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effettivi. Tale teoria, denominata teoria del prospetto, si basa sull’idea che gli
individui interpretino e valutino le prospettive o opzioni proposte in termini di
scarto da un dato punto di riferimento neutro.
Altro elemento che influenza e modifica le decisioni finali degli individui è il
cosiddetto “effetto di incorniciamento”, o framing effect. Tale effetto poggia
sull’evidenza empirica che la diversa formulazione delle opzioni di scelta influisce
sugli individui poiché non li rende logicamente coerenti nel momento in cui si
confrontano con alternative che si equivalgono in termini di esiti prospettati, ma
che sono presentate in maniera differente.
Il processo di scelta viene ulteriormente reso complesso dalla quantità di
alternative con cui l’individuo deve commisurarsi. Per semplificare questo
processo, il decisore tende ad affidarsi a delle regole di scelta. Tali norme, rendono
sì meno complessa la decisione ma creano delle distorsioni cognitive che portano
sistematicamente ad emettere degli errori nel giudizio.
Il secondo capitolo, si ripropone di analizzare il complesso sistema delle
emozioni, in primo luogo dal punto di vista concettuale, ripercorrendo le principali
teorie di riferimento che ne individuano definizione, origine e implicazioni,
analizzando nello specifico alcune di esse. Inoltre prenderò in considerazione il
ruolo delle emozioni nel momento in cui l’individuo si trova di fronte ad un
problema decisionale, quali effetti e conseguenze il coinvolgimento emotivo ha
sulla scelta finale. Cercherò anche di indagare se la distinzione, storicamente
acquisita, tra razionalità ed emotività è effettivamente valida. Infatti negli ultimi
anni è emerso il concetto di “intelligenza emotiva”, il quale tende a riscontrare un
certo coinvolgimento dell’emotività nelle scelte razionali.
Nonostante la centralità della sfera affettiva e il valore delle emozioni nella
vita di ogni persona, fino a pochi anni fa, non vi è stata un’attenzione particolare
della comunità scientifica allo studio dei meccanismi cerebrali che ne sono
all’origine.
Attualmente è possibile basarsi sui recenti studi neuroscientifici, i quali
dimostrano come, nonostante non sia possibile indagare il vissuto emozionale del
singolo, i meccanismi cerebrali che sono alla base delle emozioni presentino
caratteristiche oggettivabili, replicabili e comuni. In questa direzione anche gli
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studiosi di decision making hanno cominciato ad interessarsi del ruolo distintivo
delle emozioni nei processi decisionali. Grazie alle diverse ricerche condotte in
materia con la tecnica delle neuroimmagini
1
, è stato possibile analizzare quali aree
del cervello risultano coinvolte e si attivano nel processo di scelta in condizioni di
incertezza.
Il terzo capitolo è dedicato alla questione abbastanza controversa circa
l’origine biologica della morale. Dopo averne introdotto il concetto e la duplice
definizione, il capitolo si pone come un excursus delle principali teorie in merito,
attraverso l’esposizione del pensiero di diversi studiosi. Alcuni autori, come Darwin
e de Waal sono a favore della tesi rispetto alla genesi biologica della capacità
morale, il primo la vede la morale come una conseguenza evolutiva accidentale, il
secondo si propone di dimostrare la continuità esistente tra il comportamento degli
uomini e quello dei primati, individuando modi di fare ed atteggiamenti del tutto
simili in entrambe le specie. Altri autori, come Ayala, invece si pongono in
contrasto con l’idea dell’origine biologica, sostenendo che i tratti che compongono
e contraddistinguono la morale umana derivano da altri elementi non riconducibili
alle specie che ci hanno preceduto. Come precedentemente, la struttura del capitolo
prevede una parte di esposizione teorica ed una parte più pratica, nella quale
vengono introdotti alcuni studi ed osservazioni empiriche recenti. Partendo dalle
osservazioni su pazienti riportanti lesioni ad una particolare area del cervello, il
lobo frontale, la quale rende i soggetti incapaci di poter prendere delle decisioni
vantaggiose per sé e per gli altri, Antonio Damasio ha formulato e dimostrato la
teoria del marcatore somatico. I risultati di altri esperimenti inoltre indicano il
coinvolgimento delle emozioni nel processo di giudizio, dimostrando che la
componente morale è un’altra delle variabili che influenzano il processo di
decisione umano.
Il quarto capitolo cerca di abbandonare l’impostazione teorica attraverso la
presentazione di un’indagine empirica condotta da me personalmente. L’obiettivo
della ricerca consiste, in primo luogo, nell’indagare se la diversa formulazione
1
Il neuroimaging consiste nell’utilizzo della tecnologia delle neuroimmagini per misurare e
visualizzare un aspetto della funzione dell’encefalo, per comprendere, analizzare e studiare la
relazione tra l’attività in una determinate area cerebrale e specifiche funzioni cerebrali. È uno
strumento di primaria importanza nelle neuroscienze cognitive e in neuropsicologia.
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linguistica di una stessa situazione, possa in qualche modo modificare la percezione
degli individui rispetto al problema e indurli ad assumere atteggiamenti e
comportamenti diversi (effetto framing). Il tema prescelto è stato quello dei feti nati
vivi in condizioni di estrema prematurità, un argomento su cui si dibatte molto in
questi giorni e che si inserisce nella più ampia discussione in merito alla pratica
dell’aborto.
Abbiamo scelto di proporre al campione (150 studenti universitari), due
versioni del medesimo questionario, dove il problema decisionale veniva
contestualizzato in maniera differente, utilizzando un registro linguistico diverso
per entrambe le versioni. Lo scopo dell’esperimento consiste nel valutare se
l’emozione possa dimostrarsi un fattore di influenza sul processo decisionale e in
particolare se la componente di giudizio morale possa essere suscettibile di
modificazioni, in base alla diversa presentazione della questione.
Questo capitolo si pone a chiusura di un lavoro che tenta di legare discipline
da sempre distanti, come economia, sociologia e psicologia, cercando di
abbracciare tutte le tematiche affrontate durante l’elaborato. Tale ricerca empirica,
seppur in modo sperimentale, dà la possibilità di valutare concretamente l’influenza
della diversa contestualizzazione del problema sulla decisione finale, l’effettiva
partecipazione della componente emotiva e la sua influenza sul giudizio morale
degli individui.
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1. Le Teorie della Decisione
1.1 Incertezza e rischio
Il problema dell’incertezza è centrale nello studio dei processi decisionali dal
momento che le conseguenze delle azioni che l’individuo intraprende, spesso si
prolungano nel futuro, cosicché non si può essere perfettamente sicuri che l’esito
prospettato si verificherà realmente.
Inoltre possiamo dire che l’incertezza è riscontrabile non soltanto in relazione
agli esiti della decisione, ma anche nelle altre fasi del processo decisionale. In ogni
caso con il termine di incertezza mi riferirò unicamente all’accezione che la
considera come “il grado di conoscenza che un individuo ha riguardo gli effetti
futuri prodotti da azioni o dall’accadimento di eventi” (Rumiati, Bonini, 2001).
In teoria sarebbe comunque possibile immaginare situazioni decisionali
apparentemente prive di incertezza, si pensi ad esempio al caso in cui si decida di
acquistare un maglione di lana presso un negozio. Il fatto che si opti per un modello
piuttosto che per un altro non sembra comportare alcuna incertezza rispetto all’esito
della decisione. Invece è possibile che si presentino alcuni elementi di incertezza
proprio nel momento della scelta, ad esempio dubbi circa la tenuta della foggia o la
possibilità che il tessuto si rovini.
Gli individui hanno sempre teso naturalmente a ridurre lo stato di incertezza
in cui agiscono al fine di esercitare un controllo sull’ambiente che li circonda. Ad
esempio si sono affidati alla magia, quando non avevano la possibilità di far
riferimento a leggi predittive acquisite sulla base dell’esperienza pregressa e alla
ritualizzazione delle azioni, la quale consiste nella reiterazione di modelli
comportamentali che in passato hanno prodotto risultati positivi.
Normalmente il grado di incertezza relativa all’accadimento di un evento
viene misurata assegnando una certa probabilità all’esito atteso. Ad esempio se un
individuo è certo che il treno arriverà puntuale dirà che questo esito è sicuro al
100%, altrettanto dirà se è certo che il treno arriverà in ritardo. Risulta evidente che
tanto è più elevato il grado di incertezza circa il verificarsi di un evento, tanto più la
probabilità si discosterà dal 100%. L’incertezza assoluta coincide con il 50% delle
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probabilità: 50% che l’evento si verifichi e 50% che l’evento non si verifichi. In
questo caso l’evento preso in esame sarebbe totalmente incerto.
Il grado di incertezza di un evento è di solito funzione del grado di
conoscenza dello stesso. Quando non è possibile fare riferimento a informazioni
relative a eventi del passato, è necessario basarsi su valutazioni del tutto soggettive
che possono indurre facilmente in errore. A questo proposito i teorici della
probabilità, contrappongono la nozione di probabilità obiettiva a quella di
probabilità soggettiva. Con la prima si intende che la probabilità di un evento
coincide con la frequenza con cui un evento si verifica in un esperimento nel quale
si effettua una serie infinita di prove e corrisponde a una obiettiva proprietà del
mondo reale. La probabilità soggettiva viene invece concepita come quel valore che
esprime il grado di credenza di un individuo nei confronti del verificarsi di un dato
evento. In questo caso si tratta di una percezione soggettiva dell’individuo rispetto a
proprietà del mondo reale, ovvero uno stato di conoscenza dell’individuo stesso
(Rumiati, Bonini, 2001).
Nel valutare l’incertezza è quindi possibile utilizzare espressioni
numeriche di probabilità corrispondenti a una misura abbastanza precisa del grado
di incertezza. In questi casi è necessario prestare molta attenzione perché, a volte,
l’espressione numerica di incertezza può non essere precisa come dimostrato
dall’esempio che segue:
Immaginate di dovervi sottoporre ad un intervento chirurgico. Il medico vi
rassicura dicendo che la probabilità di sopravvivenza è del 90%.
Nel domandarvi quanto è precisa la stima, si aprono due scenari:
1) Il chirurgo vi dice che ha eseguito, nel suo ospedale, 100 interventi analoghi e che
90 pazienti sono sopravvissuti.
2) Il chirurgo vi dice che l’operazione non è mai stata eseguita nel suo ospedale. Nel
mondo, però, operazioni simili sono state eseguite 100 volte e 90 pazienti sono
sopravvissuti.
L’Ospedale in cui il chirurgo lavora ha un tasso di sopravvivenza superiore alla
media, ma in ogni caso questo intervento richiede metodiche per la cui applicazione è
necessario un notevole grado di esperienza.
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Quindi la valutazione del 90% di sopravvivenza è la stima migliore che il chirurgo
può fare.
Se al chirurgo del secondo scenario chiedete che vi fornisca la probabilità di
sopravvivenza, egli risponderà che l’intervento si potrebbe fare, ma non nutre molta fiducia
nella procedura, tant’è che sostiene che probabilità di sopravvivenza sia compresa tra il
60% e il 100%.
Secondo gli autori, questo esempio mostra che talvolta l’espressione
numerica di incertezza può non essere precisa, infatti essi sostengono che, in base al
caso precedente, un individuo deciderebbe di sottoporsi all’intervento se le
circostanze fossero quelle prospettate dal primo scenario, dove le stime sono più
stabili, piuttosto che dal secondo dove l’espressione numerica dà adito ad una
interpretazione più vaga.
La vaghezza della quantità di incertezza aumenta quando si usano
vocaboli del tipo “probabilmente”, “spesso”, “raramente”, ecc. È possibile notare
come l’uso espressioni verbali di questo tipo sia preferito rispetto alla precisione dei
numeri anche da parte di esperti, quali ad esempio meteorologi. Tale scelta può
essere spiegata secondo due ordini di ragioni: innanzitutto opinioni e giudizi non
sono mai precisi, perciò sarebbe fuorviante rappresentarli in maniera esatta; inoltre
la gente ha la sensazione di essere meglio compresa se le espressioni sono
trasmesse verbalmente piuttosto che in forma numerica.
Nonostante tutto, l’uso di questa modalità può presentare diversi problemi
dovuti al fatto che l’espressione verbale non consente al soggetto di esprimere una
incertezza precisa ed inoltre possono creare fraintendimenti tra gli interlocutori
circa la comprensione reciproca del grado di incertezza espresso.
Nella psicologia della decisione, spesso ci si riferisce all’incertezza
utilizzando il termine “rischio”. Convenzionalmente però si fa riferimento
all’incertezza quando si prendono in considerazione situazioni in cui l’individuo
conosce gli esiti della scelta, ma non le probabilità legate ai diversi esiti. Per quanto
riguarda la nozione di rischio, esistono diverse definizioni, ad esempio Lopes
(1983) sostiene che si parli di rischio quando si conoscono gli esiti della decisione
da prendere e anche le probabilità ad essi associate. Altri studiosi definiscono il
rischio come un costrutto corrispondente alla grandezza della perdita oppure alla
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probabilità con cui si può verificare la perdita. In ogni caso tutte le definizioni sono
accomunate dal fatto che si basano su termini astratti come probabilità e perdita.
Ciò che acquista rilievo nelle scelte che implicano un rischio è la
determinazione del rischio medesimo, ossia la valutazione delle probabilità che il
decisore possa subire la perdita. Gli studi in ambito psicologico volti a sviluppare
procedure particolari per la determinazione del rischio, hanno permesso di stabilire
che non esiste un rischio soggettivamente determinato, bensì che ci sono dei rischi
la cui percezione e valutazione dipendono da diversi contesti in cui si presentano.
L’indagine sperimentale ha messo in luce due elementi importanti: la
scarsa abilità degli individui nel giudicare eventi rischiosi e un insieme di
dimensioni con cui gli individui si rappresentano le situazioni rischiose.
A seguito di uno studio sulla percezione di eventi con bassa probabilità di
accadimento ma con conseguenze talora drammatiche, nel quale i soggetti erano
chiamati a giudicare quale, tra una coppia di cause di morte, fosse la più probabile
(metodo indiretto) o a stimare la frequenza di morte per ognuna delle cause
presentate (metodo diretto), sono emerse due tendenze nei giudizi. Infatti gli eventi
poco probabili venivano sovrastimati, mentre quelli più probabili erano sottostimati
(Lichtenstein et al., 1978).
Utilizzando una procedura denominata “approccio psicometrico”, Fischoff
e colleghi (1978) hanno individuato, attraverso diversi esperimenti, che la
rappresentazione del rischio è basata su due fattori e cioè l’aspetto terrificante e la
conoscenza del rischio. Questo tipo di rappresentazione viene considerata
sostanzialmente universale, anche se vi sono delle differenze nel giudizio tra
soggetti esperti e non esperti. I primi stimavano che la maggior parte delle persone
non fosse esposta ai rischi più sensazionali, ma a quelli meno osservabili, meno
conosciuti e con effetti differiti. I non esperti, ritenevano invece di essere esposti ai
rischi che hanno un carattere terrificante, con conseguenze gravi e catastrofiche.
1.2 Teorie Normative
Il processo decisionale è stato oggetto di studio da parte di economisti,
matematici, sociologi e psicologi, i quali, a diverso titolo e con differenti finalità,
hanno cercato di fare luce sui meccanismi e sulle modalità che portano a compiere
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una scelta. Nell’ambito delle teorie della decisione si distinguono principalmente
due approcci fondamentali. Il primo si fonda sulle teorie normative e pone l’accento
sugli assiomi e sui criteri che stanno alla base delle scelte razionali prese da soggetti
ideali pienamente razionali. Il secondo approccio si basa sulle teorie descrittive ed
identifica i principi e i meccanismi del processo di presa di decisione messi in atto
da soggetti reali.
Le teorie normative partono dal presupposto che durante il processo
decisionale tutte le possibili opzioni e le loro conseguenze siano conosciute con
certezza dal decisore. Si assume anche che quest’ultimo confronti le diverse
alternative valutando la congruenza tra le conseguenze attese e i propri obiettivi e,
infine, sia in grado di dare un ordine alle proprie preferenze, ossia sappia bene
quale alternativa prediligere (Pravettoni, Vago, 2007).
1.2.1 Razionalità economica e ottimizzazione
La razionalità è anche un sistema normativo tale per cui stabilisce quali
operazioni o azioni sono appropriate e quali no, quali obiettivi sono razionali e
quali no. Questo però comporta la definizione di due tipi di razionalità: la
razionalità dei mezzi e la razionalità dei fini. La prima precisa il modo con cui
raggiungere determinati obiettivi, la cui individuazione la mette indubbiamente in
relazione con il secondo tipo di razionalità, che ha a che fare con la sfera dei
principi etici e dei valori dell’uomo.
La razionalità economica, o razionalità dei mezzi, si basa su due principi
chiave: coerenza e massimizzazione.
La coerenza consiste nello stabilire l’adeguatezza di un’azione o di un
comportamento a un complesso di assiomi. Questo tipo di definizione si basa su un
sistema di “norme”. Molti degli studi condotti in psicologia del ragionamento
hanno assunto la logica formale come sistema di riferimento per determinare la
coerenza dei prodotti di pensiero. Lo stesso impianto teorico sta alla base
dell’indagine sul giudizio probabilistico e sul comportamento decisionale.
Il secondo principio prescrive che il decisore razionale adotti le strategie volte
a perseguire il risultato migliore possibile.
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La teoria dei giochi, è un esempio che indica una serie di strategie
ottimizzanti. La teoria dei giochi è la scienza matematica che analizza situazioni di
conflitto e ne ricerca soluzioni competitive e cooperative tramite modelli. In altre
parole si tratta dello studio delle decisioni individuali in situazioni in cui vi sono
interazioni tra diversi soggetti, tali per cui le decisioni di un soggetto possono
influire sui risultati conseguibili da parte di un rivale, secondo un meccanismo di
retroazione (Pravettoni,Vago, 2007).
Per gioco si intende un modello stilizzato che descrive situazioni di
interdipendenza strategica, dove il risultato ottenuto da un agente dipende non solo
dalle sue azioni, ma anche dalle azioni degli altri agenti. La scelta ottimale per un
giocatore dipende dalle sue congetture sulle scelte degli altri giocatori. Un gioco
consiste in un insieme di giocatori, un insieme di regole ( chi può fare cosa e
quando) di cui tutti devono essere a conoscenza e un insieme di funzioni di payoff
(l’utilità che ogni giocatore ottiene in corrispondenza di ogni possibile
combinazione di strategie, la quale può essere positiva, negativa o nulla.).
L’equilibrio di un gioco indica le strategie che ci si aspetta che i giocatori scelgano.
Il più comune concetto di equilibrio è quello di equilibrio di Nash, una situazione in
cui nessun giocatore ha convenienza a cambiare unilateralmente la propria strategia
(Cabral, 2002).
Le strategie ottimizzanti che seguono si riferiscono ai giochi individuali: la
prima viene detta strategia “maximax” e garantisce il risultato più elevato, il
migliore degli esiti possibili. Prendiamo in esame il seguente caso:
Un giornalista deve spedire alla redazione di una rivista un plico con dei documenti
relativi a un servizio che ha appena completato.
Per questo materiale egli riceverà un compenso di 2500€, qualora arrivasse a
destinazione. Il giornalista è al corrente del fatto che se il plico andasse perduto per colpa
del servizio postale riceverebbe da quest’ultimo il rimborso di 2500€ dovutogli dalla
rivista. Egli potrebbe garantirsi dalla perdita del plico e dalla conseguente perdita del
compenso nel caso di smarrimento del plico per colpa non imputabile al servizio postale
solo assicurando la spedizione con una polizza del costo di 25€.