CAPITOLO 1: La Pianura Pontina
1.1 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO
La Pianura Pontina è l’area costiera pianeggiante, vasta circa 1700 kmq, delimitata
a nord dal complesso vulcanico dei Colli Albani, ad est dai Monti Lepini e Ausoni,
a sud dal Monte Circeo, e ad ovest dal Mar Tirreno.
1.2 LE BONIFICHE E L’URBANIZZAZIONE
Le bonifiche delle paludi dell’agro pontino iniziarono con i Volsci e si conclusero
negli anni 30 del XX secolo,quando la campagna di bonifica venne affidata a due
diversi consorzi:Bonificazione Pontina, che iniziò ad operare nel 1923, e Bonifica
di Littoria, che iniziò i lavori tre anni più tardi.
Furono impiegate per la bonifica 18 grandi idrovore, ma presto ci si rese conto che
non era solo necessario prosciugare i terreni, costruire canali e strade, ma anche
realizzare centri urbani per accogliere quell’esodo di massa che avrà in seguito,il
compito di mantenere viva quella terra appena conquistata.
Nascono così alcuni villaggi che prendono il nome di località e che ricordano le
imprese della grande guerra: Borgo Isonzo, Borgo Grappa , Borgo Piave, Borgo
Montello, Borgo Vodice, Borgo Pasubio e Borgo Hermada.
Dopo la guerra la bonifica permise dunque uno stabile e fiorente insediamento
umano,compromesso fino ad allora dall’incapacità di attuare una completa
regimazione delle acque.
1.2.1 Sistema di bonifica dell’agro pontino
Si definisce bonifica idraulica quella serie di operazioni finalizzate alla
valorizzazione di un determinato territorio mediante un rapido allontanamento
delle acque.
E’ possibile distinguere due tipi di bonifiche:
Bonifica per prosciugamento
Bonifica per colmata
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Il primo consiste nello smaltimento vero e proprio delle acque piovane; mentre per
bonifica per colmata si intende l’innalzamento del terreno.
Di quest’ultima ne esistono due diversi tipi:”artificiale” in cui il terreno viene
portato in sito e posto in opera, e “naturale” ottenuto facendo defluire i corsi
d’acqua, con elevato trasporto solido, ed operando sul regime, ad esempio
rallentando il suo moto, in modo da facilitare la deposizione del materiale da esso
trasportato.
Nella gestione del sito in esame venne usata la bonifica per prosciugamento, la
quale si distingue in:
Bonifica a scolo naturale, nella quale l’allontanamento delle acque avviene a
gravità, (quando l’orografia del comprensorio di bonifica è tale che le zone
più depresse di esso siano a quote sempre sufficientemente più elevate
rispetto alla quota massima del pelo libero del mezzo ricettore).
Bonifica a sollevamento meccanico, nella quale, pur essendo il deflusso
della rete dei canali a gravità, il livello idrico nel recipiente risulta più
elevato di quello che si ha nell’emissario di bonifica. Le acque devono
dunque essere sollevate per mezzo di impianti preposti.
Quando si progetta una rete di bonifica si distinguono le zone a scolo naturale da
quelle a sollevamento meccanico.
Si parla pertanto di “acque alte”, in grado di scaricare le acque a gravità, e di
“acque basse”, per le quali è necessario il sollevamento meccanico. Le reti delle
acque basse e delle acque alte devono essere completamente indipendenti, con
recapiti diversi, al fine di non sovraccaricare gli impianti di sollevamento
utilizzati dalla rete delle acque basse.
In particolare il “Sistema di bonifica dell’agro pontino” ricalca lo schema classico
descritto in precedenza: è dunque composto da una rete di “acque alte”,una rete di
“acque medie” e una di “acque basse” con i relativi impianti idrovori e di
prosciugamento.
L’81% del territorio in esame è costituito da zone che scolano a gravità, mentre
solo il 19% è rappresentato da zone che necessitano del sollevamento meccanico.
Proprio questo 19% è il più critico in quanto,eccetto la zona lungo la costa, per
essere operativo è indispensabile l’attività delle idrovore.
La realizzazione, la gestione e la manutenzione delle opere di bonifica è oggi
affidata al “Consorzio di Bonifica dell’ Agro Pontino”, nato nel 1996 dalla fusione
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del “Consorzio della Bonifica Latina” (ex Consorzio di Bonifica di Piscinara) e del
“Consorzio della Bonificazione Pontina”.
1.3 INQUADRAMENTO GEOLOGICO DELLA PIANURA PONTINA
1.3.1 Introduzione
Una conoscenza quanto più approfondita della litostratigrafia e della struttura
tettonica, permette un’analisi geologica ed idrogeologica attendibile a scala
regionale.
E’ così possibile, individuando masse rocciose con caratteristiche litologiche e di
permeabilità uniformi, determinare le modalità di distribuzione dell’acqua nel
sottosuolo, la provenienza degli afflussi e la direzione dei deflussi.
Si è fatto riferimento a precedenti studi geologici ed idrogeologici riguardanti il
territorio della Pianura Pontina (Regione Lazio,1992) che permettono di definire
correttamente i complessi idrogeologici e di delimitarne gli affioramenti.
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La storia geologica della piana Pontina può essere suddivisa in due fasi
successive:nella prima, intervallo Giurassico-Miocene (130 milioni di anni),
l’evoluzione della stratigrafia avviene in ambito marino per deformazioni
successive dovute essenzialmente a movimenti di subsidenza;nella seconda,
corrispondente al Pliocene ed al Pleistocene fino ai giorni nostri (7 milioni di
anni), oltre ad aree di subsidenza, quasi sempre in ambiente marino, si ha
l’emersione ed il successivo sollevamento in ambiente continentale della catena
appenninica, in particolare dei monti Lepini e del monte Circeo (Manfredini,1977).
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Prima fase
In corrispondenza del Giurassico (190 milioni da anni fa), l’area che comprende
l’agro pontino e le zone limitrofe costituivano una vasta zona che si estende a pelo
d’acqua sulla massima parte dell’Italia centro-meridionale.
In seguito l’area si è differenziata secondo due ambienti marini con caratteristiche
differenti. Una zona nord-orientale, comprendente i monti Lepini ed Ausoni
durante il Giurassico ed il Cretacico appariva come un ampio altofondo marino
costituito da una distesa di piatte isole, alcune leggermente emerse mentre altre
sommerse sotto un battente di pochi metri d’acqua, separate dai canali e da bacini
di bassa profondità, con acque tranquille, non interessate dal moto ondoso. Si
vennero così a formare successioni calcaree e dolomitiche di spessore variabile, da
alcune migliaia di metri, ove il fenomeno della subsidenza era maggiormente
sentito, fino a poche decine di metri in zone più stabili.
Il fenomeno della subsidenza ebbe un progressivo arresto ala fine del Cretacico, e
per altri 60 milioni di anni, fino ad arrivare al Miocene inferiore, fu caratterizzato
da stabilità.
Al contrario, nella zona sud-occidentale, dove le formazioni geologiche risalenti al
periodo Giurassico-Miocene inferiore erano ricoperte da complessi più recenti con
elevate potenze, si è ipotizzato che ci si trovasse in condizioni di altofondo marino
a sedimentazione dolomitica. Durante l’intervallo Giurassico-Eocene (150 milioni
di anni) sedimentò una successione calcareo-dolomitica e successivamente
calcareo-marnosa, oggi affiorante in corrispondenza del monte Circeo.
Seconda fase
La seconda fase coincidente con un intervallo temporale di circa 7 milioni di anni,
Pliocene-Pleistocene, è caratterizzata da tre diversi fenomeni successivi e
sovrapposti: l’orogenesi e la contemporanea subsidenza della piana Pontina, le
oscillazioni del livello medio mare e le attività vulcaniche dei Colli Albani.
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L’orogenesi riguarda il sollevamento della catena appenninica, comprendente
nell’area in esame i monti Lepini ed Ausoni, ed il monte Circeo. Questo fenomeno
interessò le ere del Pliocene e del Pelistocene; contemporaneamente, nell’area
rimanente, si determinò un’ attività subsidente che diede origine ad una fossa
orientata in direzione nord-ovest, la quale, invasa dal mare, si colmò di depositi
terrigeni (argille,sabbie,etc.) a granulometria grossolana in corrispondenza della
costa, e più fine verso il mare aperto.
Si ebbe una sovrapposizione dei fenomeni di subsidenza e di oscillazioni del
livello medio mare, nel periodo finale del Pliocene (2 milioni di anni fa). Le
oscillazioni del livello medio mare furono conseguenza delle grandi glaciazioni
quaternarie.
L’alternarsi di questi due fenomeni caratterizzati da diverse velocità, determinò
talora l’emersione di vasti settori, dunque l’instaurarsi di una morfologia subaerea
con azioni erosive e di sedimentazione continentale, e talora la sommersione, e
quindi la sovrapposizione di altri sedimenti terrigeni marini, di eventuali depositi
continentali.
A partire da circa 700 mila anni fa, nell’area dei Colli Albani, si determinò
un’intesa attività vulcanica effusiva ed esplosiva che proseguì fino circa 30 mila
anni fa, ancora oggi presente con diffusi fenomeni post-vulcanici (sorgenti
termali,fumarole,etc.).
La struttura litologica della zona è particolarmente complessa data la particolarità
del fenomeno vulcanico: la deposizione dei materiali piroclastici od effusivi è
avvenuta su morfologie preesistenti che ne hanno determinato modalità e spessori.
Le preesistenti morfologie sono state seppellite in fasi successive dai prodotti
vulcanici allorquando si verificavano fasi vulcaniche attive.
1.3.2 Geologia della Pianura Pontina
Sono state individuate tre unità litostratigrafiche:
massicci carbonatici (es. la catena dei Volsci),
Strutture vulcaniche,costituite dall’edificio vulcanico dei colli
Albani,formatosi per la deposizione di numerose eruzioni di tipo esplosivo
ed effusivo(piroclastici sciolti,tufi,lave)
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Pianure quaternarie, comprendenti la pianura Pontina e più a sud la piana di
Fondi, formatesi per la deposizione di sedimenti di varia
origine(detritica,alluvionale, palustre nonché piroclastica) all’interno delle
grandi depressioni formatesi in recenti fasi neotettoniche. In particolare,
nella pianura Pontina tali depositi poggiano sulle formazioni
prevalentemente argillose del Pliocene che hanno colmato, con potenze di
varie centinaia di metri,la depressione carbonatica.
La catena dei Volsci (che comprende i monti Lepini), risulta costituita da scaglie
tettoniche sovrapposte, che si accavallano lungo il bordo nord-orientale sulle
“argille caotiche” e sui depositi del “flysch di Frosinone”.
L’area di studio risulta interessata dalla presenza di numerose faglie dirette,
attribuibili alle recenti fasi neotettoniche, di direzione preferenziale appenninica
ed antiappeninica (Regione Lazio,1992).
Lungo il bordo sud-occidentale è ribassata da faglie dirette sub-verticali ad
andamento nord-ovest, sud-est, che segnano il contatto tra litotipi carbonatici della
suddetta dorsale ed i depositi recenti della Pianura Pontina, sovrastanti la
depressione pliocenica.
Lungo il margine nord-orientale i calcari risultano come detto accavallati
tettonicamente sui depositi terziari in facies di flysch con una struttura dalla forma
tipica di piega frontale.
Il margine sud-orientale con i monti Ausoni è infine marcato dalla presenza della
discontinuità tettonica dell’Amaseno.
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1.4 INQUADRAMENTO IDROGEOLOGICO DELLA PIANURA PONTINA
1.4.1 Introduzione
Figura 1.1 Carta dei bacini della pianura Pontina
Nella Pianura Pontina sono frequenti, soprattutto lungo la fascia pedemontana,
laghetti e sorgenti, che costituiscono le emergenze delle acque di falda che satura
la base del rilievo lepino-ausono. Esse sono legate per la loro origine, proprio alla
struttura geologica della piana e dei contigui rilievi e costituiscono punti di
notevole interesse.
La circolazione idrica nel sistema acquifero costituito dalla Pianura Pontina è di
tipo complesso e si sviluppa su più livelli con differenti modalità di circolazione.
La Piana Pontina risulta suddivisa, dal punto di vista idrogeologico, in due ampie
fasce (con direzione nw-se) aventi come confine comune il fiume Sisto: la parte ad
est è nota come “Paludi Pontine” ed è sede della bonifica idraulica, le cui acque,
medie e basse, si riversano in mare nei dintorni di Terracina; la parte ad ovest è
invece formata dalla duna quaternaria tra il fiume Sisto ed il mare,e termina a sud-
est con il monte Circeo (Conforto,De Ricco, Sappa,1961).
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Tabella 1.4.1 Deno minazione dei macrobacini di bonifica
Nella parte più occidentale della piana, ha sede una falda idrica di tipo freatico,
mentre verso i monti una di tipo in pressione contenuta dalle successioni
carbonatiche situate al di sotto dei terreni sabbiosi e argillosi marini e fluvio
palustri. Tale acquifero alimenta le falde, frequentemente artesiane, contenute nei
terreni di copertura. Pertanto malgrado i terreni affioranti, dotati di bassa
permeabilità garantiscano bassi valori di infiltrazione efficace, le captazioni
presenti nell’area presentano elevate produttività. Eppure la presenza sul territorio
di numerosi pozzi dotati di bocca pozzo libera e quindi flusso continuo delle acque
di falda ha provocato significativi abbattimenti della superficie piezometrica,
causando conseguenze non ancora quantificate sia sulla consolidazione, e quindi
sulla subsidenza indotta nei terreni, sia sul regime delle portate emergenti delle
dorsali carbonatiche.
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