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brillante, concreta e adattata a comunicare l’Azienda al target dei talenti. Vanessa è una di
loro. E’ rimasta per collaborare con me al compimento del progetto e ha fatto
un’esperienza rilevante nel mondo del recruitement e della comunicazione interna. E’ stata
fondamentale per il successo del progetto e per la sua implementazione che è in corso.
Da settembre 2008, infatti, è iniziato il nostro lavoro, ovvero l’attuazione dei contenuti del
piano di Employer Branding che sono esposti nella tesi di Vanessa. L’obiettivo è di dotare
l’Azienda delle armi per affrontare la Guerra dei Talenti con la forza che un’azienda leader
e positiva come Ferrero merita. Ai lettori della presente tesi invito a seguire l’andamento di
Ferrero nelle classifiche citate nella tesi e dal quale mi aspetto a partire da fine 2009 un
forte miglioramento della posizione di Ferrero. Non vi nascondo che l’ambizione sia quella
di ottenere una posizione nelle prime 10 aziende più attrattive e che quel raggiungimento
sarà per me l’indice del successo di tutto questo lavoro.
Fabio Dioguardi
Direttore Risorse Umane e Organizzazione Ferrero Italia
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Introduzione
Lo scenario economico che si presenta agli occhi del mondo oggi, è particolarmente
delicato. La flessione nei consumi, la disoccupazione, l’aumento del costo della vita e la
diminuzione delle attività industriali, sono solo alcune delle ricadute più immediate della
recente crisi finanziaria. La recessione partita dalla crisi dei mutui e dal conseguente crollo
dei colossi bancari negli Stati Uniti, si è allargata a macchia d’olio in tutto il mondo,
portando seri problemi all’economia reale. E’ i1 05/11/2008, quando Confindustria
sottolinea come questa sia «la recessione più lunga dal dopoguerra… più grave perché
comune a tutte le maggiori economie industriali dentro e fuori dall'Unione Europea…con
segni preoccupanti di rallentamento dai Paesi emergenti»
1
. La globalizzazione non rende
immune dalla crisi nessun Paese e come sottolinea il neo Premio Nobel per l’Economia P.
Krugman: «La fase più acuta si andrà sgonfiando nel corso dei prossimi due mesi, sempre
che non accada nulla di nuovo…ma le ricadute sull’economia reale dureranno a lungo».
2
In Italia la situazione se da una parte potrebbe apparire meno problematica per la natura
locale delle banche, è resa comunque aspra a causa di due fattori: da una parte le piccole e
medie imprese, pilastro dell’economia italiana, non sanno fronteggiare la competitività
globale e, dall’altra, il sistema d’istruzione italiano è inadeguato rispetto a quello degli altri
Paesi europei (come emerge dalla fotografia dei dati OCSE),
3
il ché rende tra l’altro poco
competitivi i neolaureati italiani e la qualità delle loro prestazioni lavorative. Accanto a
questo, il crollo demografico che si registra in Italia a partire dagli anni’70 ha portato al
fenomeno del workforce shortage (Amendola, 2008) cioè alla difficoltà di trovare persone
qualificate appartenenti alla generazione dei nati tra il 1966 ed il 1977. Se a partire dagli
anni ‘90 il tasso di immatricolazione nelle Università tendeva ad aumentare, infatti, nello
stesso tempo il numero complessivo degli iscritti all’Università non cresceva proprio a
causa del calo demografico, il ché equivale a dire che in Italia il problema della carenza dei
neolaureati di talento è più elevato che altrove. È in questo panorama, all’interno del quale
negli ultimi dieci anni gli elementi distintivi delle organizzazioni sono stati l’evoluzione
informatica e la necessità di differenziarsi in un mercato ormai saturo, che i protagonisti
sono più che mai le persone in grado di generare processi innovativi, i così detti talenti
(Parvis, 2002). Ed è in questo scenario che le aziende si fronteggiano in quella che gli
uomini di McKinsey nel 1996 definirono come “the war of talent” (Michael, Hadfield-
Jones & Axelrod, 2002).
Per far fronte a tutto ciò, l’atteggiamento delle aziende nei confronti del recruiting, è
cambiato notevolmente, con l’ appropriazione di nuove metodologie di attraction e
retention dei talenti, attraverso il processo di Employer Branding (EB). Esso può essere
1
www.ilsole240re.it
2
Semprini F. (2008, November, 15). I leader ostaggi degli interessi nazionali. La Stampa, p. 3.
3
www.oecd.org
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definito come una filosofia aziendale, un approccio, che si concretizza nell’insieme dei
modi con cui l’azienda cerca di attrarre, fidelizzare e trattenere i dipendenti qualificati
(talenti interni), motivandoli e rendendoli orgogliosi di far parte di quella determinata
azienda e non di un’altra (Amendola, 2008). Altresì, l’employer branding guarda
all’esterno, per cercare di attrarre e fidelizzare i potenziali dipendenti, ossia il target di
candidati particolarmente brillanti (talenti esterni), che l’azienda vorrebbe come propri
dipendenti (Lizzani, Mussino, Bonaiuto, 2008). Il modello qui proposto per l’employer
branding è quello dell’Employer Branding Process (EBP). Esso si caratterizza per essere
molto simile ad un qualsiasi processo di marketing, pur differenziandosi da esso in alcuni
elementi chiave. In primis la funzione aziendale a cui spetta sviluppare il processo EB è
quella delle Risorse Umane e non quella del Marketing, posto che tra le due deve esserci
sinergia. Il marketing ha come target il cliente, consumatore di prodotti e servizi, mentre
l’employer branding ha come target i potenziali candidati da una parte e i dipendenti
dall’altra (quindi un target esterno e uno interno) che costituiscono i clienti, acquirenti del
prodotto/ lavoro che è l’azienda. L’EBP prevede cinque fasi: definizione del target, analisi
del posizionamento aziendale proprio e dei competitors, costruzione del messaggio,
comunicazione e valutazione della campagna. Così come il marketing comunica il
prodotto, anche l’employer branding lo fa, trasmettendo il proprio messaggio sul prodotto/
lavoro, con gli stessi strumenti del marketing e mirando a creare un brand employer, vicino
al Corporate Brand e al Product Brand. Il messaggio da comunicare si costruisce a partire
dalla cultura organizzativa, che è l’insieme degli assunti di base che i membri di
un’organizzazione hanno scoperto, sviluppato, inventato come metodo ritenuto valido per
adattarsi alle situazioni organizzative (Schein, 1985). I dipendenti saranno i portavoce dei
reali asset dell’azienda, di natura tangibile e intangibile, cioè l’insieme degli strumenti hard
(come il capitale, la struttura fisica etc.) e soft, quali il know how tecnico e tecnologico, la
visibilità e l’immagine del brand e appunto la Corporate Identity (Itami, 1987). Se la
comunicazione non rispecchia la reale cultura organizzativa il target esterno e interno, non
tarderà ad avvedersene ed essa non diventerà che un boomerang. Infatti, secondo
Amendola
(2008), a differenza del marketing, l’employer branding non può non essere
veritiero, non può contrabbandare un ambiente di lavoro come ottimo se non è così, perché
il suo obiettivo non è solo attrarre i candidati più promettenti, ma far sì che rimangano
nell’azienda (Amendola E., 2008). È in questa cornice che si inserisce il Modello ASA
(Schneider, 1987) che spiega come aziende e candidati con gli stessi principi tendono a
scegliersi a vicenda. Per avere successo come employer, le aziende stanno, dunque,
passando da un approccio classico e “accademico” ad un approccio che le avvicina al
target in maniera differente rispetto al passato, utilizzando gli strumenti efficaci per
stabilire contatti duraturi con le università e i “luoghi” reali e virtuali che il target
frequenta, con occhio puntato a tutto ciò che offre il web 2.0 (Lizzani et al., 2008). Nuovo
approccio che è ben supportato da una nuova metodologia nella costruzione dell’EBP,
quella della co-costruzione. Essa è stata proposta da Lizzani et al. (2008) e utilizzata con
8
successo da alcune aziende multinazionali, tra cui quella di cui si parlerà nella seconda
parte del testo, Ferrero. Il metodo di Lizzani et al. (2008) prevede il coinvolgimento attivo
del target nell’EBP, i talenti interni ed esterni all’azienda, partendo dall’idea che nessuno
meglio di un talento può costruire una campagna di comunicazione rivolta al target di cui
lui stesso fa parte. Vengono richiamati, dunque, la teoria dell’Identità Sociale (Tajfel,
1981), l’importanza nello sviluppo dei social media (Castells, 2001) , nonché i recentissimi
sviluppi nel campo del marketing non convenzionale (Cova, Giordano, Palleri, 2007).
I tre attori protagonisti del processo di co-costruzione sono: azienda committente, studenti
(target dei talenti) e la società di Consulenza HR, con l’obiettivo di costruire l’immagine
dell’azienda committente come best employer. Il concetto, in realtà, non è nuovo ma già
sperimentato nelle ricerche di mercato, dove le aziende si fanno “suggerire” dal target la
soluzione migliore per prodotti e servizi proposti. Nel 2008 Ferrero ha scelto di affidare la
costruzione del proprio messaggio employer branding agli studenti della Facoltà di
Psicologia 2 dell’Università Sapienza di Roma, con la mediazione della società Contatto
Lavoro. La seconda parte del seguente lavoro, si concentra dunque, sulla costruzione del
messaggio che Ferrero, gli studenti e ContattoLavoro hanno implementato.
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PARTE PRIMA
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CAPITOLO 1
L’EMPLOYER BRANDING PROCESS: TRAMETTERE LA
CULTURA ORGANIZZATIVA CON L’APPROCCIO MARKETING
1.1 Premessa
I livelli concorrenziali raggiunti dal mercato, la lenta crescita demografica registrata nei
Paesi economicamente sviluppati negli ultimi decenni, il sistema scolastico e universitario
che in Italia è meno competitivo di quello europeo, e oggi la crisi economica dell’ottobre
2008 che è stata giudicata dagli esperti di Confindustria ancora più grave di quella che
colpì il mondo nel 1929, hanno reso consapevoli le aziende del fatto che l’unica differenza
per creare e mantenere il successo sul mercato, può essere fatta esclusivamente dal
Capitale Umano.
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Auteri (1987) affermava circa vent’anni fa che i cambiamenti che si
verificano nella realtà del lavoro richiedono una modifica nella strategia di attenzione
verso le risorse umane. Esse non rappresentano più un lavoratore/ dipendente ma un
lavoratore/ cliente, di cui- ribadisce Auteri- “è fondamentale avere costantemente
l’approvazione e l’appoggio” (Auteri, 1987, p.5).
È qui che il concetto “Guerra dei talenti”, coniato da McKinsey nel 1997 (Michael et al.,
2002) trova un terreno solido su cui poggiare il processo di employer branding.
Il punto di partenza in questo capitolo, è una breve introduzione al legame tra marketing
interno ed esterno, con particolare attenzione al Modello di Aaker (1997), utile nel
passaggio dal marketing all’employer branding. A questo seguirà una panoramica sulla
cultura organizzativa e il Modello di Covey (2007), che fornisce una descrizione della
cultura “ideale” per lo sviluppo di un ambiente best employer e i metodi utili all’employer
branding per conoscere gli elementi da trasmettere al target.
4
Il termine Capitale Umano indica l'insieme delle facoltà e delle risorse umane, in particolare conoscenza,
istruzione, informazione, capacità tecniche, che danno luogo alla capacità umana di svolgere attività di
trasformazione e di creazione. Il Capitale Umano nel mondo del lavoro può essere descritto come la
combinazione dei seguenti fattori: le caratteristiche individuali apportate dalla persona nel proprio lavoro; la
propria capacità di imparare; la propria motivazione nel condividere le informazioni e le cognizioni. (Becker,
1993)
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1.2 Dal marketing esterno al Marketing interno: verso l’employer branding
Il Marketing Interno è il complesso di attività che vede l’azienda comunicare con i propri
dipendenti, formandoli e motivandoli affinché offrano al cliente esterno un servizio di
qualità capace di distinguerla dai concorrenti. Per dirla con le parole di Kotler (1994), il
Marketing Interno consiste nell’ “assumere, formare e motivare con successo i dipendenti
a servire bene i consumatori” (Kotler, 1994, in Padula, 2007, p.5).
Secondo Berthon P. Ewing M., Hah L.(2003) esso è definito da quattro elementi:
ξ Internal advertising
È l’elemento che spiega il ruolo giocato dall’advertising aziendale sui potenziali
dipendenti.
ξ Internal branding
Prima di pensare alla vendita del brand al consumatore, l’azienda deve riuscire a
venderlo ai propri dipendenti (Zyman, 2002).
ξ Employer branding
Attrarre, trattenere, fidelizzare i potenziali e gli attuali dipendenti dell’azienda
(Amendola, 2008).
ξ Employer attractiveness
L’attrazione dei talenti trova il suo “hot topic” nelle classifiche stilate annualmente
circa le Best Employer Company.
È possibile traslare la definizione che dà Kotler (1994) del mercato,
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definendo il mercato
interno come l’insieme dei lavoratori di un’azienda che erogano la propria prestazione
lavorativa, in cambio di una ricompensa che, sarebbe un errore pensare, sia solo di
carattere economico. Essa deve, infatti, mirare a soddisfare tutti i bisogni del lavoratore
che, per dirla in chiave maslowiana (Maslow,1964), partono dalla remunerazione fino ad
arrivare all’autorealizzazione. Il marketing interno, dunque, crea una dimensione di
mercato parallela a quella del marketing esterno e di pari importanza, portando ad una
collaborazione attiva e continua tra due aree aziendali che spesso non viaggiano insieme:
Marketing e Risorse Umane. Le leve aziendali del marketing esterno sono le stesse di
quelle del Marketing Interno, riguardino esse ruoli hard (Finanza) o soft (Cliente,
Personale) (Padula, 2007). Ciò che cambia è la disposizione acquisita da queste leve nei
diversi ambienti in cui i due versanti del marketing si collocano (Mercato e Azienda). Se,
infatti, nel marketing esterno il Personale e la Finanza fanno in modo che tutto ruoti
intorno al Cliente, nel Marketing Interno sono il Cliente e la Finanza che diventano esterni
rispetto al Personale, che assumerà un ruolo centrale.
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L’insieme degli acquirenti attuali e potenziali di un determinato prodotto o servizio (Kotler, 1994, in
Padula, 2007, p.5)