4
le emozioni, a partire dalle prime teorie, in cui sono considerate mere passioni istintuali e
dannose, fino ad arrivare a quelle più recenti che le considerano parte integrante dell’essere
umano. Segue un’esplorazione delle emozioni, contestualizzate in ambito lavorativo, dalla
loro esclusione o regolazione, fino all’auspicio che esse diventino un elemento “normale”
delle organizzazioni. Infine è stata data rilevanza ad una particolare emozione, lo stress,
che risulta essere tra le più frequenti ed intense, nei luoghi di lavoro e alle strategie di co-
ping maggiormente utilizzate dalle organizzazioni per tentare di ridurlo, migliorando in tal
modo, il benessere dei propri dipendenti. La seconda parte è un’indagine empirica, condot-
ta in due sedi dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) Napoli 5 e parte di una più ampia ricer-
ca sulle emozioni condotta, in diverse aziende pubbliche e private, dalla Facoltà di Psico-
logia 2 dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”. Con l’uso di un questionario,
sono state rilevate la frequenza e l’intensità delle emozioni che prevalgono in ambito lavo-
rativo, le emozioni che, secondo gli intervistati, si possono manifestare nella propria azien-
da, gli atteggiamenti emotivi del rispondente e gli aspetti relazionali del contesto lavorativo
d’appartenenza. L’analisi dei dati è di tipo quantitativo, la prima parte della quale descrive
il campione relativamente alle caratteristiche sociodemografiche e lavorative, segue
un’analisi in termini di frequenza dell’intero campione rispetto a tutti gli items del questio-
nario; infine, sono stati effettuati dei confronti statistici intergruppo, sulla base di alcune
variabili di disegno (genere, età, funzione aziendale svolta e qualifica professionale) per
evidenziare differenze significative tra i vari sottogruppi.
5
CAPITOLO 1
LE EMOZIONI
“Le emozioni danno alla vita un senso
e una direzione ma ci impediscono
allo stesso tempo, di proseguire
in quella direzione”
Elster
1.1 Emozioni versus cognizioni
“Non c’è nulla di più comune in filosofia, e anche nella vita quotidiana, che parlare del
conflitto tra passione e ragione per dare la palma alla ragione, e per affermare che gli
uomini sono virtuosi solo nella misura in cui obbediscono ai suoi comandi.” (Hume, 1739)
La questione della differenza tra emozione e pensiero è al centro del dibattito sulle emo-
zioni. L’assunzione abituale è che il pensiero sia una qualità specificatamente umana e ba-
sata sulla ragione, mentre gli istinti e le emozioni sono bestiali e infantili, ingannevoli e ir-
razionali. (Oatley, 1997) La diffidenza occidentale del ventesimo secolo, nei confronti del-
le emozioni, sembra discendere dalle argomentazioni di Platone sui modi in cui le emozio-
ni possono sovvertire la razionalità e distorcere la verità.
Per gli stoici l’emozione è una malattia che si impadronisce dell’anima intera in seguito al
cedimento della ragione: Crisippo ne parla come di un’agitazione sfrenata, una corsa inar-
restabile che fa uscire l’Io fuori di sé. Anche per Aristotele il materiale emozionale agisce
come un fattore di destabilizzazione del baricentro razionale dell’uomo. (Sarsini, 1998)
Kant, a sua volta, considera le emozioni come un “cancro della ragione”.
Tutto il pensiero filosofico aveva sancito una netta separazione tra la sfera emotiva e quella
razionale e speculativa. La prima veniva identificata con il disordine, l’eccesso e la passivi-
tà, mentre la seconda rappresentava l’ordine su tutti i differenti piani: della polis, del sog-
getto e della coscienza morale. Tutto ciò ha contribuito alla formazione di una visione di
tipo dicotomico, che oppone le cognizioni alle emozioni nella spiegazione della condotta
umana. Inoltre, tale visione filosofica ha considerato le emozioni assimilabili a semplici e
involontari stati affettivi, non meritevoli di rappresentare un vero oggetto di studio. (Solo-
mon, 1980) Il rigido meccanicismo del passato ha cercato di isolare le emozioni dalla
componente “più elevata” dell’uomo, quella “razionale e logica”, per la quale gli affetti e-
rano considerati oggetto di disturbo. Ancora oggi, le emozioni sono accusate di impedire
piu’ che di facilitare le normali operazioni di una persona, di disorganizzare il comporta-
mento, di costituire un notevole disturbo nella vita quotidiana. Esse sono state accusate an-
che di ritardare l’evoluzione degli esseri umani. (Tiberi, 1988) Tutte queste concezioni
hanno contribuito a creare ed alimentare sempre più il pregiudizio nei riguardi delle emo-
6
zioni tanto da ritardarne notevolmente lo studio sperimentale e la formazione di
un’autonoma teoria degli affetti.
Dobbiamo attendere il XIX secolo perché si abbia la comparsa dei primi studi scientifici
sulle emozioni. Questi primi studi, rappresentati da teorie biologiche e filogenetiche, con-
dividevano la prevalente concezione scientifica dell’emozione come un fenomeno essen-
zialmente non cognitivo ed involontario il quale, “sebbene suscettibile di influenza da par-
te dell’intelligenza, del linguaggio e della cultura, non era in sé stesso dipendente da que-
sti fattori complessi e storicamente condizionati.” (Harrè, 1992 p. 4)
Fu soprattutto la teoria di Darwin (1872) ad esercitare un’enorme influenza sul modo di
pensare alle emozioni. In essa si sostiene che le emozioni sono comuni sia agli uomini che
agli animali e fondate sull’attivazione fisiologica di energie istintive ed innate. In altre pa-
role essa sostiene che tutte le funzioni corporee dipendono dai rispettivi organi e tra queste
funzioni vengono collocate anche quelle relative al sentimento e alla sensazione.
Le prime teorie scientifiche sulle emozioni ne cercano una spiegazione e definizione attra-
verso il ruolo ricoperto dalle modificazioni viscero-somatiche che si verificano
nell’organismo in risposta ad un dato set di stimoli. Le emozioni quindi, in questa prima
fase, sono considerate semplici risposte fisiologiche. Gli esponenti di quella che Bedford
(1986) ha chiamato la teoria tradizionale dell’emozione, ritengono che gli stati affettivi
appartengano alla natura umana e che siano connessi ad una base genetica ereditaria e per
tal ragione ritenuti universali. Le emozioni sono equivalenti ad embodied sensations, “co-
me vampate di sangue, strette allo stomaco, ecc.” (Corigliano, 2002, p. 96) che si manife-
stano in relazione ad uno stimolo. Si tratta di riflessi istintivi, comuni a tutti gli esseri uma-
ni, che hanno una precisa funzione per la sopravvivenza umana e per l’interazione sociale.
Darwin per primo ha sostenuto che le emozioni hanno una funzione centrale per la soprav-
vivenza dell’individuo e rappresentano una risposta istintiva e universale alle minacce am-
bientali. Egli ha focalizzato la sua attenzione sulle espressioni emotive, cioè su gesti visibi-
li, come stringere i pugni, digrignare i denti, tendere i muscoli, affermando che si trattava
di repertori comportamentali automatici, universali, trasmessi ereditariamente.
Studi recenti in questo campo, definito della evolutionary psychology (Ekman, Friesen,
1975; Arnold, 1960, Plutchik, 1962), hanno sviluppato le ricerche di Darwin ponendo
l’enfasi sul ruolo delle emozioni ai fini della sopravvivenza umana. Le teorie delle emozio-
ni fondamentali, infatti, sostengono che le emozioni sono quadri di risposte che hanno una
base innata, che vi è una continuità di queste risposte osservabile fra le diverse specie ani-
mali e, che tali risposte emozionali abbiano una funzione adattativa.
Le emozioni fondamentali si riconoscono perché hanno segnali distintivi universali come
le espressioni facciali, le quali agiscono come veri e propri segnali di comunicazione, for-
nendo informazioni sugli antecedenti (per esempio, la presenza di un pericolo),
sull’emozione in atto (la paura), sull’attivazione fisiologica (il volto che sbianca) e sulle
azioni prevedibili (la fuga). (Ekman, Friesen 1975)
7
Plutchick (1982) definisce l’emozione una complessa sequenza di reazioni ad uno stimolo.
Tali reazioni includono valutazioni cognitive, cambiamenti soggettivi, un’eccitazione neu-
rale, un impulso all’azione e un comportamento finalizzato ad avere un effetto sullo stimo-
lo che era all’origine della catena.
Tomkins (1970), invece, parla di sistema affettivo più che di emozioni e afferma che que-
sto sistema è innato e interagisce con il sistema motivazionale. Secondo quest’autore, pul-
sioni e motivazioni non sono responsabili dell’azione ma sono segnali con cui l’organismo
manifesta i suoi bisogni che vengono poi amplificati dalle emozioni. Tomkins parla di otto
emozioni di base: interesse, sorpresa, gioia, angoscia, paura, vergogna, disgusto, collera.
Izard (1977), che è stato collaboratore di Tomkins, col quale condivide alcuni punti di vi-
sta, sviluppa una teoria che presuppone l’esistenza di nove emozioni fondamentali (gioia,
sorpresa, interesse, dolore, rabbia, disgusto, disprezzo, vergogna, paura) dalla cui combi-
nazione derivano tutte le altre ed anche i tratti di personalità. Queste emozioni sono unità
discrete dal punto di vista soggettivo, biochimico e comportamentale, ed hanno dei corri-
spettivi precisi nelle espressioni facciali. Tali schemi di risposte facciali emotive hanno una
base innata. Izard è inoltre convinto del fatto che gli elementi cognitivi non sono parte es-
senziale dell’emozione.
Dalla fine dell'Ottocento, fino alla metà del Novecento, si arriva a due schieramenti oppo-
sti: da un lato i fautori di una teoria periferica che considerano le emozioni come delle rea-
zioni consce del cervello a cambiamenti viscerali, somatici ed istintivi (James e Lange,
1890), dall’altro la teoria centrale di Cannon (1920), il quale sostiene che la “causa”
dell’emozione è da ricercarsi nei processi superiori di elaborazione dello stimolo.
In altre parole, la teoria di James e Lange implica un cambiamento di prospettiva rispetto
alle precedenti teorie delle emozioni, le quali ponevano la modificazione del corpo dopo
l’emozione. La modificazione viscero-somatica assume dunque il ruolo di “innesco”
dell’esperienza emozionale. Il cervello quindi, riceve dai territori periferici, dai muscoli,
dai vasi, e così via, dei segnali che lo fanno “emozionare”. La teoria di Cannon sostiene,
invece, che bisogna porre più attenzione agli aspetti cognitivi del processo emozionale,
poiché l’esperienza emozionale dipende dall’attività di alcune strutture del sistema nervoso
centrale.
In base a quanto detto fin ora, risulta, quindi evidente che i primi contributi scientifici allo
studio delle emozioni sono ancora parzialmente legati ad una arcaica e classica distinzione
tra pensiero ed emozioni, cognizioni e affetti.
8
“Il presupposto che le emozioni siano intrinsecamente irrazionali
e che il pensiero non emotivo sia intrinsecamente
razionale è una contrapposizione sbagliata”
Oatley
1.2 Il superamento dell’antagonismo emozione-cognizione con le teorie
cognitive
E’ stato solo negli anni ’60 che gli esponenti delle teorie cognitive delle emozioni per pri-
mi hanno posto le basi per un avvicinamento tra cognizione ed emozione. (Bellelli, 1995)
Essi hanno cercato di collegare il comportamento emozionale, non solo a fattori puramente
biologici, ma anche al giudizio e alla valutazione del contesto. Queste teorie, quindi, supe-
rano la distinzione fra processi cognitivi ed emozionali e anzi ne mettono in risalto i legami
funzionali. (Lombardo e Cardaci, 1998)
Tre sono i filoni in cui si raggruppano tali teorie: le teorie interpretative (Schacter e
Singer, 1962; Mandler, 1984); le teorie delle valutazioni cognitive (appraisal) e delle ten-
denze all’azione (Arnold, 1960; Frijda, 1986; Smith ed Ellsworth, 1985, Roseman, 1991;
Scherer, 1984); e le teorie della rappresentazione cognitiva (categoriale e schematica)
(Fehr e Russel, 1984; Shaver et al., 1987; Conway e Bekerian, 1987)
Secondo le teorie interpretative l’emozione è composta da uno stato di attivazione
dell’organismo (arousal) e dalla conseguente interpretazione cognitiva della situazione.
Questi processi non hanno in sé nulla di emotivo ma operano, attraverso processi di attri-
buzione causale, al fine di definire la qualità dell’esperienza emotiva.
Schachter e Singer (1962), per esempio, in un esperimento manipolano l’attivazione fisio-
logica, le aspettative e il contesto situazionale, concludendo che l’emozione può essere
considerata come uno stato di risveglio fisiologico e di una cognizione appropriata a questo
stato. E’ la cognizione che determina se lo stato di attivazione sarà etichettato come gioia,
paura, rabbia, ecc.
Anche Mandler (1984) distingue tra attivazione (arousal) dell’organismo e interpretazione
cognitiva. Egli sostiene che l’arousal è la percezione dell’attività del sistema nervoso sim-
patico. Si tratta, però, di una percezione globale e indifferenziata che non può contribuire a
definire la qualità delle emozioni o a distinguerle l’una dall’altra. Secondo questo autore,
l’esperienza emotiva è il risultato dell’interazione tra l’attivazione del sistema nervoso au-
tonomo e un’elaborazione cognitiva, che si basa sull’analisi del significato che gli eventi
hanno in rapporto alle aspettative della persona. Tale elaborazione è responsabile della
qualità e del contenuto delle emozioni. Secondo Mandler, l’esperienza emotiva richiede
dunque la consapevolezza da parte dell’individuo dei fattori che determinano il processo
emotivo.
Le teorie delle valutazioni cognitive (appraisal) e delle tendenze all’azione sostengono che il
sorgere di un’emozione è connesso alla valutazione di una situazione e che, patterns di risposte
9
fisiologiche differenziate dipendono dalla specifica valutazione cognitiva dell’evento. Gli ele-
menti ritenuti essenziali per l’esperienza emotiva sono chiamati valutazioni cognitive e tenden-
ze all’azione, ad essi è attribuita la funzione di cogliere il significato di un evento emotigeno.
Secondo queste teorie, non è la natura dell’evento a suscitare l’emozione ma l’interpretazione
che la persona dà all’evento in relazione al proprio benessere.
Secondo Frijda (1986), autorevole esponente di questo filone teorico, le esperienze emoti-
ve sono essenzialmente esperienze della situazione emotigena e delle sue potenzalità posi-
tive o negative per la persona, per cui emozioni diverse saranno caratterizzate da significati
situazionali diversi.
Un’altra proprietà delle esperienze emotive è che esse sono motivazioni per il comporta-
mento, poiché ogni emozione è percepita dalla persona come una tendenza a fare qualcosa.
Magda Arnold (1960) parla di “tendenze all’azione”, mentre Frijda (1986) usa
l’espressione “preparazione all’azione” per indicare sia la consapevolezza di uno stato pre-
paratorio all’azione, che la sua effettiva attivazione da parte dell’organismo.
Secondo le teorie della rappresentazione cognitiva (categoriale e schematica), le espe-
rienze emotive sono concettualizzate nella mente delle persone in forma di prototipo e di
script; queste strutture e i loro contenuti regolano le aspettative delle persone nei confronti
dell’ambiente nonché la codifica e decodifica degli eventi emotigeni.
Fehr e Russel (1984) ipotizzano che le emozioni siano organizzate entro una categoria che:
a) al livello più astratto è concettualizzata come emozione positiva o negativa;
b) a livello intermedio dovrà comprendere un prototipo, cioè l’insieme delle caratteristi-
che che definiscono il concetto e una serie di esemplari, alcuni molto prototipici come
rabbia, paura, tristezza, felicità e altri meno prototipici come orgoglio, coraggio, invi-
dia, ecc.;
c) a livello subordinato comprende sentimenti che possono essere considerati espressioni
specifiche delle emozioni di base; così, la rabbia sarà distinta in irritazione, indignazio-
ne, furia, ecc..
La posizione di Fehr e Russel (1984), sul piano interpretativo, è quella di distinguere tra
l’esperienza emotiva e la sua rappresentazione cognitiva.
Secondo le teorie di Fehr e Russel, le situazioni emotive sono rappresentate come scene
(Schank, 1982) che comprendono conoscenze generali sulle situazioni, come script
(Schank e Abelson, 1977) dove gli eventi situazionali sono specificati più in dettaglio e
come memorie autobiografiche, composte da elementi ricavati dalle esperienze emotive dei
soggetti.
Il merito delle teorie cognitive è quello di aver portato le emozioni fuori dal mondo
dell’inconscio e del biologico e di aver siglato la loro comparsa nel mondo delle esperienze
coscienti. Pur continuando a ritenere le emozioni risposte fisiologiche universali, esse ri-
tengono che una spiegazione delle emozioni deve essere ricercata ad un livello superiore a
quello fisiologico, poiché l’interpretazione, il pensiero, la cognizione e il sentire sono tutti
coinvolti nell’emozionalità.
10
“Se nel mondo tutto accadesse razionalmente
non accadrebbe nulla”
Dostoevskij
1.3 Una prospettiva integrata
Oggi, le emozioni sono descritte come delle reazioni affettive, in genere brevi ma intense,
che insorgono all’improvviso in risposta a degli stimoli ambientali o interni all’organismo,
che hanno un preciso contenuto cognitivo e la funzione di riorientare l’attenzione (D’urso,
Trentin, 1992) I moderni studiosi concordano anche nel ritenere che l’emozione è accom-
pagnata da modificazioni fisiologiche talvolta molto vistose, da espressioni facciali parti-
colari e comportamenti abbastanza caratterizzati.
Ultima, ma non meno importante, caratteristica dell’emozione è il suo stretto rapporto con
l’azione. La radice stessa della parola emozione deriva dal verbo latino moveo, muovere,
con l’aggiunta del prefisso “e-“ (“movimento da”), per indicare che in ogni emozione è
implicita una tendenza ad agire, che parte dall’interno dell’organismo.
L’emozione muove l’organismo all’azione adattandolo all’ambiente esterno. Si tratta di un
movimento orientato, significativo, non automatico e riflesso. L’emozione dunque, guida e
orienta il comportamento e la condotta.
Le emozioni “muovono” anche la vita cognitiva. Precedono la percezione, il pensiero,
l’immaginazione, risvegliano la memoria. Un’emozione è sempre presente nella coscienza
a facilitare, colorare, catalizzare, selezionare queste attività cognitive.(Tiberi, 1988)
La sfera affettiva intreccia una continua relazione e uno scambio comunicativo con la di-
mensione più propriamente cognitiva della nostra psiche. Da questa dinamica interazionale
scaturisce la soggettività di ogni essere umano, le sue peculiarità psicologiche, il suo modo
di essere e di mostrarsi al resto del mondo. (Carotenuto, 2003)
La presenza di connessioni tra il sistema emozionale e quello del pensiero vigile e coscien-
te è quanto mai evidente nel momento in cui ognuno di noi può trovarsi a esperire dei se-
gnali affettivi così intensi da riuscire a sabotare la linearità di un pensiero corrente. È anche
vero però che il sistema operativo dell’uomo, quello razionale e logico, deputato alla pro-
gettualità e all’intervento finalizzato, non potrebbe espletare il suo funzionamento in modo
efficiente senza l’intervento e la collaborazione delle emozioni. Esse sono “le bussole psi-
chiche” che orientano le nostre scelte, che danno l’avvio al nostro sentire. (Carotenuto,
2003)
La vita psichica non può dunque, essere concepita senza tener conto della fondamentale im-
portanza che le dinamiche emozionali rivestono, o meglio senza considerare il privilegiato
rapporto di complementarietà che esse instaurano con il pensiero. Il primitivo conflitto tra
emozione e cognizione, che per molto tempo si è risolto unicamente a favore della compo-
nente razionale, deve quindi essere inteso sotto un nuovo punto di vista, che cerchi di inte-
grare e trovare il giusto equilibrio tra le due parti. “Il pensiero che agisce senza realizzare
11
una correlazione dialettica con un background emozionale corre il rischio di diventare arido
e sterile, svuotato cioè di quello spessore psicologico e di quel tono direzionale che conferi-
scono qualità e dinamismo ad un particolare discorso”. (Carotenuto, 2003, p.25)
Goleman (1995) sostiene che abbiamo due menti: una che pensa, l’altra che sente. Queste
due modalità della conoscenza, così fondamentalmente diverse, interagiscono per costruire
la nostra vita mentale. La mente razionale è la modalità di comprensione di cui siamo soli-
tamente coscienti: dominante nella consapevolezza e nella riflessione, capace di ponderare
e di riflettere. Accanto ad essa c’è un altro sistema di conoscenza, impulsivo, potente e a
volte illogico: la mente emozionale. Il rapporto fra razionale ed emozionale nel controllo
della mente varia lungo un gradiente continuo; quanto più intenso è il sentimento, tanto più
la mente emozionale è dominante e più inefficace quella razionale. Nella maggior parte dei
casi, queste due menti operano in grande armonia e le loro modalità conoscitive, così di-
verse si integrano reciprocamente per guidarci nella realtà.
In genere c’è equilibrio fra mente razionale e mente emozionale; l’emozione alimenta e in-
forma le operazioni della mente razionale, mentre questa rifinisce e a volte pone il veto agli
input delle emozioni. Quando le emozioni aumentano di intensità, l’equilibrio si capovol-
ge: la mente emozionale prende il sopravvento, travolgendo quella razionale.
Goleman (1995) sostiene inoltre che possediamo anche due distinte intelligenze: quella ra-
zionale, comunemente conosciuta e misurabile con il QI e quella emotiva. Quest’ultima,
definita per la prima volta da Salovey e Mayer nel 1989 come “la capacità di osservare le
proprie emozioni e quelle altrui, di differenziarle e di usare tali informazioni per guidare il
proprio pensiero e le proprie azioni”, comprende la capacità di regolare le proprie emozio-
ni, di controllare gli impulsi, di essere empatici, di modulare i propri stati d’animo evitando
che la sofferenza ci impedisca di pensare ed ha un ruolo importante nel guidare le nostre
decisioni in stretta collaborazione con l’intelligenza razionale. Il nostro modo di compor-
tarci nella vita è determinato dal corretto sviluppo di entrambe le intelligenze: è importante
che un individuo sia abile dal punto di vista logico e razionale come da quello emotivo e
relazionale.
Tuttavia, queste due menti e queste due intelligenze sono facoltà semiindipendenti: ciascu-
na di esse riflette il funzionamento di circuiti cerebrali distinti sebbene interconnessi. (Go-
leman, 1995)
12
“Dopotutto le emozioni sono i fili che cuciono
la vita mentale. Definiscono chi siamo agli occhi
della nostra mente e allo sguardo degli altri”
Le Doux
1.4 L’evoluzione del cervello e la sede delle emozioni
Per meglio comprendere la grande influenza delle emozioni sulla razionalità bisogna con-
siderare il modo in cui si è evoluto il cervello umano. Nell’arco di milioni di anni di evolu-
zione, il cervello ha sviluppato i suoi centri superiori elaborando e perfezionando le aree
inferiori, più antiche.
La parte più primitiva del cervello, che l’uomo ha in comune con tutte le specie dotate di
un sistema nervoso più o meno sviluppato, è il tronco cerebrale che circonda l’estremità
cefalica del midollo spinale. Esso regola le funzioni vegetative fondamentali come il respi-
ro e i movimenti stereotipati. Non si può affermare che questa area del cervello sia in grado
di pensare o apprendere; si tratta, piuttosto, di una serie di centri regolatori deputati a man-
tenere il corretto funzionamento dell’organismo. Da questa struttura molto primitiva, il
tronco cerebrale, derivano i centri emozionali. Nel corso dell’evoluzione, da questi centri
emozionali si sono evolute le aree del cervello “pensante” ossia la neocorteccia (la massa
di tessuti nervosi costituenti i centri cerebrali superiori).
I primitivi centri emozionali cominciarono la loro evoluzione dal lobo olfattivo per poi di-
ventare abbastanza grandi da circondare l’estremità cefalica del tronco cerebrale. Con la
comparsa dei primi mammiferi, nel cervello emozionale apparvero nuovi tessuti nervosi
fondamentali che circondarono il tronco encefalico. Questa parte del cervello si chiama
“sistema limbico” (dal latino limbus, “anello”), proprio perché circonda e delimita il tronco
cerebrale.
Quando si è evoluto, il sistema limbico perfezionò due funzioni fondamentali:
l’apprendimento e la memoria. A poco a poco si è evoluta anche la neocorteccia, specifi-
candosi in tutte quelle capacità particolarmente umane. Essa, infatti, è sede del pensiero;
contiene i centri che integrano e comprendono quanto viene percepito dai sensi ed inoltre
aggiunge alle emozioni ciò che pensiamo di esse. Questo centro superiore, però, non go-
verna la vita emotiva: quando si provano emozioni forti e improvvise, esso è sottomesso al
sistema limbico. Poiché i centri cerebrali superiori si sono sviluppati dal sistema limbico, il
cervello emozionale ha un ruolo primario nell’architettura neurale e le sue aree sono stret-
tamente collegate a tutte le zone della neocorteccia attraverso molti circuiti di connessione.
Ciò conferisce ai centri emozionali il potere di influenzare il funzionamento di tutte le altre
aree del cervello, centri del pensiero compresi. (Goleman, 1995)
Tra tutte le strutture limbiche, quella maggiormente specializzata nelle questioni emozio-
nali è l’amigdala. Essa è posta sopra il tronco cerebrale, vicino alla parte inferiore del si-
stema limbico. Ci sono due amigdale, una su ciascun lato del cervello. Questa struttura è
13
fondamentale nelle reazioni emotive, al punto che se viene resecata dal resto del cervello,
si può avere “cecità affettiva”, ossia l’incapacità di valutare il significato emozionale degli
eventi.
Joseph Le Doux (1992) fu il primo a scoprire il ruolo fondamentale dell’amigdala nel cer-
vello emozionale. La ricerca di Le Doux spiega come l’amigdala riesca a mantenere il con-
trollo sulle nostre azioni anche quando il cervello pensante deve ancora arrivare a una deci-
sione.
Il ruolo dell’amigdala è essenziale in tutti quei momenti in cui le emozioni travolgono la
componente razionale, facendo perdere alle persone il controllo sugli eventi .
Più precisamente, l’amigdala funziona come una sorta di “sentinella” psicologica che
scandaglia ogni situazione e ogni percezione alla ricerca di informazioni di pericolo. Se tali
segnali di pericolo vengono trovati, l’amigdala scatta immediatamente mandando un mes-
saggio di crisi a tutte le componenti del cervello.
Le Doux ha, inoltre, dimostrato che nel cervello gli input provenienti dagli organi della
percezione sensoriale viaggiano dapprima diretti al talamo e poi all’amigdala; un secondo
segnale viene poi inviato dal talamo alla neocorteccia. Questa ramificazione permette
all’amigdala di cominciare a rispondere prima della neocorteccia, che elabora le informa-
zioni, attraverso vari livelli di circuiti cerebrali prima, di poterle percepire in modo davvero
completo. Infine, la neocorteccia inizia la sua risposta, che risulta quindi molto più raffina-
ta rispetto a quella dell’amigdala. La ricerca di Le Doux ha rivoluzionato la nostra com-
prensione della vita emotiva, perché è la prima ad aver scoperto l’esistenza di vie neurali
che aggirano la neocorteccia. I segnali che prendono la via diretta passante per l’amigdala
corrispondono ai sentimenti più primitivi; la conoscenza di questo circuito è di aiuto per
spiegare la capacità dell’emozione di soffocare la razionalità. Le Doux tuttavia ha dimo-
strato che esiste un altro fascio di fibre nervose che va direttamente all’amigdala, oltre a
quello che dal talamo va alla corteccia. Questa via permette all’amigdala di ricevere alcuni
input direttamente dagli organi di senso. Essa può così dare una risposta emozionale attra-
verso questa via di emergenza prima che lo faccia la neocorteccia. Ciò accade perché
l’emozione viene scatenata in modo indipendente dal pensiero razionale e prima di esso.
Mentre l’amigdala lavora per scatenare una reazione impulsiva, le aree dei lobi prefrontali
si adoperano per produrre una risposta correttiva, più consona alla situazione. Quest’area
cerebrale neocorticale consente di dare ai nostri impulsi emotivi una risposta più analitica e
appropriata, modulando l’amigdala e le altre aree limbiche.
Nella vita mentale, le connessioni fra neocorteccia e sistema limbico hanno un’importanza
fondamentale nella regolazione delle emozioni. Le connessioni tra amigdala e neocorteccia
regolano i conflitti e gli accordi tra cognizione ed emozione. La scoperta di questi circuiti
spiega il come e il perché l’emozione è importante ai fini del pensiero, dimostrando che nel
complesso rapporto fra emozioni e pensiero, la mente emozionale guida le nostre decisioni
momento per momento, in stretta collaborazione con la mente razionale.