
patrimoniali. La personalità giuridica, piuttosto, rileva come elemento che consente
di distinguere, su di un piano giuridico generale, la società partecipata dallo Stato,
come autonomo soggetto giuridico, dallo Stato stesso; ma l’autonomia della persona
giuridica viene riferita non tanto alla capacità di imputazione di fattispecie
patrimoniali, quanto, piuttosto, al suo rapporto – traguardato, quest’ultimo,
dall’ottica del diritto pubblico – con lo Stato: si tratta, in altri termini, del concetto di
autonomia pubblica, nel senso esplicitato da M. S. GIANNINI, Autonomia (Saggio sui
concetti di autonomia), in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1951, 851 ss. ed, in particolare,
864 ss. Per questo, come si rileva nel testo, il problema si collega, ed anzi si
confonde, con quello dei così detti indici rivelatori della natura giuridica pubblica
19
Se ne ha conferma, del resto, rilevando come, proprio in
riferimento alla questione della natura giuridica dell’Agip, G. Ferri,
seguendo l’impostazione appena descritta, perviene alla conclusione
che la società abbia natura giuridica privata, laddove, invece, un altro
studioso dell’epoca, F. P. Gabrieli, affrontando la stessa questione ed
adottando lo stesso criterio costituito dallo scopo dell’ente, perviene, a
seguito di uno studio particolarmente approfondito, alla soluzione
opposta: «A noi sembra che, se il problema del petrolio è stato
dichiarato legislativamente di carattere nazionale e l’Agip considerata
strumento diretto della politica petrolifera del Governo Fascista, al
quale è affidata una azione statale nell’interesse del Paese (r.d.l. 3
aprile 1926, n. 556); se d’altra parte non si deve prescindere dai
controlli economici, essendo quelli giuridici ormai insufficienti ad
individuare il carattere pubblico dell’ente; la tesi che l’Agip si
presenti, nei vari aspetti della sua attività controllata, come un ente
pubblico meriti maggiore attenzione»
17
.
I contributi dottrinari sin qui presi in esame intorno al
fenomeno degli enti pubblici a struttura di società per azioni
pervennero, dunque, a risultati scientificamente poco appaganti.
Di ciò fu particolarmente avvertito M. S. Giannini, il cui studio
intorno alle persone giuridiche pubbliche del 1940, al quale si è più
volte fatto riferimento, chiude idealmente il periodo storico in esame.
Esso consta, in particolare, di una approfondita ed efficace pars
denstruens delle principali teorie escogitate dalla dottrina di quegli
anni per individuare il discrimine tra figure soggettive pubbliche e
figure soggettive private, specialmente ove le medesime assumano la
struttura di società per azioni, alla quale, peraltro, non corrisponde
alcuna pars construens, perché le conclusioni cui l’Autore giunge
sono dichiaratamente scettiche ed assai problematiche.
Viene, in primo luogo, criticata la validità del criterio dello
scopo pubblico per determinare la natura giuridica delle figure
soggettive, ed in particolare delle società per azioni partecipate dallo
della figura soggettiva, come altrettanti elementi dai quali desumere il grado
effettivo di autonomia pubblica della società nei confronti dello Stato. Comunque,
per alcuni cenni in ordine al problema delle società in mano pubblica come persone
giuridiche cfr. paragrafo 6.
17
F. P. GABRIELI, Indici rivelatori del carattere pubblico degli enti, in Foro It.,
1940, II, 80.
20
Stato. Ciò in base ad una considerazione che appare ancora oggi
ineccepibile: data la estrema eterogeneità degli interessi pubblici – già
allora messa in evidenza, anche sulla scorta di precedenti studi di S.
Romano
18
– lo scopo pubblico costituisce un elemento che non
possiede caratteristiche ontologiche sue proprie idonee a distinguerlo
da altri scopi ed quindi è possibile ricavarlo soltanto in seguito alla
accertata natura giuridica pubblica di una figura soggettiva, per cui
«non vi è nessuna ragione di discorrere di natura pubblica dei fini,
anziché direttamente di natura pubblica degli enti, data
l’approssimazione, comune ai due casi, del concetto di pubblico»
19
.
.In secondo luogo, l’Autore dimostra la fallacia di un’altra idea
che già allora cominciava a diffondersi in dottrina e in giurisprudenza
e che in seguito, come si avrà ampiamente modo di rilevare, costituirà
una sorta di leit motiv per negare in radice l’esistenza di enti pubblici a
struttura di società per azioni: quella per cui lo scopo di lucro proprio
delle società anonime per azioni sarebbe, di per sé, ontologicamente
incompatibile con la natura giuridica pubblica della figura soggettiva
che tale scopo persegue.
Su questa specifica questione si avrà modo di tornare più
diffusamente in seguito, una volta illustrati i risultati cui è pervenuta la
dottrina commercialistica in materia di società per azioni e scopo
lucrativo intorno agli anni Settanta del secolo scorso (cfr. paragrafi 3 e
6).
Ma le considerazioni svolte dall’Autore in esame su questo
punto meritano, sin da ora, di essere ricordate, perché appaiono,
anch’esse, incontestabili: «Vediamo che esistono amministrazioni le
quali, istituzionalmente, esercitano attività in cui è esclusivo il fine di
lucro.
18
S. ROMANO, Gli interessi dei soggetti autarchici e gli interessi dello Stato, in
Studi in onore di O. Ranelletti, Padova, 1931, II, 431 ss.
19
M. S. GIANNINI, Rilievi intorno alle persone giuridiche pubbliche, cit., 6 ss. Allo
stesso modo, l’idea, allora diffusissima, per cui il fine pubblico coincida
necessariamente col fine dello Stato, viene ad essere inficiata: posto che si
verificano sovente contrasti tra fini istituzionali di enti senza dubbio pubblici, si
incorre in contraddizione se si afferma che essi coincidano con i fini dello Stato.