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attuazione. Il Diritto Internazionale ha a questo punto dispiegato tutte le sue
forze e mostrato tutti i suoi limiti: il maggior punto di forza è senz‘altro
individuabile nella capacità di riunire in più occasioni un numero sempre
crescente di Paesi intorno al tavolo virtuale dell‘ambiente, utilizzando l‘ONU e
i suoi specifici dipartimenti come veicolo di stimolo e organizzazione. I limiti
sono da tutti conosciuti: l‘ONU stessa, e non solo in campo ambientale, agisce
come organo di consenso e di allerta sui problemi contingenti e importanti, ma
senza alcuna capacità coercitiva o di convincimento tale da garantire un
risultato se non certo almeno probabile. Tuttavia, gli incontri, le discussioni e i
protocolli hanno almeno avuto il merito di tenere alta l‘attenzione del mondo,
tutto, sul tema. Inoltre, sono state in questi anni esplorate dagli Stati le varie
alternative atte a ridurre l‘impatto ambientale delle attività economiche umane,
attraverso l‘adozione di sanzioni, l‘imposizione di tasse ecologiche, la
produzione normativa cospicua, sino ad arrivare alla misura che oggi pare in
grado di produrre qualche sostanziale effetto: gli strumenti flessibili.
Certo la strada e lunga, i Paesi emergenti, Cina in testa, premono per garantire
condizioni di vita accettabile a costi sostenibili, non attuando così le misure
necessarie di riduzione dell‘impatto ambientale, accusando peraltro i Paesi del
primo e secondo mondo di sfruttare oggi un‘ulteriore posizione di vantaggio
data dall‘imposizione di misure adeguate al contenimento dell‘inquinamento
mai adottate da loro stessi nel periodo di massimo sviluppo. In ogni caso, e
forse proprio per questa ragione, garantire lo scambio di certificati mondiali di
inquinamento a quantità prefissate e, quindi, sostenibili, appare una buona
strada.
Occorre però che tutti i Paesi stringano un patto unico, forte, di responsabilità
reciproca nel convincimento che solo in questo modo il benessere oggi di pochi
possa essere fruibile da molti, forse e possibilmente da tutti, e, in ultima analisi,
da chi ci succederà.
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CAPITOLO PRIMO
ECONOMIA AMBIENTALE, SOSTENIBILITA’ E RISORSE
NATURALI
1. Lo sviluppo sostenibile – Concetto e definizione
Il concetto di sviluppo sostenibile è caratterizzato da molteplici definizioni,
poche delle quali si possono considerare rigorose. Questo accade perché
l‘approccio allo Sviluppo Sostenibile (SS) è stato, ed è tuttora, affrontato
utilizzando lenti differenti, dipendenti dalla personale propensione d‘ogni
autore a porre in luce alcuni elementi anziché altri. Così vari Autori (tra i quali
Giorgio Nebbia2) fanno prevalere una visione socio-politica prevalente su
quella socio-economica, arrivando a teorizzare sistemi di natura socialista per il
controllo degli elementi produttivi come unica possibile soluzione all‘eccessivo
sfruttamento attuale delle risorse naturali non rinnovabili. Altri, come Alberto
Quadrio Curzio3 e gli stessi già citati Turner e Pearce, intravedono nel rispetto
della finalità socio-economica della corretta conservazione delle risorse, intesa
come capacità di non esaurirle nel breve volgere di un secolo perpetuando in tal
modo lo stato attuale di benessere, seppur limitato a pochi parti del mondo e
perciò suscettibile di necessario miglioramento, lo strumento adatto a far sì che
si creino le condizioni per un futuro migliore.
In sostanza, si tratta di arrivare allo stesso punto futuro percorrendo strade
differenti: l‘una, la prima, appare troppo conservativa, o troppo progressista se
letta in ottica politica classica, proponendo soluzioni che mai potrebbero essere
oggi calate dall‘alto dopo il fallimento dell‘economia pianificata di natura
socialista e comunista.
L‘altra, la seconda, appare ancora d‘incerta formulazione, ma lascia intravedere
ampi spazi d‘applicabilità, basandosi sulla necessità di una più equa
distribuzione odierna del benessere e di una maggior garanzia di trasferimento
dello stesso alle generazioni future. Tuttavia, sul come perseguire le giuste
2
Giorgio Nebbia è autore di ―Risorse naturali, energia, ambiente‖, ―Lo sviluppo sostenibile‖,
―L‘energia solare e le sue applicazioni‖, ―Il punto di vista cristiano sull‘ecologia‖.
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Alberto Quadrio Curzio sostiene questa tesi nella sua opera ―Ambiente e dinamica globale‖
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finalità di questa condivisibile visione il dibattito è ancora aperto e vedremo in
seguito quali siano ad oggi gli strumenti individuati.
Provando a delimitare i contorni del vasto campo dello SS, parafrasando alcune
delle più frequenti definizioni, potremmo affermare che lo Sviluppo Sostenibile
è:
- uno sviluppo che permette di ottenere una duratura soddisfazione dei bisogni
umani e un miglioramento della qualità della vita umana;
- uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la
capacità di soddisfazione dei bisogni delle generazioni future;
- un requisito in base al quale l‘uso attuale delle risorse non dovrebbe ridurre i
redditi reali nel futuro, garantendo un equo accesso allo stock di risorse da parte
d‘ogni generazione;
- uno sviluppo che tenga conto del necessario riequilibrio tra il nord ed il sud
del mondo, riducendo progressivamente la differenza esistente in termini di
benessere;
- una prospettiva che richiede un sistema di produzione che rispetti l‘obbligo di
preservare la base ecologica per lo sviluppo.
Riconoscere il principio della sostenibilità implica la condivisione di un
impegno orientato a ridurre l‘uso di risorse non rinnovabili, ottimizzare il ciclo
completo del prodotto, prestare particolare attenzione alle risorse critiche,
integrare economia ed ecologia nelle decisioni di ogni livello.
Giorgio Nebbia, seppur nella sua eccessiva visione socio-politica, coglie
appieno questo necessario sforzo e conclude il suo saggio ―Lo sviluppo
sostenibile‖ con un‘osservazione condivisibile e lungimirante4.
4
Giorgio Nebbia ne ―Lo sviluppo sostenibile‖: ―Occorre avviare un grande movimento di liberazione
per sconfiggere le ingiustizie fra gli esseri umani e con la natura, una nuova protesta per la
sopravvivenza capace di farci passare dalla ideologia della crescita a quella dello sviluppo. Nessuno ci
salverà se non le nostre mani, il nostro senso di responsabilità verso le generazioni future, verso il
"prossimo del futuro" di cui non conosceremo mai il volto, ma cui la vita, la cui felicità dipendono da
quello che noi faremo o non faremo domani e nei decenni futuri. La costruzione di uno sviluppo
sostenibile e la pace si conquistano soltanto con la giustizia nell'uso dei beni della Terra, unica nostra
casa comune nello spazio, con una giustizia planetaria per un uomo planetario. Senza giustizia nell'uso
dei beni comuni della casa comune, del pianeta Terra, non ci sarà mai pace‖
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2. Il sistema economico sostenibile
Lo SS è, dunque, il tentativo di dare risposta alle nuove caratteristiche della
scarsità. La scarsità è, infatti, divenuta meno acuta in termini quantitativi,
essendo complessivamente cresciuta la disponibilità delle scorte delle materie
prime non rinnovabili rispetto alle previsioni pessimistiche formulate tra la
metà degli Anni Ottanta e l‘inizio degli Anni Novanta. Come meglio vedremo
nei capitoli seguenti appare chiaro che lo sforzo debba essere, e di fatto oggi lo
è, concentrato non sulla necessità contingente di ricercare materie prime
alternative, ma sulla ricerca del metodo più efficace per ridurre l‘impatto
sull‘ambiente di quelle tradizionali, migliorarne l‘utilizzo evitandone gli sprechi
ed in tal modo garantirne la fruibilità futura.
L‘ambiente, inteso come fattore di produzione, diventa quindi la nuova visione
necessaria, così come l‘identificazione e la tutela del lavoro al servizio del
capitale e non più fonte diretta di sostegno delle necessità primarie dell‘uomo lo
è stato per Engels e Marx nell‘elaborazione della nuova filosofia economia
generata dalla rivoluzione industriale.
Anche ai più scettici appare oggi chiaro come ogni possibile sforzo debba
essere profuso affinché questa nuova visione diventi parte integrante delle
attività consolidate nei Paesi del primo e secondo mondo e, in modo diverso ma
non meno importante, in quelle di sviluppo dei Paesi del terzo e quarto mondo
(PVS).
Il tema di come contemperare le esigenze del mantenimento delle economie del
nord del mondo, basate in gran parte sull‘utilizzo di materie prime provenienti
dai PVS, lo sviluppo delle stesse e la salvaguardia dell‘ambiente globale in
termini di controllo delle emissioni di CO2 è alquanto articolato e complesso.
Alcune aree del mondo sono state sconvolte dalle vicende politiche che hanno
ridisegnato lo scenario economico mondiale, prima tra tutte quella coincidente
con l‘ex blocco comunista dei Paesi dell‘URSS. Questi Paesi, soprattutto quelli
dell‘area balcanica, conoscono oggi un periodo di crescita economica rapido ed
importante, ancorché non soggetto ad una rigida regolamentazione ambientale.
Allo stesso modo la Cina, pur senza particolari novità politiche, seguendo la
strada maestra del mercato e dello sviluppo, ha fatto sì che la fluttuazione al
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ribasso del costo delle materie prime, evidenziata negli Anni Novanta, abbia
subito una rilevante inversione, contribuendo in modo decisivo, ancor più dei
citati Paesi dell‘orbita russa, a porre sul tavolo il problema della soluzione
dell‘equazione risorse disponibili – sviluppo-inquinamento.
Altre, come l‘area africana, continuano ad essere quasi meri serbatoi di materie
prime, con l‘evidente e palese complicità dei condiscendenti governi locali.
Fotografare l'evoluzione economico-sociale del mondo è un'impresa
impossibile a causa della velocità del progresso. Questo tuttavia non avviene
per l'Africa, dove tutto sembra procedere lentamente o non procedere per nulla.
A causa dei conflitti intestini, della desertificazione, della deforestazione,
l'estrema povertà e le condizioni igienico-sanitarie disastrose, gli scambi ridotti
ai minimi termini, anche gli aiuti umanitari non hanno riscosso il successo
sperato: il continente più antico del globo sembra ancora quello più arretrato.
Alcuni governi africani si sono riuniti nel NEPAD (New Partnership for
Africa's Development), un nuovo patto tra Algeria, Egitto, Nigeria, Senegal e
Sud Africa, fondato sullo sviluppo sostenibile con l'obiettivo di promuovere la
lotta alla povertà, alla fame e alla guerra, sia individualmente sia
collettivamente. Non a caso durante il Vertice Mondiale sullo Sviluppo
Sostenibile che si è svolto a Johannesburg (Sud Africa), i Ministri africani
hanno puntato sulla trasparenza dei meccanismi monetari, finanziari ed
economici e sull'uguaglianza delle parti nelle negoziazioni commerciali. Altri
ancora come i Paesi dell‘America Latina stanno vivendo una stagione
intermedia, fatta di desideri, a volte attuati, di nazionalizzazione che se da un
lato mirano a salvaguardare o migliorare le condizioni di vita degli abitanti,
dall‘altro confliggono con le innumerevoli e fondamentali esigenze economiche
globali, creando tensioni internazionali che rischiano alla fine di penalizzare i
Paesi stessi, inducendo reazioni sul debito o sugli aiuti o sul commercio
internazionale.
Tuttavia è palese l‘evidenza che in ottica globale non sia più accettabile una
rilevante disparità di condizioni di reddito e di qualità della vita di ogni abitante
del pianeta. Tale valutazione deve tener conto di tutte le variabili in gioco,
climatiche, spaziali, agricole, naturali ed economiche, valutate le quali apparirà
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altrettanto chiaro che da una parte la re-distribuzione del reddito garantirà la
moderazione dei flussi migratori sud-nord, ma, altrettanto chiaramente,
dall‘altra genererà negli stessi PVS fabbisogni di mantenimento oggi
sconosciuti, che a loro volta dovranno essere commisurati con le necessità di
materie prime dei Paesi del nord del mondo, innescando un continuo circolo
vizioso o virtuoso le cui sorti dipenderanno totalmente dalla capacità mondiale
di governo del fenomeno.
3. Equilibrio tra PI e PVS
I dati statistici ufficiali sulle persone che vivono in condizione di estrema
povertà, analfabetismo e malattia, sia nei Paesi in via di sviluppo5 sia in quelli
industrializzati, sono ancora allarmanti: 1,2 miliardi di persone vivono con
meno di un dollaro al giorno, circa la metà della popolazione mondiale
sopravvive con meno di due dollari al giorno. Gli obiettivi fissati nella
Dichiarazione del Millennio (Allegato 4) sono ancora lontani. Eppure, grazie a
scambi, riforme ed investimenti, alcuni Paesi asiatici e africani hanno
conseguito traguardi ragguardevoli. I rapporti diffusi dalla Banca Mondiale
rilevano la necessità di aiuti aggiuntivi da parte delle nazioni industrializzate. In
questa direzione i leader mondiali durante la Conferenza Internazionale sui
Finanziamenti per lo Sviluppo si sono impegnati a corrispondere ulteriori
sussidi; generare fondi addizionali e orientare meglio gli aiuti rappresentano le
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Sono definiti paesi in via di sviluppo (in un acronimo, PVS) tutti quei paesi compresi nella parte I
della lista stilata dall'OCSE (l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).
Si tratta di paesi con livelli di sviluppo molto bassi, suddivisi in 5 categorie, in base al livello medio di
reddito pro capite:
ξ paesi meno sviluppati (meno di un dollaro al giorno),
ξ altri paesi a basso livello di reddito (inferiore a 745 $ all'anno nel 2001),
ξ paesi a basso-medio reddito (tra 746 $ e 2975 $ all'anno),
ξ paesi ad un livello di reddito pro capite annuo medio-alto (tra 2976 $ e 9205 $ all'anno),
ξ paesi ad alto livello di reddito (più di 9206 $ all'anno nel 2001),
Tutti questi paesi, viste le loro gravi situazioni di sottosviluppo, beneficiano di aiuti pubblici allo
sviluppo da parte dei paesi industrializzati.
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sfide più importanti affrontate durante il vertice di Johannesburg. Fenomeni
come desertificazione, riduzione della fascia di ozono, innalzamento del livello
degli oceani, impoverimento della fauna e della flora (terrestri e marine),
erosione delle coste, scioglimento dei ghiacciai minacciano gravemente il
pianeta. Occorre notare e tenere ben presente che, in termini puramente analitici
e scevri da condizionamenti o valutazioni sociali e politiche, i Paesi
industrializzati e Paesi in via di sviluppo sono responsabili in ugual misura:
l'uso indiscriminato delle risorse ha profondamente danneggiato gli equilibri
degli ecosistemi, lo sfruttamento eccessivo ne ha compromesso la capacità di
rigenerazione.
Trasformare l'attuale modello di sviluppo mondiale secondo i principi della
sostenibilità sembra essere la soluzione più efficace, anche se per meglio
comprendere il fenomeno occorre anche indagare su quello che si può ritenere a
tutti gli effetti un ―debito ecologico‖ contratto dai Paesi del I° e II° mondo nei
confronti di quelli del III° e IV° mondo 6.
Aspetto strettamente correlato al debito ecologico è lo storico squilibrio di
natura economica esistente tra i diversi territori e Paesi, che ha portato ad una
generica suddivisione del mondo tra Nord e Sud, peraltro rilevabile non solo in
termini strettamente geografici ma estendibile a livello concettuale al raffronto
tra Paesi in grado di utilizzare tecnologie avanzate, atte a creare un diffuso
benessere ed i Paesi con una struttura economica arretrata ed una sociale
debole. Anche se l‘origine del debito ecologico dei Paesi del Nord nei confronti
di quelli del Sud può essere ricondotta al periodo coloniale, il suo
riconoscimento è piuttosto recente. Nel 1990 l‘Istituto di Ecologia Politica del
Cile (IEP) pubblicò un rapporto nel quale veniva evidenziato come la
produzione da parte dei Paesi industrializzati di CFC (clorofluorocarburi, gas
responsabili dei cambiamenti climatici) provocasse la riduzione del filtro di
protezione dalle radiazioni solari, causando danni agli animali e tumori della
pelle nell‘uomo, e producendo pertanto un «debito ecologico».
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La definizione ―debito ecologico viene usata per definire l‘insieme delle responsabilità derivanti dallo
sfruttamento delle risorse naturali dei Paesi in via di sviluppo da parte dei Paesi industrializzati,
avvenuto in passato e ancora presente, ed al conseguente degrado ambientale. Ultima componente del
―debito‖ è l‘utilizzo spesso sconsiderato che i Paesi del III° e IV° mondo come area di deposito dei
rifiuti di ogni genere e pericolosità.