cucina e cultura del territorio (quindi non solo enogastronomia ma anche conoscenza di
tutti quei sedimenti culturali che ogni territorio può esprimere) può prendere forma una
importante realtà economica, la presenza di enoturisti, i quali come sottolineato da studi
recenti,sono in grado di spendere mediamente, per ogni euro speso in cantina 5 euro sul
territorio3.
Almeno tre sono le basi che definiscono il quadro della situazione: dati e fatti propongono
un comparto di turismo tematico, articolato e consistente (4/6 milioni di praticanti; 2,5
miliardi di volumi di affari; 140 strade dei vini e dei gusti a vario livello presenti; 550
comuni di settore operanti); tendenze e comportamenti di domanda indicano una capacità
di spesa medio-alta, destinabile al settore, malgrado la competitività proposta da altre
destinazioni; interessi e rappresentanze definiscono un universo di reti settoriali e
territoriali estese e capillari, con validi moltiplicatori di spesa dal vino all'indotto, e con
buona capacità perciò di definire un lobbismo stabilmente presente e influente.
Si tratta comunque di un potenziale che deve ancora esprimere l'80% della sua reale
capacità di sviluppo.
Questa la lettura sintetica della congiuntura relativa al turismo sulle Strade del Vino, così
come emerge dalle analisi e dalle indagini di campo che stanno alla base del VI rapporto
sull'enoturismo realizzato da Censis Servizi per conto dell'Associazione nazionale città del
Vino.
Nell'opinione degli addetti ai lavori, amministratori locali, produttori di vino, ristoratori,
organizzatori di eventi, gestori di itinerari e di Strade, emergono infatti almeno tre
valutazioni su questa tesi convergenti: l'offerta di turismo enogastronomico, benché
ancora molto diversificata tra zona e zona, definisce ormai nel complesso un prodotto di
tendenza dotato di visibile consistenza e identità; i volumi e la struttura qualitativa della
domanda di turismi enogastronomici sembrano definire flussi di frequentatori rilevanti e
diversificati, anche se bisognosi di stabilizzazione nei tempi e nei comportamenti; le attese
sul ruolo dei turismi enogastronomici di territorio come leva promozionale rispetto alle
turbolenze traversate in questi anni dai mercati del vino, sono ancora molto elevate,
malgrado i risultati diversamente appaganti fin qui registrati.
E tuttavia, ad una attenta valutazione interna, un simile processo diffuso deve essere
3Si veda Economia e Management, Vino di qualità : un benchmark per la competitività del made in Italy,
numero 6, 2006
3
riguardato anche con molta attenzione critica: in ordine ai pieni e ai vuoti nella trama della
rete, ai costi di successi e ai ritardi, al rapporto tra ambizioni, mezzi e risultati: solo
seguendo i suggerimenti di una simile analisi, sarà infatti possibile trasformare almeno in
parte le promesse del potenziale ancora implicito in concreti risultati di sviluppo.
L’enoturismo è inquadrabile nel turismo rurale, facente parte a sua volta dell’ecoturismo;
gli studi e le ricerche, svolte a cura dell’Organizzazione Mondiale del Turismo(OMT) 4,
documentano, in maniera chiara e definita, la forte espansione di questo tipo di turismo che
ha conosciuto una crescita annua del 20 %, al cospetto di un incremento annuo del 4,3 %
del turismo, nel suo complesso.
In particolare l’ecoturismo , definito dall’Organizzazione mondiale del Turismo come “un
tipo di turismo praticato in aree naturali, relativamente indisturbate, al precipuo scopo di
osservarle e studiarle” , in quanto forma di soft tourism, diversificato nei modi e nei flussi,
si adatta facilmente alla struttura sociale e fisica del territorio,ed è in grado di integrarsi
senza trauma con la realtà umana, sociale e culturale del luogo, non alterando gli
ecosistemi naturali e le identità locali ma bensì contribuendo, positivamente, a un sano
recupero delle forme di attività, delle consuetudini, delle peculiarità e dei valori ambientali
dei siti e ponendosi, inoltre, in maniera del tutto originale, a causa delle sue forti
implicazioni di sostenibilità, legate al diverso modo di rapportarsi con l’ambiente,
ricercando il contatto con l’ambiente circostante al fine di conoscerlo, osservandolo e
interpretandolo nella sua integrità per quanto concerne sia le componenti naturali che
quelle socio culturali, che esso si premura di preservare e difendere, avendo
consapevolezza che solo in tal modo può anche apportare reali benefici economici alle
comunità d’accoglienza.
In virtù di queste caratteristiche, poi, l’ecoturismo intrattiene, facilmente, fecondi legami
con il turismo rurale avendo come denominatore comune, il paesaggio naturale.
Lo sviluppo di questa importante nicchia di mercato costituisce, pertanto, un'importante
risorsa al fine di evitare la globalizzazione e la standardizzazione dell'offerta attraverso la
costruzione e l'elevazione delle capacità locali nel quadro di un modello di sviluppo, nel
quale compatibilità ambientale, sociale ed economica venga considerata come criterio base
per un rapporto corretto e produttivo con i luoghi.
4
Si veda WTO, The main ecoturism generating markets in Europe and North America.
4
Significativo, anche, il fatto di come questa forma di turismo sfugge per la sua natura al
carattere di massa del turismo moderno, dal momento che esso privilegia un luogo (la
natura) e un modo sostenibile di fare vacanza, che lo distaccano nettamente dal turismo
tradizionale e, allo stesso tempo, ne fanno un originale punto di riferimento, per una utile e
conveniente armonizzazione fra politiche ambientali e industria turistica5.
Le principali differenze tra turismo di massa ed ecoturismo possono essere così
schematizzate, in quanto per quest'ultimo avremo:
o Piccoli gruppi;
o Home-based agenzie;
o Bassi volumi ed alti margini;
o Benefici che si oppongono alle attrazione del turismo di massa;
o Diversificazione;
o Integrazione;
o Attrazioni naturali;
o Cultura dell'aver compreso;
caratteristiche alle quali si oppongono nel turismo di massa:
o Gruppi numerosi;
o Office-based agenzie;
o Alti volumi e bassi margini;
o Omologazione;
o Isolamento;
o Industry driven;
o Attrazioni artificiale;
o Cultura dell'aver fatto o dell'esser stato;
L’interesse per una pratica polivalente e multifunzionale, come quella dell’ecoturismo,
alternativa rispetto alle tradizionali esperienze di viaggio turistico, è stata, certamente,
promossa e favorita dall’emergere di una più diffusa sensibilità ambientale, prodotta, a sua
volta, dall’orrore di vari disastri ecologici e dalla maggiore capacità di iniziativa delle
associazioni ambientalistiche; le quali, con forza crescente, hanno sollecitato un’ampia
riflessione sui temi dell’ambiente, favorendo la formazione di una nuova filosofia di
5Si veda Boo E. Planning for ecoturism, T. Whelan, Island Press, Washington, 1991.
5
vacanza, interessata alle aree non urbanizzate, ricche di risorse naturalistiche e prodotti
tipici, e al contatto diretto con la natura e con le culture locali.
La pratica ecoturistica comporta, infatti, un nuovo modo di fruire della natura, lontano,
tanto nelle forme quanto nei contenuti, dalle attività turistiche di tipo stanziale, consumate
a poca distanza dal luogo di abitazione e, dove il turista, non si immedesima più nel mero
consumatore finale di un prodotto ma è anche protagonista attivo, che interagisce con
l’ambiente ospite, consentendo , come asserito previamente, un’esperienza socio-culturale,
tendenzialmente rispettosa del patrimonio territoriale e delle sue risorse, incentrata su
attività che giovano sia allo spirito che al corpo.
Si può dire, quindi, sulla base di tutti questi elementi, che l’ecoturismo, oltre che un’attività
ricreativa con risvolti economici, è anche una filosofia e un modello di sviluppo, come
hanno ritenuto modo di mettere in evidenza, anche L’UNEP e l’OMT 6, che hanno
pienamente concordato nel ribadire che la pratica ecoturistica:
• riguarda tutte le forme di turismo, nelle quali la principale motivazione dei turisti è
l’osservazione e la contemplazione della natura e delle culture locali;
• ha caratteri educativi e interpretativi;
• è solitamente, ma non esclusivamente, organizzata per piccoli gruppi da piccoli
tour operator locali;
• minimizza gli impatti negativi sull'ambiente naturale e socio-culturale;
• assicura la protezione delle risorse naturali; produce benefici economici per le
comunità d'accoglienza e per le organizzazioni e le autorità, che gestiscono le aree
protette.
L'ecoturismo, dunque, in Italia come in altri paesi dell'UE, può e deve servire come
strumento per promuovere lo sviluppo locale, coinvolgendo tutti gli attori del territorio ed
infatti solo il protagonismo attivo delle popolazioni locali può fare sì che le dinamiche
“globali” diffondano veramente diritti, benessere e libertà, mantenendo e preservando le
identità di luoghi e comunità. Solo a questo patto, si potrà avere realmente una
globalizzazione “positiva” che salvaguardi e rispetti, nella sua specificità, lo spazio
geografico e culturale, nel quale libere comunità, con la loro storia e le loro tradizioni,
6
Tali aspetti sono stati posti, all’UNEP e dall’OMT , alla base dei programmi e della attività organizzate per
l’Anno Internazionale dell’Ecoturismo , 2002
6
operano e si organizzano per mantenere la loro identità e migliorare le loro condizioni di
vita.
L'ecoturismo, quindi, può avere un importante funzione di stimolo sulle capacità
imprenditoriali delle comunità locali, con benefici per altri settori connessi, come
agricoltura e prodotti tipici, artigianato e attività folkloristiche.
Con queste prospettive e, insieme, con l'incentivazione di opere infrastrutturali, esso può
anche contribuire a limitare l'esodo rurale, garantendo occupazione e nuovo sviluppo,
attraverso la riconversione produttiva, legata alla valorizzazione delle produzioni tipiche
locali e attraverso l'applicazione di nuovi modelli di gestione delle aziende agricole.
Opportunamente programmato e gestito, insomma, “l'ecoturismo può consentire al turista
un'esperienza originale, fisicamente salutare e culturalmente gratificante, con benefici
economici per le comunità ospitanti, sulla base della salvaguardia del loro patrimonio
ambientale”7.
7
Cfr. Frechette L. International Year of Ecotourism, New York, 28 Gennaio 2002
7
1.2 Analisi settore vitivinicolo
Il settore della vitivinicoltura italiano ha un'importanza economica centrale: esso infatti
costituisce da sempre un asse portante del sistema agroalimentare, in termini sia di
dimensione che di contributo alla bilancia commerciale, ed inoltre, sia direttamente che
nel proprio indotto interessa più di un milione di aziende agricole e circa 8600 imprese
industriali, con un totale di circa 40 mila addetti.
Oltre ad una valenza meramente economica, la produzione e il consumo di vino sono parte
integrante della storia e della cultura del nostro Paese sin dai tempi più remoti (la
produzione italiana di vino, come i più sapranno, è una produzione millenaria,
imprescindibilmente legata alla civiltà italica), senza trascurare il fatto che pochi Paesi
possono vantare il nostro patrimonio enogastronomico: i nostri vini, infatti, sono conosciuti
e apprezzati in tutto il mondo8.
Con una importanza storico-culturale di tale portata , il settore si inserisce in un contesto
più vasto, esso infatti assorbe anche aspetti sociali, culturali ed ambientali, oltre
ovviamente ad aspetti economico-produttivi; tutto ciò comporta che a fronte di una
crescente globalizzazione, si rende necessario e strategicamente rilevante salvaguardare e
rendere visibili le specificità territoriali, le nicchie culturali, le individualità e le tipicità
dei prodotti.
Volendo tracciare un identikit dell'enologia italiana si può notare come il business del vino
registra un giro d'affari di circa 10 miliardi di euro e l'intero patrimonio della filiera
vitivinicola, comprensivo degli impianti e delle strutture legate alla produzione di vini
sfiora i 50 miliardi di euro9.
La produzione italiana,invece ,rappresenta il 21% della produzione mondiale e il 34 % di
quella dell'Unione Europea. La vendemmia 2007 si ferma a quota 40,5 milioni di ettolitri,
in flessione del 18 % rispetto alla precedente campagna10.
L'Italia vanta, inoltre, 476 denominazioni, delle quali 358 Doc-Docg; la superficie vitata
italiana è di ben 675.580 ettari(il vitigno più diffuso è il Sangiovese): i due terzi delle
8
Si veda Minozzi R., Palella N. , L’impresa vitivinicola, Buffetti editore, Roma, 2004
9
Si veda Università di Bologna/Federvini, studio congiunto sullo stato della produzione e distribuzione di
vino, 2004
10Si veda Associazione Enologi Enotecnici Italiani, www.assoenologi.it , 2007
8
aziende hanno una superficie vitata inferiore ad 1 ettaro e solo poche centinaia superano i
50 ettari di vigneto11.
Le aziende agricole italiane che coltivano vite sono pari al 29,4 % del totale nazionale e al
41,6 % di quelle con coltivazioni permanenti12.
La loro distribuzione territoriale mostra una concentrazione relativa nelle regioni nord-
orientali e centrali, tuttavia la loro numerosità è particolarmente elevata anche nelle regioni
meridionali, dove è presente il 34,2 % delle aziende viticole italiane, anche se esse
rappresentano una percentuale non elevata delle aziende agricole localizzate nel Sud della
Penisola.
Il 37 % della superficie vitata è destinata alla coltivazione di vitigni per DOC e DOCG,
con punte del 60 % al Nord e del 46 % al Centro.
Le aziende del Nord- Ovest, pur contraddistinte da una contenuta produttività del lavoro, si
evidenziano per i migliori risultati economici.
Il Centro appare caratterizzato da una maggiore superficie, da un'elevata produttività del
fattore lavoro e da una maggiore incidenza dei costi.
Nel Mezzogiorno, infine, si è in presenza di un ridotto numero di aziende trasformatrici per
il vino di qualità, ciò perchè vincolate da una minore dotazione di terra.
Dell'intera produzione vinicola nazionale italiana il 52 % è rappresentato dai vini bianchi e
la parte restante da vini rossi e rosati.
Al fine di affinare il grado di dettaglio della ricerca13 è utile, distinguere all'interno del
comparto vitivinicolo tre categorie di prodotto.
La categoria più rilevante, in termini di volume del mercato, è tuttora il vino da tavola,
prodotto sfuso o confezionato, esso infatti rappresenta il 60% dei consumi totali interni
occupando il segmento di mercato che soddisfa il bisogno di accompagnamento al pasto;
esso rappresenta un indice di penetrazione presso le famiglie prossimo al 100% ed avviene
per una parte rilevante mediante l'autoconsumo ed il vino acquistato sfuso.
I vini Doc e Docg, soddisfano all'incirca un terzo dei consumi, per tali tipologie di vino
alla funzione di accompagnamento del pasto si aggiunge in modo sempre più imponente
l'esigenza di autogratificazione e prestigio, nonché di immagine di intenditore venendo a
11Si veda Food, speciale vinitaly, Marzo 2008
12Si veda Censimento agricoltura, 2000
13Si veda Pio Zagari, Modelli organizzativi territoriali e produzioni tipiche del Sannio, il settore vitivinicolo,
Franco Angeli Editore, Milano, 2002
9
mutare la funzione d'uso in sede di acquisto, infatti, negli ultimi dieci-quindici anni è
successo che lo spostamento verso la qualità del prodotto ha reso il vino trendy: ed in
conseguenza di ciò, un prodotto non solo da gustare e da regalare,ma da apprezzare in tutti
i sensi.
Questo passaggio alla qualità ha portato, inoltre, a risultati assolutamente interessanti in
termini di crescita del fatturato delle aziende, di espansione internazionale e di incremento
della redditività delle aziende.
Nei confronti del mercato estero, la bilancia commerciale si conferma strutturalmente in
attivo, l'Italia è infatti il primo esportatore in volume di vino ed il secondo in valore dopo i
cugini d'oltralpe francesi; infatti, il comparto vitivinicolo, è un settore di punta della
bilancia commerciale italiana.
Il vino è tra i principali prodotti del made in Italy e contribuisce sempre in misura positiva
all'andamento del commercio estero.
E' infatti il settore che produce il più elevato attivo di bilancio14, ed anche nel 2006 si è
confermata questa tendenza; infatti, l'anno si è chiuso positivamente e l'export in termini
quantitativi ha superato i 18 milioni di ettolitri, facendo segnare su base annua un
incremento che ha sfiorato il 15 %; le importazioni, invece, sono diminuite del 19%, a
causa soprattutto dei minori acquisti di vino da tavola.
In termini monetari, la spesa per l'acquisto di prodotto estero è aumentata del 2%, e ciò è
stato determinato dal fatto che la domanda italiana si è rivolta in misura maggiore verso i
vini a denominazione e verso gli spumanti.
Gli introiti sono aumentati del 6,5% e conseguenzialmente il saldo commerciale è
migliorato rispetto al 2005 portandosi a 2.907 milioni di euro, pari ad un incremento del
7% su base annua.
Scendendo più nel dettaglio, si osserva che il successo del comparto è stato determinato
soprattutto dal buon andamento dell'export del vino sfuso, le cui spedizioni sono aumentate
del 40% in un anno, tale situazione è stato determinata, anche,da una politica di prezzi
aggressiva messa in atto dai produttori, i quali hanno così riconquistato quote di mercato
perse negli ultimi anni a favore di altri competitor europei, primi fra tutti gli spagnoli.
Da sottolineare come anche il 2007 si sia aperto all'insegna dei risultati positivi per quanto
concerne il comparto vitivinicolo.
14Si veda Largo consumo, supremazia del made in Italy numero 3, 2008
10
Nel primo semestre dell'anno, e nei confronti dello stesso periodo del 2006, i quantitativi
inviati all'estero sono aumentati del 15,7% e gli introiti del 12% , e malgrado anche le
importazioni risultino in crescita, il saldo monetario della bilancia commerciale del
comparto, già positivo come previamente evidenziato, è risultato in crescita del 12%.
La domanda interna, infatti, è soddisfatta quasi del tutto da prodotti nazionali, poiché
l'importazione copre una quota minima di mercato.
La struttura produttiva interna si caratterizza per una sostanziale coincidenza tra
produzione e prima trasformazione.
I produttori di uva, infatti, si occupano anche del processo di vinificazione, direttamente in
proprio o attraverso l'utilizzo di cantine sociali.
Il livello di massima e completa integrazione verticale si realizza nelle cooperative, e nelle
aziende che producono vini a denominazione d'origine con un forte valore aggiunto; i
quali, vengono solitamente realizzati dai produttori medio grandi, spesso radicati nel
territorio e dotati di un valida immagine aziendale, e che di conseguenza hanno interesse a
realizzare all'interno della propria azienda tutte le fasi produttive della filiera (dalla
vinificazione dell'uva al confezionamento del vino ottenuto) con la finalità di
internalizzare il valore aggiunto.
In generale si può sostenere che il grado di integrazione verticale è maggiore per i vini a
denominazione d'origine e inferiore per i vini da tavola.
In Italia la cooperazione e i produttori che vinificano in proprio hanno sostanzialmente lo
stesso ruolo: entrambi hanno una quota stimabile intorno al 42-46 % del totale vinificato.
L'industria, intesa come l'insieme delle aziende che trasformano uve di produzione non
propria, detiene solo una quota che oscilla tra il 10 e il 14%.
Le strutture operative operanti all'interno del comparto presentano diverse caratteristiche:
le cantine sociali si approvigionano di materia prima soprattutto attraverso il conferimento
delle uve da parte dei soci.
Nella fase a valle della filiera le cantine sociali vendono sia vino sfuso che imbottigliato
spesso garantito e certificato a seconda delle strategie adottate; nel primo caso il vino viene
solitamente venduto ad imbottigliatori esteri.
Le cantine sociali costituiscono il principale operatore nel segmento dei vini da tavola e,
secondo le rivelazioni ufficiali dell'ISTAT, la cooperazione rappresenta circa la metà della
produzione complessiva di vino in Italia.
11
L'industria che, normalmente, confeziona il vino, sceglie tre forme diverse di
approvigionamento, combinandole tra loro in varia misura: essa vinifica le uve dei vigneti
di sua proprietà o vinifica uva acquistata da terzi e confeziona il vino ottenuto o infine
confeziona il vino acquistato sfuso.
Le industrie che offrono vini Doc Docg sono aziende di medie dimensioni, che puntano a
contrastare la concorrenza delle piccole imprese locali, offrendo una gamma il più ampia
possibile; alcune imprese, tuttavia scelgono di focalizzare la loro attenzione su pochi tipi di
vino, per poi introdurre nuovi prodotti sfruttando l''immagine che si sono conquistate.
Nel caso dei vini Doc e Docg la polverizzazione dell'offerta comporta che la
competizione si svolga a livello locale e regionale: questa situazione rende difficile
adottare una strategia orientata al mercato e la maggior parte delle imprese propende
per politiche di mantenimento dei costi, anche se le aziende di più grandi dimensioni sono
più attente alle strategie di valorizzazione dell'immagine, il cui indicatore è dato dal
rapporto qualità/prezzo, e di copertura distributiva.
Inoltre la strutturale debolezza delle aziende vinicole italiane rappresenta un forte limite
per potersi misurare in un mercato molto competitivo in quanto l'eccessiva polverizzazione
non permette di avere una massa critica e potere contrattuale sufficiente per creare dei
brand, e l'aggressività promozionale potrebbe creare nel tempo dei problemi soprattutto in
fascia alta, a rischio banalizzazione15.
In relazione all'aspetto finanziario è di vitale importanza porre l'accento su come la
produzione di vino strutturalmente esprima un fabbisogno finanziario significativo,
proprio per la durata del suo ciclo produttivo; e, come è logico che sia, quanto più forte è la
tensione verso la qualità, tanto più aumenta il fabbisogno finanziario, in quanto il prodotto
necessita di rimanere in cantina per anni; ed esiste un numero ancora troppo elevato di
imprese, nel nostro panorama, che ha una scarsa percezione della funzione della finanza
aziendale, nel senso che, molto accentrate sulla fase produttiva (come è nella nostra cultura
e tradizione), dedicano una scarsa attenzione alle funzioni manageriali nonostante gli
ingenti investimenti adottati, e ciò deriva sia dalla frammentazione produttiva, ma anche da
gap formativi propri della scuola italiana.
15Si veda Rouzet E., Il marketing del vino, il mercato,le strategie commerciali,la distribuzione, Ed agri-
cole, Bologna, 2004.
12