5
I. Cos’è la globalizzazione?
1.1. Definizione di globalizzazione
Le opinioni sulla globalizzazione sono talmente contrastanti al punto tale che
per alcuni studiosi il mondo attuale e totalmente globalizzato mentre altri
ritengono che la globalizzazione non esista realmente. Inizialmente la parola
globo fu utilizzata per riferirsi alla terra, una volta che si assodò che questa era
tonda. Il termine globalizzazione è del tutto recente se si pensa che apparve per la
prima volta in un dizionario inglese-italiano nel 1961 (Webster, 1961: 965), non
solo ma il suo utilizzo, per indicare i rapporti mondiali tra gli stati nonché una
serie di problematiche mondiali, è divenuto diffuso verso la fine del ventesimo
secolo. Questo cambiamento nel modo di definire la realtà che ci circonda
coincide con un cambiamento sociale che sta avvenendo attraverso il mondo.
Solitamente un nuovo termine viene coniato per descrivere una nuova
situazione, come accadde anche nel 1780 quando Geremy Bentham coniò il
termine “internazionale” per cercare di descrivere l’aumento delle nazioni stato e
soprattutto l’aumento delle transazioni e dei rapporti tra gli stati, fino ad allora la
necessità di descrivere tale condizione non sussisteva poiché la vita delle persone,
in ogni ambito, si concentrava quasi esclusivamente all’interno dei propri confini
territoriali. Invece per quanto riguarda il termine globalizzazione questo si è quasi
diffuso casualmente come conseguenza di una intuizione generale che i rapporti
sociali si stavano modificando. Però proprio questa diffusione ampia e casuale
6
può portare ad un uso improprio del termine infatti come Peter Taylor ha
giustamente messo in guardia “dobbiamo assicuraci che il termine globalizzazione
non vada a finire nella stessa ruota concettualmente caotica come il suo
predecessore 200 anni fa” (1995: 14).
Le prime dispute riguardanti la globalizzazione nascono già intorno alla sua
definizione al punto che da un lato estremo vi sono coloro che non attribuiscono
una definizione concreta al fenomeno e dall’estremo opposto coloro i quali gli
attribuiscono delle definizioni a tutto tondo. Il problema nasce dal fatto che anche
le definizioni più specifiche sono tra loro molto diverse.
In generale si possono distinguere cinque definizioni di globalizzazione.
Probabilmente l’uso più comune nel linguaggio parlato, ha inteso la
globalizzazione come internazionalizzazione. In questo senso la globalizzazione
descrive l’aumento delle interdipendenze tra gli stati dovute alla crescita dei flussi
di scambio in tutti gli ambiti: finanziario, commerciale, culturale, ecc… . Ma è da
notare che questa tendenza non è attribuibile alla fine del ventesimo secolo in
quanto questo trend è in continua crescita dal quindicesimo secolo, non solo ma il
livello degli scambi all’inizio del 1900 non aveva nulla da invidiare a quello
attuale. Pertanto in tale ottica l’utilizzo del termine globalizzazione è alquanto
inutile poiché il preesistente termine di “internazionalizzazione” è sufficiente a
descrivere questo tipo di relazioni.
Una seconda definizione (usata specialmente dai neoliberali) ha identificato la
globalizzazione con la liberalizzazione. In tal senso la parola globalizzazione
7
viene utilizzata per indicare l’eliminazione di qualsiasi tipo di barriera che
ostacolasse i flussi di scambio tra i vari paesi al fine di creare un mercato
mondiale. Ma anche in questo caso non si riscontra la necessità di dover coniare
un nuovo termine per un fenomeno che viene descritto pienamente dal termine
liberalizzazione e che è insito alla società gia nel diciannovesimo secolo.
Una terza concezione comune, definisce la globalizzazione come
universalizzazione, ma anche in questo caso il termine preesistente è sufficiente a
descrivere la diffusione di popoli e culture in ogni angolo del mondo. In questo
senso Clive Gamble indica la diffusione transcontinentale della specie umana, che
è cominciata un milione di anni fa, come il punto iniziale della globalizzazione
una sorta di “preistoria globale” (1994: ix, 8-9).
Una quarta definizione ha equiparato la globalizzazione con
l’occidentalizzazione o modernizzazione, specialmente in una forma
“Americanizzata”. In tal senso si vuole descrivere un tentativo di
omogeneizzazione delle varie culture attorno al modello occidentale ma
soprattutto americano. Martin Khor ha dichiarato su queste linee che ‘la
globalizzazione è qualcosa che noi nel Terzo Mondo per diversi secoli abbiamo
chiamato colonizzazione’ (Khor, 1995). Anche in questo caso il termine
globalizzazione non aggiunge nulla di nuovo al suo predecessore.
Un nuovo orizzonte importante è deducibile invece da un quinto tipo di
definizione che identifica la globalizzazione come deterritorializzazione. In
quest’ottica la globalizzazione comporta una nuova configurazione della geografia
8
dove lo spazio non è più caratterizzato dalle distanze e dai confini territoriali. In
tal senso David Held e Tony McGrew hanno definito la globalizzazione come “un
processo (o una serie di processi) che incorpora una trasformazione
nell’organizzazione spaziale delle relazioni sociali e delle transazioni” (Held:
1999). Andando a mutare quella che è la definizione di spazio conseguentemente
cambiano tutte le relazioni sociali che si basano su di esso. Tutte le definizioni
analizzate in precedenza erano riconducibili alla costruzione territorialista dello
spazio sociale. Il territorialismo implica che lo spazio macrosociale sia
completamente organizzato in termini di unità quali: distretti, città, paesi e
regioni. Attualmente invece si sono sviluppate tutta una serie di relazioni e
problemi sociali che vanno al di là di quelli che sono i confini territoriali e che
pertanto non possono essere ricollegati ad uno spazio limitato, in quanto essi
risiedono nel mondo intero. La globalizzazione ha portato all’abbattimento del
tempo necessario per percorrere le distanze al punto tale che per esempio grandi
capitali possono essere spostati da un capo all’altro del mondo istantaneamente.
Nel corso degli anni diversi ricercatori hanno individuato un aumento della
sovraterritorialità senza però riuscire a concettualizzarlo, ad esempio già a metà
secolo il filosofo Martin Heidegger ha proclamato l’avvento della “a-distanzialità”
e una ‘abolizione di ogni possibilità di distanza’ (1950: 165-6).
Pertanto il termine globalizzazione sembra il più adeguato per descrivere
questo tipo di cambiamenti in quanto cattura adeguatamente questa rivoluzioni nei
rapporti macrosociali.
9
1.2. Gli elementi fondamentali della globalizzazione
La globalizzazione, nel senso in cui abbiamo discusso sopra, contiene tre
elementi collegati: l’espansione dei mercati; le sfide allo stato e alle istituzioni;
e il sorgere di nuovi movimenti sociali e politici. Questi tre elementi
rappresentano le funzioni differenti della globalizzazione.
Un primo aspetto centrale della globalizzazione è la trasformazione
dell’attività economica globale. Questa trasformazione è stata causata
dall’ampio sviluppo tecnologico e dalla deregolamentazione del governo che
hanno dato la possibilità di creare delle vere e proprie sopranazionali nel
commercio, nella produzione e nella finanza. Nel campo produttivo questa
rivoluzione è rappresentata dalle multinazionali (MNEs) che hanno smembrato
la loro produzione nel mondo al punto di non poter collegare un prodotto ad un
luogo specifico di produzione. Nel commercio la globalizzazione ha
comportato un aumento sia del numero di merci scambiate sia della velocità
alla quale avvengono questi scambi non solo ma è aumentato il numero degli
attori che partecipano al grande mercato mondiale così come le istituzioni
sovraterritoriali che cercano di regolamentare ciò ha fatto si che il commercio
acquisisse una grossa influenza sulle politiche domestiche. In ambito
finanziario la globalizzazione ha portato ad un aumento degli strumenti
finanziari ma soprattutto sono aumentate la velocità e l’ampiezza dei
movimenti finanziari, il che ha creato un’interdipendenza finanziaria senza
precedenti.
10
Un secondo elemento della globalizzazione è politico. Alcuni ritengono
che stia nascendo una vera e propria politica globale in cui i confini territoriali
non hanno un’importanza determinante
1
. Nel vecchio sistema, gli stati sovrani
hanno interagito a vicenda secondo le regole alle quali, essi come stati, hanno
precedentemente aderito, attualmente invece il potere politico e l’attività degli
stati si espandono ben oltre i confini politici
2
. Parecchi cambiamenti
significativi sono avvenuti nel potere e nelle autorità politiche
conseguentemente, come detto anche precedentemente per i mercati, ai
sviluppi tecnologici e ai cambiamenti politici, ciò non vuol dire però che tutta
la politica sia divenuta globale.
Prima di tutto la nascita di problemi globali, cioè di problematiche che
coinvolgono tutti gli stati indipendentemente dalle divisioni territoriali, ha
fatto si che i singoli stati non potessero trovare risposte adeguate
unilateralmente. Inoltre la stessa globalizzazione economica richiede che vi
siano forme di controllo sovrastato. Tutto ciò ha portato ad uno sviluppo degli
accordi e delle istituzioni sia a livello regionale che internazionale. Questo
non vuol dire che vi è stato un deterioramento del potere degli stati ma
piuttosto sono cambiate le modalità con le quali tale potere viene esercitato,
con gli stati che ora scelgono di partecipare a regimi in cui prendono le
decisioni in coordinazione o collaborazione con altri stati.
1
Anthony McGrew e P.G. Lewis (eds), Global Politics (Cambridge: Polity Press, 1992); T.
Nierop, Systems and Regions in Global Politics: as Empirical Study of Diplomacy, International
Organization and Trade 1950-1991 (Chichester: John Wiley, 1994).
2
David Held, Anthony McGrew, David Goldblatt e Jonathan Perraton, Global Transformations:
Politics, Economics and Culture (Cambridge: Polity Press, 1999), p. 49.
11
Altri cambiamenti si sono avuti nel modo di interagire degli stati. In
passato i rapporti internazionali venivano intrattenuti tra le più alte cariche
istituzionali dei vari stati, attualmente invece anche le istituzioni sub-nazionali
possono interagire sia orizzontalmente che verticalmente con i funzionari di
altri stati
3
. Quindi la globalizzazione ha portato ad una decentralizzazione
decisionale non solo verso istituzioni sovranazionali ma anche a favore delle
istituzioni sub-nazionali.
Questa maggiore intensificazione dei rapporti non coinvolge solo le
istituzioni statali ma anche un gran numero di attori “non-stato”, che così
facendo hanno rinforzato la loro presenza internazionale diventando un
aspetto caratterizzante della politica globalizzata.
La globalizzazione naturalmente non sta avendo effetti solo sui mercati e
sugli stati, ma sta modificando il modo di vivere delle persone. La diffusione
su scala mondiale in maniera quasi istantanea delle idee, dei libri, della
musica sta producendo quello che alcuni definiscono come cultura globale,
che però non deve far pensare ad una omogeneizzazione culturale perché allo
stesso tempo sta producendo differenti tipi di reazioni e culture. Per esempio,
mentre valori ed idee occidentali si sono sparsi in Russia ed in Medio Oriente,
in entrambe queste regioni c’è stato di contro una forte riaffermazione
dell’identità nazionale o religiosa (con nazionalismo forte in Russia e un
drammatico aumento dell’estremismo islamico nel Medio Oriente). L’unico
3
Nel caso della Gran Bretagna , ciò è stato ben descritto da M. Clarke, Britain’s External
Relations (London: Macmillan, 1992).
12
punto in comune esistente tra questa forma di “occidentalizzazione” e di
ribellione ad essa, è che entrambe hanno portato alla nascita di gruppi che si
organizzano utilizzando le nuove tecnologie le quali gli permettono da un lato
di collegarsi in uno spazio non limitato dal territorio e dall’altro di unirsi
intorno ad un’idea di solidarietà sovraterritoriale
4
. In breve la globalizzazione
ha portato alla nascita di una società civile globale.
4
P. Waterman, Globalization, Social Movements, and the New Internationalism (London:
Mansel,1998).
13
1.3. Vecchio o nuovo?
Per capire che cosa è nuovo circa la globalizzazione, dobbiamo con
attenzione distinguere due aspetti del cambiamento: una dimensione
quantitativa e una qualitativa. Quantitativamente, la globalizzazione si
riferisce ad un aumento nei flussi di commercio, nei movimenti dei capitali,
negli investimenti oltre i confini. Qualitativamente la globalizzazione si
riferisce ai cambiamenti nel modo di pensare e d’identificarsi dalla gente e dei
gruppi, e ai cambiamenti nel modo in cui gli stati le imprese e gli altri attori
percepiscono e perseguono i loro interessi.
La maggior parte degli studiosi quando parla di globalizzazione la tratta
sotto l’aspetto esclusivamente quantitativo, andando di volta in volta a
sottolineare gli aumenti registrati nei flussi commerciali, finanziari o
riferendosi ai trasferimenti delle informazioni, delle idee e delle culture resi
possibili dalle nuove tecnologie
5
. I cambiamenti quantitativi sono stati
realmente innumerevoli ad esempio nel suo libro, “Global Shift”, Peter Dicken
sostiene che nel ‘1988, le esportazioni totali erano quattro volte più grandi che
nel 1960, mentre la produzione totale del mondo era poco meno di tre volte più
grande che nel 1960’
6
. Ma parlare della globalizzazione in questi termini non
differisce molto dai discorsi che si facevano circa il processo di
5
R. J. Barry Jones, Globalization and Interdependence in the International Political Economy
(London e New York: Pinter Publishers, 1995).
6
P. Dicken, Global Shift: The Internationalization of Economic Actvity, seconda edn, (London:
Paul Chapman Publishing, 1992), pp. 16-17.
14
internazionalizzazione degli anni ’60 ’70, quindi è soggetto alle stesse identiche
critiche: ‘se misurato dai livelli del commercio, dell’investimento internazionale
e dei movimenti di capitale (come percentuale del P.I.L.), il mondo ora si trova
approssimativamente allo stesso punto che nel 1913’
7
. Segue da questo che se la
globalizzazione è definita come aumento delle transazioni internazionali non
possiede nessun elemento innovativo. Quindi il concentrarsi sugli aspetti
transazionali della globalizzazione porta a trascurare l’importanza potenziale dei
cambiamenti qualitativi, che possono essere in corso.
Invece un modo alternativo di pensare la globalizzazione è valutandola
come un cambiamento nel modo di agire e di pensare degli attori istituzionali e
non, così si riuscirebbe a cogliere il vero elemento innovativo insito in essa.
Naturalmente questo tipo di cambiamenti sono molto difficili da dimostrare
empiricamente ma possono rispecchiare la vera novità.
Secondo Roland Robertson, la globalizzazione dovrebbe quindi essere
concettualizzata non in termini di aumenti nelle transazioni, ma come un
cambiamento di ‘immagine, in termini della quale il mondo diventa unito.
…come entrata concettuale nel problema di ordine mondiale nel senso più
generale’
8
.
7
J. Levy, “Globalization and National Systems”, relazione presentata al Berkeley Roundtable nel
International Economy Working Meeting on Globalization, Berkeley, California, 8 Marzo 1996,
p.2.
8
R. Robertson, ‘Mapping the Global Condition: Globalization as the Central Concept’, Theory,
Culture and Society, 7, 2-3 (Giugno 1990) 18.
15
1.4. Cambiamenti nel modo di pensare e agire degli attori
istituzionali importanti
L’ambito all’interno del quale è più facile individuare quelli che sono i
cambiamenti qualitativi e senza dubbio quello imprenditoriale. Nel momento in
cui un’impresa decide di passare da una strategia basata sul mercato nazionale
ad una basata sul mercato mondiale contestualmente vi è anche una serie
notevole di cambiamenti organizzativi e produttivi
9
.
Le imprese possono scegliere una grandissima varietà di forme
organizzative, in ogni fase della produzione, come localizzare geograficamente
in luoghi differenti, per ottenere una produzione globale
10
. Ciò vuol dire che in
termini organizzativi tutte le fasi della produzione possono essere interne ad
una singola impresa o essere esternalizzate in diverse modalità, se a ciò si
aggiunge la possibilità di disperdere le varie attività oltre i confini geografici si
ha a disposizione una varietà di forme produttive realmente innumerevole.
Fino agli anni ’70, la maggior parte dell’attività internazionale delle grandi
società è stata contenuta all’interno di una singola entità che poteva prendere
forme organizzative differenti. Anche se i rami differenti di queste imprese
potevano essere sparsi in differenti paesi, erano tutti parte della stessa entità
corporativa. Questo era il modello classico dell’impresa nazionale che si
9
In ogni settore non tutte le società rispondono allo stesso modo a questi cambiamenti di strategia.
10
P. Dicken, Global Shift: The Internationalization of Economic Actvity, seconda edn, (London:
Paul Chapman Publishing, 1992), p. 225.
16
trasformava in impresa multinazionale, durante il periodo successivo alla
seconda guerra mondiale. Negli anni ’80, con l’utilizzo sempre più frequente
del subappalto e l’inizio delle alleanze internazionali, l’immagine è diventata
molto più complicata. Inizialmente, la maggior parte delle imprese hanno
cominciato a subappaltare, parti della loro attività, alle imprese interne ai loro
paesi d’origine allo scopo di contenere i costi e rimanere competitive. Col
tempo, tuttavia, la maggior parte di questa esternalizzazione del lavoro è stata
rivolta verso differenti produttori situati in diverse regioni del mondo. Ad
esempio il settore tessile e dell’abbigliamento ha effettuato una vera e propria
disgregazione dell’attività produttiva in luoghi sparsi nel mondo trasformando
l’organizzazione industriale in sistemi di consegna “just in time” e ottenendo
una grandissima flessibilità nella produzione che porta ad avere catene di
prodotti “guidati dal consumatore”
11
. Questa tendenza non si limita alle società
più grandi ma è sempre più riscontrata anche nelle piccole e medie imprese
12
.
Questo cambiamento nell’organizzazione della produzione è stato
accompagnato da un cambiamento corrispondente nell’organizzazione della
finanza internazionale
13
. Si è andati verso una crescente liberalizzazione che si
è sviluppata velocemente negli anni ’80, che ha reso da un lato più facili le
11
G. Gereffi, ‘The Organization of Buyer-Driven Global Commodity Chains: How U.S. Retailers
Shape Overseas Production Networks’, in G. Gereffi e M. Korzeniewicz (eds), Commodity
Chains and Global Capitalism (Westport CT: Greenwood Press, 1994) 95-122.
12
Immediatamente dopo la crisi del peso Messicano del dicembre ‘94, un numero di piccole e
medie imprese stabilite nello stato di Rhode Island ebbero problemi nei flussi finanziari associati
alla svalutazione della valuta.
13
B. J. Cohen, ‘Phoenix Risen: The Resurrection of Global Finance’, World Politcs, 48 (Gennaio
1996) 268-96. L’argomento sarà approfondito nel capitolo IV.
17
operazioni tra le frontiere e dall’altro ha portato alla nascita di nuovi attori
finanziari che operano in un’ottica globale. Di conseguenza il nuovo mercato
finanziario mondiale ‘non è dotato di mercati nazionali collegati; infatti, non è
dotato affatto di posizioni geografiche. È una rete integrata attraverso i sistemi
d’informazione elettronici che richiede... più di duecento mila video elettronici
nelle stanze di commercio in tutto il mondo che sono collegate insieme’
14
.
Questi cambiamenti hanno portato gli operatori finanziari ad avere una notevole
influenza sulle politiche nazionali, in quanto tramite gli ampi e rapidi
spostamenti di capitale hanno acquisito il potere di punire gli stati che
intraprendo politiche da loro ritenute inadeguate.
Questi cambiamenti nella produzione e nella finanza hanno reso ambigua
l’immagine territoriale tradizionale dell’economia politica internazionale
15
. Il
tradizionale concetto di territorialità deve essere abbandonato in quanto il
controllo sopra i flussi e le reti sta diventando più importante del controllo
sopra lo spazio territoriale fisico. A dimostrazione di ciò negli ultimi anni vi è
stato stata l’emersione di un gran numero di “regioni-stato”
16
. Vari indicatori
empirici sottolineano come le imprese stiano scegliendo di puntare
maggiormente sui mercati regionali e globali per aumentare i propri guadagni,
causando un incredibile aumento di alleanze strategiche tra MNEs, addirittura
14
S. J. Kobrin, ‘Beyond Symmetry: State Sovereignty in a Networked Global Economy’, in J.
Dunning (ed.) Governments, Globalization and International Business (Oxford: Oxford
University Press, 1997) p. 20.
15
S. J. Rosow, ‘On the Political Theory of Political Economy: Conceptual Ambiguity and the
Global Economy’, Review of International Political Economy, 1 (Autunno 1994) 473-5.
16
K. Ohame, The End of the Nation State: The Rise of Regional Economies (New York: Free
Press, 1995) pp. 79-82.
18
tali alleanze riguardano anche l’industria della difesa
17
. Inoltre le imprese
pongono sempre più attenzione alla concorrenza proveniente dall’estero, al
punto tale che un gran numero di imprese non divide più le proprie operazioni
in divisioni domestiche ed internazionali, ma organizzano l’attività ripartendola
in divisioni quali: ricerca e sviluppo, produzione, vendita, assistenza, ecc…;
valutandola in modo integrato, con un occhio verso la concorrenza globale.
I cambiamenti qualitativi coinvolgono anche la società civile. Come si
discuterà approfonditamente nel capitolo sette, la società civile si è trasformata
anch’essa in globale, pensando ed agendo globalmente. Le associazioni
appartenenti alla società civile globale hanno acquisito il potere di attirare
l’attenzione sui problemi globali, di mobilitare le loro reti sopranazionali di
supporto e di iscrivere i problemi nazionali, regionali e globali all’ordine del
giorno delle istituzioni sovraterritoriali e nazionali.
Anche le organizzazioni sovranazionali hanno alterato il loro orientamento e
sono diventate sempre più intrusive in quelli che erano stati visti (almeno nel
passato recente) come problemi di stretta competenza dei singoli stati sovrani.
L’FMI, la Banca Mondiale, il WTO e le istituzioni regionali hanno aumentato la
frequenza, la profondità e la portata dei loro interventi. In passato il loro
funzionamento è stato sempre su scala globale, non sono mai entrati negli affari
“interni” degli stati, negli ultimi anni invece si è riscontrata questa intrusione
accettata dagli stati stessi. Un esempio è dato dal GATT/WTO che nel sostenere
17
D. Mussington, Arms Unbound: The globalization of Defense Production, (Washington, DC:
Brassey’s, 1994) p. 29.