3
alle minoranze etniche, religiose, di classe, generalmente escluse dalla
cultura dominante. Grazie agli scrittori che hanno matrici culturali
diverse da quella occidentale e bianca, la letteratura postcoloniale dà
finalmente spazio a quei soggetti e a quei punti di vista che sono sempre
stati confinati nel silenzio e nell’alterità.
2
Le opere qui analizzate restituiscono voce alle silenced people,
3
cioè a coloro che sono stati rappresentati come ‘alterità’ dalla cultura
occidentale, e hanno come scenario il mondo postcoloniale nato
dall’incontro tra oriente ed occidente, tra est e ovest. La stessa
Inghilterra, che a partire dalla costituzione del British Commonwealth ha
assistito all’arrivo di numerosi cittadini provenienti dagli ex dominions,
presenta uno scenario di incontro tra diverse culture. I movimenti
migratori infatti hanno modificato la realtà inglese a tal punto da renderla
multietnica e multiculturale, in un certo senso ‘postcoloniale’. Rushdie e
Kureishi indagano questa nuova identità britannica “nelle coordinate
epocali che hanno portato nell’ex cuore dell’Impero immigrati
provenienti in massima parte dall’Asia”.
4
Mentre le opere di Rushdie
vengono ambientate sia a occidente sia a oriente, i romanzi di Kureishi
hanno come teatro d’azione l’Inghilterra e il rapporto occidente-oriente
nella Londra cosmopolita contemporanea.
Considererò Salman Rushdie e Hanif Kureishi come scrittori
migrant postcoloniali
5
perché le loro opere presentano caratteristiche
riconducibili alle tematiche postcoloniali e perché essi stessi provengono
da un ex colonia britannica. Le loro opere mostrano un superamento della
contrapposizione manicheistica e stereotipata tra identità e alterità,
2
Cfr. Alessandra Marzola, Englishness. Percorsi nella cultura britannica del
Novecento, Roma, Carocci, 1999, p. 307
3
L’espressione ‘silenced people’ è usata dalla critica postcoloniale con riferimento alle
persone che sono state vittime dell’oppressione coloniale da parte dell’occidente. Essa è
riferibile altresì alle donne, oppresse e dominate dalla società occidentale patriarcale.
4
Alessandra Marzola, Englishness. Percorsi nella cultura britannica del Novecento,
cit., p. 308
5
Salman Rushdie e Hanif Kureishi sono scrittori migrant, tuttavia vengono considerati
anche autori postcoloniali perché le loro opere affrontano problematiche quali la
migrazione, l’acculturazione, l’ibridismo e il clash of cultures, tipiche della scrittura
postcoloniale.
4
lasciando emergere atteggiamenti critici sia verso l’imperialismo
occidentale sia nei confronti dei tratti discriminatori che le culture
indiana e pakistana mostrano verso le donne e gli omosessuali, oppure
verso il fanatismo religioso e l’intolleranza
6
. Kureishi e Rushdie
propongono uno sguardo critico che evidenzia la precarietà della
costruzione ideologica della Englishness fermamente inseguita da Enoch
Powell e da Margaret Thatcher e il National Front e si schierano contro il
tentativo di sottrarsi alla contaminazione multiculturale, sottolineando
invece la necessità di accettare i cambiamenti sociali e culturali
successivi alla decolonizzazione e al riconoscimento delle minoranze
interne ed esterne all’etnia bianca
7
. Lo stesso Kureishi afferma in The
Rainbow Sign(1986):
It is the British, the white British who have to learn that being
British isn’t what it was. Now it is a more complex thing,
involving new elements. So there must be a fresh way of seeing
Britain and the choices it faces: and a new way of being British
after all this time. Much through, discussion and self-examination
must go into seeing the necessity for this, what this “new way of
being British” involves and how difficult it might be to attain.
8
Le opere di Rushdie celebrano “la complessità della
globalizzazione culturale”
9
e le problematiche postcoloniali, presentando
personaggi immigrati, che nel paese ospitante devono superare problemi
quali l’emarginazione, il rifiuto razzista, l’acculturazione e i pregiudizi
occidentali sull’oriente e i suoi abitanti. The Buddha of Suburbia e The
Black Album di Kureishi, invece, trattano della multietnicità culturale
contemporanea ponendo il problema della convivenza di gruppi etnici di
origini e lingue diverse, ma accomunati da una presente appartenenza
British.
6
Alessandra Marzola, Englishness. Percorsi nella cultura britannica del Novecento,
cit., p. 309
7
Cfr. Ibid.
8
Hanif Kureishi, “The Rainbow Sign” in My Beautiful Laundrette, London, Faber and
Faber, 1996, pp. 101-102
9
Alessandra Marzola, Englishness. Percorsi nella cultura britannica del Novecento,
cit., p. 316
5
I protagonisti dei suoi romanzi sono generalmente immigrati
asiatici di prima e seconda generazione.
The Satanic Verses di Rushdie è definito da Silvia Albertazzi “la
summa della narrativa d’immigrazione”
10
: i protagonisti sono due artisti
indiani che si trasferiscono temporaneamente in Inghilterra, e qui
subiscono sia il fascino sia la meschinità di una società che da sempre si
ritiene superiore alle persone ‘di colore’. La vicenda di Saladin Chamcha
e Gibreel Farishta, i due protagonisti, rispecchia quella di Rushdie, anche
lui emigrato in Inghilterra. L’autore parla di Translation (tra-duzione)
fisica e mentale subita da chi lascia il proprio paese nativo, spesso
‘sottosviluppato’ o ex colonizzato, per approdare in uno stato del Primo
Mondo, di solito ex o neo colonizzatore.
Un discorso a parte merita Midnight’s Children, che ha conferito
fama mondiale al suo autore. Scritto nel 1981, il romanzo tratta la storia
dell’India dall’inizio di questo secolo fino alla metà degli anni Settanta,
all’Emergenza di Indira Gandhi, narrata da un personaggio, Saleem Sinai
che, essendo nato allo scoccare della mezzanotte del 15 Agosto 1947,
giorno dell’indipendenza dell’India, in qualche modo si ritiene
‘ammanettato’ alla storia del proprio paese. La narrazione è una continua
mescolanza di storia privata e storia pubblica, poiché Saleem si reputa
pienamente coinvolto e spesso addirittura pienamente responsabile delle
vicende storiche del suo paese. Questo comporta che, nel romanzo, al
tono fantastico di molte pagine, si mescoli anche un implacabile atto di
accusa nei confronti di Indira Gandhi, ritratta come un autentico genio
del male. Ciò è tipico dell’incontro tra il quotidiano e il favoloso,
suggerito dallo stesso incipit, che recita: “I was born in the city of
Bombay […] once upon a time”
11
.
Hanif Kureishi, in The Buddha of Suburbia (1990), narra le
vicende di Karim, figlio di un immigrato indiano e di un’inglese, che
cerca di farsi strada nella ‘giungla’ metropolitana di Londra.
10
Silvia Albertazzi, Lo sguardo dell’altro. Le letterature postcoloniali, Roma, Carocci,
2000, p. 120
11
Salman Rushdie, Midnight’s Children, London, Vintage, 1995, p. 9
6
Le vicende si svolgono in parte nella periferia londinese, vista
come luogo liminale, soglia esistenziale e spazio reale di emarginazione.
In questo teatro agiscono i protagonisti del romanzo, la cui doppia etnia,
inglese e/o indo-pakistana, dona loro un senso di noia e irrequietezza. I
personaggi di Haroon e Anwar, immigrati di prima generazione,
suggeriscono che chi proviene dall’India e/o dal Pakistan può serbare
dentro di sé vive memorie, e ricostruire nella mente un intero paese, più o
meno reale, ma è il nuovo paese, in questo caso la Gran Bretagna, nel
quale vive lo spazio non metaforico al quale è legato
12
. Con questo
romanzo lo scrittore anglo-pakistano indaga con ironia ed irriverenza i
rapporti razziali nella Londra contemporanea. La realtà inglese, ormai
irrimediabilmente multietnica, deve ridefinire il proprio concetto di
Englishness.
In The Black Album l’autore riprende lo scontro culturale tra
inglesi e asiatici, constatando amaramente e allo stesso tempo
ironicamente, che la comunità asiatica, in particolare quella dei giovani,
non sentendosi ‘a casa’ e parte della società inglese che la ospita, è
disposta a rinunciare a tutti i piaceri della civiltà occidentale per rifugiarsi
nel fondamentalismo islamico, il quale offre un senso di appartenenza.
La scelta di parlare di queste opere proviene dalla curiosità
suscitata in me da un corso universitario tenuto da alcuni docenti di
Letteratura Inglese presso la Facoltà di Lingue Straniere di Bologna che
aveva come tema principale le letterature postcoloniali e postmoderne e
che invitava alla lettura di The Black Album di Kureishi; dal clamore
suscitato dal libro di Rushdie The Satanic Verses. Inoltre la situazione
internazionale che ha seguito agli attentati dell’11 Settembre 2001
anziché obbligarci a rivalutare il rapporto oriente/occidente e a
migliorarne le relazioni, ha approfondito le divergenze tra questi due
mondi, confinando l’oriente ad un problema da risolvere e contro cui
combattere.
12
Cfr. Stefano Manferlotti, Dopo l’Impero. Romanzo ed etnia in Gran Bretagna,
Napoli, Liguori Editore, 1995.
7
Edward W. Said, uno tra i maggiori teorici del discorso
orientalista, afferma in Orientalism(1978):
Orientals were rarely seen or looked at; they were seen through,
analysed not as citizens, or even people, but as problems to be
solved or confined, or as the colonial powers openly coveted their
territory-taken over
13
.
Con questo testo Said cerca di mostrare come la cultura europea abbia
acquisito maggiore forza e senso di identità contrapponendosi all’oriente,
e facendone una sorta di sé complementare; inoltre afferma che molte
opere occidentali, letterarie, filosofiche e politiche hanno sempre
rappresentato l’orientale, l’altro, come qualcuno da dominare, come
inferiore all’occidentale. Si vedrà in seguito come i testi di Rushdie e
Kureishi abbandonino lo stereotipo dell’orientale e restituiscano a
quest’ultimo lo sguardo privato loro dai conquistatori.
14
Il dibattito postcoloniale ha lo scopo di parlare di realtà altre
senza mettere in pratica il ragionamento manicheo, doppio, dualistico del
pensiero occidentale per cui l’oriente sarebbe sottosviluppato, barbaro,
ignorante, necessariamente da colonizzare, mentre l’occidente sarebbe
civilizzato, progredito, universale, colonizzatore e inevitabilmente
portatore di bene. La critica postcoloniale e in parte quella postmoderna
pongono alla propria base lo smantellamento del pensiero occidentale che
aspira all’universalismo, rivalutando invece le realtà locali, autoctone. Il
critico postcoloniale Bill Ashcroft infatti afferma:
the major project of postmodernism – the deconstruction of the
centralized, logocentric master narratives of European culture is
very similar to the post-colonial project of dismantling the
Centre/Margin binarism of imperial discourse.
15
13
Edward W. Said , Orientalism, Harmondsworth, Penguin, 1985, p. 207
14
L’espressione ‘restituire lo sguardo’ è usata da Silvia Albertazzi nel testo Lo sguardo
dell’altro, Roma, Carocci, 2000, p. 14. “Le letterature postcoloniali rappresentano in un
certo senso la decolonizzazione della mente degli scrittori postcoloniali, che cercano di
liberarsi dalle relazioni di potere con i colonizzatori e di liberare il proprio io, quello del
colonizzato, dallo sguardo del colonizzatore”.
15
Bill Ashcroft, “The Postcolonial and Global Culture” in Silvia Albertazzi, Donatella
Possamai (a cura di), Postcolonialism and Postmodernism, Padova, Il Poligrafo, 2002
8
Mentre la critica postcoloniale tenta di distruggere il falso umanesimo e il
progetto di globalizzazione portati avanti dal pensiero occidentale, oltre
al binarismo Centro/margine del discorso imperiale, la critica
postmoderna vuole decostruire le master narratives europee, rappresenta
la fine dell’egemonia culturale eurocentrica; è il dissidio contro la
conciliazione e l’affermazione della differenza contro l’identità e
l’uniformizzazione
16
. Le opere di Rushdie e Kureishi, oltre a costituire
tra gli esempi più alti della narrativa postcoloniale, in cui lo sguardo e la
parola sono finalmente restituiti ai protagonisti delle società un tempo
colonizzate, presentano alcune caratteristiche della letteratura
postmoderna, quali l’ironia, la parodia, la frammentarietà, la
metanarratività, la contaminazione di generi letterari diversi.
Il primo capitolo si incentrerà su alcune nozioni teoriche e
metodologiche della critica postcoloniale e postmoderna, per parlare dei
temi principali delle letterature postcoloniali, chiamate anche “New
Literatures in English”. Uno dei testi fondamentali per la comprensione
delle opere di Rushdie e Kureishi è Orientalism di Edward W. Said, che
rivaluta l’oriente nel rapporto con l’occidente. Homi K. Bhabha ha detto
a proposito: “Orientalism inaugurated the postcolonial field”
17
. Said parte
dalla constatazione che l’oriente non è solo adiacente all’Europa, ma è
anche la sede delle sue più antiche, ricche ed estese colonie e il suo
concorrente principale in campo culturale. L’oriente è altresì uno dei più
ricorrenti e radicati simboli del ‘diverso’ nell’immaginario occidentale.
Said identifica l’Orientalismo come un insieme di istituzioni create
dall’occidente al fine di gestire le proprie relazioni con l’oriente, gestione
basata oltre che su rapporti di forza economici, politici e militari, anche
su fattori culturali, cioè su un insieme di rappresentazioni sull’oriente
stesso
18
.
16
Cfr. Jean F. Lyotard, La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 1985, p. 64
17
Homi K. Bhabha “Postcolonial criticism” cit. in Stephen Greenblatt, G. Gunn (eds),
Redrawing the Boundaries: the transformation of English and American Literary
Studies, New York, MLA, 1992, p. 465
18
Cfr. Edward W. Said, Orientalism, cit., p. 3
9
Tale sistema ha sostenuto la distinzione ontologica ed
epistemologica tra ‘oriente’ da un lato e ‘occidente’ dall’altro, tra un
‘noi’ europei e un ‘loro’ orientali.
Oltre al testo di Said, si prenderanno in considerazione le opere
critiche di Homi K. Bhabha e Gayatri C. Spivak. Tutti e tre fanno parte di
quella che Robert Young ha chiamato “The Holy Trinity” del criticismo
postcoloniale. Mentre di Bhabha verranno discussi i concetti di mimicry e
di hybridity, di Spivak sarà considerato il discorso dei subaltern groups.
Nel famoso saggio Can the Subaltern Speak?(1988) l’autrice solleva la
questione se le classi subalterne, cioè quelle che rappresentano la parte
meno privilegiata della società, possano parlare per se stesse o se invece
siano condannate ad essere conosciute e rappresentate da altri, che
parlano per esse in maniera distorta e interessata. Come afferma Rita
Monticelli, Spivak conclude che i testi occidentali non possono
presentare il punto di vista degli altri.
19
Nel secondo paragrafo si partirà dalla definizione di postmoderno,
termine:
applicable to a number of heterogeneous styles and products
which, in different ways, reacted against the modernist aesthetic
19
“In uno dei suoi saggi più conosciuti, Three Women’s Texts and a Critic of
Imperialism(1989), Spivak rilegge Jane Eyre di Charlotte Brontë attraverso Wide
Sargasso Sea di Jena Rhys. Così la storia di Jane, eroina della letteratura inglese e della
critica letteraria euro-anglocentrica, si apre a problematiche meno rassicuranti in cui
centrale è l’analisi dell’alterità. Nel testo della Brontë l’alterità è rappresentata da
Bertha Mason, la moglie ‘folle’ e straniera di Rochester, che verrà sacrificata perché si
realizzi il sogno bianco e borghese di Jane Eyre. Spivak, per evidenziare come il testo
occidentale non possa presentare il punto di vista della donna nativa, creola, analizza
Wide Sargasso Sea, che è la storia narrata dal punto di vista di Bertha Mason. Spivak,
riprendendo la domanda critica se sia possibile parlare per l’altro/a, va oltre nella sua
analisi fino a considerare la prospettiva di Christophine, la serva di colore di
Antoinette(incarnazione di Bertha Mason) che a livello narrativo viene fatta sparire
dalla scena per far proseguire la storia di Antoinette. Christophine non avrà più una
voce, quella stessa che ha sostenuto a livello narrativo Antoinette, contro la storia di
Jane Eyre. Dilatando l’interpretazione del testo, con l’immissione di parametri
interpretativi come la ‘razza’ e analizzandolo dal punto di vista delle relazioni interne
tra ‘differenze’, Spivak esemplifica uno dei maggiori rischi del femminismo
eurocentrico, che è la obliterazione delle diverse realtà delle donne e il non tenere conto
delle asimmetrie che esistono tra diverse appartenenze sociali, geografiche, storico-
politiche”. Nota critica di Rita Monticelli nell’introduzione al testo di Gayatri C.
Spivak, Morte di una disciplina, Roma, Meltemi, 2003, traduzione di Lucia Gunella,
introduzione e cura di Vita Fortunati, p. 14
10
on the round that Modernism, after being accepted into
universities, museums, art galleries and the communicattion
media, lost its original revolutionary impact
20
per parlare delle letteratura postmoderna, specchio della nuova situazione
storica, politica e culturale del secondo dopoguerra. Robert Young
definisce il Postmodernismo come la fine dell’eurocentrismo,
21
mentre
Helen Tiffin lo descrive come l’ultimo giro di boa dell’egemonia
intellettuale occidentale ed afferma in Past the Last Post:
Postmodernism is Europe’s export to what it regards as ‘margin’.
By contrast, post-colonial writing […] moves from colonized,
formerly colonized and neo-colonized areas – from African
countries, Australia, Canada, the Caribbean, India, New Zealand
– towards Europe, or more recently towards the United States”
22
.
Uno dei concetti più importanti della teoria postmoderna è la crisi del
soggetto razionale classico e della convinzione umanista per cui
l’individuo costituisca l’unica fonte di significato.
La teoria femminista e quella postcoloniale mettono in
discussione questo principio, in quanto entrambe necessitano della
rielaborazione della nozione di “identità” e della ri-definizione di
soggettività. Le donne e le popolazioni non europee colonizzate, da
sempre escluse dalla “storia” e dalla nozione classica di soggetto, cercano
di rafforzare la propria voce autoriale all’interno delle proprie opere. Al
contrario, la teoria postmoderna proclama la “morte dell’autore”. Come
afferma Raffaella Baccolini,
se da un lato la crisi del soggetto classico ha portato ad una
rottura della visione umanistica dell’individuo come fonte di
conoscenza del mondo e di trasmissione del discorso, dall’altro
l’attacco all’identità tout court ha rappresentato una teorizzazione
piuttosto problematica per le donne, per le minoranze e per tutti
quei soggetti eccentrici che non rientrano nella definizione
20
La definizione di postmoderno è presa dal glossario presente nel libro After
Modernism and Postcolonial Literatures, Milano, Principato, 2002, p. 298
21
Robert Young cit. in Peter Childs e Patrick Williams in Introduction to Postcolonial
Theory, London, Harvester Wheatsheaf, p. 185
22
Ian Adam, Helen Tiffin(eds), Past the Last Post, Hemel Hempstead, Harvester
Wheatsheaf, 1991, p. ix
11
tradizionale del soggetto razionale classico
23
.
Nel mondo occidentale non-europei occupano lo stesso spazio simbolico
delle donne. Helen Carr afferma infatti :
in the language of colonialism, non Europeans occupy the same
symbolic space as women. Both are seen as part of nature, not
culture, and with the same ambivalence: neither they are ripe for
government, passive, child-like, unsophisticated, needing
leadership and guidance, described always in term of lack- […]
24
.
Le donne sono considerate dalla cultura dominante soggetti eccentrici,
altri, come le minoranze etniche. Ania Loomba, ha affermato che la crisi
del soggetto razionale classico delle opere postmoderne potrebbe essere
l’ultima strategia imperialista occidentale,
25
che ancora una volta e
seppur indirettamente, nega autorità e voce alle donne e ai soggetti
postcoloniali, ora capaci di farsi ascoltare attraverso le opere letterarie.
Infine si discuteranno le intersezioni e le differenze concettuali tra
letteratura postmoderna e letteratura postcoloniale, per esempio la
rivisitazione dei classici, il pastiche, l’intertestualità, l’ironia e il Magic
Realism.
Nel secondo e nel terzo capitolo saranno prese in considerazione
le singole opere, Midnight’s Children, The Satanic Verses nel secondo,
The Buddha of Suburbia e The Black Album nel terzo. Prima di
esaminare i testi ed individuarne gli elementi postcoloniali e
postmoderni, verranno introdotti i rispettivi autori, con un accenno alla
vita e alle opere, e una particolare attenzione ai temi principali della loro
narrativa. Molto spazio verrà dato ai protagonisti delle opere, Saladin
Chamcha e Gibreel Farishta per The Satanic Verses, Karim e Shahid per
The Buddha of Suburbia e The Black Album. A parte il protagonista del
primo romanzo di Rushdie, i personaggi di The Satanic Verses sono
23
Raffaella Baccolini “Introduzione” in Raffaella Baccolini, Maria Giulia Fabi, Rita
Monticelli, Vita Fortunati, Critiche femministe e teorie letterarie, Bologna, CLUEB,
1997, p. 137
24
Helen Carr cit. in Ania Loomba, Colonialism/Postcolonialism, London, Routledge,
1998, pp. 159-160
25
Ania Loomba afferma: “Is the notion of the decentred subject the latest strategy of
western colonialism?”. Ibidem, p. 168
12
indiani che si trasferiscono momentaneamente in Inghilterra. Quelli di
The Buddha of Suburbia e di The Black Album sono cittadini britannici a
tutti gli effetti, il primo con origini indiane, il secondo pakistane, i quali
vivono una condizione anomala, di stranieri in casa propria a causa della
loro pelle scura. Gli studi postcoloniali si occupano da sempre delle
questioni di ibridità, creolizzazione, meticciato e dei soggetti in between,
cioè appartenenti contemporaneamente a due culture. In seguito alla
colonizzazione che ha soppresso, occultato e distrutto le culture extra-
europee, il concetto di identità per le popolazioni oppresse è entrato in
crisi. Queste identità, come sostiene Carla Fratta “si sono indebolite,
sono state oggetto di complessi e gravi conseguenze come l’alienazione,
la deculturazione, l’acculturazione, la transculturazione, la dicotomia
dell’identità […]”
26
nel momento del contatto tra la civiltà orientale e
quella occidentale. In questi due capitoli saranno analizzati i
comportamenti dei personaggi e le difficoltà, gli ostacoli, i pregiudizi
contro cui queste persone, immigrati o figli di immigrati, si imbattono
all’interno della realtà sociale inglese, nel tentativo di farsi accettare da
un mondo che ancora non è pronto ad accettare l’altro.
La caratteristica principale che connota i protagonisti di questi
romanzi è la doppia appartenenza, cioè appartenere contemporaneamente
al mondo occidentale e al mondo orientale. In Midnight’s Children
Saleem è figlio di un’indiana, Vanita, e di un inglese, William Methwold.
Karim di The Buddha of Suburbia è figlio di un’inglese e un indiano.
Saladin Chamcha, Gibreel Farishta e Shahid Hassan, rispettivamente
protagonisti di The Satanic Verses e The Black Album, sono anch’essi
degli in between perché appartengono contemporaneamente al mondo
orientale e a quello occidentale, vivono ‘sospesi’ tra il mondo di origine e
quello di approdo. Questa condizione, propria dei soggetti migranti di
prima e seconda generazione, genera in loro un senso di insicurezza e
irrequietudine.
26
Carla Fratta, “Identità” in Silvia Albertazzi, Abbecedario postcoloniale, Macerata,
Quodlibet, 2001, pp. 46-47
13
I soggetti postcoloniali devono fare i conti con le nuove strutture
di dominio e con la necessità di ritagliarsi spazi vitali di sopravvivenza e
di accettazione nelle comunità di accoglienza, cercando
tuttavia di trovare un’armonia tra i due poli, tra l’est e l’ovest. La ricerca
di un’identità nuova non avviene in maniera semplice, dato che i
protagonisti delle opere sperimentano prima di tutto il disagio di essere
‘ai margini’ e il malessere esistenziale dovuto alla doppia esclusione
(dalla cultura di origine e da quella di accoglienza).
Riguardo i protagonisti di The Satanic Verses, si sottolineerà il
comportamento da mimic man di Saladin Chamcha, elaborato da Frantz
Fanon in Peau noire, masques blanches (1952) e ripreso da Homi K.
Bhabha, per cui il colonizzato imita il colonizzatore, interiorizzandone i
modi di agire e di pensare. Il mimic man ha lo scopo di rappresentare una
classe di persone il cui colore della pelle e del sangue è indiano,
pakistano, algerino, altro, ma il gusto, le opinioni, la morale e l’intelletto
sono prettamente inglesi e/o occidentali. Di Gibreel Farishta si descriverà
la caratteristica del belonging nowhere, cioè il disorientamento fisico e
mentale che un emigrato prova nel momento in cui si trova in un paese
altro e con cui non riesce a convivere, tanto da uccidersi. Infine nel
capitolo dedicato a The Buddha of Suburbia e The Black Album si
considererà la condizione in between di Karim e di Shahid, entrambi
metà inglesi e metà indiani e/o pakistani. Il protagonista di The Black
Album in particolare, segue un percorso di formazione rapportandosi
continuamente con coloro che fanno parte della società inglese,
occidentale, e coloro che invece dell’anti occidentalismo hanno fatto una
filosofia ed una scelta di vita. Shahid si trova a combattere tra l’identità
nazionale e le differenze culturali, tra Deedee Osgood, la professoressa
open minded che rappresenta l’intellettualismo occidentale di sinistra, e il
gruppo di amici fondamentalisti, che rinunciano a tutti i piaceri che la
vita occidentale offre per fare parte del fondamentalismo. Questo dona
loro quel sentimento di appartenenza a lungo cercato, ma mai trovato
nella realtà inglese.
14
Nonostante le differenze, sia Rushdie sia Kureishi trattano gli
stessi problemi, l’immigrazione, il razzismo, l’assimilazione culturale
che l’altro, non europeo e non occidentale, deve affrontare. Karim,
Saladin, Gibreel, Shahid rappresentano le varianti di un unico
personaggio, il soggetto postcoloniale, che deve sopravvivere sospeso tra
est e ovest, tra cultura propria e cultura acquisita.
All’interno dell’ultimo capitolo verranno elencate le analogie tra i
romanzi di Rushdie e di Kureishi, dagli argomenti trattati, alle figure dei
protagonisti. Essi possono essere considerati sia postcoloniali sia
postmoderni perché possiedono caratteristiche quali l’intertestualità,
l’ironia, la parodia e celebrano l’ibridismo. Molti personaggi di Kureishi
sono simili a quelli di Rushdie: la figura di Ayesha in The Satanic Verses
può essere paragonata a quella di Deedee Osgood del Black Album; il
personaggio di Saladin può definirsi l’alter ego di Shahid. Per quanto
riguarda l’intertestualità, una delle caratteristiche maggiori della narrativa
postmoderna, The Satanic Verses è un continuo rimando al cinema di
stampo religioso indiano e al testo del Corano, mentre i libri di Kureishi
hanno una stretta relazione con il mondo della musica, rock e pop,
caratteristica fra l’altro individuabile in tutta la sua narrativa.
L’intento di questa dissertazione è far vedere come le opere di
Rushdie e Kureishi presentino caratteristiche sia della letteratura
postcoloniale sia di quella postmoderna, nonostante queste abbiano scopi
differenti. Inoltre si vuole mostrare come The Satanic Verses di Rushdie
non debba essere letto solamente come un testo ‘satanico’
27
, cioè
offensivo nei confronti dell’Islam e della comunità musulmana, ma come
un’opera importante e straordinaria regalata da uno scrittore migrant alla
letteratura contemporanea mondiale. La complessità della vicenda, la
fantasia, il Magic Realism con cui si parla di realtà e finzione allo stesso
tempo, la lingua inglese originalmente elaborata dall’autore, fanno di
27
Ho usato il termine satanico con riferimento al titolo del testo e anche a tutta la
questione politica e culturale, che la pubblicazione del libro ha suscitato. E’ doveroso
ricordare che in seguito alla pubblicazione dei Satanic Verses, nel 1988, l’Ayatollah
Khomeini iraniano ha proclamato la fatwa, cioè la condanna a morte, contro lo scrittore
per aver offeso la religione islamica, il Profeta e alcuni personaggi del Corano.
15
questa opera postcoloniale per il tema trattato, un testo fondamentale per
la letteratura postmoderna.
Per quanto riguarda i testi di Kureishi, i personaggi che li
popolano vivono nella tipica condizione postcoloniale, in cui le
differenze, le divergenze e le opposizioni permangono. Sia Karim sia
Shahid si trovano in una sorta di limbo, neither here nor there,
inizialmente rigettati da entrambe le culture; tuttavia mentre il primo si
riappropria delle tradizioni native, il secondo decide di non appartenere
esclusivamente ad un solo mondo (orientale o occidentale), semmai li
sceglie entrambi. Si concretizza così l’ideale postcoloniale che vuole un
mondo in cui non ci siano più barriere etniche e sociali e vengano
eliminati gli stereotipi che oppongono i colonizzati ai colonizzatori.
Karim da inglese born and bred arriva a conoscere il suo paese di origine
e le sue usanze; Shahid, alla fine, non sceglie il fondamentalismo
islamico e la sua violenza, ma comprende anche i mali della civiltà
occidentale, incarnati dalla professoressa libertina Deedee Osgood. In
fondo al cuore di Shahid c’è un desiderio di appartenenza sia al mondo
islamico, dal quale cerca di farsi accettare, sia a quello inglese, cui aspira
a diventarne un componente. Il protagonista riesce a far convivere senza
timore le due metà, sebbene questa armonia giunga al termine di un
percorso formativo lungo e travagliato.
Allo stesso modo si risolve la vicenda in The Satanic Verses.
Nonostante la morte di Gibreel, Saladin ritorna in India, cambiato
dall’esperienza dell’Inghilterra. All’inizio cerca di fuggire dalla sua
patria e rinnegare le sue origini, comportandosi come un mimic man:
dimentica la sua lingua per adottare l’inglese, odia il padre nel quale vede
la tradizione e la cultura indiane e con i suoi compatrioti si comporta da
superiore. Alla fine del soggiorno inglese, pieno di vicende e
vicissitudini, vigliaccherie e umiliazioni, egli capisce che la cosa migliore
è tornare a casa, dove ricominciare una nuova vita, da uomo nuovo. In
India e nella sua anima ritrova l’armonia tra est e ovest, tra oriente ed
occidente.