4
Introduzione
Il punto di partenza di questo lavoro, che prende in esame la scrittura
epistolare di Eleonora Duse a partire dalle lettere inviate dall’attrice ad Adolfo,
Laura, Angiolo e Leon Francesco Orvieto, è una considerazione di Giovanni
Papini, tra i primi ad avanzare l’ipotesi che la grande interprete di D’Annunzio e
di Ibsen nascondesse un talento e una vocazione di scrittrice. Nel 1917 Papini le
scrive: «voi siete soprattutto scrittrice e grande»
1
. Sono gli anni in cui la Duse ha
volontariamente abbandonato le scene e questo elemento contribuisce non poco a
radicalizzare l’opinione di Papini, secondo il quale la Duse avrebbe dovuto
lasciare per sempre il teatro per dedicarsi unicamente alla scrittura.
Papini non è l’unico a tenere in grande considerazione le potenzialità di
scrittrice di Eleonora Duse. Cinquant’anni dopo gli fa eco Vittore Branca, che nel
1969 pubblica il primo di una serie di tre contributi dedicati appunto alla
«vocazione letteraria» dell’attrice. In quello pubblicato sul Corriere della Sera il
19 aprile 1969 Branca prende le mosse proprio dal parere di Papini, ricordando
come in quegli anni la Duse si presentasse spesso e all’improvviso alle letture e
alle discussioni dei cenacoli letterari fiorentini, garbata presenza dispensatrice di
equilibrate opinioni. Continua poi a svelare Eleonora Duse scrittrice attraverso un
rapido elenco dei numerosi rapporti epistolari intrattenuti dall’attrice con letterati
e letterate dell’epoca, da Arrigo Boito a Matilde Serao, Ada Negri, Henrik Ibsen e
George Bernard Shaw, e con attrici come Sarah Bernhardt e Isadora Duncan
2
.
Tra queste testimonianze, però, una in particolare risulta essere di capitale
importanza per Branca: i quattro quaderni di lettere e note lasciati da Eleonora
figlia Enrichetta
3
. Dopo la morte della madre, Enrichetta riorganizzò e trascrisse
con cura l’epistolario, anche se decise di distruggere molte delle lettere contenute
nei quaderni. Queste lettere «rivelano questa grande e profonda piega della
1
Lettera di Giovanni Papini a Eleonora Duse, agosto 1917, cit. in Maria Ida Biggi, Ma Pupa,
Henriette, in Ma Pupa Henriette. Le lettere di Eleonora Duse alla figlia, a cura di Maria Ida Biggi,
Marsilio, Venezia 2010, p. XXVII).
2
Cfr. Vittore Branca, La scrittrice Eleonora Duse, in «Corriere della Sera», 19 aprile 1969.
3
Ma pupa, Henriette. Le lettere di Eleonora Duse alla figlia, a cura di Maria Ida Biggi, cit., pp.
XIII-XXIX.
5
personalità della Duse: la scrittrice, l’avveduta lettrice di poesia oltre che di teatro,
la decisiva ispiratrice e consigliera di letterati»
4
, e si configurano inoltre come
«un diario intimo da autentico memorialista»
5
.
Anche Mirella Schino fa riferimento al giudizio di Papini per motivare il
grande spazio che, nella sua monografia sull’attrice, dedica all’analisi della sua
scrittura
6
. Ma a differenza di Branca, che nella vocazione letteraria dusiana
comprende non solo le lettere, ma anche le annotazioni sui copioni e soprattutto la
profonda influenza esercitata dall’attrice sugli autori suoi contemporanei, da
D’Annunzio a Pirandello, Schino è convinta che la Duse è innanzitutto scrittura
epistolare, come dimostra il suo ostinato rifiuto di scrivere le proprie memorie. Le
lettere dimostrano una costante ricerca da parte di Eleonora della sua forma ideale
di scrittura, una ricerca caotica e concitata che si accompagna all’incapacità
altrettanto costante di dar vita a un’opera organica e compiuta.
Non è facile individuare con certezza le caratteristiche costituenti la
scrittura della Duse: essa appare «leggera, volatile, ricca per gli scarti e le
impennate, nata e coltivata diseguale»
7
. Eleonora narra di sé per frammenti, senza
tentare di migliorarsi o di ottenere una forma maggiormente ordinata. La Schino
parla suggestivamente di una «scrittura d’ombra»
8
, non priva di errori di
grammatica e sintassi, ma dotata di una straordinaria qualità «emotiva e tonale»
che non è altro che un’ulteriore declinazione della sua vocazione di attrice.
Tutte queste caratteristiche sono immediatamente rintracciabili nelle
testimonianze epistolari che accompagnano e scandiscono l’amicizia tra Eleonora
Duse e la famiglia Orvieto e che costituiscono l’oggetto della mia indagine. Si
tratta di 59 tra lettere, biglietti e telegrammi, scritti tra il 1901 e il 1908 e
indirizzate dalla Duse ad Adolfo Orvieto (18 lettere), a suo fratello Angiolo (6
letetre), alla moglie di questi Laura (26 lettere), ad Angiolo e Laura insieme (6
lettere) e al figlio della coppia Leon Francesco (3 lettere). Le lettere, conservate
nel Fondo Orvieto dell’Archivio Contemporaneo «Alessandro Bonsanti» del
4
Vittore Branca, La grande Eleonora: più scrittrice che attrice?, in «Corriere della Sera», 15
settembre 1974.
5
Vittore Branca, La scrittrice Eleonora Duse, in «Corriere della Sera», 19 aprile 1969.
6
Cfr. Mirella Schino, Il teatro di Eleonora Duse, Il Mulino, Bologna 1992, pp. 19-50.
7
Ivi, p. 22.
8
Ibidem.
6
Gabinetto Vieusseux di Firenze e in larga parte inedite, sono state trascritte
integralmente nella seconda parte della tesi e corredate di un apparato di note che,
oltre a chiarire i riferimenti a persone, luoghi ed eventi, intende innanzitutto
ricostruire la natura e l’evoluzione del rapporto di amicizia e di stima reciproca
che legò l’attrice a tre figure di spicco della vita culturale fiorentina tra Ottocento
e Novecento.
Tale rapporto è al centro del saggio introduttivo che accompagna la
trascrizione delle lettere e che, prendendo le mosse dalla carriera dell’attrice a
cavallo dei due secoli, in particolare dal suo sodalizio con D’Annunzio e dal suo
ruolo di capocomica, si concentra poi sulle peculiarità che contraddistinguono
ciascuna relazione epistolare della Duse con i tre membri della famiglia Orvieto.
Più “professionale” quello con Adolfo, che pur avendo assunto la direzione del
«Marzocco» continuava a esercitare l’avvocatura, e al quale la Duse si rivolge
soprattutto per pareri legali, oppure per sfogare la sua insofferenza nei confronti
del teatro del tempo, per lamentare le difficoltà economiche e la fatica del
capocomicato; più occasionale, e legato a iniziative di tipo culturale, quello con
Angiolo; più intimo e complesso, infine, quello con Laura, che oltre a collaborare
alla rivista del marito e del cognato era un’apprezzata scrittrice per l’infanzia.
Infine si sono presi in esame, sulla falsariga delle suggestioni di Branca e
dello studio più sistematico di Mirella Schino, gli aspetti stilistici e formali della
scrittura epistolare dusiana, evidenziando soprattutto il carattere di “oralità”, il
loro essere scritte più per essere ascoltate che per essere lette, carattere al quale
tutti gli elementi della frase, dalla punteggiatura alle pause alla sintassi spezzata,
sembra più o meno inconsapevolmente contribuire.
Un’amicizia di primo Novecento
Eleonora Duse e la famiglia Orvieto
Gli ultimi anni dell’Ottocento rappresentano nella vita di Eleonora Duse un
momento di svolta: nel 1887 l’attrice diventa capocomica della Compagnia
7
Drammatica della Città di Roma, trovandosi per la prima volta a dover dirigere
una compagnia di attori
9
.
L’avvio al capocomicato tuttavia non è improvviso, ma si pone come l’esito
di un percorso che comincia nella stagione teatrale 1880-81, quando la Duse entra
a far parte della Compagnia Drammatica della città di Torino, il cui capocomico è
Cesare Rossi. Pur essendo stata scritturata nel ruolo di seconda donna, nel
contratto la Duse precisa che avrebbe interpretato tutte le parti di prima donna che
non avesse portato in scena la prima attrice, Giacinta Pezzana. Ben presto la
Pezzana rinuncia al suo ruolo e la Duse inaugura, insieme al primo attore Flavio
Andò, un periodo di felice collaborazione e di importanti successi teatrali.
L’autorità e l’importanza di Cesare Rossi con il tempo perdono rilievo e il
matrimonio della Duse con Tebaldo Checchi, che diventa il suo agente, non
migliora la situazione per Rossi, che nella stagione 1885-86 si vede pressoché
costretto a dare vita ad una nuova società in cui il suo nome è affiancato da quello
della Duse e di Checchi.
Inizia così un periodo di grandi viaggi che portano la compagnia oltre i
confini nazionali - la prima tappa, nel 1885, è il Sudamerica – e che impegnano a
fondo l’attrice, che però si dimostra capace di gestire tutto con decisione e spirito
d’iniziativa, mentre la collaborazione con Rossi si interrompe dopo un anno
10
.
La stagione teatrale 1887-88, in cui la Duse debutta come capocomica in
collaborazione con Flavio Andò nella Compagnia Drammatica della Città di
Roma, si apre con un progetto chiaro e ben determinato: il corrispettivo degli
attori scelti non sarebbe stato troppo elevato e sarebbero state organizzate
parecchie e impegnative tournée all’estero. La carriera internazionale della Duse
prosegue quindi tra Russia, Egitto, Spagna, Austria, Germania, e per la prima
volta anche negli Stati Uniti
11
. Il repertorio portato in scena è costituito da opere
come L’Abesse de Jouarre di Ernest Renan, Tristi amori di Giuseppe Giacosa, La
moglie ideale e Le vergini di Marco Praga, La signora dalle camelie di Alexandre
9
Helen Sheehy, Eleonora Duse. La donna, le passioni, la leggenda, Mondadori, Milano 2005, p.
76.
10
Ivi, p. 64.
11
Francesca Simoncini, Eleonora Duse capocomica, Le Lettere, Firenze 2011, p. 19.
8
Dumas, Facciamo divorzio di Victorien Sardou e Antonio e Cleopatra di
Shakespeare
12
.
Sul finire dell’estate del 1894 la collaborazione con Flavio Andò finisce e la
Compagnia Drammatica della Città di Roma viene sciolta
13
. Da questo momento
la Duse assunse su di sé la piena responsabilità del capocomicato. Nell’Ottocento
assumersi da sola un ruolo di tal genere non era impresa semplice: sono esclusivo
appannaggio della Duse la scelta degli attori e del programma degli spettacoli da
portare in scena, l’assegnazione delle parti e la gestione finanziaria della
compagnia, dai contratti con i direttori dei teatri agli incassi delle serate fino algli
stipendi. L’obbligo di pagare la troupe anche nel caso in cui le rappresentazioni
vengano cancellate causa alla Duse non pochi momenti economicamente difficili,
ai quali contribuisce anche la sua cagionevole salute, che spesso le impedisce di
esibirsi in modo continuativo. Dispone di un unico ausilio, quello
dell’amministratore della compagnia, che tuttavia è anch’egli un suo dipendente, e
tale condizione di subalternità non può non riflettersi sul loro rapporto
14
.
Il repertorio varia negli anni e finisce per comprendere esclusivamente La
signora dalle camelie di Dumas, Cavalleria rusticana di Giovanni Verga, La
locandiera di Carlo Goldoni e Facciamo divorzio di Sardou, alle quali si
aggiungono in seguito La moglie di Claudio e La principessa di Baghdad di
Dumas, Amore senza stima di Paolo Ferrari, Tristi amori e La signora di Challant
di Giuseppe Giacosa. Questo repertorio è scelto appositamente per le
caratteristiche dei personaggi femminili principali: donne moderne che
sovvertono, spesso in modo spavaldo, le rigide convenzioni sociali dell’epoca,
senza necessariamente incarnare le rigide tipologie del personaggio tragico o del
personaggio comico.
Questi anni sono determinanti per la Duse anche a causa dell’incontro con
uno degli uomini più importanti della sua vita: Gabriele D’Annunzio. Dal 1896 al
1904 l’arte di Eleonora è fortemente influenzata dalla collaborazione con
D’Annunzio. Il poeta in questi anni vede in lei la donna reale sulla scena e non il
personaggio recitante, e scorge nella sua interpretazione stati emotivi autentici,
12
William Weaver, Eleonora Duse, Bompiani, Milano 1985, pp. 83-113.
13
Helen Sheehy, Eleonora Duse. La donna, le passioni, la leggenda, cit., p. 122.
14
William Weaver, Eleonora Duse, cit., p. 72.