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contrapposti, Silvio Berlusconi e Romano Prodi. L’incentivo alla
personalizzazione del confronto è arrivato proprio dalla centralità che ha
assunto la comunicazione televisiva in questa campagna. In particolare i
due dibattiti ufficiali tra leader, in un formato inedito, all’ “americana” con
regole precise, sono stati seguiti da milioni di telespettatori, mobilitati forse
più dalla novità che dal confronto in sé.
L’esito delle elezioni ha poi riservato numerose sorprese. Le intenzioni di
voto, registrate nei vari sondaggi dei mesi precedenti, e il clima d’opinione
dominante, lasciavano infatti prevedere una vittoria del centrosinistra.
Avevamo quindi un vincitore annunciato, che giocava la sua partita sulle
spoglie del governo, sugli insuccessi e la crisi economica. Ma così non è
andata. Lo stretto margine di vittoria del centrosinistra e l’immagine di
un’Italia spaccata hanno sorpreso molti e dato luogo ad una molteplicità di
interpretazioni. Soprattutto si è pensato che qualcosa fosse cambiato nelle
ultime settimane di campagna elettorale, che la strategia d’attacco e le
frequenti apparizioni televisive del leader del centrodestra fossero riuscite a
mobilitare una parte dell’elettorato, potenzialmente astensionista e non
rilevata nemmeno dai sondaggi, che annunciavano all’unisono (a parte
poche eccezioni) che il centrosinistra si sarebbe imposto con un vantaggio
maggiore.
Ma per capire meglio la natura e gli effetti della scorsa campagna elettorale
dobbiamo innanzitutto cercare di capire l’evoluzione del nostro sistema
politico, cosa è cambiato nell’offerta e nella domanda politica, i rapporti tra
sistema politico e sistema dei media. Per fare questo nel primo capitolo ho
cercato di sintetizzare i mutamenti (istituzionali ed a livello di
comunicazione politica) che hanno interessato il nostro paese in seguito alla
destrutturazione del sistema partitico avvenuta negli anni Novanta.
Mutamenti che hanno portato innanzitutto alla riforma del sistema elettorale
in senso prevalentemente maggioritario, che ha caratterizzato il nostro
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paese (fino alla nuova riforma che ha comunque caratteristiche in comune
con il vecchio sistema) e che è stata la scintilla del cambiamento. Ha
portato alla formazione di coalizioni pre-elettorali e, grazie al collegio
uninominale e alla preferenza unica, ad un maggior peso del candidato che
inizia ad assumere maggiore autonomia rispetto al partito. Sull’onda della
trasformazione si sono affiancati altri fattori che sono stati insieme frutto e
motore del mutamento. Ho analizzato infatti la cosiddetta svolta
comunicativa che ha portato ad un maggiore ruolo dei media in particolare
della televisione nelle campagne elettorali. In un periodo in cui il partito
della militanza e della partecipazione diretta va scomparendo si scopre la
potenzialità del media di arrivare alle più larghe fasce dell’elettorato. Uno
strumento quindi per farsi conoscere. In un contesto di declino delle
appartenenze nuovi attori politici riescono ad emergere proprio attraverso i
media. La televisione riesce ad arrivare ad una parte di elettorato, creatasi
nel mercato elettorale, soprattutto dopo gli scandali di Tangentopoli, meno
interessata e ormai disillusa nei confronti della politica. In un momento di
rottura la televisione gioca un ruolo importante proprio per lo scopo di
conquistare questa parte di elettorato potenzialmente mobile. La creazione e
l’affermazione in pochi mesi del partito “mediatico” di Silvio Berlusconi,
attraverso le reti televisive, è una conferma del fatto che i media diventano
il principale veicolo di circolazione delle idee politiche. Quella del 1994 è
la prima campagna elettorale fortemente mediatica che con le sue antenate
tradizionali condivide il ritorno alla fideizzazione dell’elettorato, in senso
però fortemente leaderistico. Il rapporto diretto non si definisce più
attraverso il comizio o la stretta di mano, ma si definisce virtualmente
attraverso la mediazione della tv. Da quel momento il dibattito politico si
sposta sul media televisivo. Tutti i partiti di centrodestra e di centrosinistra
infatti accettano l’idea che i media e la televisione siano diventati l’unica
vera arena politica ed elettorale e adeguano i loro modelli organizzativi e
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identitari. Diventano più leggeri e concentrano i loro sforzi al centro, sui
centri di potere, sulla televisione. In questo contesto la personalizzazione
del confronto è funzionale ai nuovi metodi di comunicazione: le elezioni si
presentano sempre più come una sfida (sia pur simbolica) fra due persone
piuttosto che come un dibattito fra idee. Diventano quindi ancora più
importanti le abilità comunicative e le qualità dei candidati. Una visibilità
televisiva prolungata e virtuosa (con uso adeguato dei codici di
comunicazione del medium televisivo) diventa condizione necessaria per il
successo di partiti e candidati. Questi elementi di novità si sono
progressivamente imposti, cambiando le modalità delle campagne elettorali.
I toni comunicativi sono diventati sempre più violenti fino ad arrivare
all’ultima campagna elettorale che è stata una delle più dure della storia
repubblicana, vissuta in un crescendo di conflittualità e caratterizzata dalla
drammatizzazione dei toni, dall’uso indiscriminato del sarcasmo non solo
nei confronti dell’azione politica del proprio avversario ma anche della sua
persona. Nel secondo capitolo ho cercato di analizzare meglio ciò che ha
portato a queste caratteristiche, partendo proprio dalla nuova legge
elettorale (le sue differenze e punti in comune con il vecchio sistema
elettorale) e dagli effetti di questa a livello di strategia politica.
In secondo luogo ho approfondito le strategie comunicative dei due leader,
estremamente diverse: da una parte una campagna più aggressiva e
l’esasperazione dello scontro per cercare di recuperare lo svantaggio
annunciato dai sondaggi, dall’altra parte il tentativo di moderare i toni, di
tenere lo scontro a livello basso, per non mobilitare anche gli elettori
dell’altro schieramento e, probabilmente, anche per la percezione di una
vittoria annunciata. Queste strategie sono ben sintetizzate nei due “faccia a
faccia” ufficiali che ho analizzato. In realtà sono stati caratterizzati più dagli
insulti tra i due contendenti e dalle rispettive accuse di mistificazione della
realtà che da un’illustrazione dei temi degli argomenti dei programmi.
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I battibecchi, nonostante le regole, non sono mancati e di certo non ne ha
beneficiato l’informazione per i cittadini. Ad ogni modo nei giorni
successivi ai dibattiti tutti si sono chiesti chi avesse vinto, chi avesse
sfruttato al meglio quella opportunità, chi avesse avuto più presa soprattutto
sugli elettori ancora indecisi.
A fine capitolo ho approfondito il ruolo dei leader in questa campagna
elettorale, confrontandolo con quello ad esempio dei candidati alle
presidenziali americane, l’esempio limite della personalizzazione del
confronto. Ho analizzato i vincoli (istituzionali e ideologici) e gli incentivi
(soprattutto a livello comunicativo) del nostro sistema politico ad una
competizione fortemente personalizzata.
Nell’ultimo capitolo ha analizzato il ruolo dei sondaggi, al centro
dell’attenzione durante il periodo di campagna elettorale e dopo i risultati.
È stato compiuto un vero e proprio processo ai sondaggi con l’accusa di
aver diffuso risultati sbagliati, di non aver saputo cogliere il vero trend delle
intenzioni di voto. La maggior parte dei sondaggi “ufficiali” pronosticavano
infatti che l’Unione si sarebbe imposta con un margine di vantaggio
maggiore. Alla luce dei risultati ho confrontato le modalità di
somministrazione e le tendenze risultate dai sondaggi pubblicati dai
maggiori quotidiani italiani e quelle rilevate da un sondaggio invece in
controtendenza. Si tratta di quello commissionato dal leader del
centrodestra ad un’agenzia di comunicazione americana, giudicata dal
leader più imparziale dei “sondaggisti” italiani.
La diffusione di questi risultati ha avuto sicuramente effetti sul clima di
opinione. Innanzitutto per l’attesa che si è creata intorno ai risultati e poi
per la polemica che è montata in seguito alla diffusione. In questo modo il
leader del centrodestra è riuscito a focalizzare l’attenzione su se stesso.
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Il clima d’opinione è fondamentale nello svolgimento di una campagna
elettorale e si forma soprattutto attraverso l’offerta comunicativa dei media,
i veicoli deputati della formazione dell’agenda.
I media rendono visibili, attraverso i sondaggi, i trends che sono considerati
come in via di espansione e che nelle elezioni diventano punti di
riferimento mediante i quali le persone si orientano ed agiscono di
conseguenza. I media non si limitano a rappresentare le tendenze
dell’opinione pubblica, ma vi danno concreatamene forma e sviluppo
perché i mutamenti nelle tendenze avvengono grazie a loro.
La costruzione di un clima d’opinione favorevole, la percezione della
vittoria influiscono sulle decisioni degli elettori.
Nel caso specifico della scorsa campagna elettorale una concatenazione di
eventi, il moltiplicarsi delle apparizioni televisive, l’evocazione nei cittadini
di vecchie e nuove paure e le promesse eclatanti hanno probabilmente
modificato il clima d’opinione dominante che all’inizio era nettamente
favorevole al centrosinistra e sono stati poi richiamati come cause per il
quasi pareggio ottenuto dal centrodestra.
Per riflettere sui risultati e su quanto, in effetti, abbiano contato i media ho
analizzato infine le logiche di voto dei cittadini. Per la maggior parte degli
elettori, nonostante il voto di appartenenza ad un partito sia in declino
rispetto al passato, permane una sorta di “fedeltà leggera”, un attaccamento
non più al partito, ma alla coalizione, che difficilmente si tradisce perché
rispecchia uno spettro di valori di riferimento ancora presente e importante.
Ma la parte di elettori più disinteressata rispetto alla politica, più distratta,
rimane potenzialmente mobile, sensibile probabilmente a ciò che viene
proposto attraverso i media, anche alle dichiarazioni dell’ultimo minuto, più
semplicistiche, ma di effetto. Una parte di elettori, quindi, da conquistare.
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CAPITOLO I
Vincoli istituzionali e ruolo dei media durante la
transizione
1. IL SISTEMA SI TRASFORMA
Le campagne elettorali sono un buon indicatore del funzionamento del
sistema politico. Le loro caratteristiche ci indicano come gli attori politici
agiscono.
Per analizzare e capire gli effetti della nuova legge elettorale, come sono
state utilizzate le nuove regole dai partiti, i nuovi modi di fare campagna
elettorale dobbiamo richiamare i tratti di fondo delle evoluzioni sistemiche
degli ultimi anni. Dobbiamo tornare a cruciali passaggi temporali della
storia del nostro paese.
Dagli inizi degli anni Novanta circa abbiamo assistito a trasformazioni di
grande rilievo nei caratteri del sistema politico italiano, con significativi
effetti sia dal punto di vista delle norme che ne regolano il funzionamento
sia da quello delle forze politiche e delle persone che ne sono i protagonisti.
La realtà elettorale italiana aveva presentato per buona parte del dopoguerra
(almeno fino ai primi anni Ottanta) una configurazione nella quale gli
elementi di stabilità avevano generalmente prevalso. Per alcuni decenni i
protagonisti principali della competizione elettorale erano rimasti gli stessi.
In larga misura invariati erano rimasti anche i “cleavages” principali
(religione e classe): la mobilità elettorale dei cittadini veniva frenata dalle
appartenenze e dalle preclusioni diffuse in larghi settori della popolazione;
la mappa degli insediamenti territoriali aveva subito col passare del tempo
solo modifiche graduali.
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La destrutturazione del sistema partitico era già iniziata negli anni Ottanta
per fattori internazionali oltre che interni. Ci sono stati eventi contingenti
che hanno accelerato queste trasformazioni. Ad esempio il mutamento degli
equilibri internazionali (in seguito alla caduta del muro di Berlino nel 1989)
che avevano fino ad allora influenzato gli orientamenti ideologici anche nel
nostro paese contribuendo ad erigere barriere ideologiche.
Un insieme di fenomeni ha inoltre contribuito alla progressiva erosione
delle subculture politiche tradizionali e di conseguenza a mutamenti in
quella che si può definire la domanda politica. Tra questi si può citare
l’accresciuto livello d’istruzione, la più elevata mobilità individuale e la
maggiore esposizione a diversi stimoli ed ai media. Sotto la spinta di fattori
diversi si è verificato in questi anni secondo un aumento degli elettori
mercato, cioè di cittadini, meno legati ad appartenenze partitiche precise e
di conseguenza disposti a considerare di volta in volta opzioni diverse da
quelle del passato, disposti a cambiare il voto anche all’ultimo momento.
Negli anni Novanta la destrutturazione ha subito una rapida accelerazione
anche in seguito all’inchiesta di Tangentopoli che provoca un’espansione
dei sentimenti e degli atteggiamenti di generale disaffezione da parte degli
elettori nei confronti dei partiti. L’evidenza del coinvolgimento di
personaggi politici di primo piano in pratiche di finanziamento illecito ed in
episodi di corruzione si traduce in un’ondata di discredito e di
delegittimazione da parte dell’opinione pubblica. Questo determina
modifiche nelle scelte di voto dei cittadini e la crisi di certe forze politiche a
vantaggio di altre nuove. Tra il 1989 ed il 1994 si assiste infatti alla collasso
del primo sistema partitico dell’Italia repubblicana. In quegli anni l’Italia
vive una delle più profonde e traumatiche discontinuità mai registrate
all’interno di un regime democratico consolidato.
I partiti tradizionali vennero travolti e così anche le loro interazioni
azzerate. Si crea così uno spazio politico lasciato libero dalla crisi dai
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maggiori partiti (Psi e in parte Dc) occupato poi, in poco tempo, da nuovi
movimenti politici come Forza Italia.
Dalla primavera del 1993 al gennaio del 1994, durante la più breve
legislatura della Repubblica, possiamo parlare di una fase di
atomizzazione
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caratterizzata non da un vero e proprio sistema di partiti ma
da un insieme di sigle in rapida evoluzione. La convivenza fra attori vecchi
e nuovi si dimostra confusa e solo all’approssimarsi delle elezioni politiche
del 1994, grazie alla riforma elettorale approvata dal Parlamento nell’agosto
del 1993 i partiti ripresero a fare sistema; gli effetti infatti di questa riforma
furono innanzitutto la costruzione di coalizioni elettorali.
1.1 La riforma elettorale semi-maggioritaria
Le logiche di voto dei cittadini e l’offerta politica dipendono anche dal tipo
di competizione. Il sistema elettorale è il complesso di norme che governa
la traduzione delle preferenze in voti e dei voti in seggi. Le regole
istituzionali costituiscono insieme un vincolo ed una risorsa. Delimitano la
struttura delle opportunità degli attori politici in gioco (elettori, partiti,
candidati). Definiscono la cornice entro cui i partiti competono e scelgono
le strategie più consone all’ottenimento del maggior consenso.
Dal 1946 al 1993 l’Italia ha utilizzato sistemi elettorali proporzionali per
l’elezione di tutte le assemblee rappresentative. Il complesso dei fenomeni
sovracitati ha stimolato anche un movimento a favore della trasformazione
delle norme che regolano le elezioni. La riforma elettorale è stata infatti
1
A. di Virgilio, (2006), Forza e debolezza delle coalizioni dopo le politiche di aprile, in “Il
Mulino”, n. 3, p. 443.
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frutto di circostanze esterne, la conseguenza di una crisi di delegittimazione
della classe politica, di una crisi di quel sistema di governo.
Nel 1990 il Comitato Segni
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promosse tre referendum in materia elettorale.
Due di questi (modifica in senso uninominale maggioritario della legge
elettorale del Senato ed estensione a tutti i Comuni dell’elezione diretta del
Sindaco) vennero all’inizio dichiarati inammissibili dalla Corte
costituzionale mentre il terzo referendum relativo alla abolizione della
preferenza multipla per i candidati di lista alla Camera dei deputati fu
invece ammesso dalla corte e ben accolto dagli elettori. Il 9 giugno 1991
infatti il 62,5% degli elettori partecipò alla consultazione approvando il
quesito con il 98% dei votanti. Consapevoli che il sistema elettorale con
voti di preferenza non consentiva all’elettore di esercitare nessuna reale
influenza né sugli eletti né sulle coalizioni di governo e che un sistema
partitico di questo tipo era destinato a degenerare gli elettori si erano infatti
mobilitati.
Questo successo spinse Segni a fondare il Comitato per i Referendum
Elettorali (CO.R.EL.) per promuovere i referendum sul Senato e sui
Comuni. Vi fu l’appoggio dell’opinione pubblica che partecipò anche
attraverso la raccolta di firme.
Seguendo questa tendenza e per evitare un nuovo referendum il Parlamento
nel marzo del 1993 approvò una nuova disciplina per l’elezione degli organi
amministrativi di province e comuni. Era una normativa fortemente
innovativa rispetto alle regole del passato che prevedeva istituti del tutto
estranei alla tradizione italiana del dopoguerra quali l’elezione diretta del
sindaco e del presidente della provincia, la possibilità di ricorso al
2
Intorno a Mario Segni si costituì il Movimento referendario, sostenuto da intellettuali
indipendenti, associazioni non partitiche, ma anche da diversi parlamentari accomunati dalla
volontà di cambiare la legge elettorale in senso maggioritario.
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ballottaggio, l’attribuzione di un premio di maggioranza alla lista o alle liste
collegate al candidato vincente, la netta separazione dei ruoli del consiglio e
della giunta. La prima attuazione di queste nuove regole alle elezioni
amministrative del giugno 1993 avviò in modo accelerato la transizione al
nuovo tipo di sistema politico-elettorale. Le nuove regole per le elezioni
provinciali e comunali introducevano importanti mutamenti dal lato
dell’offerta politica perché prescrivevano la scelta diretta da parte degli
elettori dei candidati sindaci (e non più dei partiti) e delle coalizioni a loro
collegate. Il voto inizia così ad assumere come referente il candidato, la
persona e non più il partito.
Intanto il 18 aprile 1993 con oltre l’80% dei voti venne approvato il
referendum sulla legge elettorale del Senato.
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Con il referendum oltre a
modificare il sistema elettorale del Senato gli elettori esprimevano un
chiaro consenso a favore del mutamento in senso maggioritario del sistema
elettorale. Gli elettori chiedevano un maggior collegamento con gli eletti,
una maggiore responsabilità da parte loro.
Con l’emanazione, il 4 agosto 1993 delle leggi n. 276 e n. 277, per
l’elezione della Camera dei deputati e del Senato fu previsto un sistema
elettorale misto prevalentemente maggioritario in cui il 75% del totale dei
seggi veniva attribuito in collegi uninominali con il maggioritario a turno
unico mentre il restante 25% era ripartito con metodo proporzionale.
L’elettore aveva a disposizione due voti: uno per il candidato nel collegio
uninominale, l’altro per la lista o il partito.
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La Corte costituzionale dichiarò ammissibili le richieste di referendum d’iniziativa popolare
sottoposte a suo giudizio. Le più importanti di queste erano quelle promosse dal CO.RE.L, ossia i
due quesiti referendari sulla legge elettorale del Senato.