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in ciascuno degli ex-Stati e la spinosa questione della pena di morte, concausa
principale del ritardo di un codice penale unico per tutta l’Italia.
Nel secondo capitolo si introdurrà il tema della caduta della Destra storica e il
conseguente avvento della Sinistra, forza motrice di una serie di eventi politici e
normativi in cui spicca il ruolo di Enrico Pessina, da senatore del Regno e
soprattutto da Ministro di Grazia e Giustizia.
Nel terzo e ultimo capitolo l’attenzione sarà rivolta al codice penale “Zanardelli”,
dando visibilità al contesto storico-culturale in cui è stato emanato, contesto
segnato dalla dicotomia tra la Scuola Classica e quella Positiva. Inoltre non
mancheranno cenni biografici nei quali si esalterà il suo pensiero rispetto al
Risorgimento e soprattutto riguardo al diritto, di cui analizzeremo la sua visione
del carattere retributivo della pena.
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CAPITOLO 1:
Unificazione istituzionale e il problema dei Codici
1.1 Unificazione istituzionale e uniformità legislativa
Il 17 marzo 1861 venne promulgata la legge che proclamava, con il conferimento
a Vittorio Emanuele II del titolo di Re d’Italia, la nascita del nuovo Stato unitario.
Si volle tuttavia sottolineare la continuità tra il Regno d’Italia e quello di
Sardegna, infatti, non solo Vittorio Emanuele rimaneva secondo, ma la prima
legislatura dell’Italia unita, fu ufficialmente definita come ottava legislatura. Si
tenne conto infatti delle legislature del regno Sardo, iniziate l’8 maggio 1848.
Il traguardo appena raggiunto rese consapevole la destra liberal-democratica
dell’importanza di una riorganizzazione del quadro giuridico e del sistema
amministrativo italiano.
Accentramento e uniformità legislativa divennero così i termini stessi della
politica costituzionale e sociale; prevalse l’idea dello Stato forte che per affermare
la propria unità doveva ripudiare ogni autonomia amministrativa
1
.
Le origini dell’accentramento amministrativo possono farsi risalire
immediatamente dopo l’annessione del regno meridionale ad opera di Garibaldi,
quando il 26 ottobre del 1860, a Teano, il generale strinse la mano ad il nuovo Re
d’Italia Vittorio Emanuele.
Tale avvenimento segnò la nascita dello stato unitario e del successo del partito
liberal moderato su quello democratico. Il partito moderato, infatti, aveva saputo
conquistare vasti consensi attorno al binomio Parlamento-Monarchia e ora sotto la
guida di Cavour si apprestava a realizzare il nuovo ordinamento giuridico e
1
R. FEOLA, Governo politica istituzioni dall’unificazione all’età giolittiana, Napoli, 2004, p. 22
6
politico italiano. Non a caso il forte collegamento che c’era tra governo e
maggioranza parlamentare consentiva non solo di prendere decisioni eccezionali,
ma soprattutto di evitare un’assemblea costituente che i democratici sostenevano a
gran voce come premessa necessaria allo Stato unitario.
Questa subordinazione dei democratici all’iniziativa moderata risiedeva nella
scelta di anteporre comunque la questione nazionale dell’unità e
dell’indipendenza a quella non meno importante dell’impianto costituzionale da
realizzare
2
.
Allo stesso tempo Cavour ribadiva la sua contrarietà ad ogni forma di
federalismo: l’unificazione si era realizzata e doveva concludersi mediante
annessioni successive al regno di Sardegna. L'Emilia Romagna e la Toscana nel
marzo del '60, la Lombardia in virtù dei trattati tra Francia e Piemonte e tra
Francia, Piemonte ed Austria del 10 novembre 1859. La Sicilia fu chiamata il 21
ottobre a votare il plebiscito «per Vittorio Emanuele re costituzionale». Lo stesso
procedimento fu adottato per le Province Napoletane, nelle quali dopo il
plebiscito, furono nominati da Vittorio Emanuele dei «Luogotenenti generali». A
Napoli, infatti, si alternarono prima Luigi Carlo Farini, poi Eugenio di Savoia
principe di Carignano, Gustavo Ponza di S. Martino e infine il generale Cialdini.
Cavour voleva a tutti i costi e al più presto osteggiare ogni speranza rivoluzionaria
derivante dall'unificazione. La continuità istituzionale tra regno di Sardegna e
regno d'Italia serviva pertanto a fronteggiare i problemi socio-politici, subito
rivelatisi assai gravi, dovuti all'annessione del Mezzogiorno.
Sulla base della politica legislativa sostenuta anche dal Rattazzi e in virtù della
ricordata legge sui pieni poteri del 25 aprile 1859, era stato possibile emanare una
2
R. FEOLA, Ordinamento e sistema politico in Italia, Napoli, 1999, p. 453
7
serie di importanti atti legislativi che riguardavano l’ordinamento della pubblica
sicurezza, l'ordinamento giudiziario, la formazione annuale dei bilanci e la
contabilità dello Stato, l'ordinamento dell'amministrazione centrale, la pubblica
istruzione (legge Casati), la legge sull'ordinamento comunale e provinciale
fortemente voluta dal Rattazzi, la legge sul contenzioso amministrativo del 30
ottobre, e quella 20 novembre, sui conflitti di giurisdizione.
In alcune regioni il passaggio dal vecchio al nuovo ordine istituzionale avvenne
attraverso una normativa transitoria, esemplare sotto tale aspetto fu la politica
della luogotenenza a Napoli subito dopo il plebiscito di annessione.
Luigi Carlo Farini nominato da Cavour luogotenente nelle province meridionali,
era chiamato a porre rimedio a quella che Cavour considerava l'anarchia causata
dalla dittatura garibaldina
3
. Farini si orientò subito verso la costituzione di un
governo composto da meridionali e fedeli alle istituzioni dell'ex Regno. Con
decreto del 6 novembre 1860 Vittorio Emanuele autorizzò il luogotenente ad
emanare, fino alla convocazione del Parlamento nazionale, tutti gli atti ritenuti
necessari all'amministrazione del Mezzogiorno. Era una delega molto ampia che
escludeva solo la politica estera e le forze armate.
Fu formato così un Consiglio di Luogotenenza composto da nove consiglieri che
in realtà erano i ministri del governo luogotenenziale: furono nominati molti esuli
del 1848 come Pisanelli, Scialoja, D'Afflitto, Ventimiglia, Mancini, Spaventa.
Il primo provvedimento del Consiglio di Luogotenenza, dovuto alle pressioni del
Cavour e preparato dal Mancini, portava la data del 12 novembre 1860 e stabiliva
l'estensione al Mezzogiorno della legislazione elettorale del regno di Sardegna.
3
R. FEOLA, Governo politica istituzioni dall’unificazione all’età giolittiana, Napoli, 2004, p. 8
8
Inoltre si provvide ad istituire una Consulta composta da trenta membri, chiamata
a fornire il proprio parere sui provvedimenti emessi dalla Luogotenenza. Sotto la
presidenza di Carlo Poerio la Consulta svolse un importante lavoro contribuendo a
superare le difficoltà inerenti all’adeguamento delle leggi amministrative dell’ex
Regno alle nuove esigenze politiche e ai principi sanciti dalla carta costituzionale.
La Consulta venne sciolta nel gennaio del 1861 quando Farini fu sostituito e
venne convocato il parlamento nazionale.
Inoltre una parentesi va aperta per quanto riguarda gli esiti delle politiche
luogotenenziali che si rivelarono ben presto insufficienti, e capaci, purtroppo, di
dare adito a insurrezioni armate e soprattutto al fenomeno del “brigantaggio”
come forma di protesta alla forte aspettativa di cambiamento della popolazione.
L’unificazione politica coincise quindi con il più rigido accentramento a discapito
di qualsiasi forma di autonomia locale, tale orientamento affermatosi sin dal
primo decennio dell’Unità, segnò un equilibrio istituzionale che nemmeno la
sinistra di Depretis, nonostante i numerosi progetti di decentramento, riuscì a
mutare; tale modello, quindi, venne più volte messo in discussione, ma in sostanza
mai abbandonato se non con l’introduzione della vigente Costituzione
repubblicana.
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1.2 La situazione giuridica del Regno all’atto dell’unificazione politica
La situazione legislativa dei vari Stati al momento delle annessioni si presentava
nel modo seguente:
Nel regno di Sardegna vigevano il codice civile del 1837, il codice penale del
1839, il codice di commercio del 1842, il codice di procedura penale del 1847 ed
il codice di procedura civile del 1854.
In Lombardia avevano vigore il codice civile austriaco del 1811, il codice penale
del 1852 (che aveva sostituito quello precedente del 1803), il regolamento di
procedura penale del 1853 ed infine il codice di commercio napoleonico, unico tra
i codici francesi che non fosse stato abrogato all'indomani della Restaurazione, ma
che in seguito era stato profondamente modificato da numerose leggi speciali.
Mancava invece un codice di procedura civile, ed i giudizi civili erano regolati da
una congerie di quattordici leggi diverse e non sempre omogenee.
Nel ducato di Parma vigevano i codici civile, di procedura civile, penale e di
procedura penale del 1820.
Nel ducato di Modena si avevano il codice civile del 1851, il codice di procedura
civile del 1852, quelli penale e di procedura penale del 1855.
Nel granducato di Toscana avevano vigore il codice di commercio francese, che a
differenza delle altre parti della codificazione napoleonica non era mai stato
abrogato, e quello penale del 1853, generalmente considerato come il migliore
della Penisola.
Nello Stato pontificio vigevano il regolamento provvisorio di commercio del 1821
(che non era altro che la traduzione del codice di commercio francese); il
regolamento dei delitti e delle pene del 1831; il regolamento di procedura civile
del 1834; quello di procedura penale del 1842. Tali regolamenti costituivano in
10
sostanza una legislazione codificata delle rispettive materie, mentre mancava del
tutto un codice civile. Finalmente, nel regno delle Due Sicilie avevano vigore i
cinque codici del 1819
4
. Questa eterogeneità di ordinamenti giuridici non era
tuttavia, almeno per quanto riguarda il diritto civile, così grave di quanto potrebbe
apparire, ciò perché i vari codici vigenti, eccezion fatta per quello austriaco in
Lombardia, non erano altro che la riproduzione, con alcune varianti, del codice
Napoleone. Più della meta delle provincie del nuovo regno, godevano pertanto di
una legislazione civile sostanzialmente uniforme. Maggiori disparità esistevano
invece nel campo del diritto penale. La legge sarda del 1859, n. 3345, con la quale
il parlamento subalpino conferiva al governo e al re pieni poteri legislativi ed
esecutivi in caso di guerra contro l’Austria, aprì la strada ad una nuova fase di
codificazione, che si concluse con una celerità talmente esagerata, da dover
necessariamente generare negli animi un’istintiva diffidenza, con l’approvazione
di tre nuovi codici: penale, di procedura penale e di procedura civile.
I codici del ’59 costituirono il primo esempio di unificazione legislativa della
penisola: ma per il carattere affrettato e superficiale della loro compilazione, per il
quasi assoluto oblio in cui furono lasciati gli istituti giuridici delle provincie
recentemente annesse, dai quali si sarebbero potuto trarre utili suggerimenti,
rappresentarono le prime avvisaglie di quella famigerata “unificazione a vapore”
5
che negli anni seguenti venne rimproverata da più parti al governo di Torino. In
effetti quei codici vennero così frettolosamente pubblicati proprio allo scopo di
rendere più accettabile la legislazione piemontese alle provincie già annesse o a
quelle di cui si prevedeva imminente l’annessione, introducendo però quelle
modificazioni rese necessarie dalla mutata indole dei tempi e dai progressi della
4
A. AQUARONE, L’unificazione legislativa e i codici del 1865, Milano, 1960, p. 2
5
Ibidem, p. 3
11
scienza giuridica. Implicito era pure il desiderio di creare il fatto compiuto,
approfittando della legge dei pieni poteri per eludere ogni discussione.
All’Emilia, alle Marche e all’Umbria vennero estesi, con efficacia dal primo
gennaio 1861, tutti e cinque i codici sardi. Diverso fu invece il trattamento
riservato alle provincie meridionali ed a quelle toscane che potevano vantare una
più antica e gloriosa tradizione giuridica dal punto di vista della scienza e della
legislazione positiva (in Toscana limitatamente alle leggi penali).
Nell’ex regno delle Due Sicilie l’estensione della legislazione sarda rimase
limitata al codice penale ed a quello di procedura penale, ed a questi due vennero
apportate, prima che entrassero in vigore, numerose modificazioni atte ad
armonizzarli con le consuetudini della popolazioni meridionali e con alcuni aspetti
positivi della scienza giuridica napoletana.
Per quanto riguarda la Toscana, è noto come ad essa fosse stato riservato fin
dall’inizio un trattamento particolare per la sua autonomia e per le sue istituzioni
giuridiche tanto da conservare per anni, in tutte le materie, la propria legislazione.
Come si ricava da questo esame, al momento dell’unificazione politica e nel
periodo immediatamente successivo, una notevole uniformità di ordinamenti
giuridici si venne quasi subito a creare nel campo penale, e solo la Toscana
conservò la sua antica legislazione in materia. Assai diversa si presentava invece
la situazione relativamente al codice civile, dove il governo si sentì di procedere
in questo settore di propria iniziativa ed a ritmo serrato, senza adeguati studi e
matura riflessione ma soprattutto senza il consenso del parlamento; tant’è che da
molti parti continuarono a piovere critiche contro il governo di smania unificatrice
e pericolosa improvvisazione in materie che più di tutte richiedevano prudenza,
serietà e ponderazione.