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1. IL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE
1.1 CENNI STORICI
La cannabis sativa (Cannabis) o canapa indiana, comunemente nota con il suo
nome americano, marijuana, è una pianta apprezzata e coltivata da millenni,
inizialmente come fibra tessile e in seguito per le proprietà curative e soprattutto
inebrianti, sfruttate, quest‟ultime, in contesti religiosi e ricreativi (Kalant, 2001). La
prima testimonianza relativa all‟uso di Cannabis è stata rinvenuta in Cina e risale al
4000 a.C. (Zuardi, 2006). Infatti nella più antica farmacopea del mondo, il “e pen- t s
’ao ching”, sono riportate le indicazioni della Cannabis sia come medicamento che
come sostanza psicoattiva (Zuardi, 2006). Dall‟Asia centrale l‟uso di questa pianta si è
poi diffuso in India, in Asia minore e nel continente africano (Kalant, 2001).
In ogni epoca della storia e a tutte le latitudini la pianta di canapa ha fornito fibre
tessili. Nelle società arcaiche e nelle culture tribali i suoi estratti sono stati adoperati a
scopo inebriante in cerimonie rituali e, come è accaduto a molte altre piante di facile
coltivazione o reperimento, è divenuta una panacea. In India la Cannabis veniva usata
come narcotico, in base alle credenze religiose che la consideravano una pianta sacra,
fonte di serenità e di gioia e con azione catartica verso le forze del male e tentatrici
dell‟animo (Touw, 1981).
Tale pianta era anche alla base dell‟armamentario terapeutico della medicina
tradizionale indiana, in virtù dei molteplici effetti terapeutici identificati: sedativo,
ansiolitico, rilassante, anticonvulsivante, analgesico, stimolante l‟appetito, antipiretico
ed antibatterico (Kalant, 2001).
Invece, nel mondo occidentale il riconoscimento del valore terapeutico della Cannabis
è da ricondursi agli esperimenti condotti nei primi del 900 dal fisico irlandese William
B. O'Shaughnessy e che misero in luce l‟efficacia di questa pianta nel trattamento di
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diverse patologie, tra cui il colera, i disturbi reumatici, il delirium tremens e le
convulsioni infantili (Di Marzo, 2006).
Nella seconda metà del XIX secolo, la Cannabis raggiunse la sua massima popolarità;
alla fine di questo periodo, però, l' uso medico di questa era in declino, in quanto la
potenza dei preparati era troppo variabile e le reazioni alla Cannabis ingerita per via
orale sembravano variabili ed imprevedibili. Inoltre l'invenzione della siringa
ipodermica e l'introduzione dell' uso degli oppiacei rese possibile la iniezione diretta di
queste droghe nel circolo sanguigno per un rapido sollievo del dolore. La produzione
di “droghe” sintetiche come l'aspirina, l'idrato di cloralio e i barbiturici, tutti più stabili
chimicamente della Cannabis, accelerarono il declino della marijuana in campo
medico, anche se queste sostanze medicamentose comportavano problemi
impressionanti.
Al contrario della cocaina e della morfina che furono isolate rispettivamente dalle
foglie di coca e di oppio nella forma cristallina purificata, l‟isolamento dei composti
farmacologicamente attivi dalla Cannabis risultò essere difficoltosa a causa della
forma oleosa dell‟estratto in cui questi erano presenti. Il primo reale traguardo fu
raggiunto agli inizi del 1940 da Lord Todd in Inghilterra e da Roger Adams negli Stati
Uniti che, l‟uno separatamente dall‟altro, isolarono il cannabinolo e il cannabidiolo
(Fig.1) (Mechoulam et al., 1998).
Questa scoperta aprì la strada all‟isolamento, alla caratterizzazione e alla
delucidazione della sintesi chimica nel 1964 del ∆
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-tetraidrocannabinolo (THC)
(Fig.1), uno dei principali componenti responsabili dell‟attività psicotropa della
Cannabis (Di Marzo, 2006).
Trascorsero altri venti anni prima della comprensione che il meccanismo d‟azione dei
cannabinoidi fosse mediato dall‟interazione con uno specifico recettore di tipo
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proteico, localizzato nel cervello, la cui attivazione comportava la riduzione dei livelli
intracellulari del nucleotide ciclico dell‟adenosina monofosfato (cAMP) (Elphick and
Egertová, 2001; Howlett and Fleming, 1984).
La caratterizzazione di tali strutture recettoriali fu ottenuta mediante metodologie di
immunoistochimica e di legame con radioligandi (Devane et al., 1988). In seguito, nel
1990, il recettore dei cannabinoidi di tipo 1 (CB1) fu clonato dal cervello di ratto
(Matsuda et al., 1990), mentre nelle cellule del sistema immunitario fu identificato, tre
anni più tardi, il recettore di tipo 2 (CB2) (Munro et al., 1993).
Alla scoperta del recettore CB1 ha fatto immediato seguito, nel 1992, l'isolamento, dal
cervello di maiale, del primo metabolita endogeno in grado di legarsi selettivamente a
tale proteina. Si trattava dell'amide dell'acido arachidonico con l'etanol-ammina (N-
arachidonil-etanolamina; AEA) (Fig.2), due componenti ubiquitari delle membrane
cellulari animali, tale composto venne chiamato anandamide, dalla parola sanscrita
ananda, „serenità interiore‟ (Devane et al, 1992).
La scoperta dell‟AEA fu seguita da quella di numerosi composti ad attività
cannabimimetica quali il 2-arachidonilglicerolo (2-AG) (R.Mechoulam et al, 1995), il
noladin etere (Hanus et al., 2001), l‟N-arachidonil-dopamina (NADA) (Bisogno et al.,
2000) e la virodamina (Porter et al., 2002) (Fig.2).
Dal punto di vista chimico, tutti questi composti sono analoghi strutturali degli
eicosanoidi, lipidi bioattivi ubiquitari derivanti dall‟ossigenazione enzimatica
dell‟acido arachidonico e coinvolti in numerosi processi come le reazioni
infiammatorie ed immunitarie.
Questi ligandi endogeni dei recettori cannabici aventi una struttura analoga a quella
degli acidi grassi poliinsaturi furono denominati “endocannabinoidi”, in analogia con
le endorfine (Di Marzo et al., 1998). Con il termine sistema endocannabinoide ci si
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riferisce oggi ai recettori, ai loro ligandi ed ai meccanismi che regolano la sintesi e la
degradazione degli endocannabinoidi.
1.2 SINTESI DEGLI ENDOCANNABINOIDI
1.2.1 Anandamide
La biosintesi di AEA (Fig.3) prevede la lisi del precursore fosfolipidico N-
arachidonil-fosfatidil-etanolammina (NAPE), catalizzata dall‟enzima fosfolipasi D
(PLD), e la successiva liberazione di anandamide ed acido fosfatidico, un metabolita
intermedio utilizzato dalle cellule per la sintesi di altri fosfolipidi derivati dal glicerolo
(Piomelli, 2003). A livello cerebrale le quantità disponibili di NAPE sono limitate (20-
40 pmol/g) per poter sostenere il rilascio di AEA per un lungo periodo; per questo, il
precursore è sintetizzato mediante il trasferimento intermolecolare, catalizzato
dall‟enzima N-aciltransferasi (NAT), della molecola di acido arachidonico dalla
posizione SN-1 della fosfatidilcolina alla porzione iniziale della fosfatidil-
etanolammina (PE) (Piomelli, 2003). L‟attività dell‟enzima NAT è regolata da due
secondi messaggeri: gli ioni Ca
2+
, necessari per l‟attivazione, e il cAMP che potenzia
l‟attività di questo enzima tramite la fosforilazione mediata dalla proteina chinasi A
(Cadas et al, 1996). Sebbene siano catalizzate da enzimi diversi, si ipotizza che le
sintesi dell‟AEA e del suo precursore lipidico, il NAPE, procedano parallelamente,
infatti la produzione di AEA mediata dagli ioni Ca
2+
è legata alla formazione ex novo
di NAPE (Sugiura et al., 1996; Cadas et al, 1997).
L‟AEA si lega sia ai recettori CB1 che a quelli CB2, anche se a questi ultimi con
affinità minore (Felder et al., 1995), comportandosi come agonista parziale (Burkey et
al., 1997; Glass and Northup, 1999). E‟ presente ad elevate concentrazioni nel sistema
nervoso centrale, in particolare nell‟ippocampo (Felder et al., 1996; Koga et al., 1997;
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Bisogno et al., 1999), nella corteccia, nel talamo (Felder et al., 1996) e nel cervelletto,
ma anche nello striato, nel diencefalo nel mesencefalo (Bisogno et al., 1999) e
nell‟amigdala (Giuffrida et al., 2001) di specie animali diverse, incluso l‟uomo (Felder
et al., 1996).
Studi recenti dimostrano che l‟AEA è anche in grado di agire come agonista puro per i
recettori vanilloidi TRPV1, il cui sito di legame è localizzato nella porzione
intracellulare (Fig.4).
1.2.2 2-Arachidonil-glicerolo
Analogamente ad altri monoacilgliceroli, il 2-AG (Fig.2) compare in numerose
vie del metabolismo lipidico, alcune volte come precursore e altre come prodotto
finale. Questi diversi ruoli metabolici ne giustificano l‟elevata concentrazione
istologica a livello cerebrale (circa 200 volte maggiore rispetto a quella dell‟AEA)
(Sugiura et al., 1996).
La biosintesi del 2-AG può svolgersi attraverso due meccanismi alternativi (Fig.5).
Il primo inizia con la formazione, mediata dalla fosfolipasi, dell‟1,2-diacilglicerolo
(DAG). Quest‟ultimo regola l‟attività della proteinchinasi C, comportandosi da
secondo messaggero e inoltre è un substrato di due importanti enzimi: la DAG-chinasi
e la DAG-lipasi (DAGL).
Il secondo meccanismo prevede la formazione, catalizzata dalla fosfolipasi A1
(PLA1), di un 2-arachidonoil fosfolipide, idrolizzabile a 2-AG da parte di una liso-
fosfolipasi C (PLC) (Piomelli, 2003). In entrambi questi meccanismi biosintetici,
come anche in quello dell‟AEA, un ruolo cruciale sembra essere svolto dai livelli
intracellulari di ioni Ca
2+
(Bisogno et al, 1997).
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1.2.3 AEA versus 2-AG
La strategia di azione dell‟AEA nel cervello potrebbe essere molto più complessa
di quella del 2-AG a causa di diversi fattori. In primis, la localizzazione della idrolasi
dell‟amide degli acidi grassi (FAAH) che, diversamente da quella della DAGL,
essendo postsinaptica e a livello delle membrane intracellulari, non permette la rapida
inattivazione di AEA a livello presinaptico (Egertová et al., 1998). Inoltre l‟enzima
PLD, al contrario dalla DAGL, è presente a livello presinaptico (Cristino et al., 2008)
e probabilmente non è l‟unico enzima coinvolto nella biosintesi dell‟AEA (Fig.7).
L‟AEA, mediante il legame al recettore vanilloide TRPV1 postsinaptico, inibisce la
DAGL con conseguente riduzione dei livelli di 2-AG e della relativa attività di
signalling retrogrado a livello dei recettori CB1 (Mezey et al., 2000; Cristino et al.,
2006; Marinelli et al., 2007; Maccarrone et al., 2008).
Quindi, l‟AEA, a seconda della localizzazione, svolgerebbe un duplice ruolo. A livello
intracellulare come modulatore, in seguito a interazione con il sito di legame
intracellulare di TRPV1 e come regolatore dell‟omeostasi degli ioni Ca
2+
(van der
Stelt, 2005) e/o della biosintesi di 2-AG (Maccarrone et al., 2008). Invece, a livello
extracellulare, l‟AEA svolgerebbe un‟azione “anterograda” sui siti di legame del 2-AG
postsinaptici (Nyilas et al., 2008).
1.2.4 Noladin etere , virodamina ed N-arachidonildopamina ed altre
etanolamidi
Si conosce molto poco riguardo la biosintesi dei tre endocannabinoidi scoperti di
recente: noladin etere, virodamina ed N-arachidonil-dopamina (NADA) (Fig.2).
Il noladin etere (2-arachidonil-gliceril-etere), sebbene la sua presenza a livello
cerebrale sia stata messa in discussione (Oka et al., 2003), altri studi riportano che la
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biosintesi del noladin etere, agonista dei recettori CB1, è probabilmente basata su un
meccanismo non fosfolipidico, nè mediato dagli ioni Ca
2+
(De Petrocellis et al., 2004).
Elevate concentrazioni di noladin etere sono state riscontrate nel talamo e
nell‟ippocampo, mentre nel cervelletto e nel midollo spinale esso sembrerebbe essere
presente in concentrazioni più basse (Fezza et al., 2002).
La virodamina (O-arachidonil-etanolammina), dalla parola sanscrita “virodha” che
significa „opposto‟, sembra agire come un antagonista endogeno dei recettori CB1
(Porter et al, 2002). Il suo meccanismo d‟azione non è noto ma sembra essere
interessante in quanto questa molecola chimicamente instabile in ambiente acquoso è
rapidamente convertita in AEA (Piomelli, 2003).
La N-arachidonildopamina sembra condividere i meccanismi biosintetici degli
arachidonil-aminoacidi recentemente scoperti (Huang et al., 2001) o della dopamina
(De Petrocellis et al, 2004). La NADA è un agonista dei recettori vanilloidi e in vitro è
dotata di affinità per i recettori dei cannabinoidi (Huang et al, 2002).
Infine, la palmitoiletanolamide (PEA) e la oleiletanolamide (OEA) sono due amidi
degli acidi grassi, analoghi strutturali della NAPE che, pur essendo dotate di attività
cannabimimetica, non sembrano agire da agonisti dei recettori CB1 (Freund et al.,
2003). In particolare, l‟OEA si lega al recettore della proliferazione perossisomale di
tipo α (PPAR-α) e facilita il consolidamento della memoria reclutando la
neurotrasmissione noradrenergica a livello del nucleo basolaterale dell‟amigdala
(Campolongo et al., 2009a).
1.3 RILASCIO DEGLI ENDOCANNABINOIDI
A differenza dei neurotrasmettitori “convenzionali”, gli endocannabinoidi non
vengono accumulati in vescicole intracellulari, ma sono sintetizzati e rilasciati in
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maniera estemporanea, in risposta a stimoli elettrofisiologici (De Petrocellis et al.,
2004).
Evidenze sperimentali confermano che l‟influsso di ioni Ca
2+
e l‟attivazione di alcuni
recettori metabotropi inducano la biosintesi e il successivo rilascio immediato degli
endocannabionoidi (De Petrocellis et al., 2004).
Queste molecole idrofobiche, una volta rilasciate, attraversano il doppio strato
fosfolipidico mediante diffusione passiva o facilitata da residui aminoacidici che
fungono da carriers intramembrana (Piomelli, 2003). Inoltre, la profusa espressione a
livello dei tessuti cerebrali di lipocaine, proteine di legame per i lipidi, indica il ruolo
coadiuvante di queste nel rilascio e nel trasporto extracellulare dei cannabinoidi
endogeni (Beuckmann et al., 2000).
A livello delle sinapsi del sistema nervoso centrale (SNC), gli endocannabinoidi
agiscono come messaggeri retrogradi: vengono rilasciati da neuroni post-sinaptici e si
legano ai recettori CB1 espressi sui neuroni presinaptici (Kreitzer and Regehr, 2001;
Ohno-Shosaku et al., 2001; Wilson and Nicoll, 2001).
La depolarizzazione del neurone piramidale postsinaptico causa un aumento
significativo dei livelli intracellulari di ioni Ca
2+
, con conseguente rilascio degli
endocannabinoidi in grado di diffondere liberamente attraverso la membrana
fosfolipidica e legarsi ai recettori CB1 presinaptici (Campolongo et al., 2009b) (Fig.8).
1.4 INATTIVAZIONE DEGLI ENDOCANNABINOIDI
Il processo di signalling degli endocannabinoidi è inattivato mediante un
meccanismo bifasico che include il trasporto all‟interno della cellula e l‟idrolisi
attraverso due sistemi enzimatici specifici (Di Marzo et al., 1994).