IV
cui le ricchezze avrebbero dovuto essere redistribuite e il governo si sarebbe
deciso sulla base di elezioni a suffragio universale.
Questa vuol essere una piccola introduzione atta a ricordare che la strada
intrapresa dall'Unione Europea, anche quella economica di cui qui si tratta, fu già
sognata tempo fa, e che già allora c'era chi immaginava una via “né facile, né
sicura”, ma tuttavia inevitabile, per arrivare dove siamo ora.
La strada effettivamente percorsa da allora è tantissima, ma il traguardo ambito
era già stato individuato fin dai tempi della Dichiarazione Schuman del 9 maggio
1950, volta alla creazione della CECA, in cui l'allora Ministro degli Esteri
francese Robert Schuman dichiarava, in un passaggio molto significativo, che gli
obiettivi della nascente organizzazione sovranazionale erano:
“l'ammodernamento della produzione e il miglioramento della sua qualità: la
fornitura, a condizioni uguali, del carbone e dell'acciaio sul mercato francese e
sul mercato tedesco nonché su quelli dei paesi aderenti: lo sviluppo
dell'esportazione comune verso gli altri paesi; l'uguagliamento verso l'alto delle
condizioni di vita della manodopera di queste industrie” , che si sarebbero
realizzate attraverso “alcune disposizioni che comportano l'applicazione di un
piano di produzione e di investimento, l'istituzione di meccanismi di perequazione
dei prezzi e la creazione di un fondo di riconversione che faciliti la
razionalizzazione della produzione”. Egli concludeva dicendo che lo scopo
ultimo di quell'organizzazione progettata erano “la fusione dei mercati e
l'espansione della produzione.
2
”
2
Dal testo originale della Dichiarazione Schuman, 9 maggio 1950
VDa quel lontano 1950 l'Unione Europea ha fatto moltissimi passi in avanti verso
un'unità non solo economica, ma anche e soprattutto politica. Tuttavia, è della
sfera economica che si occupa questa tesi, prendendo come base di studio la
nostra realtà locale in rapporto alla più ampia realtà europea e mondiale: verranno
analizzate le politiche industriali ed economiche proprie dell'organizzazione
odierna dell'UE e messe in relazione con il tessuto industriale caratteristico della
nostra regione, l'Emilia-Romagna. Essa viene qui considerata in prospettiva
europea in quanto regione industrialmente e tecnologicamente avanzata, tale da
esser stata riconosciuta dalla Commissone Europea, nell’ambito del programma
Paxis che coinvolge le 22 Regioni d’Europa considerate d’eccellenza
nell’innovazione, al primo posto
3
nella valutazione dei programmi più
significativi ed efficaci sviluppati in termini di innovazione e cooperazione.
Verranno quindi considerati, nei capitoli seguenti, alcuni tratti salienti
dell'organizzazione industriale nazionale e soprattutto regionale, quali la netta
prevalenza sul territorio di medie e piccole imprese, generalmente a conduzione
familiare, e la presenza di distretti industriali che rendono l'Emilia-Romagna una
regione con forte specializzazione produttiva.
Questa analisi verrà messa poi in relazione con il più ampio contesto delle
politiche industriali comunitarie, e ci si concentrerà in modo particolare sul ruolo
e sull'attività svolta dal consorzio Aster in quanto elemento che possiamo definire
“di raccordo” fra le imprese e l'Unione Europea, relativamente al recepimento dei
finanziamenti comunitari che quest'ultima stanzia.
3
Riconoscimento fatto in occasione della quarta edizione del Forum delle imprese innovative
tenutosi a Stoccarda il 6 e 7 dicembre 2004
VI
All'interno del capitolo su Aster trova poi spazio, come logica conseguenza di
un'analisi di questo tipo, una “scheda” sul servizio-simbolo che il consorzio offre
alle PMI nel quadro della ricerca dei fondi europei: si tratta di F1RST – Servizio
sui finanziamenti agevolati per Innovazione, Ricerca e Sviluppo Tecnologico.
Grazie a questo approfondimento è stato possibile individuare con maggior
precisione quali sono gli obiettivi, gli sforzi, i problemi e le soluzioni che si
incontrano a diversi livelli (imprese – Regione – UE) e che, pur avendo come
obiettivo comune il consolidamento di un'economia regionale e quindi
comunitaria fondata sulla conoscenza e sull'innovazione4, rendono il quadro
molto più complesso di quanto non si possa immaginare.
Scopo di questo lavoro è quindi fare luce su alcuni degli aspetti più importanti
relativi al sistema industriale regionale e comprendere come la politica
comunitaria si stia adoperando per incentivare e sostenere l'economia regionale.
4 Vedi Strategia di Lisbona, marzo 2000
1Capitolo 1
Le piccole e medie imprese nel contesto europeo ed italiano
1.1 Nuova definizione comunitaria di medie imprese e PMI
La nuova definizione di microimprese e PMI deriva da una decisione della
Commissione Europea dell’8 maggio 2003 ed è in vigore dal 1° gennaio 2005.
I nuovi valori di soglia
Categoria d’impresa Numero
di dipendenti
Fatturato
(in milioni di
euro)
Volume
totale di
bilancio
(in milioni
di euro)
Imprese di media
dimensione < 250 < 50 < 43
Imprese di piccole
dimensioni < 50 < 10 < 10
Imprese di ridottissime
dimensioni (microimprese) < 10 < 2 < 2
Dalla tabella si deduce un aumento del massimale finanziario (cioè il fatturato o il
volume totale di bilancio) a causa dell’inflazione e dell’aumento della produttività
che si sono verificate dopo il 1996.
La definizione è stata quindi modificata al fine di:
- promuovere la crescita;
- promuovere l’imprenditorialità;
- promuovere gli investimenti e l’innovazione;
- favorire la cooperazione e il raggruppamento di imprese
2tramite una più facile possibilità di accesso ai dispositivi nazionali ed europei a
sostegno delle PMI.
1.2 Le PMI in Europa
Le PMI rappresentano più del 90% di tutte le imprese europee (Ed. 2003
dell’Osservatorio Europeo) e se si guarda agli sviluppi di medio periodo (1988 –
2003) è proprio l’occupazione nelle PMI a segnare una crescita. Allo stesso tempo
però le grandi imprese aumentano la loro produttività in maniera superiore alle
PMI.
Da quanto qui esposto è facile intuire che il problema delle PMI sia da ritrovarsi
nell’eccessiva specializzazione produttiva.
Volendo fare un confronto su scala internazionale, si può notare che sebbene
USA e UE abbiano un numero di imprese equivalente, negli USA le grandi
imprese contano più occupati che nelle PMI, mentre in Giappone ed Europa le
circostanze si capovolgono evidenziando un maggiore livello occupazionale nelle
PMI anziché nelle grandi imprese. C’è quindi una differenza significativa dei
livelli di crescita che è imputabile alle differenze nella demografia delle imprese,
nell’accumulazione di capitale (fisico, umano e di conoscenze) e nella
regolamentazione dei mercati.
Da ciò si può dedurre quali siano i problemi attuali delle PMI europee,
individuabili essenzialmente nei seguenti punti:
∞ eccessiva specializzazione produttiva;
∞ mancanza di disponibilità economica e knowledge nei settori in cui si
gioca oggi la concorrenza ( biotecnologie e scienze della vita, tecnologie
3informatiche e di comunicazione, industria della difesa…) e nei quali è
necessario effettuare economie di scala, avere elevate dimensioni ed essere
in grado di sviluppare la ricerca;
∞ mancanza di manodopera specializzata;
∞ difficoltà a reperire finanziamenti;
∞ normativa amministrativa e burocratica pesante;
∞ infrastrutture inadeguate.
1.3 Le PMI in Italia
L’Italia rappresenta una sorta di “capitale” delle piccole e medie imprese (PMI),
che sono spesso organizzate nei celebri distretti industriali (c.d. “clusters”).
Il problema principale di queste imprese è il non pieno sfruttamento del loro
potenziale imprenditoriale, problema dal quale scaturisce il bisogno di analizzare
cause e possibili soluzioni.
L’Europa nel suo complesso ha una media di 7 occupati per impresa. L’Italia ne
ha in media poco più di 4.
Nonostante le differenze sui grandi indicatori, il nostro paese conta circa 3700
medie imprese, ed è proprio da queste che ci si aspetta il “balzo di categoria”
tipico di un sistema demografico in crescita (da piccolissime a
piccole, a medie, a grandi) attraverso il quale è possibile superare il binomio
dimensione - specializzazione che affligge il nostro sistema industriale.
L’Italia è quindi in Europa il Paese che ha il maggior numero di imprese (più di
Germania, Francia, Regno Unito e Spagna), ma è anche il Paese in cui è più forte
lo sbilanciamento verso le microimprese. E’ per questo motivo che le nostre
4imprese sono quelle che incontrano maggiori difficoltà nel percorso di crescita,
dovute in parte anche al nostro sistema di regolamentazione industriale e fiscale
che porta la burocrazia e la regolamentazione dei mercati a livelli decisamente
eccessivi che colpiscono soprattutto le PMI.
1.3.1 Le medie imprese in Italia
1
L’Italia conta circa 4000 imprese dinamiche e redditizie che sono presenti sui
mercati di tutto il mondo
2
. Relativamente al periodo 1996-2002 è da notare come
le medie imprese abbiano registrato un maggiore successo in termini economici
rispetto alle grandi:
1996 - 2002 Medie Imprese Grandi Imprese
Fatturato + 40,1% + 25,3%
Esportazioni + 49% +32,2%
Valore Aggiunto +32,2% +19,8%
Dipendenti +16,2% -8,7%
Si tratta di performances davvero eccellenti, che ci conducono a concentrarci su
alcuni riflessioni:
∞ E’ nelle attività industrial-manifatturiere, principale occupazione delle
medie imprese, che risiede il cuore del progresso tecnologico di un Paese.
Nonostante la percentuale di occupati nell’industria manifatturiera
continui a diminuire a causa dell’introduzione di nuove tecnologie e
dell’esternalizzazione dei servizi, la produzione manifatturiera aumenta e
1
Dall articolo di F. Mosconi su Modena Mondo, Capitalismo Tascabile Motore del Nord-Est ,
n.1, gen-feb 2006, pp 18/18
2
Dalla V Edizione dell Indagine di Mediobanca e Unioncamere sulle Medie Imprese Industriali
per il periodo 1996-2002
5aumenterà sempre di più grazie all’aumento della produttività;
∞ La produttività, d’altro canto, per aumentare ha bisogno che si realizzino
alcune condizioni essenziali quali: gli investimenti in ricerca e sviluppo, e
il continuo aumento di tecnologia e capitale umano non solo all’interno
delle singole imprese ma anche nei sistemi territoriali dove queste
operano;
∞ E’ necessario che la manifattura si sposti verso nuovi settori: l’high tech e
i settori ad elevata densità di capitale umano qualificato;
Affinché sia possibile per le medie imprese compiere il passaggio
dimensionale e diventare grandi imprese, è necessario che l’Italia prenda delle
lungimiranti decisioni di politica industriale, volte a:
1. concentrare le risorse in poli/centri d’eccellenza e a spingere le
imprese verso la sperimentazione di nuove specializzazioni
industriali;
2. liberalizzare pienamente tutti quegli ambiti del terziario che sono
ancora al riparo dalla concorrenza;
Al di là delle politiche industriali, è necessario poi che le imprese stesse guardino
alle novità che si profilano sui mercati finanziari al fine di “aprire” il loro capitale
al di fuori della ristretta cerchia familiare e inserendo manager esterni.
1.3.2 La situazione del microtessuto economico italiano
Il 95% delle imprese italiane ha meno di 10 addetti, si può quindi affermare, sulla
base dei nuovi valori di soglia introdotti dalla Commissione Europea ed in vigore
dal 1° gennaio 2005, che l'economia italiana è sorretta dalla microimpresa.
Il ruolo determinante che le micro e piccole imprese hanno rivestito negli ultimi