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INTRODUZIONE
Questo contributo di ricerca s’inscrive nell’ambito disciplinare della
Psicologia del Lavoro, il quale oggetto di studio è andato sempre più definendosi con
i diversi contributi apportati alla disciplina e con l’analisi psicologica delle
interazioni tra l’individuo e l’attività lavorativa (Depolo, 1998). Uno degli ambiti di
studio della Psicologia del Lavoro di grande interesse negli ultimi trent’anni è quello
delle “Transizioni Psicosociali” (Lewin, 1965) nella fase di Socializzazione al lavoro
(Sarchielli, 2003), fase dello sviluppo professionale in cui gli individui che escono
dal mondo accademico analizzano il bagaglio di risorse personali a disposizione, con
il quale si presenteranno al mercato del lavoro.
Negli ultimi trent’anni l’emergenza di una serie di fattori, parzialmente
conglobati all’interno dell’etichetta “Globalizzazione” (Piccardo, 2007), ha
progressivamente modificato la percezione e i vissuti delle persone rispetto al proprio
lavoro, alla propria appartenenza organizzativa e al proprio passaggio dalla scuola al
lavoro, non più scontato e semplice.
L’ingresso nel mercato del lavoro dei termini Flessibilità, Precariato,
Insicurezza, Discontinuità, ha apportato cambiamenti alle caratteristiche del mercato,
richiedendo agli individui tutta una serie di caratteristiche personali dal significato
univoco: Employability, Adaptability, Flexibility. Se fino a qualche anno fa la ricerca
della congruenza tra le proprie caratteristiche individuali e i requisiti di un lavoro
esitavano, alla fine, un compromesso che durava per tutta la vita (Dawis & Lofquist,
1984), oggigiorno i lavoratori si trovano a dover intercettare, interpretare e
assecondare richieste lavorative e organizzative quanto mai cangianti.
Partendo dal presupposto che il lavoro sta cambiando sempre più, notiamo
che l’errore commesso da molti neolaureati è quello d’insistere sul proprio percorso
di studio senza analizzare cosa realmente chiede il mercato del lavoro; siamo invece,
in un’ottica di Occupabilità (Employability), idoneità e predisposizione a perseguire
una professione e capacità di capire quali comepetenze sviluppare per occupare una
posizione lavorativa di successo. (Fugate, Kinicki & Ashforth, 2004).
La possibilità di trovare un lavoro che valorizzi le capacità degli individui
dipende spesso non solo dalle proprie risorse personali, in termini di competenze e
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abilità a disposizione ma anche dalle proprie caratteristiche legate al comportamento
e all’identità, a stili cognitivi e caratteristiche legate alla sfera del Self (Judge, Erez,
Bono & Thoresen 2002).
Il contributo teorico di riferimento da cui prende vita il nostro studio, è quello
di Fugate, Kinicki e Ashforth (2004) che definiscono il concetto di Employability un
costrutto multidimensionale composto da Identità di Carriera, Capacità di
adattamento e Capitale Sociale e Umano; nato dalla necessità esplorativa di
approfondire la natura del concetto di Occupabilità, l’obiettivo del presente studio è
l’esplorazione delle relazioni tra il costrutto di Employability e specifiche
caratteristiche del Sé, quali Self Efficacy, Self Esteem e Locus of Control; è presa in
considerazione inoltre la relazione tra queste stesse caratteristiche del sé e
l’Employability Activities (attività legate alla ricerca di un impiego).
L’analisi di questa ricerca nasce dalla necessità di comprendere come
l’Employability individuale di neolaureati e laureati alla ricerca di un lavoro o che
vogliono migliorare la propria posizione lavorativa, possa insieme alle caratteristiche
del Sé personali, caricare i soggetti di maggiore forza per fronteggiare le richieste del
mercato del lavoro attuale e favorire l’occupazione.
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CAPITOLO 1
IL NUOVO MERCATO DEL LAVORO: ASPETTI GENERALI
1.1 Flessibilità e impatto sociale
Il mondo dell’attuale modernità sociale pone gli individui alla ricerca del
lavoro ad affrontare una realtà fondata sul concetto di flessibilità del lavoro e delle
organizzazioni.
La flessibilità implica costanti cambiamenti e trasformazioni del lavoro
(Berntson, 2008), predispone i lavoratori e le persone alla ricerca di un impiego a
rinnovare e adattare le proprie capacità alle nuove richieste del mercato, alle attuali
esigenze delle organizzazioni (Depolo, 1998; Sarchielli, 2003) e ad acquisire nuove
competenze tecnico-professionali per affrontare il mondo del lavoro con maggiore
realismo e ottimismo.
Il termine “flessibilità” rimanda a una delle caratteristiche dell’attuale
mercato del lavoro, introdotto con la “Strategia comunitaria per l’occupazione”
(SEO)
1
nel quale programma comunitario figura la legge 196/97
2
da cui ha preso vita
la definizione del Libro Bianco del 2001
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e nel quale rientra la riforma complessiva
del mercato del lavoro in Italia, conosciuta come Legge 276/03 (Legge Biagi).
Tra gli scopi e le linee guida della riforma è presente uno dei presupposti
fondamentali del Ministero del lavoro in ambito occupazionale:
1) introduzione di forme di flessibilità che servano a favorire il “mismatch”
tra domanda e offerta di lavoro, anticipando il contatto degli studenti con il mondo
dell’occupazione (Gelmini & Sacconi, 2008);
2) introduzione di nuove tipologie contrattuali che siano in linea con le forme
di mutamento dell’economia mondiale attuale;
1
Il 13 dicembre 1997 il Consiglio europeo di Lussemburgo elaborò la “SEO”, rispondendo
all’esigenza di cooperazione e coordinamento delle politiche occupazionali fra gli Stati membri
(Cioccolo, Furfaro & Piras, 2004).
2
Norme in materia di promozione dell’occupazione, “Pacchetto Treu” (Cioccolo & al., 2004).
3
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia.
Proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità, Roma, 2001. (Cioccolo & al., 2004).
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3) realizzazione di un mercato del lavoro trasparente che incrementi le occasioni di
occupazione per tutte le categorie sociali e favorisca la mobilità territoriale.
(Cioccolo, Furfaro & Piras, 2004).
Le organizzazioni, i lavoratori e le persone alla ricerca di un impiego sono
spettatori e protagonisti della nascita di nuovi “tipi di lavoro”:
“insiemi di esigenze, di richieste al lavoratore che implicano la disponibilità di risorse
cognitive, relazionali e capacità operative di grado più elevato rispetto al passato”.
(Sarchielli, 2003, p.29).
Essi assistono al mutamento delle classiche forme di lavoro fisso in forme di
lavoro “atipico” (Sarchielli, 2003), caratterizzate da imprevedibilità nella durata delle
forme contrattuali (lavoro a tempo determinato, part-time, prestazioni occasionali),
instabilità dei processi lavorativi e metamorfosi delle organizzazioni, come i processi
di downsizing (ridimensionamento di un’impresa), reengineering (ristrutturazione
delle imprese), esternalizzazione di alcune funzioni aziendali e fusioni; sempre più si
assiste all’innovazione delle figure manageriali e professionali, come le forme di
outsourcing e “lavoratori della conoscenza” (Sarchielli, 2003), automazione dei
processi lavorativi e lo sviluppo dell’informazione; queste nuove forme di lavoro
richiedono in maggioranza un impegno di tipo “intellettuale” piuttosto che “fisico”
(Chmiel, 1998) e rendono l’ambiente di lavoro più dinamico rispetto al passato,
creando però un forte tasso di incertezza e di imprevedibilità.
Le stesse organizzazioni, adeguandosi ai rapidi cambiamenti del lavoro,
diventano più adattabili e flessibili, adottano strategie organizzative che rispondono
positivamente alle richieste del mercato e dell’economia mondiale; a questo livello le
organizzazioni richiedono ai propri lavoratori la “Flessibilità funzionale”, nuove
abilità e competenze da sviluppare per compiere compiti e prestazioni di lavoro
differenti dalle classiche attività lavorative (Van Dam, 2003). Questi stati
d’incertezza e imprevedibilità dell’ambiente di lavoro creano così, da un lato la
possibilità e l’occasione di cambiamento, la conquista di nuove possibilità di carriera
e mobilità individuale tra le organizzazioni, dall’altra parte la fluidità e l’eterogeneità
del mercato del lavoro diventano un pericolo per i giovani che escono dal mondo
accademico dell’Università e si affacciano al mondo del lavoro (Carrera, 2004).
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La precarietà del lavoro prodotta dalla flessibilità colpisce soprattutto i
giovani ed in particolar modo i meno formati o i meno qualificati, aumentando il
tempo della transizione tra mondo accademico ed’inserimento nelle organizzazioni e
perciò ritardando l’accesso al lavoro (Guichard & Huteau, 2001).
La rapidità dei cambiamenti rende precaria o insufficiente la dotazione di
risorse iniziali con cui la persona aveva costruito la propria iniziale posizione sociale,
fino a un certo momento della sua vita (Depolo, 1998) e la pone in una dimensione di
“fluidità” del mondo sociale e del mercato del lavoro (Bauman, 2002), in tal senso
quanto più il contesto si fa cangiante tanto più perde quel carattere di familiarità,
aumentandone invece il senso di “estraneazione” (Depolo, 1998) che incide sui
processi di costruzione dell’Identità sociale (Sarchielli, 2003) e sulla valutazione
soggettiva del contesto; aumenta perciò il rischio di non riuscire a trovare una
collocazione lavorativa idonea alle esigenze ed aspettative dell’individuo (Depolo,
1998). Il rischio avvertito dalla società, dopo la flessibilizzazione del mondo del
lavoro, è quello di rottura del sentimento d’appartenenza a una comunità più ampia
rispetto a quella familiare e amicale; è percepibile come la flessibilità isoli i soggetti
dal sentirsi parte di un destino comune, proiettandoli in un mondo al singolare in cui
ci sono competitori e avversari (Carrera, 2004).
Si avverte la necessità di divenire “Imprenditori di se stessi”, accettare le
condizioni di mobilità sociale e lavorativa offerta dalla flessibilità e saper gestire il
proprio tragitto lavorativo, cercare l’occasione di crescita professionale in ogni
opportunità lavorativa a disposizione (Carrera, 2004) e attivare processi di
autoregolazione degli apprendimenti e di Self-Direction della propria carriera
lavorativa (Depolo, 1998).
Negli ultimi anni la condizione di flessibilità ha portato a leggere la società
moderna in termini di “società riflessiva” (Beck, Giddens & Lash, 1999), nella quale
gli individui sono indipendenti rispetto alle situazioni in cui sono coinvolti, portati ad
autodeterminarsi (Guichard & Huteau, 2001), condotti a riflettere singolarmente sul
proprio percorso, prendendo atto delle individuali responsabilità nel dirigere la
propria carriera verso il successo, dato che il contesto di riferimento sarebbe
destrutturato rispetto al passato (Donati, 2007).
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In questo scenario sociale variopinto e frammentato lo Stato interviene con
politiche di attivazione (activation policies) nell’ambito dell’intervento sociale a
favore dell’occupazione (nuovo assetto del Walfare State), intervento del quale si
percepisce un certo grado di protezione sociale dal rischio di disoccupazione, causata
spesso dalla diversificazione dell’occupazione, dalla flessibilizzazione e
precarizzazione dei percorsi lavorativi (Lodigiani, 2007).
A questo va aggiunto che l’inserimento attivo nel mercato del lavoro è
sempre più correlato al possesso di risorse culturali, sociali ed economiche di cui non
tutti, però dispongono in eguale misura, per questo anche la disoccupazione non è un
fenomeno omogeneo ma fortemente differenziato, da ricondurre a cause sia
economiche che sociali (Colasanto, 2003).
1.2 Politiche attive del Welfare State: azioni sociali a favore
dell’occupazione.
Il Walfare State attivo sostiene i soggetti nel loro percorso di ricerca del
lavoro, favorendo l’occupazione mediante servizi di accompagnamento,
Orientamento, inserimento e Formazione professionale, in un’ottica di empowerment
(Piccardo, 1995):
“processo (di attivazione) dei soggetti che li aiuta ad uscire da una condizione di assenza di potere e
di controllo percepiti sul proprio agire, ampliando gli spazi di autonomia e di partecipazione alla
conduzione (…) delle attività lavorative”. (Depolo, 1998, p.95)
Il processo di empowerment permette l’accrescimento e il potenziamento
delle conoscenze, delle competenze e delle capacità personali, arricchendo così la
“dotazione di partenza” (Sarchielli, 2003) degli individui, spesso disorientati davanti
ai cambiamenti repentini della società in cui vivono.
Si dimostra efficace, l’intervento statale del Ministero del lavoro nel creare
servizi d’intermediazione sociale tra domanda e offerta di lavoro che supportino gli
individui nella ricerca di un’occupazione: Agenzie private del lavoro, Università,
consulenti del lavoro e centri di Orientamento in uscita a supporto del placement per
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neolaureati e la stessa creazione della “Borsa continua nazionale del lavoro” (BCNL)
che rappresenta un network nazionale attraverso il quale collegare i sistemi
informatici regionali e creare una rete tra tutti i soggetti del mercato del lavoro.
Questo sistema garantisce ai cittadini la trasparenza e la completezza delle
informazioni sul mercato del lavoro in tutto il territorio nazionale (Ministero del
lavoro e delle Politiche Sociali, 2008).
Lo Stato è attivo nel sostenere l’occupazione dei soggetti, visto come
quest’ultima non dipende unicamente dalle risorse individuali e dalle caratteristiche
personali del soggetto, bensì anche dalle reali opportunità che le istituzioni e il
mercato del lavoro offrono (Berntson, 2008). Assistiamo alla promozione
dell’occupazione, notando come sia attivo lo scambio “domanda-offerta” di lavoro
attraverso programmi di Formazione ed Orientamento professionale secondo la
prospettiva lifelong learning ovvero apprendimento lungo tutto il corso della vita
(Formazione Continua).
Ad esempio in Italia l’ISFOL (ISFOL, 2000) ha prodotto un documento
intitolato “Verso un sistema di profili professionali per un sistema territoriale di
orientamento” creato per supportare il processo di auto-orientamento della persona,
tramite la definizione dei profili professionali attualmente presenti nel mercato del
lavoro (Ingusci, 2008).
Il documento citato è solo uno dei provvedimenti a supporto dell’occupazione
che sia il Walfare State con le politiche attive che il mondo della Formazione, stanno
elaborando per fare chiarezza in un mercato così frammentato e complesso, come
quello dell’offerta di lavoro, in modo da permettere ai giovani in formazione o coloro
alla ricerca di un impiego, di scegliere percorsi professionalizzanti in linea con la
propria vocazione (Cortini, Manuti & Tanucci, 2008).
Per quanto esposto, siamo in una situazione in cui da un lato ci sono le
politiche attive del Walfare State che cercano di favorire l’inserimento lavorativo dei
soggetti, chiarendo il contenuto delle richieste poste dal mercato del lavoro, dall’altro
lato però ci si aspetta che i soggetti alla ricerca di lavoro, si adattino a tali richieste e
alla repentina evoluzione del mercato, le comprendano e provino a puntare sul
proprio “sistema di competenze” (Guichard & Huteau, 2001), modificando in
continuazione i propri saperi, tramite percorsi di formazione e acquisendo nuove