Il concetto fondamentale che sta alla base della scienza dell'alimentazione è la varietà della
dieta, per cui è contemplato il consumo di tutti gli alimenti, nel rispetto dell’apporto energetico.
La caratteristica interessante della dieta mediterranea tradizionale è che gli alimenti di base
sono combinati in maniera da esaltare le caratteristiche sensoriali e nutrizionali di ciascuno [9].
Anche in Italia la dieta mediterranea si è dimostrata, nel tempo, sostanzialmente adeguata alle
esigenze climatiche ed ambientali italiane. Ma la profonda modifica delle abitudini sociali
(orario continuato negli uffici e nei negozi, mense comunitarie, fast food) ha radicalmente
mutato anche le abitudini alimentari della nostra popolazione inducendo comportamenti
alimentari profondamente diversi dal passato. La dieta mediterranea è stata in buona parte
“stravolta”, soppiantata da nuovi modelli di consumo che, avvicinandoci alle abitudini nord-
americane, determinano squilibri alimentari e rischi di patologie ben noti agli abitanti di tali
Paesi [10] (fenomeno indicato come "occidentalizzazione") [5].
I fattori ereditari e l'insieme delle condizioni ambientali sono parametri determinanti per lo
sviluppo e il mantenimento dello stato di salute. Ma la nutrizione è il solo mezzo per
raggiungere - sin dalla vita intrauterina - lo sviluppo massimo previsto dal potenziale genetico.
Per tutta l'esistenza, inoltre, benessere fisico e psichico, resistenza alle malattie e, in definitiva,
maggiore aspettative di vita, risultano strettamente dipendenti dall'adeguatezza
dell'alimentazione.
Non esiste un unico modello mediterraneo, poiché a seconda della storia, della cultura e delle
tradizioni di un popolo ci sono delle varianti.
La Sardegna è una regione che ha saputo difendere ed esaltare le proprie tradizioni alimentari.
L'asprezza dell'ambiente naturale e la condizione di isola hanno permesso di conservare e di
tramandare nel tempo l’uso delle pietanze più tipiche. Semplice e genuina la cucina sarda si
basa prevalentemente sui prodotti della pastorizia e dell'agricoltura - per tanti secoli pilastri
dell'economia isolana - e, più di recente, sui prodotti della pesca [3].
Le tradizioni alimentari della nostra isola (specie nelle zone interne) non hanno subito influenze
o contaminazioni "esterne" nel corso dei secoli; questa è certamente una caratteristica
dell'insularità. La maggior parte degli alimenti tipici sardi sono ancora oggi disponibili nella loro
"forma" autentica: cioè sono esenti da sofisticazioni e da manipolazioni industriali [1].
La sapiente associazione di molti alimenti tipici sardi consente di avere dei "piatti unici" dove la
composizione nei principali nutrienti (proteine, carboidrati e grassi) raggiunge livelli pressochè
ideali, se rapportati alle percentuali oggi raccomandate rispetto al fabbisogno calorico
giornaliero.
La tipica alimentazione sarda offre diversi vantaggi di non trascurabile importanza come la
semplicità della preparazione dei piatti, senza far ricorso a “intingoli” di complicata
preparazione ed a condimenti elaborati [2,11].
L’efficacia del modello alimentare sardo già da diversi anni viene sperimentato dal gruppo di
ricerca del Dott. Manai, primario di diabetologia del P.O. San Giovanni di Dio.
In particolare si studiano gli effetti su soggetti affetti da una patologia diffusa in Sardegna: il
diabete. La nostra regione detiene il triste record della più alta incidenza tra le regioni italiane.
Il Diabete Mellito (DM) è una malattia eterogenea plurifattoriale, caratterizzata da anomalie
metaboliche prevalentemente a carico del metabolismo glucidico [18].
Già da diversi anni per alcune patologie metaboliche e degenerative vengono “chiamati in
causa” i radicali liberi. I radicali liberi sono atomi o molecole, caratterizzati dalla presenza di
un elettrone spaiato nell’orbitale più esterno, sono specie chimiche estremamente instabili e
reattive poiché tendono ad appaiare l’elettrone a danno di altri componenti [8]. La loro
produzione è correlata soprattutto ai fenomeni di ossidazione, che comportano un flusso di
elettroni dalle sostanze ossidate (che perdono elettroni) verso quelle ossidanti (che li
ricevono), come l’ossigeno. I radicali liberi sono coinvolti in diverse patologie umane e nel
processo fisiologico dell’invecchiamento. Il principale bersaglio dei radicali liberi è
rappresentato dai lipidi delle membrane cellulari (lipoperossidazione), specie gli acidi grassi
polinsaturi, a causa della loro natura chimica e della loro particolare conformazione a doppio
strato regolare. Gli sconvolgimenti delle membrane cellulari, comprese quelle interne alla
cellula, comportano alterazioni negli scambi tra comparti intra- ed extra-cellulari, fino a
compromettere la sopravvivenza stessa della cellula. Tra i lipidi, oggetto preferenziale degli
attacchi dei radicali liberi, figurano anche le lipoproteine LDL o a bassa densità ed in particolare
le lipoproteine piccole e dense. A contatto coi radicali liberi vengono ossidate, con alterazione
delle proprietà fisico-strutturali e delle attività biologiche, e trasformate in fattori causali del
processo arteriosclerotico. Altro bersaglio cruciale d’attacco da parte dei radicali liberi è
costituito dalle proteine e dagli acidi nucleici. Quando la produzione di radicali prevale sui
processi antiossidanti si va incontro stress ossidativo [7].
Lo stress ossidativo si può analizzare, permettendo di valutare il reale stato delle nostre difese
fisiologiche e di segnalare, in modo precoce, squilibri e tendenze verso gli stati patologici [27].
Per valutare lo stress ossidativo si misurano nel sangue (plasma, eritrociti e linfociti), i livelli di
diversi parametri: sostanze antiossidanti che interrompono la catena di reazioni dovute ai
radicali liberi; enzimi antiossidanti che distruggono direttamente i radicali liberi; acidi grassi
polinsaturi, che sono componenti essenziali per la costruzione delle membrane biologiche e
quindi di importanza vitale per la salute cellulare.
Attualmente, in base a conclusioni specifiche, si ammette che i radicali liberi siano implicati nel
diabete. Anche diversi studi [34] effettuati sugli animali hanno messo in evidenza che i radicali
liberi sono responsabili della distruzione delle cellule delle insule pancreatiche, in casi di
diabete insulino-dipendente. Le cellule delle insule sono particolarmente sensibili all’attacco
radicalico poichè hanno scarse diffese. Nel diabetico è presente un’alterazione del
metabolismo dell’acido ascorbico; infatti l’iperglicemia impedisce l’intake della vitamina.
Inoltre, poiché l’ascorbato è richiesto per rigenerare la Vit. E, viene ossidato ad Ac.
Deidroascorbico. Nel soggetto sano, quest’ultimo, è riconvertito ad ascorbico; nel diabetico
questo non avviene per cui il deidroascorbico può agire da tossico e distruggere le cellule. Il
nostro organismo, tuttavia, possiede tutta una serie di sofisticate ed efficienti difese
antiossidanti che sono, di norma, sufficienti a proteggerci dai rischi dei processi perossidativi.
Tali sistemi, molto articolati e complessi, possono svolgere la loro azione a livello intra- ed
extracellulare, e si distinguono in sistemi di protezione enzimatica e non enzimatica [35].
Questi ultimi sono particolarmente interessanti perché possono essere modificati con la dieta.
Il termine "antiossidante" ha applicazioni alquanto generiche, in quanto si riferisce a molecole
con caratteristiche chimico-fisiche e meccanismi d'azione assai diversi. I meccanismi d'azione
degli antiossidanti si diversificano notevolmente, e vanno dal blocco della generazione di
radicali, a quello della loro propagazione.
E' stato rilevato che la valutazione del potere protettivo degli antiossidanti naturalmente
presenti nella dieta non si limita solo alla capacità di bloccare direttamente i radicali liberi o la
perossidazione indotta dall'interazione di questi ultimi con le strutture lipidiche presenti nelle
membrane, ma possiede la capacità di interagire con gli enzimi destinati alla trasformazione
della sostanza da procancerogena a cancerogena e/o all'attivazione dei processi di
detossificazione dei cancerogeni [4].
Tutti questi meccanismi si attuano prima che le reazioni a catena iniziate dal cancerogeno si
propaghino fino al DNA, danneggiandolo. Quindi essi riguardano l'effetto di protezione che si
esplica a livello della fase iniziale della cancerogenesi o iniziazione.
L’organismo controlla e inattiva i radicali liberi, presenti al suo interno, con una strategia
complessa ed estremamente efficace. L’organismo utilizza molti composti di origine alimentare,
di tipo vitaminico e non, dotati di azione antiossidante, che si caratterizzano per il diverso
meccanismo d’azione, per la specificità dei siti d’intervento e per l’effetto sinergico globale da
essi esplicato [24]. I più importanti sono:
- La vitamina E: essendo liposolubile, si localizza nello spessore della membrana cellulare,
nella quale penetra agevolmente, e dove svolge un ruolo di protezione dei lipidi di membrana
operando la cessione di elettroni ai radicali liberi endocellulari circolanti.
- La vitamina C: idrosolubile e quindi liberamente circolante nei fluidi corporei, svolge il
compito di "scavenger" di radicali liberi e consente alla vitamina E, trasformata in radicale
tocoferilico, di riacquistare il suo assetto elettronico iniziale.
- La vitamina A e i carotenoidi: liposolubili, affiancano l’attività della vitamina E essendo più
efficaci in condizioni di bassa tensione di ossigeno ( ad es. nei tessuti ischemici). Il
betacarotene è uno dei più potenti eliminatori dell’ossigeno singoletto.
- Il glutatione (γ-glutammil-cisteinil-glicina): esercita un’azione antiossidante distribuita in
diverse fasi: è elemento essenziale del sistema enzimatico endocellulare della glutatione-
perossidasi, e a livello epatico contribuisce a inattivare metaboliti intermedi reattivi, dotati di
azione radicalica, provenienti dalle reazioni di fase I, grazie all’azione catalizzante della
glutatione-trasferasi; è infine una delle molecole più attive sul fronte del rifornimento di
elettroni alle molecole antiossidanti in prima linea, come la vitamina E e la vitamina C [24].
- I bioflavonoidi: famiglia composta da più di 600 sostanze (flavoni, flavani, flavonoli,
flavononi, flavonolignani, catechine, fitocianidine,etc.) la cui comune caratteristica è quella di
lavorare in sinergia con la vitamina C, esaltandone l’attività e la potenza antiossidante
mediante un’azione protettiva nei suoi confronti [24,27].
- Il coenzima Q
10
: oltre ad essere una sostanza indispensabile per il trasporto di elettroni nella
catena respiratoria mitocondriale e quindi per la produzione di ATP, possiede una spiccata
attività antiossidante che si esplica nella protezione dai radicali liberi dei lipidi di membrana,
resa più efficace dalla sua lipofilia, e nella partecipazione al meccanismo di rifornimento di
elettroni alle strutture antiradicaliche.
- L’Acido lipoico: accanto ad una funzione essenziale di tipo metabolico nella cascata di
reazioni della glicolisi, l’acido lipoico esplica un’importante azione antiossidante su diversi
livelli: funge da agente di trasferimento di elettroni, partecipando al rifornimento di vitamine E
e C; agisce da "spazzino" nei confronti di diversi radicali liberi e ROS (radicali idrossilici e
perossilici, acido ipocloroso, ossigeno singoletto). Grazie alla sua particolare conformazione e
alle sue dimensioni molecolari, è solubile sia in comparti "acquosi" che in quelli "lipidici",
potendo così raggiungere i più disparati settori corporei, compresi quelli encefalici.
- Il Selenio: è un elemento traccia presente nel nostro organismo in quantita’ limitatissime
(nel plasma 59-105 µg/l), ma essenziale per molte funzioni. E’ coinvolto nel metabolismo degli
ormoni tiroidei e in particolare nella conversione del T
4
in T3, contribuisce, inoltre, ad
aumentare le difese immunitarie, aumentando la produzione di anticorpi e inibendo l'anormale
crescita cellulare. Come cofattore dell'enzima glutation-perossidasi il selenio svolge un’ azione
ubiquitaria e protegge dal danno radicalico le cellule, i globuli rossi e le membrane cellulari.
Mediante composti marcati si è potuto stabilire che il Se è presente nella glutation-perossidasi,
enzima tatramerico contenente un atomo di selenio per subunità, presente nel fegato, nel rene
e nel cristallino. Una forte carenza di selenio porta a una grave forma di cardiopatia dilatativa,
nota come malattia di Keshan, individuata per la prima volta nella regione cinese di Keshan,
dove il suolo è molto povero di selenio.
Nell’adulto il fabbisogno è di 55 µg/die
- Lo Zinco: è un importante elemento traccia (nel plasma 83-107 µg/dl). Esso è secondo solo
al ferro nella concentrazione nei tessuti. Ha un ruolo importante nell'acuire i sensi come il
gusto e l'olfatto. Lo zinco partecipa come cofattore di molti enzimi tra cui l'anidrasi carbonica,
la fosfatasi alcalina e varie deidrogenasi, prendendo parte così al metabolismo di carboidrati,
grassi e proteine.
Lo zinco come parte dell'enzima rame-zinco superossido dismutasi, protegge le cellule dai
radicali liberi. Al di là del suo intervento nel processo anti-radicalico, lo zinco è necessario per
la sintesi, la secrezione e l'utilizzazione dell'insulina, e protegge le cellule beta pancreatiche
dalla distruzione. I sintomi di carenza di zinco sono: ritardo nella crescita, mancanza di
appetito, ritardo nella guarigione delle ferite, perdita di capelli, ipogonadismo nei maschi,
difficoltà alla visione notturna, alterazione del gusto e dell'olfatto.
Il fabbisogno negli adulti è di 10 mg/die nel maschio e 7 mg/die nella femmina.
- Il Rame: come elemento traccia (nel plasma 80-140 µg /dl) è presente in tutti i tessuti del
nostro organismo; è un importante componente di molti enzimi, tra cui la superossido
dismutasi citoplasmatica in cui è associato allo zinco.
La carenza di rame determina ritardo della crescita, anemia, mancanza di pigmenti nei capelli
e nei tessuti e riduzione delle difese immunitarie.
Il fabbisogno è di 1.2 mg/die nell’adulto.
Scopo della ricerca
In base ai dati riportati in letteratura, che consentono di ipotizzare un eventuale intervento
dietetico nella prevenzione dei danni da radicali liberi, abbiamo voluto verificare, nell’arco di sei
mesi, quali potevano essere gli effetti di un regime alimentare a carattere sardo-mediterraneo
su alcuni parametri ematici, considerati indici di protezione radicalica quali il Selenio e la
Glutation-perossidasi.
Tecnica Sperimentale
L’indagine è stata condotta da settembre 2002 a giugno 2003 su un campione composto da
100 soggetti affetti da patologia diabetica, di cui 45 femmine e 55 maschi, di età compresa tra
i 30 e gli 83 anni.
Il 6% dei soggetti presenta diabete di tipo 1 e il restante 94% diabete di tipo 2 .
Il 55% dei soggetti assumeva come terapia farmaci orali; il 22% insulina per via sottocutanea;
il 4% assumeva farmaci orali e faceva anche uso di insulina e, infine, il 19% manteneva nei
limiti i valori glicemici solo con il controllo dell’alimentazione e con la pratica dell’attività fisica.
Campione
45%
55%
Femmine
Maschi
Terapia
55%
22%
19%
4%
Farmaci Orali
Insulina
Alimentazione
F.O. & Ins .
Tipo di Diabete
6%
94%
Tipo 1
Tipo 2
La ricerca si è svolta in tre fasi:
- indagine alimentare: eseguita mediante la compilazione di un quaderno alimentare da
parte dei pazienti, che per tre giorni consecutivi registravano il consumo degli alimenti
espresso in grammi.
Inoltre, mediante un secondo questionario, è stata rilevata la frequenza di consumo di alimenti
ricchi in selenio e zinco.
- indagine antropometrica: rilevamento del peso corporeo e della statura, mediante l’utilizzo
di una bilancia professionale e di un’asta metrica.
In seguito è stato determinato l’Indice di Massa Corporea o B.M.I. espresso come rapporto tra
il peso corporeo in Kg e la statura in m
2
.
I valori di riferimento del B.M.I., validi per maschi e femmine, come indicato dall’ OMS sono i
seguenti:
Valutazione BMI (Adulti)
Sottopeso < 18,5
Normopeso 18,5 - 24,9
Sovrappeso 25 - 29,9
Obeso 1
a
classe 30 - 34,9
Obeso 2
a
classe 35 - 39,9
- indagine ematologica: prelievo di un campione di sangue venoso e successiva
determinazione di alcuni parametri:
¾ Glicemia e HbA
1
c presso il laboratorio di analisi del Servizio Diabetologia ASL n°8 P.O.
San Giovanni di Dio di Cagliari, diretto dal Dott. Mario Manai.
¾ Se, Zn e Cu presso il laboratorio di analisi del Dipartimento di Medicina del Lavoro dell’
Università degli Studi di Cagliari, diretto dal Prof. Costantino Flore.
¾ Glutation-perossidasi - selenio dipendente presso il laboratorio di analisi del
Dipartimento di Scienze Applicate ai Biosistemi, sezione di Fisiologia e Nutrizione
Umana dell’ Università degli Studi di Cagliari.
I soggetti sono stati seguiti per circa 6 mesi; i prelievi sono avvenuti al Tempo zero (T
0
), dopo
3 mesi (T
1
) e dopo 6 mesi (T
2
).
Materiale e Metodi
Determinazione della Glicemia [15]
La Glicemia è la concentrazione di glucosio nel sangue; la sua determinazione è stata eseguita
sul plasma mediante un apparecchio della Beckman (CX
3
).
La concentrazione del glucosio nel campione viene determinata con l’impiego di un elettrodo
specifico per l’ossigeno. Quando al campione è aggiunta la glucosio-ossidasi, l’ossigeno sciolto
nella miscela di reazione si combina con il glucosio per formare Acido Gluconico e Acqua
Ossigenata.
O
//
C-H COH
| |
HCOH HCOH
| GOD |
HOCH + O
2
+ H
2
O HOCH + H
2
O
2
| |
HCOH HCOH
| |
HCOH HCOH
| |
CH
2
OH CH
2
OH
β-D-glucosio Ac. Gluconico
La quantità di ossigeno utilizzata nel corso della reazione nell’unità di tempo è proporzionale
alla quantità di glucosio presente. Il metodo è molto rapido e necessita solo di 10 µl di
campione. L’intervallo di normalità è 65 ÷ 110 mg/dl.
I valori compresi tra 111 e 125 mg/dl vengono considerati come “alterata glicemia a digiuno”
(ADA 1997 e WHO 1998) o IGF (improved glucose fasting).
Determinazione dell’emoglobina glicosilata [15]
L’emoglobina glicosilata è il prodotto della glicosilazione della frazione di emoglobina HbA
1
,
detta HbA
1
c, attraverso un processo non enzimatico, che anche nel soggetto non diabetico
avviene durante i 120 giorni di vita media dell’eritrocita. L’HbA
1
c è costituita da due frazioni:
una componente labile e una componente stabile, quest’ultima rappresenta il parametro
studiato tramite un metodo cromatografico ad alta pressione (HPLC).
Il legame che si stabilisce tra glucosio ed emoglobina è scarsamente reversibile e quindi l’Hb
glicosilata si accumula nel globulo rosso durante la vita di questo e il suo livello dipende dalla
concentrazione del glucosio.
L’interesse principale della determinazione dell’emoglobina glicosilata nei pazienti diabetici sta
nel fatto che essa è un indice di efficacia del controllo del diabete e del valore medio della
glicemia nei mesi precedenti la sua determinazione. L’intervallo di normalità è 4.3 ÷ 5.9 %, in
base allo strumento utilizzato.
Determinazione della Glutation-perossidasi-selenio dipendente [Reattivi Randox]
trasforma il glutatione ridotto in glutatione ossidato
GSH PX
2GSH + H
2
O
2
GSSG + H
2
O
La metodica è la seguente: a un’aliquota di 50 µl di sangue in toto eparinizzato viene aggiunto
1 ml di agente diluente, si agita e dopo 5’ si aggiunge 1 ml di agente Drabkin’s. Dopo
agitazione si procede alla preparazione delle cuvette in plastica e alla lettura allo
spettrofotometro a 340 nm. Si prelevano 20 µl di sangue diluito e si aggiungono a 1 ml di
reattivo 1, e poco prima di leggere l’assorbanza si aggiungono 40 µl di agente Cumene.
Vengono eseguite tre letture di assorbanza allo spettrofotometro: al Tempo zero (T
0
), dopo 1
minuto (T
1
) e dopo 2 minuti (T
2
).
La media delle differenze (T
0
-T
1
) e (T
1
-T
2
) va moltiplicata per 8412 e il risultato va moltiplicato
per il coefficiente di diluizione che è 41.
L’intervallo di normalità, secondo la metodica utilizzata, è 4171-10881 U/l
Es.
Nome (T
0
) (T
1
) (T
2
) T
0
-T
1
T
1
-T
2
Media
Media x
8412
GsaPx
U/l
S.F. 0,081 0,054 0,031 0,027 0,023 0,0250 210,3 8622,30
Determinazione di Selenio, Zinco e Rame
La tecnica utilizzata è stata la spettrofotometria ad assorbimento atomico con atomizzazione a
fiamma per il dosaggio di Cu e Zn e la spettrofotometria con atomizzatore elettrotermico per il
Se.
Per il dosaggio di Cu e Zn il plasma viene diluito 1/3 con acqua distillata.
Per la determinazione del Se il plasma viene diluito 1/3 con Triton X-100 (0.2%) e
successivamente l’autocampionatore opera un’ultima diluizione (1+1) con la soluzione
contenente il modificatore di matrice Pd-1000 ppm.
I valori ottenuti dal dosaggio vengono confrontati con i valori ottenuti da una curva di
calibrazione ottenuta da una serie di campioni di plasma a contenuto noto e certificato di Se,
Zn e Cu.
I valori di normalità sono i seguenti [15]:
Selenio nel plasma 59-105 µg/l
Zinco nel plasma 83-107 µg /dl
Rame nel plasma 80-140 µg /dl
Descrizione dei risultati
I risultati ottenuti dall’elaborazione dei dati sono stati raccolti in tabelle e/o espressi mediante
grafici.
In base ai valori di normalità del B.M.I. il 14% dei soggetti risulta normopeso, il 46%
sovrappeso, il 31% obeso di 1
a
classe e il 9% obeso di 2
a
classe.
Valutazione
14%
46%
31%
9%
Normopeso
Sovrappeso
Obeso 1a classe
Obeso 2a classe
In base ai dati comportamentali riportati nei quaderni-questionari risulta che il 51% dei
soggetti svolge un’attività fisica leggera e il restante 49 % svolge un’attività fisica moderata.
Mediante questionario è stato chiesto ai pazienti quale fosse la frequenza e la modalità di
consumo dei seguenti alimenti ricchi in selenio e zinco [32,39]:
carne (agnello, coniglio, maiale, manzo, pollo/tacchino e vitello)
salumi (prosciutto crudo, prosciutto cotto e bresaola)
frattaglie (fegato di bovino, fegato di suino e rene di bovino)
pesce e prodotti ittici (acciughe, cozze, gamberi, merluzzo, ostriche, seppie/polpi, sgombro,
sogliola e tonno sott’olio)
formaggi (crescenza, emmenthal, mozzarella, parmigiano e provolone)
legumi (ceci, fagioli e lenticchie)
frutta secca (arachidi, mandorle e noci)
Per quanto riguarda il consumo delle carni si osserva che la carne di agnello è consumata
occasionalmente dal 63% dei soggetti; la carne di coniglio è consumata 1-2 volte al mese dal
51% dei soggetti; mentre le carni consumate più di frequente (1-2 volte la settimana) sono
quelle di maiale (42% dei soggetti), pollo/tacchino (67%), manzo (55%) e vitello (48%).
Inoltre, risulta che le carni fresche sono preferite a quelle surgelate dal 79% dei soggetti.
I salumi sono consumati in quantità inferiore rispetto alle carni fresche e in particolare il
consumo di bresaola è limitato al 16% dei soggetti. Simili risultati riguardano il consumo di
frattaglie, che risultano non essere consumate dalla maggior parte dei pazienti.
Il consumo del pesce e dei prodotti ittici è inferiore rispetto al consumo delle carni; inoltre
alcuni prodotti come ostriche, acciughe e sgombro, non vengono quasi mai consumati; invece
la frequenza maggiore è attribuita al consumo di seppie/polpi e di merluzzo (1-2 volte al mese)
e al tonno sott’olio (1-2 volte la settimana). Anche in questo caso gli alimenti freschi sono
preferiti a quelli surgelati dal 73% dei soggetti.
Per quanto riguarda il consumo dei formaggi si nota che hanno una frequenza elevata
soltanto il parmigiano (79% per 3-4 volte la settimana) e la mozzarella (53% per 1-2 volte la
settimana).
I legumi entrano a far parte della dieta 1-2 volte la settimana per oltre il 50% dei soggetti, e
la modalità di consumo è varia (freschi, secchi, in scatola).
La frutta secca, ovviamente, viene consumata da circa il 60% dei soggetti solo
occasionalmente.
Dall’analisi dei parametri ematici rilevati al tempo T
0
, T
1
e T
2
, i valori medi sono i seguenti:
Glicemia:
al T
0
180.25 ± 59,16 mg/dl
al T
1
185.17 ± 81,86 mg/dl Intervallo di normalità 65 ÷ 110 mg/dl
al T
2
176,00 ± 65,84 mg/dl
HbA
1
c:
al T
0
7.1± 0,02 %
al T1
7.2± 0,02 % Intervallo di normalità 4.3 ÷ 5.9 %
al T
2
7,1± 0,02 %
Glutation Perossidasi:
al T
0
12867.92 ± 3457,43 U/l
al T1
9649.69 ± 2230,67 U/l Intervallo di normalità 4171-10881 U/l
al T
2
8653,65 ± 2381.15 U/l
Selenio:
al T
0
92.89 ± 13,06 µg/l
al T1 101.54 ± 17,89 µg/l Nel plasma 59-105 µg/l
al T
2
103.10 ± 19.45 µg/l
Zinco:
al T
0
79.04 ± 10,23 µg/dl
al T
1
100.97 ± 11,10 µg/dl Nel plasma 83-107 µg/dl
al T
2
92.01
± 12.37 µg/dl
Rame:
al T
1
108,75
± 27,16 µg/dl
al T
2
92,54 ± 19,01 µg/dl Nel plasma 80-140 µg/dl
Dal confronto con i valori fisiologici risulta che i valori sperimentali sono superiori per quanto
riguarda Glicemia e HbA
1
c, nella norma per quanto riguarda Glutation Perossidasi, Zinco e
Rame ed, infine, risultano al limite superiore dell’intervallo di normalità per quanto riguarda il
Selenio.
Mettendo in rapporto i parametri ematici considerati ed il tempo della sperimentazione risulta
che:
- la glicemia non mostra variazioni rilevanti così come l’ HbA
1
c
- la glutation perossidasi, mediamente, subisce un decremento
- il selenio e lo zinco, sebbene in modo differente, tendono ad aumentare; ed il rame non
mostra variazioni notevoli.
Rapportando le modificazioni osservate al periodo sperimentale si osserva quanto segue:
- il 3% dei soggetti mostra un aumento progressivo della Glutation Perossidasi dall’inizio
sino ai 6 mesi e solo i 10% da 3 a 6 mesi.
- il Selenio aumenta progressivamente nel 7% dei soggetti in tutto il periodo
sperimentale e da 3 ai 6 mesi nel 19% dei soggetti.
- lo Zinco aumenta progressivamente nell’11% dei soggetti e negli ultimi 3 mesi nel 14%
degli stessi.
Deduzioni conclusive
In base all’interpretazione dei risultati ottenuti si possono fare alcune considerazioni:
ξ la terapia sia farmacologica che dietetica, effettuata presso il Servizio di Diabetologia,
ha fatto sì che i pazienti fossero compensati, come è dimostrato dai valori di glicemia ed
emoglobina glicosilata.
ξ Per quanto riguarda, nello specifico, l’influenza della dieta mediterranea sui fattori
antistress-ossidativi, i risultati sono soddisfacenti relativamente ai livelli di Selenio e
Zinco, mentre la Glutation-perossidasi non sembra, per ora, essere influenzata. Infatti,
l’aumento che viene ipotizzato nei soggetti diabetici non compare nei soggetti da me
analizzati.
ξ D’altronde anche la correlazione tra la GPX, il Selenio e l’HbA
1
c, non è stata
sufficientemente significativa e questo dimostra ancora una volta che i tre parametri
non hanno avuto lo stesso andamento, relativamente al periodo considerato.
Le cause potrebbero essere diverse:
- non tutti i pazienti hanno seguito correttamente lo schema dietetico consigliato;
- un periodo di 6 mesi non è sufficiente per mettere in evidenza una variazione della GPX
indotta dall’assunzione di Selenio.
Quest’ ultima ipotesi potrebbe essere sostenuta dal fatto che la GPX plasmatica contiene solo il
20% del Selenio totale plasmatico, mentre il 60% è contenuto nella Seleno-proteina P [32].
Per il futuro sarebbe più indicato dosare non solo la GPX totale (GPX
c
+ GPX
e
) ma anche la
Seleno-proteina P, che ha il vantaggio, rispetto alla GPX, di rispondere ad assunzioni più basse
di Selenio.