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Capitolo 1
Introduzione
La neve gioca un ruolo fondamentale all’interno del ciclo idrologico, non solo nel territorio
italiano ma anche in molte altre parti del mondo. Gli apporti dovuti alla fusione della neve sono
le principali fonti di alimentazione degli acquiferi e dei corsi d’acqua ubicati nei settori montani e
costituiscono un rifornimento d’acqua importante dilazionato nell’arco di molti mesi. Uno scarso
accumulo di neve durante la stagione invernale nelle zone montuose potrà influenzare
negativamente le portate dei corsi d’acqua superficiali e le sorgenti fino oltre l’intera stagione
estiva.
Considerando, quindi, il manto nevoso come una scorta di acqua superficiale
temporaneamente stoccata, esso può avere un effetto di amplificazione oppure di smorzamento
di un evento di pioggia sul flusso di corsi d’acqua superficiali e sotterranei. Le proprietà fisiche
della neve, le quali cambiano nel tempo, hanno un effetto sia sulla magnitudine che sul tempismo
del deflusso dell’acqua di fusione (snowmelt). Da qui l’importanza di conoscere le caratteristiche
fisiche del manto nevoso, seguendone l’evoluzione nel tempo, per poterne così prevedere con
accuratezza l’ablazione.
A questo scopo sono necessari diversi algoritmi di fusione neve da implementare col sistema
di modellazione idrologica già esistente. Alcuni di questi sono fisicamente basati, come ad
esempio i modelli di bilancio energetico di superficie (surface energy balance), e quindi
intrinsecamente dipendenti dai molteplici processi fisici che influenzano la fusione del pacco
nevoso; ma le osservazioni meteorologiche e le misurazioni sul campo necessarie – quali umidità
Capitolo 1 Introduzione
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relativa, velocità del vento, copertura nuvolosa e radiazione solare – sono raramente disponibili,
nella maggior parte dei bacini italiani d’alta montagna. Si è così costretti ad utilizzare modelli
empirici, basati su indici tarati con l’esperienza e da modificare tra un’applicazione e l’altra per
essere utilizzabili in una zona diversa da quella per cui sono nati. La maggior parte di essi è basato
sul metodo dei gradi-giorno (degree-day method), il quale calcola la quantità di mm equivalenti di
acqua di fusione prodotta moltiplicando il numero di gradi-giorno (temperatura media giornaliera
positiva) per un fattore di fusione, che dipende generalmente dal tipo di bacino considerato e
dalla stagione in cui avviene il calcolo. Il vantaggio di un approccio così semplicistico sta nel fatto
che normalmente gli unici dati di ingresso richiesti sono le temperature massima e minima
giornaliere, assieme ai dati di precipitazione e di portata per la taratura.
Inizialmente i modelli di fusione neve avevano un dettaglio limitato, sia per quanto riguarda il
tipo di approccio ed i processi fisici analizzati, sia per la precisione spaziale. Si usano ancora, ad
esempio per semplicità o mancanza di dati, modelli che suddividono l’area del bacino imbrifero in
zone, in base all’altitudine o alle caratteristiche fisiche, alle quali vengono affidati di versi indici o
fattori di fusione. Oggi l’idrologia può fare affidamento su computer sempre più veloci,
tecnologie di localizzazione geografica assoluta (GIS) ed ancora modelli tridimensionali di terreno
(DEM) ed immagini satellitari. Grazie a questo si sono sviluppati modelli distribuiti di fusione
neve che controllano più dettagliatamente l’evolversi dei processi fisici in ogni cella del bacino,
potendo tener conto degli aspetti geomorfologici, quali inclinazione e pendenza del terreno,
altitudine di ogni celletta, copertura vegetale, esposizione al vento ed alla radiazione solare.
Negli ultimi anni la ricerca idrologica si sta concentrando sulla modellazione tridimensionale
dei processi di scambio energetico all’interno della copertura nevosa, seguendo l’accumulo e
l’ablazione da immagini satellitari, sfruttando il potenziale del falso colore per identificare albedo
(età e stato di metamorfosi), densità, spessore e qualità della neve. Nei casi di sperimentazione di
alcuni modelli, sono state utilizzate sequenze complete di immagini satellitari, ben supportate da
dati e rilevamenti al suolo molto particolari e precisi, con strumenti all’avanguardia ed in numero
molto elevato. Casi tuttora rari, se non per zone sotto stretto controllo da organizzazioni di
ricerca (spesso corpi militari) o monitorate in tempo reale per la previsione di valanghe.
Nella realtà più comune, e soprattutto in Italia, nei bacini alpini si trovano poche stazioni
meteorologiche e non idonee a fornire molti dei dati richiesti dai modelli fisicamente basati più
complessi – come ad esempio dati di irraggiamento, umidità dell’aria e temperatura della neve a
diverse profondità del manto. Nella maggior parte dei casi si hanno a disposizione i dati orari (o
giornalieri) di precipitazione, temperatura, altezza di neve al suolo, velocità e direzione del vento.
Introduzione Capitolo 1
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Da qui la necessità di elaborare un modello matematico apposito per la trattazione dei dati
relativi al manto nevoso sulle Alpi italiane, con la caratteristica di essere semplice da applicare, ma
senza pregiudicare l’affidabilità, e con una richiesta minima di dati di ingresso. In questa tesi è
stato quindi formulato un modello fisicamente basato, seguendo la teoria del bilancio energetico
superficiale, correlando i principali processi fisici legati all’ablazione del manto nevoso ai soli dati
di input facilmente reperibili. In particolare non è stato trascurato il fenomeno dell’esposizione
alla radiazione solare, non disponendo dei dati strumentali di irraggiamento, contributo
fondamentale alla fusione nivale nel bacino idrografico esaminato, in cui non è presente alcuna
copertura vegetale.
Grazie ad un approccio di tipo tridimensionale, usufruendo del DEM regionale, si è suddiviso
il bacino sperimentale in celle quadrate, tenendo conto così dell’e sposizione di ogn’una di esse ai
raggi solari nelle diverse ore della giornata. I dati di input utilizzati per la modellazione sono i
valori orari di temperatura dell’aria, precipitazione e velocità del vento. Avendo attribuito un
significato fisico ad ogni contributo di fusione, questo modello può essere applicato su tutti i
bacini con caratteristiche geomorfologiche simili a quelle dell’area di studio, senza la necessità di
particolari tarature e quindi anche su quei bacini sprovvisti di monitoraggio continuo della portata
di deflusso.
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Capitolo 2
Diversi approcci alla tematica nivale
Definiamo come “idrologia di bacino” quella branca dell’Idrologia che si occupa della
integrazione dei processi idrologici su scala di bacino idrografico per valutarne la risposta. Per
“modello idrologico”, invece, si intende una riproduzione, o astrazione, del sistema idrologico
reale del bacino oggetto del nostro studio, rappresentando in forma matematica i componenti del
ciclo idrologico, rendendo così possibile una correlazione tra i dati di ingresso e quelli in uscita. I
processi idrologici operativi, e la loro non-uniformità spaziale, sono definiti dal clima, dalla
topografia, dalla geologia, dalla tipologia del terreno e della vegetazione, dall’uso del suolo, e sono
direttamente correlati all’estensione del bacino.
Questi modelli sono utilizzati, in media scala, per la pianificazione, la progettazione e la
realizzazione di opere, per la gestione e la conservazione della qualità di risorse idriche ed uso del
suolo, per la regimentazione dei corsi d’acqua, per la previsione delle portate di deflusso, per
prevenzione valanghe. Su larghe scale, i modelli sono usati per la costruzione di opere di
protezione dalle piene, progettazione e controllo di dighe nuove, o riabilitazione di vecchie
strutture, per previsione, pianificazione e valutazione di risorse idriche e qualità dell’acqua (Singh
& Woolhiser, 2002).
Nel presente capitolo, per prima cosa, analizzo i principi teorici basilari dell’idrologia dei
bacini nevosi, concentrando l’attenzione sugli approcci normalmente utilizzati per stimare il
deflusso dovuto alla fusione della neve, dando una classificazione generale dei modelli matematici
che utilizzano questi approcci.
Capitolo 2 Diversi approcci alla tematica nivale
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2.1. Classificazione dei modelli idrologici
La struttura e l’architettura di un modello sono determinate dall’obiettivo per il quale è stato
costruito. Per esempio, un modello idrologico per la previsione delle piene è diverso da uno per
operazioni di generazione e riserva di potenza idrica (per energia elettrica). Così come un modello
per la pianificazione di risorse idriche è significativamente differente da uno usato per il progetto
e la gestione ecologica di risorse d’acqua. In base a questo considererò esclusivamente modelli
matematici di fusione nivale e formazione dei deflussi, ovvero quel sottogruppo di modelli
idrologici che si occupano di simulare le altezze, in mm d’acqua equivalente (SWE - Snow Water
Equivalent), di scioglimento del manto nevoso e di stimare le portate di deflusso dai bacini alpini.
2.1.1. Classificazione relativa alla natura del modello
Normalmente si possono distinguere tra modelli fisicamente basati, concettuali ed empirici
(Singh, 2001), in base al tipo di approccio utilizzato, dei processi considerati nella simulazione e
dalla natura dei dati di input che vengono elaborati.
(a) Modelli fisicamente basati. Essi modellano matematicamente il fenomeno di studio tenendo
conto di leggi fisiche, legate direttamente coi dati di ingresso e con le caratteristiche del bacino
idrografico. Per questo, possono essere applicati a contesti (bacini, comprensori) diversi da quello
per il quale sono stati costruiti. Spesso sono i modelli più complicati, soprattutto per quanto
riguarda lo scioglimento nivale, in quanto tengono conto di un elevato numero di parametri legati
ad altrettanti fenomeni fisici e caratteristiche geomorfologiche o meteorologiche. In più
necessitano di un gran numero di dati di ingresso, spesso difficili o addirittura impossibili da
ottenere in determinati bacini montani.
(b) Modelli empirici. Sono costruiti attraverso la raccolta, l’osservazione e l’elaborazione di dati
di ingresso e di uscita misurati nel contesto di studio, per un lasso di tempo sufficiente a tarare il
modello. Si basano su relazioni matematiche non direttamente connesse ai fenomeni
rappresentati ma che dimostrano di descriverli correttamente. Data la loro origine, però, hanno
un’applicabilità limitata al di fuori del contesto per il quale sono stati creati.
(c) Modelli concettuali. Possono essere considerati una via di mezzo tra i modelli fisici e quelli
empirici. Utilizzano, in genere, leggi fisiche ma in forma semplificata, attraverso analogie tra
processi reali ed il comportamento di elementi concettuali, e quindi di comportamento noto
(come ad esempio i serbatoi lineari).
Diversi approcci alla tematica nivale Capitolo 2
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2.1.2. Definizione del bacino
Ci sono due tipi di approccio per definire un modello in base alla distribuzione delle
caratteristiche del bacino e dei vari dati di ingresso: concentrato e distribuito.
(a) Modello concentrato. La maggior parte delle formulazioni sviluppano equazioni differenziali a
tre dimensioni spaziali e nel tempo. Nel caso siano ignorate le derivate spaziali, il modello viene
chiamato “concentrato”. Esso assume che la progressione di ogni variabile attraverso il tempo (ad
esempio pioggia, neve e l’umidità del suolo) possa essere ridotta alla computazione di un singolo
algoritmo che rappresenta l’intero bacino. Ne comporta spesso l’utilizzo di valori medi, per i
parametri adottati, su tutta l’estensione del bacino. Questa è un’as sunzione estremamente
semplificativa in bacini che hanno una vasta varietà di caratteristiche fisiche, ma in altri casi risulta
la soluzione migliore, per rapidità di calcolo e caratteristiche omogenee su tutta l’area di studio.
figura (2-1) – Particolare di una cella in un esempio di modello distribuito
(b) Modello distribuito. I n questo modello, il bacino è suddiviso in sotto-unità di pari estensione
(celle) nelle quali le rispettive variabili vengono calcolate separatamente per ognuna di essa (figura
2-1). I dati di output da ogni sotto-unità è combinata alle altre per formare il deflusso totale del
bacino. Questo tipo di modelli si è sviluppato con l’avvento dei sistemi di localizzazione
geografica GIS, lo sviluppo dei sistemi computerizzati e con la creazione dei modelli digitali
tridimensionali del terreno (DEM). La formulazione di modelli distribuiti è richiesta per
simulazioni continue, nelle quali il modello opera in periodi di basso flusso, simulando gli effetti
Capitolo 2 Diversi approcci alla tematica nivale
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delle perdite per evapotraspirazione, infiltrazione nel suolo e di altre variabili che normalmente
sono poco importanti se si considerano brevi periodi di deflusso.
(c) Modello semi-distribuito. E sso è una classe intermedia tra le due precedentemente citate. Essi
suddividono il bacino in zone o bande basate sulla quota o su altre proprietà (ad esempio
caratteristiche geologiche, presenza o meno di vegetazione e specie, uso del suolo). Là dove
queste caratteristiche sono uguali, o comprese entro determinati intervalli, si formano delle aree
(o sottobacini) sulle quali vengono applicati gli stessi algoritmi con gli stessi parametri,
solitamente mediati. Precipitazioni, neve, umidità del suolo, etc. sono tipicamente messe in
relazione alla quota altimetrica e sono simulate indipendentemente l’una dall’altra. Infine, l’output
di ogni banda è sommato ai contigui per generare l’input dell’algoritmo di trasformazione per
ottenere il deflusso del bacino totale. Ad esempio, nella figura 2-2, è rappresentata una sezione
trasversale di un tipico bacino che mostra le diverse zone di altitudine, all’interno delle quali si
distinguono i diversi fenomeni controllati dalla quota, come: nevicate, al disopra della quota z
S
(corrispondente alla quota dove si raggiunge la temperatura soglia per precipitazioni nevose T
S
);
piogge, al disotto della suddetta soglia; fusione del manto nevoso, al disotto della quota z
m
(altitudine al di sotto della quale si ha una temperatura che permette la fusione della neve).
figura (2-2) – Esempio di modello (PACK) semi-distribuito (Bell & Moore, 1 999)
Diversi approcci alla tematica nivale Capitolo 2
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2.1.3. Richiesta ed acquisizione dei dati
Frequentemente, il tipo di modello che viene costruito viene dettato dalla tipologia e dalla
quantità dei dati disponibili. In generale, i modelli distribuiti necessitano di una maggior quantità
di dati rispetto ai modelli concentrati. In molti casi alcuni dati non esistono o non sono completi.
Per questa ragione si tende a semplificare gli algoritmi e a creare zone o regioni di quota. Nel caso
i dati richiesti siano reperibili, i problemi rimangono legati alla loro incompletezza, imprecisione e
disomogeneità.
I dati richiesti per la modellazione idrologica sui bacini sono di tipo meteorologico,
geomorfologico, agricolo, pedologico, geologico, idrologico ed idrogeologico. I dati idro-
meteorologici includono pioggia, caduta neve, temperatura, radiazione solare, umidità dell’aria,
pressione di vapore, ore di sole, velocità del vento ed evapotraspirazione. I dati agriculturali
includono copertura vegetale, uso del suolo, trattamenti ed uso di fertilizzanti. I dati pedologici
comprendono tipo di suolo, conformazione e struttura, età e condizione del terreno, porosità,
contenuto di umidità, conduttività idraulica di saturazione e granulometria. I dati geologici quali la
stratigrafia, la litologia ed il controllo strutturale. I dati geomorfologici includono mappe
topografiche con linee di livello, rete fluviale, aree di drenaggio, inclinazioni dei pendii e area del
bacino. I dati idrologici ed idrogeologici sono costituiti da altezze di precipitazione, deflusso dei
fiumi, flusso di base ed all’interno degli acquiferi, interazione di quest’ultimi con il sistema delle
acque superficiali, spartiacque sotterranei.
Con lo svilupparsi delle tecnologie di acquisizione dei dati, soprattutto quelle satellitari e
radar, si sono evoluti anche i modelli idrologici (vedi gli studi di Dozier, 1989; Dozier &
Painter, 2004; Daly at al., 2000; Cline et al., 1998; Elder et al., 1991 e 1998; Molotch et al.,
2001). I dati di ingresso di molti modelli successivi gli anni ottanta, infatti, comprendono anche
immagini satellitari per rilevare la copertura nevosa o semplicemente immagini aeree del bacino di
studio per identificare la copertura vegetale presente. Questi metodi si sono rivelati molto comodi
ed interessanti per via dell’elevata difficoltà, che si incontra spesso, nell’ottenere campi di
misurazioni completi in sito in alta montagna. Vengono infatti utilizzati per ottenere dati di
distribuzione spaziale di input meteorologici, parametri del terreno ed uso del suolo, rete iniziale
dei corsi d’acqua, condizioni della copertura nevosa, parametri della qualità dell’acqua superficiale,
etc.
La possibilità di misurare e definire le proprietà del manto nevoso è determinata in larga
misura dalle lunghezze d’onda che vengono registrate dagli strumenti satellitari. Le lunghezze
d’onda nel visibile e nell’infrarosso vicino, siccome non penetrano all’interno della neve, danno
Capitolo 2 Diversi approcci alla tematica nivale
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principalmente informazioni riguardo lo stato della superficie nevosa (estensione spaziale, età,
albedo, etc.); diversamente, le micro-onde possono penetrare nel manto nevoso, procurando dati
volumetrici della copertura nevosa (Bales & Harri n g to n, 1 995).
Anche le comunicazioni radar si sono evolute per misurazioni idrologiche. In contrasto con le
rilevazioni puntuali degli strumenti classici di misura delle precipitazioni, il vantaggio delle
misurazioni radar è che esse procurano una mappatura spaziale delle precipitazioni, la quale è
estremamente utile nei modelli distribuiti. Addirittura, la Natural Resources Conservation Service
gestisce dati in tempo reale sulle caratteristiche del manto nevoso da una rete di 500 siti di
telemetri nivali localizzati in aree montane remote nell’Ovest degli Stati Uniti. Queste misurazioni
puntuali sono raccolte dai sistemi remoti satellitari per elaborare una distribuzione spaziale e
temporale delle proprietà del manto nevoso (Singh, 2002).
Concludendo, riguardo le innovazioni tecnologiche non si può non citare la mappatura
digitale in 3D del terreno (DTM) o modelli DEM. Dai DEM si possono estrarre
automaticamente molte informazioni topografiche, quali la geometria del bacino, la rete dei corsi
d’acqua, l’inclinazione e la direzione dei pendii, la direzione dei flussi individuate le linee
spartiacque, etc. ottimizzando le elaborazioni e ottenendo dei modelli distribuiti ancora più
dettagliati.