Introduzione
Questo per coloro che seguono ragionamenti rigorosi e formalizzati, può non
essere accettabile, ma è comunque un modo per interpretare le relazioni esistenti fra gli
aggregati economici, non sempre possibile con modelli formalizzati.
Ciò porta alla possibilità di considerare anche variabili aggiuntive nei modelli
definiti, volte a correggere e ad integrare teorie poco rispondenti alla realtà (un caso
tipico è il realizzarsi della Parità del Potere di Acquisto), o comunque volte ad ampliare
la gamma di relazioni considerate fra il tasso di cambio e gli aggregati economici che
vanno a determinarlo.
Il tasso di cambio studiato in questo lavoro, è il tasso di cambio DM/$; questo
tasso é il più studiato ed è quindi anche un mezzo per il confronto di risultati e
conclusioni. Ciò non vuol necessariamente dire, che i risultati positivi ottenuti con l’uso
del tasso di cambio DM/$, siano generalizzabili ad altre esperienze anche
completamente diverse.
Per la verifica delle potenzialità interpretative dei modelli di determinazione dei
tassi di cambio, ho iniziato con il replicare i risultati ottenuti da alcuni autori (Frenkel
(1976), Frankel (1979, 1980), Dornbusch (1976) e Bilson (1978)), per quanto ciò fosse
possibile, al fine di verificare la conformità della mia base empirica con quella originale
degli autori.
Gli autori citati fanno parte del gruppo di coloro che accettano come valida la
teoria monetaria per la determinazione del tasso di cambio. Quest’ultima è stata
sottoposta ad accese critiche per la visione parziale della realtà che va a rappresentare
ed è stata quindi il mio punto di partenza per scoprire ciò che è necessario correggere al
fine di migliorare i risultati ottenuti.
E’ utile aggiungere che le possibili difformità fra teoria e risultati empirici che si
riscontrano, sono anche legati ai diversi periodi di analisi. L’arco temporale da me preso
a riferimento va da Gennaio 1973 all’Agosto 1994, considerando dati mensili e
trimestrali
Introduzione
E’ impensabile l’idea di poter “trovare” un modello adatto ad interpretare
l’andamento del tasso di cambio (qualunque esso sia) per un periodo così ampio, anche
se credo sia nella speranza di ogni studioso. In venti anni la situazione economica,
politica ed istituzionale dei due paesi presi a riferimento è cambiata, di conseguenza
sono cambiati anche i meccanismi di determinazione del tasso di cambio e quindi la
possibilità di ritenere validi alcuni modelli e non altri.
Anche se non può accettarsi un modello per la stima di un periodo molto ampio è
comunque possibile verificare l’esistenza di una relazione di lungo periodo fra le
determinanti del tasso di cambio, ponendo in essere un’analisi di cointegrazione.
Anche in questo ambito la possibilità di ottenere risultati favorevoli, dipende
molto dal periodo di riferimento e dalle tecniche di analisi usate. Differenze in questi
oggetti, ma anche nella fonte ed elaborazione dei dati, fanno pervenire a risultati diversi
ed anche contrastanti da parte di più studi (Meese-Rogoff (1983), Tronzano (1990),
Baillie-Selover (1987), Alexander-Thomas (1987), Fiorentini (1990), McNown-Wallace
(1989)).
Questo aspetto ha due sfaccettature: da una parte si da vita ad un confronto, con la
possibilità di avvicinarsi sempre più a meccanismi interpretativi corretti; dall’altra c’è il
rischio che ognuno rimanga sulle proprie posizioni senza che vi sia la possibilità di
un’analisi obiettiva. Questo ha portato negli anni passati, ma porta tutt’ora, allo
sviluppo di diverse teorie che non possono però ritenersi valide in assoluto, in quanto
sostenute da ipotesi limitative.
Posso sembrare ripetitiva, nell’espressione di alcuni concetti, ma ritengo (in base
a quanto espresso da lavori di terzi e da quanto ottenuto in questo studio), che siano
argomenti importanti ai quali va data una più adeguata attenzione.
Sullo stesso piano dei modelli monetari, si pone il modello Mundell-Fleming
(Pentecost (1991), MacDonald (1988)); anche questo come i primi fa riferimento ad una
Introduzione
teoria, quella di Bilancia dei Pagamenti; un aspetto delle molteplici relazioni esistenti a
livello economico.
Si individuano così in questa sede due correnti: quella in cui è la moneta il
principale elemento che va ad influire sul tasso di cambio (approccio di stock) e quella
in cui è la Bilancia dei Pagamenti l’elemento dominante (approccio di flussi).
Riconoscendosi considerevole importanza ad entrambi gli approcci, come
osservato da alcuni economisti, può essere utile verificare cosa accade se si “da vita” ad
un modello che incorpora entrambe; ciò che si ottiene è un “modello eclettico”: prende
spunto da teorie eterogenee, ma non è sostenuto da nessuna in particolare.
Così come con l’introduzione delle ”news” fra le variabili volte a spiegare il tasso
di cambio. Queste pur avendo diversa natura (attese circa l’andamento di alcuni
aggregati, riflessi psicologici per il realizzarsi di un evento, etc.), generano effetti
nell’andamento del tasso di cambio di minore o maggiore rilevanza a seconda
dell’oggetto cui si riferiscono. Queste variabili tendono ad assumere nel tempo un ruolo
sempre più rilevante, in quanto si è riconosciuta la loro importanza (Dornbusch (1980),
Doukas-Lifland (1994), Daddi-Tivegna (1990).
Il considerare le “news” nel processo di determinazione del tasso di cambio
evidenzia una maggiore attenzione alla realtà economica così come si pone,
rappresentata con “modelli eclettici”, ma che si avvicinano sempre più a ciò che tentano
di spiegare, cioè la realtà dei mercati.
L’analisi dei modelli di determinazione dei tassi di cambio da me condotta, segue
il seguente schema.
Nel primo capitolo sono espresse teorie, concetti e formulazioni relativi ai modelli
monetari e di portafoglio, con particolare attenzione ai primi.
Nel secondo capitolo sono riportati i risultati dei test econometrici condotti sui
modelli monetari, evidenziando i problemi e le possibili soluzioni. I test sono stati
condotti con l’utilizzo dei pacchetti econometrici «MFIT386» ed «AREMOS»,
Introduzione
impiegati nelle tecniche di stima dei Minimi Quadrati Ordinari, della Massima
Verosimiglianza e dei test di Johansen e Dickey-Fuller.
Nel terzo capitolo ho trattato l’argomento della cointegrazione, al fine di
verificare possibili relazioni di lungo periodo fra i fondamentali macroeconomici, che
concorrono a determinare il tasso di cambio nei modelli monetari, sia nel caso bivariato
che multivariato.
Nel quarto capitolo ho analizzato il modello Mundell-Fleming, in termini teorici
ed econometrici, verificando quanto la sua formulazione sia adatta a definire
l’andamento del cambio DM/$.
Nel quinto capitolo ho preso in considerazione le ”news”, volendo evidenziare
l’importanza di queste variabili sia come singole determinanti che congiuntamente ai
modelli monetari e Mundell-Fleming definiti dalla teoria.
Nel capitolo sesto ho analizzato i risultati del test condotto su un “modello
eclettico”, che ingloba in sè una specificazione monetaria e le variabili di Bilancia dei
Pagamenti.
Infine nel capitolo settimo ho verificato le performance previsive dei modelli che
hanno dato i migliori risultati in termini di analisi interpretativa, facendo riferimento
alla teoria di Meese-Rogoff (1983).
CAP 1. I TASSI DI CAMBIO
L'espandersi dei rapporti internazionali, in particolar modo quelli di tipo
commerciale e finanziario, ha reso sempre più importante l'andamento del tasso di
cambio.
Nella concezione tradizionale, questa variabile viene concepita come prezzo
relativo di due outputs nazionali. In una visione più moderna il tasso di cambio è
invece definito come il prezzo relativo di due stock monetari di due paesi diversi
1
.
Le motivazioni di queste due interpretazioni possono trovarsi nella situazione
economica-istituzionale del periodo preso a riferimento: negli anni '70 assumevano
particolare importanza gli scambi commerciali, per la limitata possibilità di poter porre
in essere attività che comportassero la circolazione di capitali. Di conseguenza vi era
una forte influenza delle variabili economiche e di prezzo.
Negli anni '80 assumono maggiore importanza le variabili finanziarie. Da qui la
visione più moderna del tasso di cambio.
Questo indicatore esercita una forte influenza sugli aggregati macroeconomici ed
assume particolare valore, soprattutto in una economia aperta, anche perché è un prezzo
relativo.
L'espressione di tasso di cambio in una concezione più moderna, è legata anche al
regime valutario vigente, ossia quello dei cambi flessibili. In questo contesto assume
una particolare importanza la possibilità di poter determinare l'andamento
dei tassi di cambio, per le implicazioni che questi hanno sulle transazioni e le
attività finanziarie.
1
Vedere Tronzano (1990), pp. 1-7
CAPITOLO 1 I tassi di cambio
§ 1.1 PERCHE' DUE TEORIE PER I TASSI DI CAMBIO
L'esistenza di due distinte definizioni per i tassi di cambio, deriva anche
dall'esistenza di due teorie: la teoria tradizionale (o flow-approach) e la teoria dell'asset-
market-approach (o stock approach)
2
.
1.1.1 LA TEORIA TRADIZIONALE
L'approccio tradizionale alla determinazione dei tassi di cambio, formulata negli
anni '50, pone le sue basi su di un'analisi di equilibrio parziale. Il mercato valutario è
considerato simile al mercato di un qualsiasi altro bene ed in quanto tale il prezzo di
equilibrio è determinato dall'intersezione fra le curve di domanda e di offerta
(Kindelberger 1973). Altra caratteristica fondamentale di questo approccio, è di
descrivere l'equilibrio che viene a realizzarsi sul mercato valutario, in termini di flussi e
di conseguenza definire il tasso di cambio di equilibrio come il "particolare prezzo
relativo tra due monete al quale i flussi della domanda e dell'offerta di valuta estera si
eguagliano"
3
.
Il prezzo di equilibrio si determina facendo esclusivamente riferimento alla
Bilancia Commerciale e quindi, alle condizioni di equilibrio che vengono a determinarsi
sui mercati dei due beni nei due paesi considerati.
Nel modello tradizionale gli effetti dei movimenti di capitale sui tassi di cambio
sono limitati, in quanto considerati esogeni. Nei confronti di questa teoria si sono
sollevate molte critiche
4
, soprattutto perché si fonda su di uno schema di equilibrio
2
Per ulteriori chiarimenti, vedere il Tronzano (1990), pp. 8-48.
3
Da Gandolfo (1994), pp. 365-366.
4
Critiche alla teoria tradizionale sono esposte in Tronzano (1990), pp. 16-20.
CAPITOLO 1 I tassi di cambio
parziale . Considera infatti, solo alcuni degli aspetti essenziali per la determinazione del
tasso di cambio:
- il primo è l'importanza riconosciuta ai fattori reali e quindi l'attenzione
verso la Bilancia Commerciale;
- il secondo è la concezione del tasso di cambio esclusivamente come risultante
di un equilibrio in termini di flussi (non si considerano le eventuali interazioni fra
stocks e flussi, cioè fra i saldi delle Partite Correnti e dei Movimenti di Capitale).
1.1.2 LA TEORIA MODERNA
In contrapposizione con la precedente teoria, viene a delinearsi nel corso degli
anni '70 una nuova teoria basata sulle attività finanziarie
5
.
Questa teoria ha come obiettivo centrale, quello di considerare il processo di
determinazione del tasso di cambio in un contesto macroeconomico di equilibrio
generale, in cui assumono particolare importanza le attività finanziarie. Ciò è dovuto in
particolare al fatto che il periodo in cui si sviluppa questa teoria, vede il tramontare del
sistema dei cambi fissi venutosi a creare con gli accordi di Bretton Woods del 1944, e
l'affermarsi di un regime di cambi flessibili in cui assumono particolare importanza i
movimenti di capitale.
Diversamente dall'approccio tradizionale, in cui si consideravano esistere due soli
beni commerciabili a livello internazionale, con la specializzazione di ogni paese in uno
dei due beni, nell'asset-market-approach si distinguono due tipi di beni: quelli
commerciabili e quelli non commerciabili all'interno dei due paesi presi a riferimento.
6
5
Possono vedersi Fiorentini (1990) pp. 43-45, Gandolfo (1994) pp. 368-389, Tronzano (1990), pp. 24-37.
6
La distinzione fra beni "tradeble" e "non-tradeble" è stata utilizzata per verificare l'attendibilità della
teoria della parità del potere di acquisto, da Gandolfo (1994), pp. 365.
CAPITOLO 1 I tassi di cambio
In questo caso le variazioni del tasso di cambio non corrispondono a variazioni delle
ragioni di scambio.
Rivestendo particolare importanza il mercato delle attività finanziarie, che non si
muove sugli stessi principi del mercato di qualsiasi altro bene, il prezzo di equilibrio e
le sue variazioni, sono riferite al giudizio dato sullo stesso e sulle attese di rendimento
futuro.
L'asset-market-approach mette quindi in discussione nella teoria tradizionale non
soltanto la definizione di tasso di cambio, ma anche le sue determinanti.
1.1.3 UN APPROFONDIMENTO
Avendo definito il tasso di cambio come il prezzo relativo di due monete, il
rendimento derivante dal possesso di diverse valute è un elemento essenziale nel
processo di determinazione del tasso di cambio stesso. L'andamento di questo indicatore
essendo studiato in un contesto macroeconomico di equilibrio generale, ha tre
implicazioni:
- l'importanza rivestita da fattori di natura monetaria;
- le aspettative sull'evoluzione futura, che esercitano influenza sul valore
corrente del tasso stesso;
- l'approccio è formulato in termini di stock, essendo le variabili finanziarie
espresse in questi termini.
I fattori che secondo questo approccio, concorrono a determinare il tasso di
cambio sono:
- le variabili sulle quali hanno un controllo diretto le autorità monetarie;
- le variabili che compaiono nella funzione di domanda di moneta.
Si evince quindi, l'importanza del ruolo assunto dalla moneta e quindi lo
svilupparsi di modelli aventi questo aggregato come base (modelli monetari).
CAPITOLO 1 I tassi di cambio
L'importanza che rivestono le variabili monetarie, è dovuta alla: 1. capacità di
aggiustamento rapida dei mercati finanziari; 2. esogeneità dell'offerta di moneta; 3.
stabilità dell'offerta di moneta (Frenkel-Mussa,1985)
7
.
Non si escludono comunque le variabili reali, riconoscendo il ruolo da loro
assunto nell'evoluzione del cambio, visto però indirettamente, ossia attraverso il filtro
degli effetti esercitati sulla domanda di moneta.
Un altro elemento di particolare importanza in questo approccio, sono le
aspettative considerate sotto due aspetti:
- il livello corrente del tasso di cambio è correlato alle aspettative sui
valori di tutti i periodi futuri;
- le "news" che si concentrano sul mercato valutario, generano una
modificazione delle informazioni a disposizione degli operatori che
provoca una revisione, circa le aspettative sui tassi di cambio futuro che
si ripercuotono sui cambi correnti
8
.
§ 1.2 TASSI DI CAMBIO FISSI E TASSI DI CAMBIO FLESSIBILI
Il regime di tassi di cambio è legato alle vicissitudini storiche verificatesi dalla II
Guerra Mondiale
9
. Nel Luglio del 1944 a Bretton Woods, venne firmato l'accordo sul
Fondo Monetario Internazionale (F.M.I.) e sulla Banca Mondiale (B.M.) definendo
inoltre le basi per il sistema finanziario internazionale, detto di Bretton Woods. I 44
membri che aderirono originariamente all'accordo, desideravano dare vita ad un sistema
7
I fattori qui indicati nella realtà non trovano riscontro e sono uno dei motivi dell'insuccesso dei modelli
monetari.
8
Vedere a proposito Dornbusch (1980), Doukas-Lifland (1994), MacDonald-Taylor (1992).
9
Quanto esposto circa l'avvicendarsi degli avvenimenti economico-istituzionale é stato tratto da:Tew
(1989) "L'evoluzione del sistema monetario internazionale"; Frankel-Dominguez (1993) "Does foreign
exchange intervention work?", pp. 5-27; Krugman-Obstfeld (1991) "Economia internazionale"; Tivegna
(1990) da «Rivista di politica economica», pp. 303-337.
CAPITOLO 1 I tassi di cambio
monetario internazionale che favorisse la piena occupazione e la stabilità dei prezzi
permettendo ai paesi di raggiungere l'equilibrio esterno. Questo sistema monetario era
fondato sui cambi fissi rispetto al dollaro, il quale veniva scambiato a 35 dollari per
un'oncia troy di oro. Tale era uno schema gold-exchange-standard, in cui il dollaro era
la principale moneta di riserva. Il sistema vedeva gli Stati Uniti in una posizione
asimmetrica rispetto agli altri paesi aderenti all'accordo, e per tale motivo non dovevano
preoccuparsi del mantenimento del cambio del dollaro. Unico vincolo, era la garanzia di
consentire alle banche centrali di poter convertire le loro riserve di dollari, in oro, al
prezzo fissato e quindi di disporre di elevate riserve di quest'ultimo.
La logica del gold-exchange-standard prevedeva che le banche centrali
accumulassero dollari. Nasceva però, con il trascorrere del tempo, un problema di
affidabilità, nel senso che l'offerta mondiale di oro non cresceva con gli stessi ritmi
della crescita economica mondiale e di conseguenza l'unico modo per mantenere un
adeguato livello di riserve internazionali, era di accumulare attività in dollari. Il
problema dell'affidabilità, portò nel 1967 i membri del F.M.I. alla creazione dei Diritti
Speciali di Prelievo. Il loro utilizzo, riservato alle banche centrali, non fu molto
rilevante anche per l'avviarsi, alla fine degli anni '60 del declino del regime dei cambi
fissi. Lo stesso declino fu rafforzato dall'accellerarsi dell'inflazione mondiale; ciò fu
dovuto soprattutto al fatto che gli Stati Uniti aumentarono il loro livello di imposizione
nel giugno del 1968, avviando il processo di crescita inflativa.
Il motivo per il quale anche i paesi europei videro aumentare il loro livello di
inflazione fu perché la "importarono", nel senso che secondo la teoria della valuta di
riserva, il paese che emette la valuta chiave, se accellera la sua crescita monetaria
genera una crescita monetaria ed inflattiva all'estero dato che le banche centrali
acquistano valuta di riserva al fine di mantenere il tasso di cambio al livello prefissato
immettendo sul mercato la propria valuta. Per evitare questo inconveniente e quindi
stabilizzare il livello dei prezzi e tornare all'equilibrio interno i paesi avrebbero dovuto
CAPITOLO 1 I tassi di cambio
abbandonare i cambi fissi e permettere alle loro valute di fluttuare, utilizzando la
politica monetaria per obiettivi di politica interna. I paesi europei per evitare un
eccessivo aumento della loro inflazione, a causa dei problemi interni americani decisero
di istituire un "serpente" all'interno del sistema esistente, detto "tunnel"
10
.
Questo accordo prevedeva il mantenimento dei cambi fissi fra i paesi europei, che
lasciavano però fluttuare le loro valute rispetto al dollaro.
Nei primi mesi del 1973 non solo alcuni paesi uscirono dal "serpente", ma tutti
abbandonarono il "tunnel", non mantenendo più la parità nei confronti della valuta
statunitense. Questo squilibrio generale diede l'avvio nel Marzo del 1973 al regime di
cambi flessibili, considerato però come una situazione di transizione. Il nuovo regime
valutario, con il trascorrere del tempo dimostrò di dare notevoli risultati positivi,
soprattutto perché evidenziò che il dollaro poteva apprezzarsi e deprezzarsi sul mercato
valutario. Quest'ultima ipotesi si realizzò nel Luglio del '73 in seguito alla decisione,
presa a Basilea dai 10 Governatori delle Banche Centrali, aderenti al G-10, di attivare le
operazioni a sostegno del dollaro e, soprattutto, per il miglioramento della Bilancia
Commerciale statunitense.
Con la seconda crisi petrolifera nel 1979 si verificò l'annullamento delle riserve in
dollari accumulate durante gli anni precedenti. Si deve inoltre precisare che il regime di
cambi flessibili fu adottato nei paesi industrializzati. La transizione ad un sistema di
tassi flessibili, nelle decisioni politiche comportava quasi i medesimi problemi del
regime precedente, anche se posti in modo diverso:
10
Il sistema di Bretton Woods imponeva a tutti i paesi aderenti all'accordo di mantenere il valore di
mercato delle proprie valute all'interno di un "tunnel", ossia una banda di oscillazione rispetto alle parità
valutarie centrali fissate dalle autorità monetarie, per ogni valuta nei confronti del dollaro. Con l'accordo
Smithsoniano del Dicembre 1971, si era fissato il margine di fluttuazione in misura del ±2.25% rispetto
alla parità centrale. Tali valori permettevano a due valute europee di poter fluttuare del 9%. I paesi
aderenti alla CEE non consideravano favorevolmente questa possibilità e decisero di restringere la banda
di oscillazione fra le valute europee (appunto "serpente" in quanto di "dimensioni più piccole rispetto a
quanto fissato per il "tunnel"), mantenendo però inalterata quella con il dollaro. Tew (1989), pp. 185-191.
CAPITOLO 1 I tassi di cambio
- nel regime valutario di cambi fissi l'indice della forza o della debolezza di una
moneta dipendeva dal volume delle transazioni ufficiali sul mercato dei cambi, nel
regime valutario di cambi flessibili tale indice dipendeva dall'andamento del tasso di
cambio.
Nel corso degli anni si verificarono notevoli oscillazioni delle maggiori valute;
ciò negli anni '70 fu dovuto ad una rapida accellerazione dell'inflazione, a tassi di
interesse differenti nei diversi paesi.
Durante gli anni '80 i paesi aderenti al nuovo regime valutario, si resero conto che
era necessario affidare ai tassi di cambio un obiettivo di politica monetaria.
Importante avvenimento economico-istituzionale fu nel Gennaio 1979,
l'istituzione dello SME, che però iniziò ad operare solo nel Marzo dello stesso anno.
Questo accordo valutario é definisce un sistema di cambi controllati che pone alcuni
obiettivi:
- regolare gli interventi delle Banche Centrali nel mercato dei cambi;
- garantire il finanziamento di tali interventi mediante la creazione di linee di
linee di credito ufficiali.
Aspetto più tecnico di questo sistema, sono gli "accordi di cambio" che hanno la
finalità di limitare la fluttuazione dei tassi di cambio bilaterali entro delle bande di
oscillazione. Ciò in quanto, le valute dei paesi aderenti all'accordo, hanno parità di
cambio reciproche, mentre sono libere di fluttuare nei confronti delle valute dei paesi
non aderenti all'accordo.
Nell'estate del 1979 la Germania ed il Giappone si uniscono agli Usa, come
"locomotiva" della crescita economica. Questa iniziativa provocò un apprezzamento del
marco e dello yen nei confronti del dollaro. Segue a questo un intervento della Banca
d'Inghilterra sul mercato monetario a sostegno della sterlina.
Altro importante provvedimento di carattere monetario, viene adottato dagli Usa
alla fine degli anni '70: il controllo delle Autorità monetarie é ora rivolto alla crescita
CAPITOLO 1 I tassi di cambio
delle riserve bancarie libere e non più al tasso di interesse su Fondi Federali. Nel 1980
ciò ha provocato un aumento della fluttuazione dei tassi di interesse.
Nell'Aprile del 1981, il Presidente Regan dichiara che gli interventi di sostegno
devono avvenire solo in caso di emergenza. Inizia nel 1982 la rivalutazione del dollaro,
sostenuta dall'elevato differenziale dei tassi di interesse e dalla crescita dell'aggregato
monetario M1 più elevata rispetto agli obiettivi posti dalla Fed.
La crescita del dollaro continua inesorabilmente fino al Febbraio 1985, quando
vale 22 punti percentuali in più rispetto al Dicembre 1983. Da quella data, la valuta
americana inizia la sua discesa. Nel settembre 1985, presso il Plaza di New York, le
autorità monetarie, su proposta del Ministro Baker, decidono di cooperare al fine di
ridurre il valore del dollaro. Infatti nel Marzo 1986, la valuta americana si é deprezzata
del 13% rispetto al Settembre del 1985. Il deprezzamento continua in seguito
all'iniziativa dei paesi CEE di unirsi alle posizioni del Giappone e della Germania,
contro gli Usa.
Nel Dicembre 1987, vi sono segni di ripresa della cooperazione internazionale
con tendenza del dollaro ad apprezzarsi. All'inizio del 1988 vi sono interventi
generalizzati da parte di diversi paesi a sostegno del dollari. Il 1989 vede il Giappone un
una posizione sfavorevole in seguito a scandali politici che fanno deprezzare lo yen. Nel
Novembre dello stesso anno, vi é un grande evento socio-istituzionale: il crollo del
muro di Berlino che provoca un apprezzamento del marco ed una crescita dei tassi di
interessi interni tedeschi.
Le politiche estere statunitensi, provocano nell'estate del 1990 il deprezzamento
del dollaro, in seguito all'occupazione dell'Iraq. A sostegno della valuta intervengono la
Fed e la Bundesbank con un acquisto massiccio di dollaro sul mercato valutario. Questa
azione porta però ad un eccessivo apprezzamento del dollaro, con conseguente offerta
sul mercato. Tale vendita, continua anche nei primi 5 mesi del 1992, in seguito
CAPITOLO 1 I tassi di cambio
all'intervento della Fed, della Banca del Giappone e della Bundesbank, con successivo
apprezzamento dello yen e del marco nei confronti della valuta statunitense.