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1. INTRODUZIONE
L'acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va
protetto, difeso e trattato come tale. Questa è la considerazione di principio che
Parlamento Europeo e Consiglio dell’Unione Europea esprimono in apertura della
direttiva quadro 2000/60/CE per l’azione comunitaria in materia di acque. La natura di
bene primario, di risorsa insostituibile e inalienabile dell’elemento acqua prescinde,
infatti, da qualunque considerazione e azione di tipo politico o economico e come tale è
avvertita da qualunque essere vivente sin dalla nascita. Altrettanto salda nei principi di
chiunque di noi è la necessità di salvaguardare tale patrimonio tanto da inutili sprechi
quanto da imperdonabili alterazioni ecologiche e depauperamento. Le fonti
d’inquinamento, ben presenti nella percezione comune del problema, vanno
dall’industria con i suoi scarichi, all’agricoltura intensiva con i suoi pesticidi ed erbicidi,
all’uso diffuso di prodotti e sostanze di utilità quotidiana. Le campagne di
sensibilizzazione ad opera di enti e amministrazioni contribuiscono ad aumentare
conoscenza e consapevolezza dei rischi e delle misure di buon senso e responsabilità
che possano ridurne il pericolo; le normative comunitarie, nazionali e locali indicano le
prescrizioni e definiscono obiettivi di qualità da perseguire.
Uno dei più diffusi elementi di potenziale rischio per la qualità delle acque e di
conseguenza di tutto l’ecosistema è però tanto presente nella vita di ognuno quanto in
gran parte trascurato da opinione pubblica e normative di settore: i farmaci e i loro
metaboliti.
1.1 I farmaci e le loro fonti
In Italia, l’Osservatorio sull’Impiego dei Medicinali ha rilevato nel decennio 2000-2009
un aumento del consumo di farmaci del 60%, con una media annua del 5% circa, e un
ulteriore incremento delle quantità prescritte nei primi nove mesi del 2010, con 954 dosi
ogni mille abitanti (Gruppo di lavoro OsMed, 2010a; Gruppo di lavoro OsMed, 2010b).
A questi vanno aggiunti i farmaci senza obbligo di prescrizione (SOP) e quelli per
automedicazione o da banco (OTC). Parte di questa enorme mole di prodotti resta
inutilizzata e – se indesiderata o scaduta – è smaltita nella maggior parte dei casi in
maniera impropria, nella spazzatura o negli scarichi domestici. Lo smaltimento
improprio è una fonte di contaminazione di sicura rilevanza ma la cui significatività
relativa è ancora scarsamente compresa; non è noto, infatti, quale percentuale di un
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principio attivo (p.a.) rinvenuto nell’ambiente possa derivare dallo smaltimento, e le
potenziali fonti sono troppe e troppo disperse (Ruhoy & Daughton, 2008). In realtà la
principale fonte di contaminazione ambientale da farmaci è il paziente in terapia. La
maggior parte dei farmaci è metabolizzata dall’organismo per reazioni di Fase I e Fase
II. La Fase I comprende reazioni di ossidazione, riduzione e idrolisi, e i prodotti sono
spesso più reattivi e tossici dei composti originari. La Fase II implica reazioni di
coniugazione, risultanti nell’inattivazione della sostanza. Questa strategia metabolica
crea prodotti più polari e quindi più idrofili dei composti originari, al fine di favorirne
l’escrezione (Halling-Sorensen et al., 1998; Daughton & Ternes, 1999). In realtà, una
volta esplicati gli effetti terapeutici, i medicinali sono escreti tramite urine e feci in
forma di miscela di metaboliti, oppure come sostanza inalterata, o ancora come
molecole coniugate, legate ad un sostituente inattivante. L’esito è funzione delle
proprietà chimico-fisiche della sostanza e della sua farmacologia (Halling-Sorensen et
al., 1998). In alcuni casi, le dosi di farmaco effettivamente assunte sono eliminate
dall’organismo quasi totalmente in forma di composto parentale; è il caso, ad esempio,
di farmaci quali furosemide e idroclorotiazide (diuretici), escreti per più del 90% della
dose in forma originaria (Calamari et al., 2005). Più in generale, i farmaci sono spesso
escreti nella loro forma originaria o come metaboliti attivi (Heberer et al., 2002a;
Zuccato et al., 2005).
1.2 I farmaci negli impianti di depurazione
Principi attivi e metaboliti fanno dunque il loro ingresso, in urine e feci, nelle acque di
scarico destinate ad essere raccolte e convogliate negli impianti di trattamento dei reflui
urbani o depuratori (Sewage Treatment Plants, STP), prima dell’immissione nei corsi
d’acqua naturali (Fig. 1).
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Fig. 1 – Schema del destino ambientale dei farmaci (Ternes, 1998).
Le finalità del trattamento a cui le acque reflue sono sottoposte in un impianto di
depurazione sono, secondo la definizione dell’Istituto Superiore per la Protezione e la
Ricerca Ambientale (ISPRA):
- separare dal liquido le sostanze inquinanti, concentrandole sotto forma di fanghi;
- provvedere ad un trattamento dei fanghi, includendo preferibilmente anche una
stabilizzazione, in modo da consentirne un corretto smaltimento.
La depurazione avviene in comparti (linee) diversi dell’impianto per acqua e fanghi,
mediante trattamenti di natura fisica, chimica e biologica. A loro volta, i processi operati
sulle due linee possono essere suddivisi in fasi.
In un impianto tipico, la linea depurativa delle acque prevede le fasi di:
- Trattamento preliminare (o pretrattamento):
è finalizzato alla rimozione di parti grossolane (detriti, rifiuti solidi), sostanze
abrasive, sabbie e oli, in grado di recare danno all’impianto e quindi non ammissibili
ai trattamenti successivi. I reflui sono sottoposti a grigliatura su setacci di diverse
dimensioni e geometria, a dissabbiatura per sedimentazione e a disoleazione
mediante insufflazione d’aria;
- Trattamento primario:
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ha l’obiettivo di rimuovere per sedimentazione i solidi sospesi mediante processi
fisici o chimico-fisici a seguito dei quali il BOD5 e i solidi sospesi totali (SST) siano
ridotti rispettivamente di almeno il 20 e il 50%;
- Trattamento secondario:
cosiddetto a fanghi attivi, è finalizzato all’abbattimento della sostanza organica
biodegradabile e dei solidi in forma colloidale non sedimentabili, ovvero non
separabili con trattamenti di tipo fisico. I reflui subiscono un processo ossidativo
biologico con flocculazione e sedimentazione secondaria;
- Trattamento terziario:
perfeziona la depurazione riducendo il carico di elementi nutrienti (principalmente
azoto e fosforo) ed eliminando i solidi disciolti biorefrattari ancora presenti dopo il
trattamento secondario;
- Disinfezione:
abbatte la carica di microrganismi patogeni delle acque reflue in uscita
dall’impianto, riducendola a valori di concentrazione residua accettabili sotto
l’aspetto del rischio sanitario e ambientale. Le tecniche maggiormente in uso in uso
nei depuratori urbani prevedono l’uso di agenti chimici (cloroderivati, ozono, acido
peracetico) o fisici (raggi UV).
Il trattamento dei fanghi residui della depurazione delle acque ha l’obiettivo di renderli
idonei allo smaltimento finale, laddove la destinazione e l’utilizzo finali prevedono
modalità diverse e dunque diversi requisiti di idoneità. I principali processi di
trattamento possono essere suddivisi in due categorie:
- Processi di separazione, che hanno lo scopo di allontanare parte della fase liquida
dalla frazione solida dei fanghi. Appartengono a questa categoria:
o l’ispessimento
o la disidratazione
o l’essiccamento termico
- Processi di conversione, finalizzati a provocare modificazioni delle caratteristiche
dei fanghi per facilitarne i trattamenti successivi. Fanno parte di questa categoria:
o la stabilizzazione (per digestione o compostaggio)
o il condizionamento
o l’incenerimento e la pirolisi
o la disinfezione.
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I fanghi trattati sono quindi avviati a smaltimento per incenerimento o per stoccaggio in
discariche controllate, o riutilizzati “ogni qualvolta ciò risulti appropriato” (D. Lgs. n.
152/1999) per applicazione su suoli – agricoli e non – e come compost.
L’efficacia nella rimozione dei farmaci è una risultante di diversi fattori quali, tra gli
altri, la natura della sostanza, il processo impiegato nel trattamento, le condizioni
ambientali (Zuccato et al., 2006). I principali meccanismi coinvolti nell’abbattimento di
questa classe di composti sono sorption su fanghi e biodegradazione (Carballa et al.,
2004; Vieno, 2007), processi in cui sono determinanti proprietà della molecola quali il
grado di affinità per la materia organica, la capacità di adsorbimento su solido, il grado
di dissociazione e la biodegradabilità (Vieno, 2007).
La sorption dei farmaci su fanghi può avvenire per assorbimento o per adsorbimento.
Nel primo caso, il composto è rimosso per interazione idrofobica con la frazione lipidica
del refluo o con la membrana cellulare dei microrganismi. La capacità di una sostanza
di essere absorbita nei fanghi è definita dal suo coefficiente di ripartizione ottanolo-
acqua, K
ow
; secondo una caratterizzazione fatta da H.R. Rogers (Rogers, 1996), il
potenziale di absorbimento di una molecola può essere classificato come basso, medio o
alto per valori di logK
ow
rispettivamente <2.5, 2.5-4.0, >4.0. Inoltre, il citato grado di
dissociazione influenza il valore di K
ow
poiché solo le specie non dissociate ripartiscono
nelle fase lipidica; di conseguenza, risulta rilevante la relazione tra il pH delle acque e la
costante di dissociazione acida delle molecole (K
a
). Per valori pressoché equivalenti di
pH e pK
a
, vi sarà in soluzione una miscela di specie ionizzate e non circa uguale; per
valori di pH = pK
a
± 2 vi sarà in soluzione una prevalenza di una delle due specie.
Dunque i composti ionizzati e quelli indissociati con logK
ow
<2.5 sono poco absorbiti
dai fanghi di depurazione ed è quindi più verosimile che la loro sorption avvenga con
meccanismi di adsorbimento, ovvero per interazioni di natura elettrostatica all’interfase.
La capacità di adsorbimento di una molecola è descritta dal coefficiente di partizione,
K
D
. L’adsorbimento su fanghi può essere considerato un processo di rimozione rilevante
per sostanze con valori di K
D
>300 L kg
-1
(Joss et al., 2005).
La biodegradazione è considerata per molti principi attivi la principale forma di
rimozione negli impianti di trattamento dei reflui (Vieno, 2007). La degradazione
biologica può avvenire per metabolizzazione o per co-metabolizzazione; nel primo caso,
la molecola è utilizzata dai batteri coinvolti come fonte primaria di carbonio, mentre nel
co-metabolismo la sostanza non viene utilizzata da un organismo per la crescita, poiché
viene modificata o parzialmente convertita in presenza di altro materiale organico che
serve come fonte di carbonio e di energia. La co-metabolizzazione è considerato tra i