Introduzione
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1.2 La metilazione del DNA
La metilazione del DNA rappresenta un importante meccanismo di regolazione
epigenetica che si somma alle modifiche istoniche, permettendo una più fine
regolazione dell’espressione genica cellulare. La modifica coinvolge la posizione 5
della citosina, presente, soprattutto, nel dinucleotide CpG anche se recentemente è stato
dimostrato, nelle stem-cells e all’interno dei geni, che la metilazione avviene nell’uomo
anche in sequenze CHG e CHH (H sta per A, C, T,) comportando in questo caso
attivazione genica (Pelizzola and Ecker, 2011).
La metilazione del DNA può avere significati differenti (figura 3). A livello
genomico vi sono regioni ad elevata densità del dinucleotide CpG che prendono il nome
di isole CpG; esse rappresentano regioni di almeno 200bp, il cui contenuto in C+G è
superiore al 50% e di cui il rapporto in CpG ritrovate rispetto ad attese è superiore a 0,6.
Solo in rari casi il livello di metilazione di tali isole cambia in funzione dell’espressione
del gene, poiché sostanzialmente il pattern di metilazione in CpG rimane lo stesso in un
determinato gene. Le isole CpG sono distribuite lungo l’intero genoma soprattutto nelle
regioni promotrici dei geni housekeeping e di quelli regolati. La metilazione della
regione promotrice del gene è associata ad inibizione trascrizionale (Klose and Bird,
2006).
Il significato del processo di metilazione cambia invece a livello di sequenze
molto ripetute nel genoma (trasposoni), in cui grazie alla metilazione si ha una
inibizione della mobilizzazione, con conseguente stabilizzazione genomica (Slotkin and
Martienssen, 2007).
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Figura 2: Rappresentazione schematica della repressione dell’espressione genica
mediata dal complesso G9a/GLP. Vi è una molecola che lega G9a/GLP alla DNA
metiltrasferasi 3. Analisi genetiche indicano che la sola G9a o la sola GLP risulta essere
incapace sia di catalizzare la metilazione in H3K4, sia si reclutare la DNA
metiltrasferasi, portando alla riattivazione dei geni target.
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I trasposoni rappresentano elementi genetici mobili il cui numero di copie a livello
genomico è estremamente elevato. In base al loro meccanismo di trasposizione si
possono distinguere: 1) i trasposoni a DNA (circa l’1% delle sequenze ripetute ed
intersperse) caratterizzati dalla presenza di estremità ripetute ed invertite ed in grado di
codificare per l’enzima trasposasi. Il meccanismo di trasposizione di tali sequenze è
definito di “Cut and Paste”; 2) i retrotrasposoni, o trasposoni ad RNA, necessitano di un
intermedio ad RNA e codificano per l’enzima trascrittasi inversa. Il meccanismo di
trasposizione di tali sequenze è detto “Copy and Paste” e accresce notevolmente le
dimensioni del genoma. I retrotrasposoni (che ammontano a circa il 25% del genoma di
ratto) possono essere ulteriormente suddivisi in retrotrasposoni L TR (simili a retrovirus
e caratterizzati dalla presenza di Long Terminal Repeat ) e retrotrasposoni non LTR
comprendenti le LINEs (Long Interspersed Nucleotide Elements), capaci di trasporre in
maniera autonoma, e le SINEs (Short Interspersed Nucleotide Elements) che
necessitano di altri elementi mobili per la trasposizione. Il meccanismo di metilazione
del DNA nelle germ cells, essenziale per la soppressione della trasposizione, è piuttosto
chiaro e prevede l’intervento sia delle DNA metiltrasferasi che del complesso PIWI-
piRNA. La proteina PIWI, che appartiene alla famiglia delle proteine Argonauta, lega
piccoli RNA di lunghezza compresa tra 24 e 32 nucleotidi, detti piRNA, complementari
alla regioni genomiche codificanti per i trasposoni. È stato proposto che i complessi
contenenti piRNA guidino le DNA metilasi, dotate di attività de novo, sulle sequenze
dei trasposoni e, non essendo state evidenziate delle interazioni dirette tra PIWI e
DNMT3, si ritiene che tale reclutamento avvenga indirettamente (Aravin et al., 2008).
È stato dimostrato che la metilazione lungo il corpo del gene è correlata con
l’attivazione trascrizionale, poiché probabilmente stabilizza l’interazione tra il DNA e la
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RNA polimerasi II durante la fase di inizio della trascrizione, impedendo all’enzima di
dissociarsi dallo stampo (Aran et al., 2011). Solitamente un gene attivo si presenta in
forma ipometilata a livello della regione del promotore, poiché si ritiene che la
metilazione del promotore potrebbe inibire la trascrizione o promuovendo il legame al
DNA di repressori trascrizionali (tipo MeCP1 e MeCP2) o mascherando sul DNA siti di
interazione con molecole di attivatori. MeCP2 presenta una regione nota come MBD o
“methyl-binding domain ”, capace di legare sequenze di DNA metilato; una regione
responsabile del silenziamento dei geni bersaglio, il dominio di repressione
trascrizionale (transcriptional repression domain, TRD) e infine, un dominio C-
terminale le cui funzioni non sono ancora ben chiare, ma sembrano essere importanti sia
per interagire con altre proteine con cui MeCP2 collabora, sia per facilitare il legame al
DNA. MeCP1 e MeCP2 sono in grado di reclutare deacetilasi e demetilasi istoniche e
complessi di rimodellamento della cromatina, fungendo da importanti regolatori
dell’espressione genica nella cellula (Jones et al., 1998). La reazione di metilazione del
DNA è catalizzata da una classe di enzimi le DNA metiltrasferasi che utilizzano il
coenzima SAM (S- adenosilmetionina), come donatore di gruppi metili.
Nei mammiferi sono state ritrovate 5 famiglie di DNA metiltrasferasi: DNMT1,
DNMT2, DNMT3a e DNMT3b e DNMT3L di cui solo DNMT1 e DNMT3a e 3b
presentano attività catalitica. In particolare DNMT1 presenta attività di mantenimento
mentre DNMT3 ha attività de novo. La metilazione di mantenimento consente alle
cellule figlie di ereditare il pattern di metilazione della cellula madre; quest’ultima
presenterà infatti entrambi i filamenti di DNA metilati e ciascuno di essi verrà utilizzato
come stampo ad opera di una metilasi di mantenimento che ristabilirà la metilazione di
partenza. La metilazione de novo avviene su filamenti di DNA, originatisi da una
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doppia elica non metilata. La DNMT3L non è cataliticamente attiva, ma è in grado di
reclutare e stimolare l’attività di DNMT3 ed è coinvolta in importanti processi quali la
gametogenesi e l’Imprinting. L’Imprinting è un fenomeno che avviene nelle cellule
eucariotiche e dove la metilazione del DNA ha un ruolo preminente. Infatti, nelle cellule
diploidi, nella maggior parte dei casi, i due alleli sono espressi in uguale misura; ci
sono, però, alcuni casi dove una copia di un gene è attivamente espressa mentre l’altra è
silente. Quell’assetto che non viene espresso è soggetto ad una pesante metilazione.
L’enzima DNMT1, in particolare, nei mammiferi risulta essere indispensabile
durante le prime fasi dello sviluppo dell’embrione. Il suo ruolo chiave nell’
embriogenesi è dimostrato dal fatto che la deplezione dell’enzima in cellule somatiche
adulte causa disfunzioni cellulari portando alla morte della cellula. La DNMT1 contiene
un dominio catalico DNA metitrasferasico C-terminale molto conservato che è
implicato nel mantenimento del pattern di metilazione nel genoma, e un dominio N-
terminale che presenta numerosi domini di legame per il DNA e per altre proteine. La
presenza di questo ultimo dominio suggerisce una potenziale funzione non catalitica
dell’enzima. Per esempio, è stato suggerito che la DNMT1 potesse essere implicata,
tramite l’utilizzo del suo dominio N-terminale, nella regolazione dell’espressione della
caderina E, una molecola coinvolta nell’adesione delle cellule epiteliali. In particolare,
la DNA metiltrasferasi interagisce con un complesso repressore che inibisce la
trascrizione della molecola di adesione cellulare, consentendone così l’espressione
(Espada, 2012).
La DNMT1 rappresenta un target per alcune molecole quali gli inibitori della
DNA metiltrasferasi (DNMT1i) , che possono lavorare in sinergia con gli inibitori di
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istone deacetilasi (HDACi) come potenziali farmaci tumorali. Recentemente è stato
dimostrato che un inibitore di istone deacetilasi, la tricostatina A, riduce i livelli di
metilazione globale ed in particolare della DNMT1, sottolineando la cooperazione tra le
diverse modifiche epigenetiche (Arzenani et al., 2011). DNMT1 e DNMT3b sono
essenziali per lo sviluppo dell’embrione murino, mentre topi che mancano
dell’espressione della DNMT3a sopravvivono per molte settimane dopo la nascita.
Comunque, corretti pattern di metilazione del DNA non sono solo critici per lo sviluppo
dei mammiferi, ma sono anche richiesti per il controllo della crescita di una cellula
normale.
Il ruolo della DNMT3b è stato ben caratterizzato nella sindrome da instabilità
centromerica, immunodeficienza e dismorfismi (ICF), una malattia rara autosomica
recessiva, caratterizzata da immunodeficienza, riarrangiamenti caratteristici in
prossimità dei centromeri (eterocromatina pericentromerica) dei cromosomi 1, 16 e 9 e
lievi dismorfismi. Recentemente sono stati mostrati in pazienti affetti da questa
patologia cambi significativi nell’espressione genica di geni critici per la funzione
immune, lo sviluppo e la neurogenesi, in accordo col fenotipo determinato dalla ICF. I
geni menzionati vengono iperespressi; sono infatti marcati da bassi livelli di
metilazione, accompagnati dalla perdita di modifiche istoniche associate a repressione
come la trimetilazione della lisina 27 nell’istone H3 (H3K27me3) e l’aumento di
modifiche associate all’attivazione trascrizionale, quali trimetilazione della lisina 4
dell’istone h3 (H3K4me3) e l’acetilazione della lisina 9 dell’istone H3 (Jin et al., 2007).
La DNMT3b è un enzima di largo interesse non solo perché il suo ruolo è molto
importante durante lo sviluppo, ma anche perché esso è strettamente legato
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all’insorgenza del cancro. La regione N-terminale della DNMT3b contiene un dominio
PWWP (codificato dagli esoni 6 e 7) ed un dominio PHD (codificato dagli esoni 12 e
13). Il dominio PWWP è coinvolto nel reclutamento della DNMT3b all’eterocromatina
pericentromerica e nel suo legame non specifico, mentre il dominio PHD media le
interazioni proteina-proteina e l’abilità da parte della metiltrasferasi di reprimere la
trascrizione in maniera dipendente dalle istone deacetilasi (HDAC). La DNMT3b risulta
overespressa in molti tipi di tumore e la sua deplezione causa l’apoptosi e la
demetilazione di geni soppressori del tumore ipermetilati nelle cellule cancerose. Quindi
questa metiltrasferasi contribuisce direttamente alla metilazione aberrante che si verifica
in cellule tumorali (Gopalakrishnan et al., 2009).
La DNMT3a è una metiltrasferasi di mammifero de novo. Nell’uomo, essa
presenta un dominio ammino-terminale che contiene vari siti in grado di reclutare
repressori trascrizionali. Embrioni che mancano dell’espressione della Dna
metiltrasferasi 3a mostrano numerosi difetti, tra i quali danni alla crescita e alla
formazione del tubo neurale. Mutazioni nella DNMT3a sono ricorrenti aberrazioni
molecolari in pazienti affetti di leucemia mieloide cronica (AML). Il preciso ruolo di
queste mutazioni nella leucemogenesi rimane ancora elusivo e quello che si sta testando
è il loro potenziale valore prognostico nei pazienti malati di AML (Schwarz and
Marková, 2013).
La metilazione del DNA può essere usata come biomarker per malattie
cardiovascolari. È stata osservata una globale ipometilazione nelle lesioni
arteriosclerotiche come conseguenza di una dieta povera di folato o di un’elevata
concentrazione dell’omocisteina in animali e uomini presi a modello (Kim et al., 2010).
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È stato proposto un ruolo della metilazione intragenica nel regolare promotori
alternativi. In particolare, si è visto che in alcuni geni per i quali esistono promotori
alternativi, questi ultimi presentano isole CpG che possono essere metilate. Queste isole
CpG si trovano in porzioni del gene soggette a modifiche istoniche associate ad
attivazione trascrizionale, quali la trimetilazione della lisina 4 dell’istone H3. Quindi, si
è osservato per questi geni una correlazione inversa tra il grado di metilazione del DNA
e la presenza della modifica H3K4me3 (Maunakea et al., 2010).
Un’altro ruolo per la metilazione intragenica è stato proposto in un recente lavoro
sul ratto, ovvero quello di identificare regioni codificanti e quindi di mediare
nell’evento dello splicing alternativo la scelta degli esoni o l’eventuale ritenzione
intronica. Difatti, è stata analizzata la metilazione lungo il gene e si è ritrovato che per
alcuni di essi si ha un pattern di metilazione costante, con geni trascrizionalmente attivi
che presentano ipometilazione a livello del promotore ed ipermetilazione a livello degli
esoni. La metilazione nelle regioni non tradotte presenti alle estremità del trascritto
UTR, invece, risulta essere più accentuata se queste contengono esoni codificanti e
viceversa. Quindi è stato proposto un ruolo per la metilazione nella scelta degli esoni
durante lo splicing alternativo o nella ritenzione degli introni (Sati et al., 2012).