1. INTRODUZIONE
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1.1 CAMBIAMENTI CLIMATICI ED EMISSIONI DI GAS SERRA
I cambiamenti climatici rappresentano una delle maggiori sfide che l’umanità dovrà affrontare nei prossimi
anni. L’aumento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacci e il cambiamento della frequenza e
dell’intensità degli eventi climatici su larga scala (cicloni, uragani, siccità prolungata) sono tutti fenomeni
riconducibili all’accumulo di gas serra nell’atmosfera. La loro presenza negli stati alti della troposfera fa sì
che il calore e la radiazione infrarossa emessa dal suolo non si disperda ma resti bloccata e venga riemessa
verso il suolo, dove provoca un innalzamento della temperatura.
Tra i gas responsabili del surriscaldamento globale troviamo vapore acqueo (H
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O), metano (CH
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), ossido di
diazoto (N
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O), ozono (O
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) e anidride carbonica (CO
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), tutti gas di origine naturale; a questi si aggiungono i
gas di origine antropica quali esafluoruro di zolfo (SF
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), idrofluorocarburi (HFCs), per fluorocarburi (PFCs) e
alogenocarburi (tra cui i CFCs), che hanno una struttura asimmetrica e sono classificati come potenti gas a
effetto serra. Eccezione va fatta per la CO
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che, pur non essendo un buon gas a effetto serra, provoca effetti
maggiori rispetto ai gas antropici poiché rilasciato in quantità di gran lunga superiori
(http://www.lavoisier.com.au) . Si stima, infatti, che delle oltre 7 Gtc emesse annualmente dalle attività
antropiche, il 40 – 60% sia rimasto in atmosfera (Tans et al. 1990, Conway et al. 1994) mentre la restante
parte viene assorbita dagli oceani e dagli ecosistemi terrestri, con forte variabilità annuale a seconda dei
biomi (Kauppi et al. 1992, Taylor & Lloyd 1992, Dixon et al. 1994, Gifford 1994, Ciais et al. 1995, Heimann
1995, Schimel 1995, Fan et al. 1998, Phillips et al. 1998, Valentini et al. 2000).
Con il Protocollo di Kyoto, entrato in vigore nel febbraio 2005, si è raggiunto un primo accordo a livello
internazionale per ridurre le emissioni di elementi inquinanti del 5% (almeno) rispetto ai livelli del 1990, nel
periodo 2008 – 2012. In concreto l’obiettivo assegnato all’Italia è una riduzione del 6.5% della anidride
carbonica rilasciata in atmosfera: secondo la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, il target sembra essere
raggiunto. Dopo la crescita registrata nel 2010 (+ 2% CO
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) le emissioni nel 2011 sono tornate a scendere di
circa il 2.4%, arrivando a valori inferiori a quelli del 2009, anno in cui il crollo del PIL e della produzione
hanno fatto diminuire in modo significativo le emissioni di anidride carbonica (- 7.2% e -7.4% rispetto ai
valori del 1990) (Dossier Kyoto 2012 – Le Emissioni di Gas Serra in Italia 208 – 2011. Edo Ronchi, Andrea
Barbabella. Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile). Sebbene la contrazione dell’economia abbia influito in
modo consistente sulla riduzione delle emissioni, negli ultimi anni sono cresciute le tecnologie con impatto
netto positivo ai fini della riduzione delle emissioni: dai miglioramenti dell’efficienza energetica nell’edilizia
ai vincoli sulle emissioni delle automobili (gpl, metano e auto a basse emissioni di CO
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), fino alla crescita
nell’utilizzo della bioenergia. È proprio sullo sviluppo di queste nuove fonti di energia verde che la ricerca
punta, per migliorare l’efficienza degli impianti e l’impatto sull’ambiente.
1.2 LE ENERGIE RINNOVABILI
Con questo termine si indicano, in ingegneria energetica, quelle fonti di energia che per la loro
caratteristica intrinseca “si rigenerano almeno alla stessa velocità con cui vengono consumate, o che non
sono esauribili nella scala dei tempi umani” e “il cui utilizzo non limita lo sfruttamento futuro delle risorse
naturali” (Y. Cengel, M. Boles. Thermodynamics. An Engeneering Approach). Sono considerate tali l’energia
idroelettrica, quella solare, eolica, marina, geotermica e il biocarburante ricavato da colture o scarti di
produzione (sia animali che vegetali).
L’uso di queste tecnologie offre una serie di vantaggi, non solo di carattere economico:
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Sono fonti sostenibili, perciò sfruttabili nel lungo periodo senza modificare la loro disponibilità
Sono inesauribili, a differenza delle fonti fossili come petrolio, carbone, gas naturale o uranio
(utilizzato per l’energia nucleare), che sono in rapido esaurimento
Sono per la maggior parte fonti “programmabili” : la loro produzione può essere programmata in
base alla richiesta energetica del momento, azzerando gli sprechi; in questo gruppo rientrano gli
impianti idroelettrici a serbatoio o a bacino, impianti assimilati che utilizzano combustibili fossili, di
processo o residui, rifiuti solidi urbani e biomasse.
Sono a emissioni zero, poiché non sfruttano la combustione di sostanza fossile ma bruciano
biomassa che ha precedentemente assorbito CO
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durante la sua formazione, portando a un bilancio
netto positivo sulle emissioni finali.
Fig 1.1: Confronto tra biodiesel e biocarburanti convenzionali per le emissioni di sostanze inquinanti
Per questi motivi le bioenergie si candidano come ottime sostitute del petrolio che, oltre ad essere una
risorsa finita, ha raggiunto prezzi esorbitanti (con conseguenze dirette sul prezzo della vita). Anche se di
queste nuove tecnologie non si conosce sempre il costo a regime, esse possiedono un significativo
potenziale di espansione, sia per quel che riguarda la produzione di elettricità e calore, sia nel settore dei
trasporti sotto forma di biocarburanti.
A puntare su questi ultimi tipi di energie sono soprattutto i governi che, oltre a favorirne la produzione e la
commercializzazione con leggi ad hoc, hanno stanziato incentivi e fondi sia per il privato (impianti eolici o a
pannelli solari per le case, macchine a basse emissioni o GPL) che per l’industria e la ricerca (per trovare
nuove e più performanti vie di produzione).
1.3 ENERGIA PRODOTTA DA BIOMASSE
Questa diffusa consapevolezza nell’uso e produzione dei biocarburanti ha portato, negli ultimi anni, a una
valorizzazione dell’energia prodotta dalle biomasse. con questo termine si intende la “frazione
biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente
sostanze animali e vegetali) , dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile
dei rifiuti industriali e urbani (Direttiva 2009/28/CE). Da queste sostanze, ricche in carboidrati
(monosaccaridi, saccarosio, amido e cellulosa), grassi e proteine si possono ricavare diversi tipi di
biocarburante, a seconda del tipo di degradazione biologica applicata. Per esempio dalla fermentazione di
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canna da zucchero, barbabietola e mais, spesso prodotti in quantità maggiori al fabbisogno, si può ricavare
l’etanolo utilizzato come combustibile nei motori endotermici al posto della benzina; oppure dalla
digestione anaerobica degli scarti di coltivazione, rifiuti vegetali e liquami di origine animale si forma il
biogas, utilizzabile come combustibile per il riscaldamento e per la produzione di energia elettrica.
Particolarmente significativa in Europa è stata la crescita della produzione di elettricità da biomasse legnose
(legno, residui legnosi forestali e colture specifiche come il pioppo e il miscanto), che è stata mediamente
del 14,7% per anno a partire dal 2001 (Ecoprog e Fraunhofer Umisich, 2009). La maggior parte di questa
produzione (65% nel 2009) proviene da impianti di cogenerazione, che utilizzano la biomassa con elevata
efficienza e consentono il recupero e la riutilizzazione anche del calore prodotto dalla generazione elettrica.
Tabella 1.1 : Attuali paesi europei produttori di biodiesel
Per quanto riguarda l’Italia, il Piano di Azione Nazionale sulle Rinnovabili affida un ruolo fondamentale alle
biomasse: se fino ai primi anni sessanta la produzione energetica rinnovabile italiana era affidata alle
centrali idroelettriche dell’arco alpino e appenninico, la crescente richiesta di energia ha favorito la nascita
di impianti a combustione di biomasse, facendo registrare una crescita costante del settore negli ultimi
anni.
Nel solo 2010 l’Italia ha prodotto circa 76.9 TWh di elettricità da fonti rinnovabili, pari al 22.2% del
fabbisogno nazionale lordo: di questi, circa il 90% deriva da impianti definiti programmabili (fonte Terna –
dati statistici). Con tali valori, l’Italia risulta essere il quinto produttore di elettricità da fonti rinnovabili
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nell’UE – 15, dopo Germania, Francia e Spagna (dati “GSE” 2009 – fonte GSE – Terna – ENEA). A supportare
i dati positivi di produzione ci sono i dati del mercato, che è in forte espansione a causa delle crescenti
percentuali di incorporazione obbligatoria stabilite dalla più recente legislazione (4% come equivalente in
valore energetico per il 2011). In termini quantitativi la Direttiva n.30 del 2009 ha stabilito i limiti massimi
del 7% in volume per il biodiesel e del 22% per l’ETBE come quantità di biodiesel e bioetanolo immettibili al
consumo previa miscelazione con benzina e gasolio.
1.4 VANTAGGI E SVANTAGGI DELLE BIOMASSE VEGETALI
Anche se i dati riportati rimandano ad uno scenario più che favorevole, la produzione di questi nuovi
biocarburanti è tutt’altro che semplice. A influire sulla qualità e la quantità dell’energia prodotta o
utilizzabile sono i tipi di biomasse utilizzate, il tipo di lavorazione e la qualità dell’impianto. Queste
limitazioni portano ad una serie di “pro” e “contro” che fanno dubitare del reale vantaggio dell’uso di
queste tecnologie rispetto alle tradizionali.
Se i vantaggi, già brevemente elencati, comprendono l’impatto ambientale positivo, le basse emissioni di
idrocarburi aromatici ad anelli condensati (benzopireni ridotti del 71%) e diossido di zolfo (assente) e il
riutilizzo delle biomasse residuali provenienti da scarti agricoli, industriali e urbani, la loro produzione su
scala mondiale potrebbe influire sull’agricoltura e sull’industria. In particolare:
Coltivazione: quasi tutti i biocarburanti liquidi prodotti su larga scala sono ricavati da colture
oleaginose specifiche, quali colza, soia, senape e palma. In caso di crescita incontrollata del
settore agro energetico, gli elevati profitti della nuova filiera potrebbero indurre gli operatori
agricoli ad abbandonare le classiche colture per dedicarsi alle monocolture oleaginose. Ciò
porterebbe a un deficit della produzione alimentare locale, con perdita di molte delle colture
endemiche, e a una diminuzione dei terreni destinati alla coltivazione di cereali (alimento base
dei paesi poveri). Si creerebbe un conflitto per la destinazione finale dei terreni e dei prodotti
agricoli, ben riassunto nella domanda “cibo o combustibile?”
Biodiversità: la sostituzione delle colture tradizionali con le monocolture oleaginose porterebbe
ad una diminuzione della biodiversità, sia animale che vegetale, e ad un impoverimento del
suolo; nel giro di pochi anni si avrebbe il completo disfacimento dell’ecosistema
Incorporazione: la tendenza ad incorporare percentuali crescenti di biodiesel in benzina e
gasolio deve tener presente l’esigenza delle case automobilistiche di non modificare i motori
e/o i veicoli e quella dei produttori di carburanti di poter immettere nella rete di distribuzione
nazionale un prodotto pienamente usabile(un qualsiasi veicolo deve poter passare senza
problemi dall’uso di una miscela contenente biocarburanti a quello del combustibile fossile e
viceversa). La commercializzazione di un prodotto esclusivo per una stretta gamma di veicoli (o
macchinari) potrebbe limitarne la commercializzazione e quindi la produzione.
Produzione: l’utilizzo e la raffinazione delle potature e lavorazioni agricole e dei residui forestali
richiede impianti e macchinari non sempre presenti negli attuali impianti di smaltimento degli
scarti. Bisognerebbe, perciò, creare impianti ex novo con macchinari adeguati che, dato il forte
impatto ambientale e urbanistico (sono comunque luoghi di stoccaggio di materiale degradato,
che possono produrre fumi e odori sgradevoli) sono difficili da collocare sul territorio; la loro
costruzione o l’adeguamento dei vecchi impianti comporterebbe, comunque, una spesa non
indifferente da parte dello stato, non sempre copribile con i finanziamenti e i fondi europei.
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