CAPITOLO 1
LE PIPELINES DELLA GUERRA FREDDA
1.1 Premesse
Le origini dell’industria petrolifera russa risalgono alla fine del XIX secolo, con la scoperta dei
depositi del Caspio, del Basso Volga e del Nord Caucaso.
Già da allora e fino alla rivoluzione russa, investitori occidentali, tra cui i Nobel ed i Rothschild,
producevano petrolio a Baku, dominando il mercato interno russo e rifornendo di petrolio
l’Europa occidentale. All’inizio del XX secolo, la Russia era il maggior produttore mondiale di
petrolio, con il 53% della produzione totale, davanti agli Stati Uniti, che ne producevano il 39%.
Già prima della prima guerra mondiale, la Russia era, assieme alla Romania, la principale fonte
di rifornimento dei paesi europei. Con una produzione di 300 milioni di tonnellate annue (pari a
circa 5 milioni di barili al giorno), corrispondenti al 10% della produzione totale mondiale, la
Russia è oggi il terzo maggiore produttore di petrolio del mondo, dopo solo l’Arabia Saudita.
L’industria petrolifera riveste un ruolo fondamentale per l’economia russa assicurandole
importanti fonti di entrata in valuta svolgendo lo stesso importante ruolo che il settore svolgeva
durante il periodo della Nuova politica economica: i ricavi attuali delle vendite di greggio e
prodotti raffinati sui mercati internazionali costituiscono rispettivamente il 15 e il 7,8% dei
ricavi totali delle esportazioni
3
.
Fu non prima del 1941 che iniziarono i lavori di estrazione e costruzione di pipeline, tra cui
quella realizzata alla fine del 1944 che collegava Saratov a Mosca, al fine di dar man forte alla
produzione industriale della capitale, i cui lavori terminarono nel 1946
4
. Con la scoperta di
importanti riserve energetiche venne costituito anche un apposito Ministero per il petrolio.
3
G. P. Caselli, Il Petrolio del Mar Caspio e gli interessi geopolitica dell’area, in Osservatorio Internazionale,
1999.
4
Da http://www.gazprom.com.
9
Durante la Seconda Guerra mondiale, Hitler era conscio della necessità di controllare i campi
petroliferi esistenti in Unione Sovietica, alcuni dei quali che oggi fanno parte dell’area del
Caucaso, Azerbaijan in primis, proprio con l’obiettivo di possedere risorse per una guerra lunga
e molto dispendiosa; dai pozzi azeri giunse tra il 1941 ed il 1945 il 76% del petrolio ed il 100%
del carburante per gli aerei dell’Armata rossa. In realtà, i nazisti non arrivarono mai in
Azerbaijan, così come non riuscirono a controllare la Cecenia
5
.
Per quanto riguarda la spartizione a livello mondiale delle quote petrolifere, nel 1945 il 90% di
esse erano in mano alle majors americane, mentre il restante era controllato dall’Urss; gli Usa
stipularono un patto con l’Arabia Saudita (patto dell’Incrociatore Quincy tra Roosvelt e Ibn
Saud), in base a cui Washington avrebbe protetto il regno wahhabita, con la possibilità di
sfruttare le ingenti quantità di energia che esso possedeva, in cambio dell’impegno di Riyadh di
assumere un ruolo di primaria importanza nella lotta al comunismo sovietico in Medio Oriente
6
.
Chiusa la parentesi bellica ed entrati in quella che venne poi battezzata “Guerra fredda”, tra
Unione Sovietica ed Europa occidentale venne a crearsi una sorta di legame in merito
all’energia, di cui l’Europa è sempre stata carente, già durante il periodo di “destalinizzazione”
intrapreso da Kruscëv.
La storia della dipendenza europea dalle risorse russe infatti cominciò sul finire degli anni
Cinquanta, per ovviare agli ostacoli posti dal presidente egiziano Nasser alle petroliere che
caricavano in Medio Oriente alla volta dell’Europa; il blocco imposto dalla crisi fu tale da
costringere le navi alla circumnavigazione dell’Africa, con un rilevante incremento dei tempi e
dei costi di trasporto.
In realtà, il problema era sentito anche dal Cremlino, le cui esportazioni verso i mercati asiatici
erano di fatto rallentate, visto che il petrolio partiva dai porti del Mar Nero e attraverso i
Dardanelli ed il Mediterraneo raggiungeva il canale
7
. Si ricordi che solo nei primi anni
Cinquanta l’industria petrolifera sovietica si era risollevata dalle devastazioni della guerra; uno
dei principali campi petroliferi esistenti all’epoca era Romashkino, appartenente alla Repubblica
del Tatarstan, nella Siberia occidentale e scoperto nel 1943; all’epoca della crisi egiziana,
l’export petrolifero sovietico era assai trascurabile, mentre subì un deciso boom nel corso della
seconda metà degli anni Sessanta, quando circa 85 milioni di tonnellate erano destinate
5
F. Scaglione, La Russia è tornata: la nuova politica di potenza del più vasto Paese del mondo, Milano, Boroli,
2005, p. 107; i popoli del Caucaso avevano invano ed ingenuamente creduto che Hitler potesse interessarsi alla
loro causa di indipendenza da Mosca. Questo di certo non li agevolò nei rapporti col Cremino, vista la decisione
di Stalin di deportare in particolare i ceceni in Siberia ed in Kazakistan.
6
Geopolitica del petrolio: il petrolio del Vicino Oriente, in Rivista Marittima Militare n°5/2008.
7
S. Casertano, La contesa del gas tra Cina, Russia ed Europa, Fuoco Edizioni, 2010, p. 39.
10
all’estero
8
. Tra il 1947 ed il 1957 si investirono 4,8 miliardi di rubli, senza che tale investimento
portasse ad immediati vantaggi
9
.
Al centro dell’apertura europea al petrolio sovietico vi fu Enrico Mattei, che nell’immediato
dopoguerra fu incaricato di smantellare la vecchia Agip, creata nel 1926 dal fascismo;
“trasgredendo” all’impegno assunto, decise tuttavia di riorganizzare l’azienda, fondando così
nel 1953 l’ENI, di cui l’Agip divenne una struttura portante.
Egli aveva in precedenza tentato di percorrere altre vie di rifornimento, tra cui anche l’idea di
accedere al petrolio iraniano, dominato dalla Anglo-Iranian Oil Company, poi diventata
National Iranian Oil Company, in seguito alla nazionalizzazione da parte di Mohammad
Mossadeq nel 1952. In Iran infatti Mattei cercò di far rientrare l’azienda nel c.d. “Consorzio per
l’Iran”, il cartello delle sette principali compagnie petrolifere del tempo, creato allo scopo di
coinvolgere nuovamente il petrolio iraniano nel mercato energetico in seguito alla vicenda della
deposizione di Mossadeq
10
; sfortunatamente, le majors
11
si opposero alla richiesta di Mattei, il
quale allora considerò proprio l’ipotesi di rivolgersi allo Scià, per un contratto molto favorevole
all’Iran.
Ciò non riscosse il favore delle “Sette Sorelle”, che si impegnarono in un’ampia campagna per
screditare la compagnia italiana, tanto da indurre il suo massimo rappresentante a battere altre
strade. Fu il primo a considerare la possibilità, poi diventata principio su cui si basavano le sue
iniziative, di destinare il 75% dei profitti derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi
ai Paesi proprietari delle riserve.
1.2 L’Eni e l'apertura al petrolio sovietico
Il contratto stipulato l'11 ottobre 1960 dall'Eni e dalla Soyuznefteexport, l'organismo sovietico
per l'esportazione petrolifera, venne a configurarsi come il punto di approdo di un percorso di
8
J. P. Stern, Soviet Oil and Gas Export to the West, Policy Studies Institute & Royal Institute of International
Affairs, 1987, p. 74.
9
A. Biancotti, C. Biancotti, Geopolitica del petrolio, BEM, 2005, p. 24.
10
S. Beltrame, Mossadeq, l’Iran, il petrolio, gli Stati Uniti e le radici della Rivoluzione Islamica, Edizioni
Rubbettino, 2009.
11
Esse erano: la Standard Oil of New Jersey, la Royal Dutch Shell, la Anglo-Persian Oil Company
(successivamente diventata BP), la Standard Oil of New York (in seguito a varie fusioni ExxonMobile), la
Texaco, la Gulf Oil e la Standard Oil of California.
11
avvicinamento alla realtà economica sovietica che l'ente pubblico italiano aveva intrapreso
ormai da qualche tempo.
È possibile affermare che tale strategia sia stata dettata anche dagli sviluppi del mercato
petrolifero mondiale, tali da imporre un profondo cambiamento rispetto alle linee guida che
avevano contraddistinto i primi anni Cinquanta
12
.
Un primo contratto commerciale italo-sovietico fu raggiunto nel dicembre 1958 e prevedeva
l'importazione da parte dell'Eni di 800.000 tonnellate di petrolio ed attrezzature petrolifere per
360.000 dollari contro l'esportazione immediata di 5.000 tonnellate di gomma sintetica del
valore di oltre un milione di dollari, cui avrebbero dovuto seguire 3.000 tonnellate nel primo
trimestre del 1959 e altre 7.000 nel corso dell'anno.
Il successo per il gruppo italiano stava nel fatto che, grazie anche all'impegno profuso dai
servizi commerciali dell'ambasciata italiana a Mosca, si era riusciti a battere la concorrenza di
altre aziende occidentali assicurando uno sbocco per la gomma sintetica prodotta dagli
stabilimenti Anic di Ravenna. Quando i milieux diplomatici vennero a conoscenza di ciò,
immediatamente chiesero spiegazioni all'Italia: in particolare, in occasione di un incontro tra
l'ambasciatore Usa Zellerbach e Fanfani il 23 dicembre, quest'ultimo difese l'operato del
presidente dell'Eni, in quanto costretto a rivolgersi fuori dall'Europa perché era stato estromesso
dal mercato europeo della gomma sintetica ad opera degli americani
13
. Ciò che urtava inoltre gli
ambienti politici occidentali era l'apertura alla Cina, altro gigante che da qualche anno aveva
intrapreso la via del socialismo; in sostanza, gli alleati non potevano accettare di buon grado tale
direttrice in cui si erano incanalati tanto la diplomazia, tanto l'economia italiane.
Colui che più favorì l'avvicinamento tra le due parti fu senza dubbio l'ambasciatore italiano a
Mosca, Luca Pietromarchi, il quale a più riprese aveva incoraggiato Mattei ad incrementare lo
scambio commerciale, tramite una aumento delle importazioni di prodotti petroliferi dall'Urss;
ciò infatti avrebbe spalancato le porte dell'immenso mercato sovietico, da cui le imprese italiane
avrebbero potuto esportare e trarre generosi guadagni. Non solo, ma il beneficio economico
avrebbe fatto da base per un deciso apprezzamento della posizione e del peso in sede
internazionale di Roma, aspirando così a diventare ponte e cerniera tra i due blocchi.
L'ostacolo principale all'espansione del commercio italo-sovietico era rappresentato dalla
riluttanza del governo italiano a concedere l'assicurazione statale per crediti all'esportazione, che
12
B. Bagnato, Prove di Ostpolitik. Politica ed economia nella strategia italiana verso l'Unione Sovietica (1958-
1961), Leo S. Olschki Editore, Firenze, 2003, p. 335.
13
FRUS, 1958-1960, VII, part 2, n. 232, Memo of Conversation, Rome, December, 23, 1958.
12
quindi rischiava di rendere stabilmente debole la capacità contrattuale delle aziende italiane in
un settore in cui, il commercio con Mosca, esisteva una forte concorrenza inter-europea
14
.
Per l'Italia, era tuttavia fondamentale che vi fosse parità nello scambio, cioè che l'Urss
acquistasse merci dalle società del gruppo Eni per un valore pari a quello del greggio, oltre che i
prezzi fossero concorrenziali al pari di quelli internazionali.
Precedentemente si era accennato al fatto che il panorama del mercato internazionale del
petrolio aveva subito un mutamento determinante: in seguito alla scoperta di vasti giacimenti in
Africa del Nord e nella stessa Unione Sovietica, che portarono alla ribalta “un'immensa ondata
di petrolio che sommerse il mercato internazionale
15
”, le grandi compagnie furono costrette ad
operare ritocchi in basso sul prezzo di listino.
Una decisione di una tale portata, assunta unilateralmente, non poté che suscitare la reazione dei
paesi produttori; fu così che tra Venezuela, Arabia Saudita, Kuwait, Iran ed Iraq si trovò l'intesa
per rivedere il sistema fifty-fifty e per la difesa della struttura dei prezzi, dando origine
all'Organization of Petroleum Exporting Countries, che divenne effettiva tramite un accordo il
14 settembre 1960.
Questo per Mattei rappresentò un colpo, proprio perché riteneva possibile, in funzione anti-Sette
Sorelle, stabilire un'alleanza coi Paesi produttori; la sua strategia mirava infatti a “fornire
energia a costi più bassi di quelli praticati dal cartello internazionale, aggirando il monopolio dei
grandi giganti del petrolio e contribuendo in tal modo a procurare a paesi come l'Italia le
condizioni di base per uno sviluppo industriale rigoroso
16
”.
Le condizioni per l'accordo dell'ottobre 1960 furono poste in via definitiva nel corso del viaggio
del vice primo ministro Aleksej Kosygin a Roma, intrapreso con l’intenzione di rafforzare la
cooperazione italo-sovietica: Mosca infatti era decisamente bisognosa di tecnologia, con lo
scopo ultimo di realizzare un progetto che avrebbe di fatto rivoluzionato la carta energetica
dell’intero continente; si trattava di un oleodotto ideato per veicolare le risorse della Siberia
occidentale alle economie di Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia e Germania dell’Est. In
occasione della decima sessione del Comecon, tenutasi a Praga il 18 dicembre 1958, si era già
deciso di approvare il progetto per quello che poi sarebbe diventato l’oleodotto più esteso al
mondo.
14
B. Bagnato, Prove di Ostpolitik, cit., p. 347.
15
L. Maugeri, L'arma del petrolio: mitologia, storia e futuro della più controversa risorsa del mondo, Milano,
Feltrinelli, 2006, p. 219.
16
L. Maugeri, cit., p. 225.
13
Kosygin, ospite dell'ambasciatore Kozyrev a Roma, tenne un incontro con Mattei, al termine del
quale Ratti, responsabile del Servizio analisi di mercato dell'Eni, ebbe modo di notare che si
trattava di “una grande opportunità per ridurre la nostra dipendenza dalle forniture delle sette
sorelle e per dare nuovo, forte impulso alle nostre vendite nell'immenso mercato dell'Urss
17
”.
Avviate le trattative con Mosca, l'Eni affidò al suo servizio di “Analisi di mercato e sviluppo
commerciale” l'incarico di svolgere uno studio sull'industria petrolifera sovietica: nella
relazione, si sottolineava la ricchezza dell'Urss in quanto ad idrocarburi, e soprattutto delle
molteplici possibilità di incrementare la produzione sia petrolifera che di quella del gas naturale;
inoltre, notevoli ampliamenti erano in corso nelle reti di oleodotti e gasdotti .
Le esportazioni versi i paesi del blocco sovietico avevano costituito poco meno della metà
dell'export complessivo del 1959 ed erano costituite per il 60-70% da greggio e per la quota
restante principalmente da benzina e gasolio; i principali clienti dell'Urss erano, oltre alla Cina
Popolare, la Cecoslovacchia, la Polonia, la Germania orientale e l'Ungheria. Le esportazioni
russe verso i paesi non comunisti , al di sotto del milione di tonnellate nel 1952, erano
aumentate negli anni successivi, raggiungendo 3 milioni di t nel 1956 e 14 milioni nel 1959; una
parte sostanziale dell'esportazione sovietica era assorbita, oltre che dall'Italia, dai paesi
scandinavi, principalmente Finlandia e Svezia; altri importanti clienti erano la Repubblica
Araba Unita, la Germania occidentale, la Francia, l'Austria e la Grecia
18
.
Le cifre dell'accordo definito il 3 ottobre 1960 e frutto delle trattative portate avanti da Ratti e da
Cefis, vicepresidente di Snam, Anic ed Agip, furono: in totale, l’Urss avrebbe consegnato
all’Italia circa 12 milioni di tonnellate di petrolio, per un valore di 100 milioni di dollari; d’altro
canto, Roma si era impegnata a fornire al partner sovietico 240.000 tonnellate di tubi (prodotte
dalla Nuovo Pignone) e 50.000 tonnellate di gomma sintetica (prodotta da Anic) ed infine
macchinari ed attrezzature varie che compensavano il valore delle esportazioni di greggio
19
i
sovietici spinsero perché le quantità di greggio da fornire all’Eni aumentassero, avendo in
cambio un prezzo record, su cui si trovò l’accordo per 1,25$ al barile
20
. L’Ente Nazionale
Idrocarburi disponeva di aziende che producevano pompe (Nuovo Pignone
21
) e tubi (Finsider);
17
G. Ratti, Con Mattei all'estero, in Eni. Un’autobiografia, a cura di F. Venanzi e M. Faggiani, Torino, Sperling
e Kupfer, 1994, p. 198.
18
B. Bagnato, Prove di Ostpolitik, cit., p. 367.
19
ASMAE, Telegrammi, Russia, Arrivo, n° 1028, Pietromarchi a MAE, 3 ottobre 1960.
20
G. Ratti, Con Mattei all’estero, cit., p. 197.
21
Da industria prevalentemente orientata alla meccanica, la sua produzione fu trasformata grazie all’intuito di
Enrico Mattei verso la fabbricazione di macchinari ed apparecchiature per l’industria del petrolio, della
petrolchimica e della raffinazione. L’ENI l’aveva rilevata nel 1954 dal Gruppo Snia. Viscosa, in un periodo di
forte crisi per il settore.
14
è utile ricordare che l’infrastruttura opera ancora adesso, e vede la partecipazione di diverse
compagnie che si rifanno ai paesi attraverso cui la pipeline si dispiega: la Transneft (impresa
russa), Ukr TransNafta, TransPetrol per la Slovacchia, Mero in Repubblica Ceca, MOL in
Ungheria e Pern per Polonia e Germania
22
.
In questo modo veniva realizzata la Pipeline dell’amicizia, cosa che a Washington cominciò a
preoccupare, in relazione alla possibilità che l’Europa venisse a trovarsi in una posizione di
seria dipendenza dall’Urss; in particolare, le esportazioni di greggio sovietico avrebbero
consentito al Cremlino di dirottare maggiori risorse alle spesi militari, in una fase storica in cui,
benché si iniziasse a parlare di “disgelo”, Usa ed Urss arrivarono molto vicini allo scontro
nucleare per la questione dei missili di Cuba.
L’intero oleodotto fu messo in funzione nel 1964 e fu chiamato così perché riforniva di energia
gli Stati poveri di idrocarburi dell’Europa orientale; tale infrastruttura oggi consente
l’approvvigionamento petrolifero anche alla parte occidentale del continente.
Mattei, in un'intervista concessa alla rivista sovietica “Tempi nuovi”, si dichiarò molto
soddisfatto dell'accordo e definì l'Eni “il bambino disubbidiente”, riferendosi al fatto che l'Ente
applicava criteri commerciali diversi da quelli dei “vecchi monopoli del petrolio”
23
.
Per il presidente l'accordo era “essenzialmente una vantaggiosa transazione commerciale perché
i sovietici avrebbero fornito greggio a prezzi molto convenienti ed avrebbero importato prodotti
ed attrezzature di imprese nazionali pubbliche e private
24
.
I motivi che spinsero Mattei sulla strada per Mosca erano tuttavia legati non solo alla
prospettiva di legare le importazioni di prodotti petroliferi alle esportazioni di beni italiani, ma
anche alla relazione sempre contrastata che l'Eni manteneva con le grandi compagnie: Mattei,
“preso alla gola dalla politica delle Sette Sorelle, non trova altro scampo al caro petrolio e
ricorre alla strada di Mosca […]. Per gli italiani l'affare consiste nel comprare al di sotto dei
prezzi di cartello e nel piazzare gomma sintetica di produzione Eni; per i sovietici nel piazzare
petrolio ricevendo prodotti finiti
25
”.
In sostanza, quindi, si comprende come la svolta impressa dall'ingegnere sia stata determinante
nello spezzare le logiche monopolistiche del cartello del petrolio: l'apertura all'Urss allora
prendeva sempre più le sembianze di una sfida estrema alle majors anglo-americane, minacciate
22
Da “Druzhba Pipeline” in http://www.pipelinesinternational.com.
23
ASMAE, Telegrammi, Russia, Arrivo, E. Carrara, Mosca, a MAE, n° 1085, 21 ottobre 1960.
24
G. Ratti, Con Mattei all'estero, cit., p. 199.
25
I. Pietra, Mattei, la pecora nera, Milano, Sugarco, 1979, p. 160.
15
dalla possibilità che l'Eni vendesse la propria benzina ad un prezzo talmente basso da tagliarle
fuori dal mercato, con l'ulteriore ostacolo creatosi con la nascita dell'Opec; l'accordo con i
sovietici potrebbe diversamente essere letto come una mossa strumentale per costringere le sette
sorelle a trattare con Mattei ed accettarlo, così, de facto, nel loro inner circle.
Per chiudere, quindi, l'incontro tra i due paesi era inevitabile, dal momento che l'Eni aveva
offerto all'Unione Sovietica ciò che Mosca cercava – l'apertura del mercato dell'Europa
occidentale ai suoi prodotti petroliferi – mentre Mattei incarnava la riluttanza alle regole del
mercato petrolifero.
Il 31 agosto 1960 il ministro italiano del Commerci estero Martinelli fu inviato da Kozyrev, con
cui discusse della possibilità di nuovi accordi commerciali; l'inizio dei negoziati fu posticipato
dal novembre di quell'anno al gennaio successivo e le previsioni erano tutte a favore di un
aumento dell'interscambio, addirittura del 100%; è necessario per altro precisare che l'accordo
avrebbe abbracciato il periodo 1962-1965 (questo a causa dell'abitudine sovietica a ragionare
per pianificazione), con un incremento progressivo ogni anno in ciascun senso.
Nel febbraio 1961 i tempi erano maturi per la sigla dell'accordo: questo avrebbe contribuito a
far incrementare ulteriormente l'interscambio bilaterale che nel 1960 era stato di quasi 200
milioni di dollari e sarebbe stato nel 1961 di circa 240 milioni; Alverà, il presidente della
delegazione italiana, si disse convinto che il nuovo accordo a lungo termine avrebbe avuto per i
due paesi “una grande importanza”. L'articolo III precisava che i due governi avrebbero fatto
tutto ciò che era nelle loro possibilità per stabilizzare il prezzo delle merci oggetto degli scambi
alla luce dell'evoluzione dei prezzi mondiali.
In realtà, rispetto alle indicazioni iniziali, l'accordo infine concluso risultava molto meno
ottimista; ciò lo si deve al fatto che i criteri seguiti dalla delegazione italiana erano stati più di
carattere politico che non economico. Infatti, se se quest'ultimo piano l'interscambio era
particolarmente redditizio per le imprese nazionali, dall'altro, per ragioni prettamente politiche,
si intendeva evitare di far in modo che fosse l'Urss a dare un contributo di un certo rilievo nella
soluzione dei gravi problemi occupazionali nella penisola
26
.
A parere di alcuni analisti americani, il rifornimento energetico, ed in generale gli scambi
economici erano considerati da Mosca un’arma politica, per cui era possibile parlare di un
intento sovietico di porre il Vecchio Continente sotto il proprio controllo e di convertire il
mondo al comunismo
27
; altro rischio era che Mosca potesse interrompere a proprio piacimento i
26
ASMAE, Gabinetto A/52, Viaggi, Documentazione per la visita del presidente del Consiglio Amintore
Fanfani, fasc. Problemi economici.
27
National Petrolium Council, Impact of Oil Exports from the Soviet Bloc, voll. I-II, 1962.
16
flussi di petrolio
28
ed in ultima il sospetto che Mattei non fosse altro che la testa di ponte di
un’invasione energetica da parte del Cremlino.
A più riprese Mattei fu costretto a difendersi dalle accuse rivoltegli soprattutto da oltreoceano, a
sua volta accusando le majors occidentali di escludere l’ENI dalle grandi operazioni nel campo
energetico; i sospetti di un coinvolgimento del numero uno dell’Ente coi sovietici derivavano
anche dal progetto di Mattei di costruire una pipeline che dalle coste adriatiche giungesse in
Austria, con una diramazione che sarebbe arrivata fino quasi alle porte di Bratislava, punto di
arrivo dell’Oleodotto dell’Amicizia (Druzhba). Non solo, ma gli Usa trovavano una forma di
sgarbo inflitta alle grandi aziende americane il fatto che l’ENI, agevolata dal basso prezzo del
petrolio che riusciva a strappare da Mosca, lo rivendesse di conseguenza a buon mercato
rispetto per esempio alla Esso, di proprietà Exxon, una delle maggiori imprese petrolifere al
mondo
29
. Grazie all’ultimo contratto dell’ENI, si calcolava che il risparmio sul greggio da parte
dell’Agip raggiungesse il 40%.
In Italia, tuttavia, la posizione dell'industria pubblica petrolifera non poteva essere che diversa:
qualora Mosca non avesse aperto all’Italia in quanto a forniture di energia, riflettevano all’ENI,
il futuro per il nostro paese in quanto a rifornimenti di energia sarebbe stato eccessivamente
dipendente dal cartello delle grandi compagnie; inoltre, e questo era il punto su cui veramente si
fondava la posizione dell’Ente Nazionale Idrocarburi, sarebbe convenuto agli Usa opporsi ad un
progetto che per l’Italia ed una delle sue massime aziende a livello internazionale non sarebbe
stato che vantaggioso?
Su queste basi si rese necessario aprire un dialogo tra i due: il 10 marzo 1961 a Roma ebbe
allora luogo un vertice tra Mattei ed Averel Harriman, ambasciatore itinerante di Kennedy,
stabilendo un primo contatto tra Washington e l’azienda italiana; poco dopo, fu George Ball,
sottosegretario di Stato, a far visita al presidente dell’ENI, il quale spiegò che Mosca avrebbe
provveduto al 15% del fabbisogno energetico nazionale, una quota alla lunga inferiore rispetto
ad altri Paesi europei. Qui però andavano a scontrarsi due posizioni tra loro diverse, perché in
sede atlantica non erano del tutto convinti della bontà della scelta dell'ingegnere.
Il grado di dipendenza dei paesi della Nato dalle importazioni di petrolio sovietico, sul totale
delle importazioni, variava dallo 0,2 dei Paesi Bassi al 21,5 della Grecia; il 14,8% dell'Italia non
era pertanto ben visto dagli alleati occidentali.
28
H. Lubell, The Soviet Oil Offensive and Inter-Bloc Economic Competition, 1961, The Rand Corporation.
29
S. Casertano, cit., p. 41.
17