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Capitolo 1
Le Emissioni Diffuse
da Serbatoi Atmosferici
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1.1 Definizione di Emissione
Il D.P.R. 203 del 1988 (attuazione delle direttive CEE nn. 80/779,
82/884, 84/360, e 85/203 concernenti norme in materia di qualità
dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento
prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell’art. 15 della legge 16
aprile 1987, n. 183) dà la seguente definizione di emissione (art.2, punto
4):
“...qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell'atmosfera,
proveniente da un impianto, che possa produrre inquinamento
atmosferico.”
Le emissioni, quindi, producono inquinamento atmosferico, definito
dallo stesso D.P.R. come (art.2, punto 1):
“...ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell'aria
atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di uno o più sostanze in
quantità e con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni
ambientali e di salubrità dell'aria; da costituire pericolo ovvero
pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell'uomo; da compromettere
le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell'ambiente; alterare le
risorse biologiche e gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati.”
Quindi, al fine di proteggere la salute e l’ambiente, questo decreto detta
le norme per la tutela della qualità dell’aria disciplinando:
• tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissioni
nell’atmosfera (intendendo per impianto lo stabilimento o altro
impianto fisso che serva per usi industriali o di pubblica utilità e
possa provocare inquinamento, ad esclusione di quelli destinati
alla difesa);
• le caratteristiche merceologiche dei combustibili ed il loro
impiego;
• i valori limite ed i valori guida per gli inquinanti dell’aria
nell’ambiente esterno ed i relativi metodi di campionamento,
analisi e valutazione;
• i limiti delle emissioni inquinanti ed i relativi metodi di
campionamento, analisi e valutazione.
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Il Decreto Ministeriale del 12 luglio 1990 delinea, invece, i tempi e le
modalità di adeguamento degli impianti esistenti. Esso stabilisce le linee
guida per il contenimento delle emissioni degli impianti esistenti, la
suddivisione delle sostanze contenute in classi tossicologiche, i valori
minimi di emissione e in alcuni casi anche i valori massimi. Si analizza
in questo caso il problema dal punto di vista delle emissioni in atmosfera,
facendo distinzione tra emissioni diffuse e emissioni concentrate.
1.2 Tipologie di Emissioni Diffuse
Le emissioni aeriformi da impianti industriali possono essere considerate,
in funzione della loro provenienza, di due tipologie: emissioni puntuali e
emissioni diffuse. Le puntuali sono emissioni immesse in atmosfera da
un camino; le diffuse sono fuoriuscite di sostanze gassose in atmosfera,
prodotte da perdite di alcuni componenti degli impianti di lavorazione
(valvole, tenute, ecc.), dei serbatoi di stoccaggio e degli impianti di
movimentazione dei prodotti.
Ce ne possono, quindi, essere di differenti tipologie, a seconda delle
cause che le hanno prodotte:
• Emissioni dei serbatoi di stoccaggio. Queste (come vedremo anche
in seguito) si distinguono in:
- perdite di esercizio, cioè quelle emissioni che sono prodotte
quando i serbatoi vengono movimentati, ad esempio durante
il carico del serbatoio si generano delle emissioni di vapori.
- perdite per respirazione, quando il serbatoio, specialmente
quello fuori terra, per effetto radiante (irraggiamento solare)
subendo un aumento della temperatura, della pressione
interna, quindi della sovrapressione, scarica direttamente in
atmosfera, mediante i sistemi di cui è dotato, come gli sfiati.
• Emissioni nella manipolazione, tutte quelle emissioni rilasciate
dalla manipolazione di fusti, autocarri, contenitori o durante le
operazioni di riempimento, presupponendo, che tutte queste
operazioni vengano effettuare correttamente.
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• Emissioni per perdite da apparecchiature di processo. Tutto ciò
che deriva dall’utilizzo di compressori, flange o connettori o altri
elementi della rete di tubazione. Naturalmente in fase progettuale,
è utile cercare di ridurre, dove possibile, il numero di flange,
valvole ecc., specialmente se si lavora con solventi o sostanze che
hanno una temperatura di infiammabilità molto bassa o tensioni di
vapore molto elevate.
• Emissioni accidentali, che derivano da incidenti o fuoriuscite di
prodotti volatili in modo accidentale.
Tra queste prendiamo in considerazione le emissioni dei serbatoi di
stoccaggio, in particolare da serbatoi atmosferici di stoccaggio.
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1.3 Serbatoi Atmosferici
Per serbatoio atmosferico si intende ogni serbatoio che è stato progettato
per lavorare ad una pressione prossima a quella atmosferica, poche
centinaia di pascals in più o poche centinaia di pascals in meno.
Potrebbe essere sia aperto all’atmosfera, sia chiuso. Generalmente si
ottengono costi ridotti utilizzando un serbatoio cilindrico verticale con
un fondo relativamente piatto al livello del terreno. Di serbatoi
atmosferici ce ne sono differenti tipologie (come vedremo nelle sezioni
successive): a tetto fisso, a tetto galleggiante esterno e interno o serbatoi
orizzontali. L’API (American Petroleum Institute) ha sviluppato una
serie di serbatoi standard con relative specifiche. Stessa cosa ha fatto
l’AWWA (American Water Works Association) e, anche se i suoi
serbatoi nascono per contenere l’acqua, possono essere utilizzati anche
per i liquidi organici. Difatti i serbatoi atmosferici vengono utilizzati
essenzialmente per lo stoccaggio o di liquidi organici o di acqua.
Quelli utilizzati per lo stoccaggio di acqua possono costituire riserve in
funzione della sicurezza, fungere da elemento compensatore fra
un’alimentazione costante della sorgente e richiesta variabile o viceversa,
oppure stabilizzare la pressione in rete al valore fissato.
Di serbatoi atmosferici contenenti liquidi organici se ne possono trovare
in molte industrie, come: raffinerie, industrie chimiche e petrolchimiche,
impianti di stoccaggio e altre industrie che consumano o producono
liquidi organici. I liquidi organici nell’industria del petrolio, di solito
chiamati liquidi del petrolio, generalmente sono miscele di idrocarburi
aventi differenti tensioni di vapore (per esempio benzina e greggio). I
liquidi organici nell’industria chimica, invece, di solito chiamati liquidi
organici volatili, sono composti da prodotti chimici puri o da miscele di
prodotti chimici con tensioni di vapore simili (per esempio benzene o
una miscela di isopropil- e butil-alcoli).
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1.4 Meccanismi di Emissione
Le emissioni provenienti da liquidi organici stoccati in serbatoio
(generalmente COV, composti organici volatili, di cui parleremo in
seguito) avvengono a causa dell’evaporazione di questi durante la loro
conservazione in serbatoio. Le sorgenti di emissione cambiano a seconda
del tipo di serbatoio. Le emissioni da serbatoi a tetto fisso consistono
essenzialmente in perdite per respirazione (già viste precedentemente) e
in perdite di servizio. Anche i serbatoi a tetto galleggiante hanno perdite
per respirazione o dovute a movimentazioni del liquido. Le perdite per
respirazione sono il risultato dell’evaporazione di liquido attraverso i
sistemi di tenuta, le flange del tetto e/o le giunzioni del tetto.
I meccanismi di perdita per serbatoi a tetto fisso e a tetto galleggiante
interno ed esterno verranno descritti dettagliatamente in questa sezione.
1.4.1 Serbatoi a tetto fisso
Le perdite per respirazione, tra i due tipi di perdite più significativi,
sono quelle che non portano ad una variazione del livello di liquido.
Quelle di servizio sono perdite che avvengono durante le operazioni di
riempimento e svuotamento del serbatoio. Durante il riempimento il
livello del liquido aumenta e la pressione all’interno tende ad aumentare
anch’essa, fino a raggiungere il valore per cui entrano in funzioni gli
sfiati, i quali rilasciano, così, vapori all’esterno del serbatoio. Durante
lo svuotamento l’operazione è inversa e viene aspirata dell’aria
dall’esterno. Tuttavia quest’aria si satura di vapori organici e si espande,
superando la capacità del serbatoio e sfiatando all’esterno.
Queste emissioni sono una funzione della capacità del serbatoio, della
tensione di vapore del liquido stoccato, del rapporto di utilizzazione del
serbatoio e delle condizioni atmosferiche presenti nel sito.
1.4.2 Serbatoi a tetto galleggiante
Le emissioni totali da serbatoi a tetto galleggiante sono la somma di
perdite dovute al prelievo e alla respirazione.
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Le perdite dovute al prelievo avvengono quando il livello del liquido si
sta abbassando. Abbassandosi il livello si abbassa anche il tetto,
lasciando esposta la parete interna, che si trova completamente ricoperta
da un film del liquido che se n’è appena andato. Nel caso di un serbatoio
con tetto galleggiante interno, invece, dotato di una barra di supporto al
tetto fisso, rimane del liquido, oltre che sulla parete interna, anche sulla
barra. Questo film di liquido rimasto tenderà, così, ad evaporare finché il
serbatoio non viene di nuovo riempito e queste superfici esposte non
vengono di nuovo sommerse.
Le perdite per respirazione includono le perdite dal sistema di tenuta,
quelle dalle flange del tetto e, per serbatoi a tetto galleggiante interno
senza saldature, anche le perdite dovute a giunzioni. Altri meccanismi
potenziali di perdita per respirazione sono quelli legati ai cambiamenti
di temperatura e pressione.
Le perdite dai sistemi di tenuta possono avvenire attraverso molti e
complessi meccanismi, ma per i serbatoi a tetto galleggiante esterno la
maggioranza di questo tipo di perdite sono prodotte dal vento (cosa che
non succede per tetti galleggianti interni o esterni ma coperti da duomo).
Le perdite possono anche esser dovute alla permeazione dei vapori nel
materiale della tenuta o attraverso una penetrazione dello stesso liquido
(wicking effect), ma la penetrazione generalmente non accade se la
guarnizione viene utilizzata correttamente. Test hanno comunque rilevato
che i meccanismi legati alla permeazione e alla penetrazione del liquido
sono trascurabili rispetto alle perdite indotte dal vento.
Le perdite dalle flange del tetto galleggiante possono essere descritte
con gli stessi meccanismi delle perdite dai sistemi di tenuta. Tuttavia, in
questo caso, il contributo di ogni meccanismo non è conosciuto e le
perdite possono essere il risultato dell’effetto combinato di tutti i
meccanismi.
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1.5 Valori Limite e di Riferimento per Emissioni Diffuse
Il Decreto Ministeriale del 12 luglio 1990 dà linee guida per il
contenimento delle emissioni secondo i seguenti criteri di valutazione
(Art. 3, comma 1 e 2).
“Le emissioni possono essere caratterizzate come segue:
• per concentrazione, rapporto tra massa di sostanza inquinante
emessa e volume dell'effluente gassoso (es. mg/mc);
• per flusso di massa, massa di sostanza inquinante emessa per unità
di tempo (es. g/h);
• per fattore di emissione: rapporto tra massa di sostanza inquinante
emessa e unità di misura specifica di prodotto elaborato o
fabbricato (es. kg/t; g/m);
• per altre grandezze indicate nell'allegato 2.
I valori limite di emissione espressi in concentrazione e il tenore
volumetrico di ossigeno di riferimento si riferiscono al volume di
effluente gassoso rapportato alle condizioni fisiche normali (O°C,
O,1013 MPa) previa detrazione, ove non indicato espressamente negli
allegati, del tenore di vapore acqueo. Ove non indicato diversamente il
tenore di ossigeno dell'effluente gassoso è quello derivante dal
processo.” Per quanto riguarda le emissioni diffuse (art.3, comma 5),
poiché “…il tenore volumetrico di ossigeno è diverso da quello indicato
come grandezza di riferimento, le concentrazioni delle emissioni devono
essere calcolate mediante la seguente formula:
M
M
E
O
O
E
−
−
=
21
21
dove:
E
M
= concentrazione misurata
E = concentrazione
O
M
= tenore di ossigeno misurato
O = tenore di ossigeno di riferimento”
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Una volta calcolate vanno poi a sommarsi alle emissioni concentrate per
poter ricavare il valore di emissione totale, soggetto ai limiti stabiliti dal
suddetto decreto.
Non si hanno, quindi, specifici limiti di emissioni diffuse ma si possono
trovare dei valori di riferimento. Il Decreto n.107 del 21 gennaio 2000,
relativo alle norme tecniche per l'adeguamento degli impianti di deposito
di benzina, dà il seguente valore di riferimento per quanto riguarda le
emissioni di vapori dai serbatoi utilizzati in questo settore:
“...0,01 m/m % (massa/massa) della quantità movimentata, per la perdita
totale annua di benzina risultante dal caricamento e dal deposito in ogni
impianto adibito a tale scopo nei terminali e negli impianti di
distribuzione dei carburanti.”
Dove l’espressione “valore di riferimento” è definita dallo steso decreto
come:
“...il valore orientativo fornito per la valutazione generale della
congruità delle misure tecniche che figurano negli allegati (vedi sezione
3.6); non e' un valore limite rispetto al quale misurare le prestazioni dei
singoli impianti, terminali e impianti di distribuzione dei carburanti.”
E per benzina si intende:
“...ogni derivato del petrolio, con o senza additivi, [...] con una tensione
di vapore Reid pari o superiore a 27,6 kilopascal, pronto all'impiego
quale carburante per veicoli a motore, ad eccezione del gas di petrolio
liquefatto (GPL).”
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Capitolo 2
I Composti Organici Volatili
e i Loro Effetti
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I composti organici volatili, generalmente definiti come C.O.V., (o come
S.O.V., sostanze organiche volatili) costituiscono una classe molto
ampia di composti caratterizzati da un’alta tensione di vapore. Viene
definito come C.O.V. qualsiasi composto organico che abbia a 293,15 K
una tensione di vapore di 0,01 kPa o superiore, oppure che abbia una
volatilità corrispondente in condizioni particolari d’uso.
I C.O.V. sono diffusamente impiegati nelle attività industriali, e
possiedono caratteristiche chimico-fisiche tali da poter essere utilizzati
come:
• solventi di materie prime e materiali in genere;
• mezzi di dispersione;
• correttori di viscosità o di tensione superficiale;
• plastificanti;
• conservanti;
• agenti di pulizia.
Tuttavia, proprio in relazione a quelle peculiarità che li rendono
particolarmente utili per vari impieghi industriali, sono da ritenersi come
una possibile fonte di vincolo per la salute dell’uomo. In considerazione
di questo aspetto, nella pratica dell’igiene industriale, i C.O.V. sono
soggetti a condizioni di confinamento ed in seguito al loro impiego si
cerca di non disperderli completamente nell’ambiente bensì di
raccoglierli ed evacuarli in modo controllato mediante un camino o un
dispositivo di abbattimento o, quando risulta possibile, recuperarli per il
riutilizzo.
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2.1 Fonti di Emissione dei COV
Le emissioni di COV sono in parte relative ai processi di produzione,
estrazione e distribuzione dei combustibili, uso di solventi, e in parte
relative al trasporto su strada; i valori in gioco sono molto significativi.
La stima della produzione di COV annua nella Comunità Europea, in
riferimento alle diverse attività prevede un 29-30% ad uso di solventi ed
un 41-42% a fonti di emissione relative al trasporto su strada, quindi
motori a combustione interna e il restante 30% circa relativo ad altre
sorgenti di emissioni, quali possono essere i serbatoi di stoccaggio per
liquidi organici.