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INTRODUZIONE
Lo scopo del seguente lavoro è quello di meglio definire la figura di Medea,
inquadrandola nei suoi meravigliosi e storici tratti personali, da eroina storica, tragica,
eloquente, in stato di fatto di uno dei personaggi principali sui quali si rifletteva la grecità
classica. Il cuore della trattazione è infatti incentrato sulla difficile e particolare
condizione sociale della donna media nella Grecia antica. Una condizione sociale
piuttosto limitata e limitante, dove la stragrande maggioranza dei diritti veniva lei
negata. Per chiarezza espositiva degli argomenti trattati, si dividerà la tesi in tre capitoli
fondamentali, dove all’interno di ciascuno di essi si focalizzerà l’attenzione su ogni
singolo punto nevralgico del lavoro. Si parte con il fornire un dettagliato identikit della
donna greca classica, arricchendolo susseguentemente di preconcetti, simboli
particolari, status quo immedesimati in un certo tipo di passato attraverso i quali ogni
membro femminile della società ha dovuto costruire la sua forte corazza, prima di
abituarsi ad un certo modo di vivere e concepire il circostante. La donna vive un
trascorso fatto di incertezza e precariato, dove allo stesso tempo il ruolo sociale era
perlopiù ben definito. Un ruolo prestabilito e assai limitante, soprattutto per le possibilità
sociali di un individuo di diverso genere, già da allora cittadino del mondo, alle prese
con particolari e difficilissime condizioni esistenziali. Non a caso si definirà, spesso, la
donna quale figura pronta a compiere sacrifici importanti e che vive, più da vicino,
l’incombente e tragico paradigma della subalternità. Una condizione del subalterno
dovuta principalmente ad una concentratissima e chiusa concezione della società antica,
dove la maggior parte dei compiti sociali spettavano agli uomini e dove, cause di forza
maggiore, la donna veniva relegata ai margini del progetto politico e sociale. L’idea di
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Stato vigente nella Grecia a partire dal IV secolo a.C. fotografava quello che oggi
definiamo soltanto per sentito dire “sesso debole”, come un progetto dotato di notevole
complessità e per il quale bisognava lavorare, aprire nuovi orizzonti, dialogare,
accettare, in qualche modo, il diverso. La donna era priva di gran parte dei diritti ritenuti
inalienabili per il genere maschile e viveva la propria vita nelle mura domestiche, il
“gineceo”, dove il progetto sociale e gli spiragli politici della società del tempo poco
erano congeniali ad una situazione soffocante, precaria, piuttosto complicata per una
larga fetta della popolazione. Il primo capitolo prenderà quindi in considerazione il
quadro generale della seguente tesi, dove si definiranno i tratti salienti di un vademecum
politico, economico e sociale che escludeva, di fatto, il genere femminile. Una
condizione di passività, uno schema di comportamento, usi, costumi e abitudini, una
certa “misoginia occidentale” che ha aperto per anni ogni tipo di dibattito culturale e
dove, ancora oggi, ci appaiono di fondamentale importanza la maggioranza delle
conclusioni addivenute dagli studiosi della società antica, dai tragediografi, ai critici
della letteratura, dagli storici agli archivisti, e così via. Successivamente, si passerà al
cuore del presente lavoro, dove si prenderà a modello l’importanza del mito, della
religione, della storia arcaica, che attraverso la figura di Medea si avranno delle
interpretazioni autentiche riguardanti la vita, nelle quattro mura, vissuta dall’eroina
greca. Da Euripide, uno dei primi autori della letteratura a fornire un dettagliato quadro
d’insieme sulla vita della donna, fino a Seneca, si distingueranno i tratti principali di un
percorso culturale che ha visto l’eroina passare, singolarmente, i difficili step di
integrazione all’interno di una società particolare così com’era organizzata a quei tempi
in Grecia. Si illustreranno le differenti versioni del mito, quali sono le principali critiche
mosse al modello di famiglia dell’Atene del V secolo a.C. e si arriverà ad indicare con
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una certa fermezza le caratteristiche peculiari della Medea senecana, la massima
interpretazione romana, il vademecum perfetto di un mito considerato per anni
“insostenibile” per i principi del mos maiorum. Si sottolineerà con chiarezza l’esistenza
di versioni tutte differenti e particolari di Medea, dove attraverso un excursus storico
importante e puntuale, si illustrerà l’eroina come una donna che riflette con precisione
lo specchio della società greca, paurosa e rabbiosa nei confronti del diverso. Ad un certo
punto della trattazione, con la maga si arriverà alla fusione dei differenti topos del mito
classico, grazie al contributo di Draconzio e, poi, al suo divenire, senza mezzi termini,
Strega e Donna allo stesso tempo, barbara, irrazionale e selvaggia, così come definita
dalla stragrande maggioranza della critica del tempo. Per quanto concerne una sua prima
considerazione (barbara) si distinguerà, tra le altre cose, un acceso e distintivo potere
evocativo, che diventa possibile quando l’eroina stessa comincia ad essere padrona dei
propri mezzi a disposizione. In lei si caricano i pregiudizi e i timori della storia antica,
quelli che fanno muovere il maggiore culturale interesse verso una vera e propria
riscrittura del mito antico, dettagliata e puntuale, pronta a stravolgere letteralmente le
chiavi di lettura fino a quel momento indicate per una corretta interpretazione della
storia. L’eroina viene fotografata da diverse angolazioni e in tutta la sua complessità,
fino a restituirci, all’interno della trattazione, l’esatta dimensione di una scrittura che
ancora oggi ha da raccontarci molto sulla storia che cambia. Una storia che non si ripete
né si cancella, un vademecum interpretativo che vede la questione femminile di grande
attualità e dove il difficile percorso di emancipazione femminile vede, nonostante
l’avanzata del terzo millennio e la presenza di un quadro sociale e culturale in continuo
divenire, l’aprirsi a difficili e comunque complesse vie di risoluzione.
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CAPITOLO 1
La figura femminile nella civiltà greca, paradigmi di subalternità tra politica,
famiglia e società
1.1 Un passato difficile, tra discriminazione ed esclusione sociale, la donna della
Grecia Antica
La totale e precaria condizione di subalternità femminile nella Grecia di un tempo è
un fatto antico. Si sono certamente succeduti, nell’arco di centinaia e centinaia di
anni, numerosi mutamenti del panorama sociale appartenente alla storia greca nelle
sue diverse fasi, alcuni di essi piuttosto radicali e la maggior parte dei quali
riguardanti la condizione difficile, nel modo di stare al mondo, da parte della donna.
Una condizione sinistra, complessa, particolare almeno fino al XVIII secolo, quando
grazie ad un nuovo modo di intendere la cosa pubblica e ad un ritrovato e rinnovato
equilibrio tra politica, società, economia, religione qualcosa, finalmente, cominciava
a cambiare. Per quanto concerne la grecità antica, quella che tutti conoscono come
classica, è molto importante fornire una dettagliata spiegazione di tutte le vicende
avente carattere storico e politico, che ruotavano attorno allo Stato, o meglio alla
Polis
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, intesa come vera e propria città-stato della Grecia del tempo. Per lunghi anni
si è trattato soltanto di un distacco fermo, netto e deciso tra quelle che erano le
funzioni sociali dell’uomo e quelle, invece, in forza alla figura femminile come
membro della società. La Grecia antica ha vissuto un momento della sua storia
piuttosto particolare e a tratti contraddittorio nel quale l’intero territorio, forte come
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Si identifica, attraverso tale terminologia, il modello di città-stato vigente nella Grecia del tempo. Un modello
politico tutto nuovo, basato essenzialmente sulla partecipazione alla vita politica di tutti gli abitanti
principalmente attivi sul territorio.
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realtà geopolitica di un rinnovato cambiamento nel quadro sociale ed economico, si
è puntualmente registrata una divisione chiara del genere umano. Una divisione che
è stata poi ampiamente teorizzata e presa a modello come vademecum ufficiale,
attraverso il quale ruotava la vita quotidiana interna alla Polis. Ebbene, nella città-
stato greca venivano stabiliti anche i ruoli sessuali che scandivano, anche,
ritmicamente il modo di esistere dell’uomo e della donna, come esseri umani,
almeno fino a quel tempo, che apparivano diversi gli uni dagli altri. Una differenza
in nome della quale si andava di fatto a difendere il maschio e le sue più ampie
possibilità, e a far calare, così, la figura femminile in un evitabile senso di vuoto
esistenziale, fatto della più ampia constatazione di una certa diversità, inferiorità,
subalternità consecutiva, che riguardava la donna come materia, non come spirito e
forma. Su questi due ultimi aspetti si attribuisce attenzione particolare. Il più
importante teorico, nonché filosofo della storia greca classica ad occuparsi in prima
persona della vita sociale di un Paese così sensibile rispetto all’ampia mole di
significati etici, politici e morali del tempo è stato Aristotele. Il pensatore di Stagira,
vissuto a cavallo tra il 384 e il 322 a.C
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, in occasione della stesura della sua opera
più importante che si intitola “Politica”, ci offre un dettagliato quadro di tutto ciò
che rappresentava, a quei tempi, la figura femminile per l’intera società della Polis.
La donna, secondo il pensatore greco figlio del suo diretto maestro Platone,
attribuiva all’altro sesso il fondamentale ruolo di “materia”, pronto a contrapporsi a
quello in auge alla figura maschile, identificato dal filosofo greco prima come spirito
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Date storiche non certe ma piuttosto probabili. Soprattutto per quanto riguarda la giovane età del pensatore
greco non si hanno notizie precise. Si attribuisce al suo percorso di formazione quello che la maggior parte dei
critici a stabilito come una vita suddivisa in tre fasi fondamentali: il periodo in Accademia, i viaggi e gli incontri
e, per finire, quello immediatamente successivo alla fondazione del Liceo.
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e poi come “forma”. Tale posizione di subalternità della figura femminile non
accenna a diminuire per lungo tempo, nonostante i vari tentativi dei filosofi e dei
politici principali del tempo. Questi, a tratti ben traducevano la difficile condizione
nella quale la donna, con i suoi punti di forza e le sue debolezze in quanto essere
umano, era totalmente calata. Così, la stragrande maggioranza degli storici è
concorde nel pensare che ci vollero tanti secoli per far prendere alla storia un corso
differente sotto quest’aspetto. La condizione di inferiorità femminile venne messa
in discussione comunque ad intervalli regolari, senza tuttavia trovare per anni una
condizione di ferma stabilità. Molti furono i tentativi messi in campo sia all’interno
della politica, sia nella società, per cercare di fornire un contributo importante per
l’aumento di interesse dell’opinione pubblica nei confronti del concetto di donna,
figura comunque principale all’interno dei contesti domestici più disparati del
tempo. Niente ha potuto per secoli persino il Cristianesimo, da sempre promotore
delle più ampie ideologie religiose e non, laddove si predicava l’essere uguali in
riferimento a tutti gli uomini. Per anni, tutto è sembrato non trovare una condizione
risolutiva. Se da un lato i risvolti storici furono poco felici nel tentare di stravolgere
i piani della subalternità della donna, dall’altro si mise ancora una volta in
discussione il concetto di misoginia
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, un fatto antico che continuava a trovare
consenso nella cultura popolare del tempo. Tanti furono i tentativi da parte dei
seguaci di Cristo nell’attribuire a tutto ciò che ruotava attorno alla donna in quanto
membro di una famiglia vivente di trovare una soluzione reale e concreta. Per quanto
concerne il matrimonio, ad esempio, alcuni passi avanti furono compiuti sin da
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La terminologia utilizzata sta ad indicare un evidente sentimento di avversione nei confronti del genere
femminile.
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subito, nonostante i problemi che preoccupavano non poco la società del tempo. In
questo modo, la concezione stessa del sacramento venne a modificarsi, attribuendo
un certo tipo di valore alla concezione stessa del rito matrimoniale, considerato tra
tutti gli altri atti di fede, come “topos” ideale dell’amore vivente ed esistente tra un
uomo e una donna. Tuttavia, ciò che i più ferventi cristiani predicavano con notevole
attenzione assumeva carattere contrastante traducendosi, in più di un’occasione, in
una idea di donna intesa come entità vera e propria, sulla quale l’uomo possedeva le
piene facoltà. È il caso di citare la lettera ai Corinzi, dove si evince chiaramente che
l’uomo è il capo della donna. Almeno per buona parte dei pensatori del tempo, prima
ancora che gloria di Dio, questa diviene gloria dell’uomo. Dopo il crollo dell’Impero
Romano la situazione non migliorò più di tanto, dove il maschio assumeva sempre
più carattere di autorità e di controllo sulla donna. Anche nel Medioevo, dove la
cultura intesa nella sua ampia definizione si identificava alquanto ristretta nella
mentalità e nella cultura dei popoli, la figura femminile è ancora una volta oggetto
di potente discriminazione. In questo caso, la “femina” assumeva a pieno titolo il
compito di dare alla luce, di riprodursi, di unirsi in matrimonio quasi per forza di
cose. A lei era attribuito, infatti, il pieno ruolo di mettere al mondo i figli e di allevarli
con tutte le sue forze. Più particolare, infine, almeno fino all’Età di Mezzo, è stata
la definizione stessa della quotidianità della donna, totalmente trascorsa all’interno
delle mura domestiche. Il cosiddetto ius corrigendi
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, determinava per l’uomo,
ancora una volta, una netta condizione di superiorità e comando nei confronti di tutto
ciò che ricopriva importanza in fatto di politica, economia, sviluppo sociale.
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Si veda T. Hobbes, Leviatano, Rizzoli Libri, Milano, 2011