5
Riassunto
Le emissioni di ammoniaca (NH
3
) provenienti dal comparto agro-zootecnico hanno destato
negli ultimi decenni una crescente attenzione in ragione delle problematiche ambientali ad
esse associate.
Le deposizioni di NH
3
, infatti, concorrono all’eutrofizzazione delle acque,
all’acidificazione dei suoli, alla formazione di particolato organico (PM
2.5
), alla perdita di
biodiversità e, indirettamente, all’accrescimento dell’effetto serra.
A causa della sua conformazione geografica e della rilevante presenza del settore agro-
zootecnico, la Pianura Padana è una delle maggiori aree di emissione di NH
3
a livello
europeo. Si conta infatti che il settore zootecnico della sola Lombardia, sia responsabile
dell’82% del totale delle emissioni di tale composto in tutta la regione. L’attività dalla quale
deriva la maggior perdita di NH
3
in atmosfera è associata alla gestione e alla distribuzione dei
fertilizzanti organici ed inorganici nei sistemi colturali.
Lo scopo del presente lavoro è di quantificare le emissioni di NH
3
a seguito della
distribuzione superficiale di liquame bovino, mettendo a confronto tre tipologie di gestione
agronomica: (i) incorporazione mediante erpicatura contestuale all’applicazione, (ii)
incorporazione con aratura dopo 24 ore e (iii) nessuna incorporazione. La determinazione
delle emissioni è stata condotta in due differenti realtà della pianura Lombarda, attraverso la
misura delle concentrazioni in pieno campo, lo studio della turbolenza atmosferica ad alta
frequenza con un anemometro ad ultrasuoni e infine, applicando un modello Lagrangiano di
dispersione degli inquinanti in atmosfera (WindTrax) per la stima dei flussi di NH
3
.
La misura delle concentrazioni di NH
3
è stata ottenuta attraverso cattura chimica con
l’utilizzo di campionatori a diffusione passiva ALPHA (Adapted Low-cost Passive High
Absorption) esposti in pieno campo. I campionatori sono stati sostituiti con frequenza
variabile da 2 a 12 ore in funzione della distanza temporale rispetto al momento della
distribuzione. In totale sono state eseguite circa 600 analisi.
Al contempo sono state monitorate giornalmente e a differenti profondità, le grandezze del
suolo che influenzano più o meno direttamente il fenomeno emissivo: contenuto idrico,
temperatura, densità apparente, grado di reazione, carbonio organico, azoto nitrico e
ammoniacale. Le analisi dei liquami in termini di contenuto di azoto totale e ammoniacale,
pH e sostanza secca, insieme alla raccolta a scala oraria delle principali grandezze
meteorologiche, hanno completato le informazioni sulle forzanti del fenomeno.
I risultati ottenuti in termini di emissione di NH
3
mostrano in tutte le tesi una crescita rapida
6
fino al raggiungimento di un picco massimo subito dopo l’inizio dello spandimento, con
differenze a seconda della gestione impiegata. I picchi ottenuti sono stati pari a 8.6 ± 0.3 µg
NH
3
m
-2
s
-1
, in 1.58 ore dallo spandimento (incorporazione immediata), 55.2 ± 4.1 µg NH
3
m
-2
s
-1
, in 2.25 ore (incorporazione a 24 ore) e 125.2 ± 2.6 µg NH
3
m
-2
s
-1
, in 4.58 ore (nessuna
incorporazione).
I fattori di emissione di NH
3,
descritti come la percentuale dell’azoto ammoniacale
volatilizzato, rispetto a quello distribuito in campo, sono pari al 5.8% ± 0.9 (incorporazione
immediata), 6.7% ± 1.6 (incorporazione a 24 ore) e al 43.6% ± 1.9 (nessuna incorporazione).
Il valore cumulato di azoto
perso è risultato rispettivamente pari a 3.8 kg N ha
-1
, 6.2 kg N ha
-1
e a 29.6 kg N ha
-1
nelle tre gestioni considerate.
Nelle prove condotte, le emissioni di NH
3
sono state influenzate significativamente dai
parametri fisico-chimici di suolo, liquame e dalle variabili meteorologiche. In particolare
l’azoto distribuito con il liquame, attraverso il processo di nitrificazione nel suolo, ha portato
alla formazione di nitrato (NO
3
-
) e H
+
, provocando l’abbassamento del pH del suolo, che è un
fattore che riduce ulteriormente l’emissione di NH
3
.
L’utilizzo dell’approccio a diffusione passiva si è dimostrato vantaggioso nella descrizione
della dinamica di volatilizzazione dell’NH
3
, tanto da poter essere proposto come utilizzo a
larga scala, grazie al basso costo complessivo. L’applicazione del modello WindTrax per
l’interpretazione dei flussi si è rivelata una scelta appropriata, sia per la concordanza con i dati
presenti in letteratura, sia per la semplicità di utilizzo, nonostante i lunghi tempi
computazionali.
Dal punto di vista agronomico, l’adozione di tecniche di gestione del refluo volte a ridurre
la sua permanenza sulla superficie del campo, abbattono l’emissione complessiva di NH
3
fino
all’87%, traducendosi così sia in benefici ambientali, sia in vantaggi dal punto di vista
nutrizionale nei sistemi colturali.
7
1 Introduzione
1.1 La dispersione degli inquinanti in atmosfera
La dispersione di sostanze reattive in atmosfera, siano esse liquide o gassose, è un processo
legato alla presenza di una o più fonti di emissione. Nel caso in cui le emissioni in atmosfera
derivino da sostanze liquide, segue un passaggio di stato alla fase gassosa o sotto forma di
spray (Manca, 2006).
Le sorgenti di emissione si distinguono nello spazio, secondo la geometria, in puntuali,
lineari o superficiali, e nel tempo, secondo la durata, in istantanee, continue o di durata
intermedia.
La dispersione dei gas in atmosfera dipende principalmente dai fenomeni meteorologici, in
particolare dalle caratteristiche del vento, dalla stabilità atmosferica, dall’umidità relativa
dell’aria, dall’irraggiamento solare, dalla temperatura dell’aria e dalla copertura nuvolosa. La
latitudine, il periodo dell’anno, la rugosità superficiale e la topografia del terreno, sono
anch’essi fattori che concorrono a influenzare la dispersione in atmosfera (Manca, 2006).
Per descrivere la dinamica della dispersione di sostanze inquinanti in atmosfera è
necessario introdurre il concetto di strato limite atmosferico (Atmospheric Boundary Layer o
ABL), detto anche strato limite planetario (Planet Boundary Layer o PBL) (Figura 1.1).
Figura 1.1 – Cambiamenti giornalieri dello strato limite atmosferico (Bonafè, 2006).
8
Il PBL è lo strato di atmosfera prossimo alla superficie terrestre che risente della presenza
del suolo. E’ in questo strato che gli inquinanti atmosferici sono emessi e dispersi da poche
centinaia di metri, fino a oltre migliaia di chilometri dal punto di emissione (Irwin e Williams,
1988).
Il PBL è contenuto nella troposfera e si presenta come uno strato spesso mediamente 1-1.5
km, prossimo al suolo e caratterizzato da un attivo rimescolamento verticale dovuto alla
turbolenza, ossia ai moti vorticosi generati dagli ostacoli al suolo, dall’attrito viscoso interno e
dai moti convettivi innescati dall’aria calda in prossimità della superficie terrestre.
La fascia di atmosfera che contiene il PBL, la troposfera, ha un’altezza dalla superficie del
suolo compresa tra 18 km all’equatore e 8 km ai poli. La temperatura dell’aria nella troposfera
diminuisce con l’aumentare della quota. In particolare la temperatura presenta un gradiente
verticale medio negativo (coefficiente pseudoadiabatico) di 0.65°C ogni 100 metri di
altitudine dal suolo, passando da un valor medio di 10°C in superficie a un valore medio di -
50°C al confine con la stratosfera, detto tropopausa (Mariani, 2003). Tale calo è dovuto sia al
fatto che una particella di aria si espande adiabaticamente salendo, a causa della minore
pressione, e quindi si raffredda, sia al fatto che la principale sorgente di calore è rappresentata
dal suolo che quindi scalda maggiormente gli strati d’aria a esso adiacenti.
Il contatto tra il PBL e la superficie terrestre fa si che questa fascia della troposfera sia
influenzata dalle forzanti superficiali, con tempi di scala nell’ordine dell’ora o meno. Le
principali forzanti superficiali sono (da Ferrero, 2009):
- la resistenza aerodinamica, causata dalla forza d’attrito viscoso;
- il trasferimento di calore da e verso il suolo, legato ai processi di evaporazione dell’acqua
dal suolo e traspirazione dalla vegetazione;
- le modificazioni che il flusso d’aria subisce a seguito della sua interazione con il terreno,
in funzione dalla conformazione caratteristica di quest’ultimo.
Le quattro componenti principali del PBL, con riferimento a Bonafè (2006) e alla Figura 1.1,
sono:
- lo Strato di Rimescolamento,
- lo Strato Residuo
- lo Strato Limite Stabile (notturno)
- lo Strato Superficiale
La quota alla quale si passa da uno strato all’altro cambia con l’ora del giorno, a causa del
gradiente di temperatura prodotto dall’irraggiamento solare sulla superficie del suolo
9
(Schiraldi, 2004). Il movimento delle masse d’aria all’interno della troposfera, cioè il vento,
può essere suddiviso in tre componenti: vento medio, onde e turbolenza. Ogni componente
può esistere singolarmente, ma nella realtà onde e turbolenza solitamente sono sovrapposte al
vento medio, o flusso medio (Ferrero, 2009).
All’interno del PBL il vento medio, che raggiunge velocità comprese mediamente tra i 2 e
10 m s
-1
, causa la dispersione degli inquinanti in direzione orizzontale (avvezione), la
dispersione in direzione verticale (convezione) è invece causata dalla sola componente
turbolenta. La velocità verticale del vento medio è inferiore rispetto alla direzione parallela
alla superficie del suolo, ed è nell’ordine di millimetri o centimetri al secondo in presenza di
terreno piatto e con debole irraggiamento solare.
Il flusso nel PBL è generalmente turbolento, ed è considerato una condizione di flusso
irregolare nel quale gli inquinanti assumono variazioni in termini di concentrazione, sia nel
tempo che nello spazio (Ferrero, 2009). La turbolenza si sovrappone al flusso medio dando
luogo a vortici, o eddies, di diverse dimensioni che interagiscono tra loro e ancora con il
flusso medio.
L’origine della turbolenza può essere di natura meccanica oppure termica. Nello Strato
Superficiale del PBL, composto dal primo decimo dell’intero PBL a contatto con la superficie
terrestre, la turbolenza è prevalentemente di origine meccanica. Quando il flusso dell’aria
interagisce con la superficie terrestre, che presenta rugosità superficiale, si genera attrito.
Questo causa una diminuzione nell’intensità del flusso medio man mano che la quota
diminuisce avvicinandosi al suolo. Il gradiente verticale di velocità del flusso d’aria che si
viene così a creare produce instabilità, dando luogo a un moto turbolento.
Nello Strato di Rimescolamento la turbolenza è in prevalenza di origine termica. La
radiazione solare, che fa parte del bilancio radiativo terrestre, è in grado di influenzare gli
scambi di energia tra suolo e atmosfera. Durante le ore diurne il sole riscalda la superficie
terrestre mediante radiazione a onde corte, con lunghezze d’onda comprese tra 0.1 µm e 4 µm
(Schiraldi, 2004). La differenza di temperatura che si genera tra il suolo, che si riscalda più
velocemente, e quella dell’aria soprastante, più fredda, si manifesta attraverso accelerazioni
verticali e moti ascensionali: s’instaurano dei fenomeni di tipo convettivo, dovuti alla forza di
galleggiamento, che provocano moti di aria calda verso l’alto. A questi moti, per il principio
di conservazione della massa, sono associati moti discendenti di aria fredda verso il basso.
Questo effetto è chiamato turbolenza convettiva o vento turbolento e i vortici prendono il
nome di thermals. L’attrito che si sviluppa dall’interazione tra le masse d’aria e la superficie
10
terrestre, genera variazioni repentine nell’intensità e direzione del vento, effetto denominato
wind shear.
Durante le ore diurne, in presenza di radiazione solare, i thermals hanno dimensioni
nell’ordine di grandezza dello spessore del PBL. Durante le ore notturne la turbolenza nel
PBL è meno regolare e le dimensioni dei vortici sono notevolmente inferiori (Lasagni, 2011).
Il suolo che di giorno è riscaldato con radiazione a onde corte, nelle ore notturne emette
radiazioni infrarosse (IR) a onda lunga verso l’atmosfera, con lunghezze d’onda comprese tra
3 µm e 80 µm (Schiraldi, 2004).
Durante la notte, in presenza di cielo stellato e venti moderati, si può verificare il fenomeno
dell’inversione termica. Questo fenomeno, che interessa lo Strato Limite Stabile (notturno), è
causato dalla dissipazione di calore dal terreno, con emissione di radiazione IR verso lo strato
di aria adiacente, che fa si che questo si raffreddi maggiormente rispetto agli strati superiori.
La stratificazione risultante fa si che non vi sia rimescolamento d’aria, producendo una
stagnazione atmosferica. I moti convettivi che si formano hanno verso opposto rispetto a
quelli ascensionali diurni (Manca, 2006).
La dispersione degli inquinanti in atmosfera è legata alle condizioni di stabilità dell’aria nel
PBL. Le condizioni di stabilità atmosferica possono essere classificate secondo la variazione
della temperatura con la quota, dT/dz, dove dT è la variazione della temperatura (T) in °C e dz
la variazione della quota (z) in m, rispetto alla superficie terrestre (Figura 1.2).
Figura 1.2 – Le cinque condizioni di stabilità atmosferica al variare dell’altezza (m, asse
delle ordinate) e della temperatura (°C, asse delle ascisse). La freccia indica l’aumento della
stabilità atmosferica (Lees, 1996; modificato).
11
A - Condizione superadiabatica, dT/dz < −0.01 °C m
-1
. E’data da un forte irraggiamento o
dal passaggio di aria fredda su una superficie a temperatura maggiore. Questa condizione
favorisce i moti convettivi e quindi l’instabilità atmosferica durante il giorno.
B - Condizione adiabatica o neutra, dT/dz = −0.01 °C m
-1
. E’ associata a cielo coperto,
nuvoloso e a venti da moderati a forti.
C - Condizione subadiabatica, −0.01 < dT/dz < 0 °C m
-1
. Favorisce la stabilità.
D - Condizione isoterma, dT/dz = 0 °C m
-1
. E’ una condizione in cui è fortemente favorita
la stabilità.
E - Condizione di inversione termica, dT/dz > 0 °C m
-1
. E’ una condizione che si presenta
nelle ore notturne in cui è impedito ogni moto convettivo ascensionale ed è quindi la
situazione più favorevole per la stabilità atmosferica, avviene pressoché nelle ore
notturne.
La dispersione di sostanze inquinanti in atmosfera è quindi massima in condizioni instabili,
durante le ore diurne e minima in condizioni stabili, durante le ore notturne.
La turbolenza, e quindi la dispersione, è un fenomeno che è influenzato anche da una
componente geostrofica legata al movimento delle masse d’aria. Le masse d’aria, infatti,
hanno la tendenza a spostarsi secondo un gradiente di pressione, da una zona di alta
pressione a una di bassa pressione, generando vento. Se le masse d’aria fossero sottoposte
solamente a questo gradiente di pressione sarebbero costrette a muoversi in direzione
perpendicolare alle isobare (linee che congiungono punti di uguale pressione). In realtà le
masse d’aria risultano soggette anche alla forza di Coriolis, dovuta alla rotazione terrestre,
diretta verso Est nel nostro emisfero. Sommando il vettore derivante dal gradiente di
pressione al vettore derivante dalla forza di Coriolis, si ottiene il vettore vento. Questo, a sua
volta, può essere scomposto in una componente parallela alle isobare e una componente
perpendicolare alle isobare. Quest’ultima è detta componente geostrofica, o vento geostrofico.
La presenza della componente geostrofica fa si che si generi una forza centrifuga che da luogo
a vorticosità in direzione parallela alle isobare (Schiraldi, 2004).
Le problematiche relative l’inquinamento atmosferico e alla dispersione degli inquinanti
riguardano principalmente l'emissione di gas a effetto serra (GHG), anche di origine
antropica, quali metano (CH
4
), protossido di azoto (N
2
O), anidride carbonica (CO
2
),
clorofluorocarburi (CFC), idrofluorocarburi (HFC) e i composti organici volatili (VOC). A
12
questi gas si uniscono anche i gas a effetto serra secondari, come l’ammoniaca (NH
3
) e gli
ossidi di azoto (NO
x
), descritti nel capitolo 1.2.1, che hanno un effetto indiretto sull’emissione
di GHG.
L’effetto serra è un fenomeno naturale per cui la frazione di radiazione che arriva sulla
terra, circa il 46% del totale, è emessa nuovamente dalla terra e dagli oceani con una
lunghezza d'onda nella gamma delle radiazioni IR. Anche questa radiazione riemessa viene in
parte assorbita dall'atmosfera. Queste radiazioni termiche interagiscono con alcuni dei gas
otticamente attivi presenti in atmosfera, tra cui quelli annoverati in precedenza e il vapore
acqueo, facendo vibrare o ruotare i legami tra gli atomi di queste molecole, le quali
riemettono verso la superficie terrestre parte della radiazione IR assorbita, garantendo così
una temperatura globale molto superiore a quella che si verificherebbe senza tale effetto.
L’aumento dei composti gassosi di origine antropica che interagiscono con l’effetto serra è
causa di variazioni delle temperature medie del pianeta e di squilibri meteorologici.
1.2 L'ammoniaca
L'ammoniaca (NH
3
) è un composto azotato presente in atmosfera come gas incolore, ha
un’elevata solubilità in acqua che le conferisce basicità, secondo la reazione
La forma della molecola dell'ammoniaca anidra è tetraedrica deformata; l'atomo di azoto vi
compare con ibridazione sp
3
, occupa la posizione centrale e lega i tre atomi d’idrogeno. La
base è un triangolo equilatero occupato dai tre atomi d’idrogeno mentre il quarto vertice del
tetraedro è occupato da una coppia elettronica di non legame (lone pair), che è la principale
responsabile di tutte le proprietà della molecola. A temperatura ambiente l'ammoniaca è un
gas dall'odore pungente molto forte, soffocante e irritante per occhi e polmoni anche a basse
concentrazioni (Gay, 2009). Confrontata con l'acqua, l'ammoniaca ha minor conduttività,
permittività elettrica, densità e viscosità, punti di congelamento ed ebollizione molto più
bassi.
Gli usi dell'ammoniaca sono innumerevoli, infatti è una sostanza estremamente importante
in campo industriale ed è utilizzata anche come base per fertilizzanti agricoli.
La sintesi di questo composto avviene tramite il processo Haber-Bosch, che permette la
13
sintesi industriale dell'ammoniaca su larga scala, utilizzando come reagenti azoto e idrogeno
in presenza di un catalizzatore eterogeneo a base di ferro
L’introduzione dei fertilizzanti di sintesi derivanti da questo processo, come ad esempio
l’urea, ha visto una crescita esponenziale in concomitanza con la crescita demografica degli
anni ‘60.
L’uso di composti azotati provoca da una parte aumento nelle rese delle colture ma
dall’altro effetti sul ciclo dell’azoto. Forme reattive dell’azoto come ammoniaca (NH
3
),
protossido di azoto (N
2
O) e ossidi di azoto (NO
x
: NO e NO
2
) si perdono tramite emissioni
gassose in atmosfera. In particolare l’NH
3
e l’NH
4
+
da processi di riduzione, N
2
O da processi
di nitrificazione-denitrificazione e gli ossidi di azoto da processi di combustione. Il nitrato
(NO
3
-
), derivante dal processo di nitrificazione, si perde attraverso percolazione e deflusso
superficiale (de Vries et al., 2007).
L'ammoniaca può reagire in atmosfera con acido solforico (H
2
SO
4
), acido nitrico (HNO
3
) e
acido cloridrico (HCl) in forma gassosa, per andare a formare solfato di ammonio (NH
4
)
2
SO
4
,
bisolfato d’ammonio (NH
4
HSO
4
), nitrato d’ammonio (NH
4
NO
3
) e cloruro d’ammonio
(NH
4
Cl) in forma di aerosol, contribuendo così alla formazione di particolato inorganico,
PM
10
e PM
2.5
.
Quest’ultimo, per le sue ridotte dimensioni, penetra più profondamente nei polmoni rispetto
ad altro materiale particolato causando malattie respiratorie e cardiovascolari, accentuate in
individui che già presentano asma o enfisemi polmonari (Gay, 2009). Inoltre circa il 10%
dell'ammoniaca emessa reagisce con il radicale ossidrile (·OH) per formare un radicale
ammide (Bajwa, 2006), (RCO)
n
NH
2
, con R radicale organico e n che può variare da uno a tre
per ammine primarie, secondarie e terziarie.
Le emissioni di ammoniaca possono derivare da diverse fonti, tra cui la già citata
produzione di fertilizzanti di sintesi, la combustione di sostanze fossili e dal comparto agro-
zootecnico (Gay, 2009). Da quest’ultimo si hanno emissioni nelle fasi di allevamento degli
animali, di stoccaggio e di spandimento dei reflui e nei trasporti (Gay, 2009).
Capire quali sono le condizioni che favoriscono le perdite in atmosfera di questo gas è di
fondamentale importanza per individuare le migliori strategie atte a ridurne le emissioni. Le
deiezioni degli animali allevati contengono diversi composti azotati secondo la provenienza:
14
nei volatili l'azoto è escreto sotto forma di acido urico, mentre nei mammiferi (come bovini e
suini) come urea. In entrambi i casi le ureasi, una classe di enzimi che fanno parte delle
idrolasi prodotte da piante e microrganismi presenti in tutti i suoli, vengono escrete assieme
alle deiezioni, catalizzando la reazione
Di norma l’urea è completamente degradata durante lo stoccaggio del refluo e quindi prima
dello spandimento in campo (V oorburg e Kroodsma, 1992).
L’utilizzo di urea come fertilizzante organico di sintesi segue le dinamiche di formazione
dell’ammoniaca appena descritte, con la differenza che la conversione avviene molto più
rapidamente rispetto ad altri composti organici azotati più complessi come il liquame.
Il comparto agro-zootecnico è responsabile a livello mondiale del 50% delle emissioni di
NH
3
(Bouwman et al., 1997), a livello Europeo per oltre il 90% (EEA, 2011) e per quanto
riguarda l’Italia per il 95% (ISPRA, 2011). Nella regione Lombardia si stima che l’82%
dell'ammoniaca prodotta derivi dal solo settore zootecnico (Costa et al., 2009).
1.2.1 Il processo di emissione dai reflui zootecnici
Tra tutti i fattori che influenzano l’emissione in atmosfera dell’ammoniaca gassosa il pH
dei reflui zootecnici è un fattore dominante. Il pH, infatti, regola la quota dell'azoto che dalla
forma di NH
4
+
solubile, si trasforma nella forma NH
3
gassosa (Figura 1.3).
Figura 1.3 – Dipendenza delle forme azotate NH
4
+
e NH
3
al variare del pH (Gay, 2009).