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Capitolo I
CONTESTO STORICO – ECONOMICO USA
A partire dagli anni sessanta il contesto economico in cui si è trovata ad operare la Federal
Reserve è stato caratterizzato da numerosi periodi di instabilità economica, tra le cui cause
svolgono un ruolo predominante le crisi energetiche.
Tra il 1960 e il 1964, l’ inflazione si muoveva tra valori molto bassi, in media su poco più
dell’ 1% all’ anno. Durante la guerra del Vietnam, 1965-1969, e all’ inizio degli anni
settanta la crescita dei prezzi divenne un problema preoccupante, dovuto alla politica
monetaria troppo espansiva in voga all’ epoca. Si pensava infatti di poter contenere il tasso
di disoccupazione entro il 3 – 4%, mantenendo l’ inflazione a livelli un po’ più elevati.
Questo approccio incontrava il favore di molti economisti che pensavano che tenere l’
inflazione ad un livello poco superiore alla media avrebbe portato ad ottenere un aumento
permanente dell’ occupazione e riduzione della disoccupazione. Uno dei primi a dubitare di
questo approccio fu Friedman che sosteneva che il tentativo di mantenere la disoccupazione
ad un livello troppo basso attraverso una politica monetaria espansiva sarebbe sfociato nell’
inflazione. Tuttavia una serie di fattori resero ancora più difficile la lotta all’ inflazione in
quel periodo, come una serie di shock che interessarono i prezzi del petrolio e dei generi
alimentari.
Il 1967 infatti fu l’anno dell’ inizio di una crisi per l’ economia mondiale a causa delle
improvvise difficoltà nell’ approvvigionamento energetico per i paesi industrializzati che
raggiunse il suo culmine nel 1973. Il 6 ottobre 1973 infatti iniziò la cosiddetta guerra dello
Yom Kippur, in cui furono coinvolti Siria, Egitto ed Israele. Quella dello Yom Kippur fu la
più grande guerra combattuta in Medioriente fino a quella del Golfo e portò ad un embargo
delle esportazioni di petrolio nei paesi occidentali che aggravò molto la crisi economica che
in quegli anni aveva cominciato a colpire Europa e Stati Uniti che negli ultimi tempi
avevano accresciuto la loro dipendenza energetica dal petrolio importato. Accadde infatti
che i paesi produttori di petrolio, in risposta all’aiuto americano concesso ad Israele,
cominciarono un embargo verso gli Stati Uniti e molti altri paesi occidentali che sarebbe
durato fino al 1974 provocando un aumento del prezzo del petrolio del 400%. In questo
periodo anche la politica fiscale fu troppo espansiva. La guerra del Vietnam e altri
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programmi di governo avevano infatti provocato un aumento della spesa pubblica e
disavanzi di bilancio tali da mettere ancora a dura prova l’ economia statunitense. In questo
clima, l’ inflazione raggiunge un picco massimo negativo su base trimestrale, il tasso di
interesse cresce e l’ output gap assume valori negativi segnalando una fase di recessione
economica. In risposta a tutto ciò, il governo degli Stati Uniti prese misure straordinarie
volte a frenare l’ inflazione come l'abbassamento dei limiti di velocità a 55 mph (miglia
all'ora, circa 90 km all'ora) limite che rimase fino al 1986. Inoltre, il 6 gennaio 1974 tutti gli
stati nordamericani spostarono un'ora avanti le lancette per sfruttare al meglio la luce del
sole.
Il secondo shock petrolifero si verificò in seguito alla rivoluzione islamica in Iran e alla
guerra tra Iran e Iraq di Saddam Hussein del 1980. La crisi petrolifera inizia nel 1979 e
raggiunge il suo culmine nel 1980 con un rialzo dei prezzi molto elevato anche se più
contenuto rispetto alla crisi precedente del 1973.
La crisi energetica del 1979 si concluse solo all'inizio degli anni ottanta con il
tranquillizzarsi dello scenario mediorientale e la messa in produzione di nuovi giacimenti
petroliferi scoperti e sviluppati nel territorio di nazioni non appartenenti all’ OPEC,
individuati soprattutto nel mare del nord e in Alaska, e divenuti economicamente sfruttabili
a seguito dell'incremento del prezzo del petrolio mediorientale.
Durante tutti gli anni ’70 fino agli inizi degli anni ’80 assistiamo dunque ad uno scenario di
alta inflazione ed instabilità economica in cui gli aggiustamenti del federal funds rate non
sembrarono propriamente efficaci per stabilizzare la politica monetaria.
In questa situazione venne nominato nel 1979 a capo della Federal Reserve, Paul Volcker
che annunciò una politica monetaria volta principalmente all’ abbattimento del tasso di
inflazione: la Fed avrebbe adottato come suo obiettivo il tasso di crescita dell’aggregato
monetario M1 e avrebbe abbandonato il riferimento ai tassi d’interesse. Questa politica
consisteva in una vigilanza sulle riserve non prese a prestito (NBR), una forma di controllo
della base monetaria che consentiva ai tassi di variare liberamente. I tassi di interesse a
breve termine e il tasso di disoccupazione salirono entrambi notevolmente, raffreddando l’
economia e riducendo le pressioni inflazionistiche.
La politica inaugurata da Volcker ebbe successo: a cavallo tra il 1980 e il 1983 l’ inflazione
scese di quasi 10 punti percentuali, ma non senza un costo per consumatori e imprese
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dovuto all’ impennata dei tassi di interesse. Nel 1982, dopo una profonda recessione, fu
abbandonato il tentativo di perseguire obiettivi in termini di riserve.
Questo cambiamento fu l’ inizio del processo deflazionistico che cambio le condizioni
monetarie di tutto il mondo, sia per l’ enorme influenza dell’ economia americana, sia per
decisioni simili prese negli altri paesi e fu denominato “Great Moderation”.
La “Great Moderation” è stata caratterizzata da crescita stabile e sostenuta dell’ economia e
da scambi su scala mondiale, bassa inflazione e stabilità valutaria. In questo periodo la
politica monetaria dei maggiori centri mondiali, Stati Uniti, Unione Monetaria Europea,
Regno Unito, appariva come uno dei pilastri del nuovo ordine macroeconomico
globalizzato. Negli anni della Great Moderation, le tecniche operative delle maggiori
banche centrali avevano nel complesso funzionato e prodotto risultati apprezzabili nei
principali mercati monetari mondiali, ma si sono trovate ad affrontare la grande crisi
finanziaria scatenatasi nel 2007 disponendo solo di “flight instructions for fine weather”
durante la “tempesta perfetta”. Le successive azioni organizzate dalle banche centrali
possono essere complessivamente giudicate tempestive ed efficaci, se non altro sul fronte
del contenimento della propagazione della crisi finanziaria e dei suoi effetti sull’ economia
reale. Ben presto tuttavia sono iniziate una serie di operazioni definite “non convenzionali”,
uno dei fattori che ha portato all’ utilizzo di questo tipo di politiche è il cosiddetto “limite
zero” del tasso ufficiale che costituisce un vincolo alla capacità di manovra espansiva della
banca centrale. A partire dal 2008 la Federal Reserve ha dato inizio a manovre volte all’
utilizzo attivo del bilancio (balance-sheet policies) al fine di influenzare più direttamente i
prezzi e le condizioni di mercato, espandendo le attività sia in termini di dimensioni, che di
rischio e composizione. Si potrebbe dire che sostanzialmente si è trattato di un uso
importante di operazioni di controllo delle quantità, in termine tecnico “quantitative
easing”, con cui la banca centrale acquista, per una predeterminata e annunciata quantità di
denaro, attività finanziarie dalle banche del sistema (azioni o titoli, anche tossici), con
effetti positivi sulla struttura di bilancio di queste ultime.
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RICHIAMI DI POLITICA MONETARIA
La politica monetaria è l'insieme degli strumenti, degli obiettivi e degli interventi adottati
per modificare e orientare la moneta, il credito e la finanza, al fine di raggiungere obiettivi
prefissati di politica economica, di cui la politica monetaria fa parte.
Gli obiettivi finali della politica monetaria sono gli stessi della politica economica come
prezzi, occupazione e sviluppo. La politica monetaria si occupa di raggiungere uno o più di
tali obiettivi manovrando le variabili monetarie ovvero tasso d'interesse o quantità di
moneta. In particolare, per quanto riguarda la Federal Reserve, la banca centrale americana
deve perseguire 6 obiettivi: la stabilità dei prezzi, una elevata occupazione, un tasso di
crescita sostenuto dell’attività economica, la stabilità del sistema finanziario, la riduzione
della volatilità dei tassi di interesse a lungo termine e la stabilità del mercato valutario. Il
fatto che tutti gli obiettivi abbiano la stessa importanza, si traduce in una molteplicità di
scopi e in una conduzione flessibile della politica monetaria della Fed, maggiore di quella
di cui è dotata la BCE, il cui obiettivo finale è il raggiungimento di un tasso di inflazione
non superiore al 2%. Per raggiungere tali obiettivi, due sono fondamentalmente gli
strumenti a disposizione delle banche centrali (cui viene affidata solitamente la politica
monetaria in maniera più o meno indipendente dal Tesoro): la base monetaria ed il tasso
d'interesse. Le Banche centrali agiscono principalmente attraverso operazioni di mercato
aperto che, con la compravendita di titoli, modificano il volume della base monetaria e il
livello tassi d'interesse a brevissimo termine. A loro volta le modifiche dei tassi a breve si
trasmettono ai tassi a più lungo termine e ai tassi bancari sui prestiti e sui depositi dei
clienti finendo così con l'influenzare il livello dell'attività economica. Queste dinamiche
caratterizzano situazioni di politica monetaria “convenzionale”.
Due strumenti che rientrano nella categoria degli strumenti definiti come "non
convenzionali" sono invece il “quantitative easing” e la “forward guidance”. Quest’ ultima
è una strategia di comunicazione pubblica, la cui utilità si rivela soprattutto in quelle
situazioni economiche in cui gli spazi di manovra "classici" sui tassi di interesse sono
estremamente ridotti a causa dal fatto che i tassi nominali a breve termine sono vicini allo
zero. La “forward guidance” è uno strumento che è stato usato a lungo dalla Federal
Reserve, in maniera intensa ed esplicita, a partire dal meeting del Federal Open Market
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Committee (FOMC) del 16 dicembre 2008, con lo scopo di spingere al ribasso i tassi
d'interesse a lungo termine e fornire opportuni stimoli agli investimenti e alla spesa
aggregata. Questo strumento ha acquisito particolare forza nell'estate 2011, durante il
periodo di instabilità finanziaria e crisi economica in corso, quando la banca centrale degli
Stati Uniti d'America si trovava ad agire in un contesto in cui i Federal funds rates erano
scesi a un livello prossimo allo zero. In quell'epoca, sulla base di vari indicatori economici,
le aspettative degli economisti privati convergevano sulla probabilità di un innalzamento
dei tassi nell'arco di circa 9-12 mesi. A fronte di tali aspettative rialziste, il Federal Open
Market Committee, nello statement dell'agosto 2011, dichiarò che "le condizioni
economiche [...] sono tali da garantire, probabilmente, un mantenimento di livelli
eccezionalmente bassi per i federal funds rate almeno fino a metà del 2013". Il semplice
annuncio provocò un calo nei rendimenti dei Treasury securities (titoli di stato emessi
dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d'America tramite il Bureau of the Public
Debt) di circa 0,1 - 0,2 punti percentuali, per raggiungere il quale con strumenti "classici" si
avrebbe richiesto l'impossibile applicazione di tassi di rendimento negativi. L'effetto,
inoltre, si propagò sull'intero mercato finanziario statunitense con un calo generalizzato dei
tassi, di cui poté beneficiare l'intera platea dei debitori, non solo il Dipartimento del Tesoro
americano, emettitore dei Treasury security.
Per quanto riguarda invece il “quantitative easing”, la Federal Reserve ne ha attuati tre
piani. Il primo, QE1, è iniziato alla fine di Novembre 2008, quando nel giro di pochi mesi
la Fed è arrivata a possedere oltre 1,75 trilioni di dollari tra debito bancario, inmortgage-
backed securities e treasury notes.
Nel Novembre 2010 fu annunciato un nuovo round di quantitative easing, QE2, con l’
acquisto di 600 miliardi di dollari di Trasury securities. Il terzo round, QE3, annunciato a
settembre 2012 prevedeva l’ acquisto di 40 miliardi al mese di agency mortgage-backed
securities a cui in seguito si sono aggiunti 45 miliardi di longer-term Treasury securities.
Detto ciò possiamo brevemente sintetizzare le due tipologie di politica monetaria:
Espansiva, ovvero una politica monetaria che attraverso la riduzione dei tassi di
interesse voglia stimolare l'offerta di moneta delle banche alle imprese, e quindi gli
investimenti e la produzione di beni e servizi.