un’esigenza recente, ma era avvertita già da tempo. Ne sono
conferma i numerosi disegni di legge, ma anche le sollecitazioni degli
esperti in materia. Tuttavia, nonostante la situazione economica,
demografica e legislativa che ha continuato ad appesantire il debito
dell’INPS, una riforma incisiva del sistema pensionistico per molto
tempo è stata attesa invano. Soltanto nel 1992 c’è stata una prima
importante riforma attuata con la legge del 23 ottobre 1992, n.421 del
Governo Amato. Un’ulteriore e più incisiva riforma è poi avvenuta con
la legge dell’8 agosto 1995, n.335 del Governo Dini.
I motivi della crisi del sistema pensionistico possono riassumersi in:
1) la rapida evoluzione demografica (che ha modificato il rapporto tra
individui attivi ed anziani), consistente sia nell’aumento della
speranza di vita, sia nel forte calo della natalità;
2) l’elevato tasso di disoccupazione (12,3% nell’anno 1997
4
);
3) la differenze di tutela e di contribuzione tra categorie di lavoratori.
Tra gli ulteriori elementi che pesano sul bilancio dell’INPS, sono da
considerare:
a) le pensioni di anzianità, le baby pensioni, (esempio emblematico
era costituito dalle lavoratrici madri che potevano andare in
pensione con 15 anni, 6 mesi e un giorno di anzianità contributiva);
b) l’aumento della pensione media;
c) l’allargamento della copertura pensionistica a nuove figure di
lavoratori;
4
Fonte: Relazione generale sulla situazione economica del Paese (1997), vol. I, tabella CI 2.
d) il fatto che la retribuzione maturata negli ultimi anni di attività
lavorativa, è stato il principale elemento di riferimento nel calcolo
della pensione.
La situazione attuale è tale da imporre una ristrutturazione del sistema
pensionistico che armonizzi i diversi regimi, elimini i privilegi settoriali,
le sperequazioni di trattamento ed attui un’equa distribuzione dei costi
tra generazioni.
Ma, il problema delle gestioni pensionistiche non è dovuto solo a ciò
di cui ho parlato. Infatti, in passato il sistema ha promesso più di quanto
non fosse in grado di mantenere. In particolare, le formule utilizzate per
il calcolo delle prestazioni hanno determinato un trattamento
pensionistico generoso, creando una spesa previdenziale sproporzionata
rispetto ai contributi.
In Italia, la consapevolezza della gravità dei problemi è intervenuta
con ritardo. Il nostro Paese si è allontanato progressivamente dagli
standard prevalenti a livello internazionale.
Per molti anni il legislatore ha considerato il sistema pensionistico
semplicemente come un elemento del processo di riequilibrio della
finanza pubblica. Impostazione questa, che non ha risolto i problemi, ma
che ha sovrapposto a problemi di fondo, storture ed iniquità derivanti da
esigenze contingenti. Ciò ha portato ad una legislazione della materia
molto disorganica, spesso priva di principi generali discussi ed accettati.
Tale legislazione qualcuno l’ha chiamata “l’arcipelago delle pensioni”.
Alla luce di tutto ciò si comprende l’opportunità di una riforma che
tenga conto di principi di matematica finanziaria che permettano di
individuare il rapporto matematicamente corretto tra contributi versati,
periodo di contribuzione, età di pensionamento e pensione.
Anche l’Unione Europea, nel “Rapporto economico annuale 1999”,
pubblicato dalla Commissione europea, punta il dito contro il sistema
pensionistico italiano, avvertendo della necessità di riformare.
1.2 Il Sistema Pensionistico e La Costituzione.
Prima di discutere dell’attuale sistema pensionistico e delle possibilità
di riformarlo, occorre tenere presente il dettato costituzionale.
La Costituzione accoglie al riguardo, il concetto di sicurezza sociale.
Essa è intesa come liberazione dal bisogno, interesse questo,
corrispondente a tutta la collettività e che trova specificazione in
numerose disposizioni. Prima fra tutte l’art.3, secondo il quale è compito
dello Stato rimuovere gli ostacoli di tipo economico e sociale che,
limitando la libertà e l’uguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana.
In particolare, è stabilito dall’art.38, 1° comma che: “Ogni cittadino
inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all’assistenza sociale”.
Al 2° comma si aggiunge che: “I lavoratori hanno diritto che siano
preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso
di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione
involontaria”.
Inoltre, sempre all’art.38: “Gli inabili ed i minorati hanno diritto
all’educazione e all’avviamento professionale.”
“Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti
predisposti dallo Stato”. “L’assistenza privata è libera”.
L’evoluzione del nostro sistema è avvenuta nella consapevolezza
dell’impegno assunto con questa disposizione. Infatti, si mira a tutelare
chi, vivendo del proprio lavoro, si potrebbe trovare in condizioni di
bisogno. Ciò costituisce espressione di solidarietà di tutta la collettività,
ma anche principio di sicurezza sociale.
In tale contesto, l’intervento dello Stato assume un ruolo
fondamentale, in quanto deve costituire gli istituti, disciplinare le
organizzazioni ed i rapporti, ma anche realizzare effettivamente la tutela
dei soggetti protetti.
Inoltre, vista l’innegabile relazione esistente tra l’art.38 e l’art.36 della
Costituzione, le prestazioni previdenziali devono essere adeguate alle
esigenze di vita della famiglia del lavoratore, dato il concetto di
retribuzione proporzionata e sufficiente.
Nonostante la legislazione in materia pensionistica sia stata spesso
dettata da scelte politiche contingenti, sotto la pressione delle forze
politiche e sociali e sia densa di contraddizioni e deviazioni, ai principi
costituzionali di sicurezza e protezione sociale è stata data ampia
attuazione.
Tuttavia, occorre dire, che spesso lo Stato ha esagerato. Le elargizioni
in alcuni casi consistenti, le disparità di condizioni e requisiti tra le varie
categorie, e più in generale, l’introduzione di miglioramenti
previdenziali senza un’adeguata copertura finanziaria, hanno contribuito
a determinare la grave crisi finanziaria che affligge il nostro sistema
pensionistico, con forti ripercussioni sul debito pubblico.
Obiettivo del legislatore, nel rispetto del dettato costituzionale,
sarebbe dovuto essere quello della liberazione dal bisogno, inteso come
soddisfazione delle esigenze di carattere fondamentale e dei bisogni
primari e non il soddisfacimento di bisogni accidentali e contingenti.
L’esigenza della riforma è di fornire una tutela previdenziale che, nel
rispetto dettato costituzionale, si limiti ad erogare trattamenti a fronte di
situazione di bisogno e di soddisfacimento di esigenze essenziali.
1.3 Storia Delle Pensioni. Nascita e Cambiamenti.
La storia delle pensioni, nel nostro Paese, comincia più di cent’anni fa.
Le leggi istitutive dell’assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia, si
collocano tra la fine del XIX e l’inizio del XX sec.
Sono leggi che rappresentano una delle più importanti conquiste della
classe lavoratrice, ma al tempo stesso un momento fondamentale nella
costruzione del nucleo originario del welfare state.
Nel 1898, venne approvata la legge che istituì la Cassa Nazionale di
Previdenza, allo scopo di assicurare gli operai contro l’invalidità e la
diminuzione di produttività dovuta alla vecchiaia. Tale assicurazione era
facoltativa e segnò la nascita della previdenza sociale in Italia. Le società
di assicurazione a cui ci si rivolse erano private. Si trattava di
un’assicurazione privata per la responsabilità civile che conservò
struttura contrattuale.
Nel 1912 venne approvata la legge che istituì l’INA (Istituto
Nazionale delle Assicurazioni), e che sancì il monopolio dello Stato sulle
assicurazioni sulla vita.
Il passo successivo venne compiuto nel 1919, con il Reggio Decreto
che riordinò il sistema delle assicurazioni e rese obbligatoria
l’assicurazione sulla vecchiaia. Stabilì l’accantonamento di parte del
salario per il periodo improduttivo della vita.
Nel 1933 nacque l’INFPS (Istituto Nazionale Fascista di Previdenza
Sociale), che prese il posto della Cassa Nazionale di Previdenza. Era un
Istituto nato da precedenti esperienze tedesche, noto come Social
Security. Aveva le seguenti caratteristiche: rendeva la partecipazione
obbligatoria per tutti i lavoratori, la contribuzione era proporzionale al
salario ed ebbe il merito di garantire a tutti un livello di vita decoroso
durante gli anni del pensionamento.
Con l’avvento della Repubblica, comincia qualche ritocco, per prima
cosa l’INFPS muta nome in INPS, poi ci sono altri cambiamenti.
Durante l’ordinamento corporativo, la tutela previdenziale era
l’espressione di una solidarietà tra lavoratori e datori di lavoro. Con la
Costituzione repubblicana, questa diventa l’espressione di una solidarietà
estesa a tutti i cittadini. Pertanto, c’è un’evoluzione della previdenza
sociale parallelamente all’affermarsi dell’idea di sicurezza sociale.
Questa deve essere intesa come liberazione dal bisogno, condizione
indispensabile per l’effettivo godimento dei diritti civili e politici.
Dalla previdenza intesa come istituto assicurativo di natura privata,
che copre a livello individuale i più svariati rischi legati all’attività
lavorativa, ci si avvia all’idea di welfare state, di sicurezza sociale.
Gli eventi collegati con la seconda guerra mondiale avevano sconvolto
il sistema pensionistico, allora finanziato con il sistema della
capitalizzazione. Si fa riferimento agli elevati livelli a cui era giunta
l’inflazione, che aveva drasticamente ridotto il valore reale delle riserve
dei fondi pensionistici. Le pensioni medie reali nel 1945 valevano un
undicesimo di quanto valevano nel 1934-35
5
.
Con diversi interventi, ed in particolare con la legge del 4 aprile 1952,
n. 218, si procedette ad un riordino del sistema previdenziale e si attuò il
passaggio dal sistema a capitalizzazione a quello a ripartizione
(utilizzando il tipo di ripartizione chiamata contributiva)
6
.
Uno dei primi interventi fu quello con cui ai dipendenti pubblici
venne concesso il beneficio della pensione di anzianità.
Nei primi anni ’60, venne disposto un aumento del 30% delle pensioni
d’invalidità e vecchiaia. Successivamente la pensione di anzianità venne
estesa anche ai lavoratori privati.
Nello stesso periodo, si istituì la pensione sociale per gli
ultrasessantacinquenni privi di reddito e l’adeguamento automatico delle
pensioni al costo della vita.
Con riforma del 1968, si assicurò al lavoratore una pensione pubblica
pari all’80% dell’ultimo stipendio. Dato questo che caratterizza la
seconda metà degli anni ’60, in quanto attuò il passaggio dal sistema
contributivo (in cui la pensione era collegata ai contributi versati), a
quello retributivo (in cui la pensione era commisurata alla retribuzione).
All’inizio degli anni ’70, il Parlamento introdusse le cosiddette “baby
pensioni” per i dipendenti pubblici. Permettevano il collocamento in
pensione, con un’anzianità contributiva pari a 20 anni e ancor meno per
le lavoratrici madri e per particolari categorie di lavoratori.
Gli anni ’70, si caratterizzano anche per i continui aumenti che sono
stati previsti a favore delle pensioni d’invalidità, vecchiaia ed per i
superstiti, compresi trattamenti minimi e pensioni sociali. Per esempio a
5
Fonte: INPS (1951), Capitalizzazione o ripartizione? (Roma).
6
Cfr. Cap. II, par.2.1, 2.2.
partire dal 1° gennaio 1972, sono state aumentate in misura pari al 5,5%
del loro ammontare, nel 1974 del 9,8% e nel 1975 del 13%.
Questi primi anni della previdenza repubblicana si caratterizzano per
la fiducia nel futuro e nell’evoluzione economica e demografica del
Paese. La crescita del PIL, della popolazione lavoratrice e il boom
economico garantivano l’erogazione delle pensioni.
Quando tale crescita non si è più realizzata, il sistema è giunto al
collasso. Si riporta un esempio: nel 1960, la spesa pensionistica era pari
al 4% del PIL, oggi è giunta al 14,8%
7
. Questo cambiamento è dovuto
sia all’aumento del monte pensioni, ma anche alla diminuzione del tasso
di accrescimento del PIL. Inoltre, la popolazione italiana invecchia,
infatti, nel 2025, la classe più numerosa sarà quella dei sessantenni
8
.
I fattori di crisi del sistema previdenziale hanno cominciato a
manifestarsi a partire dagli anni ’80.
In Italia, a differenza di altri Paesi, tale crisi non è stata correttamente
interpretata e non ci si è posto l’obiettivo di varare una sostanziale
riforma. Non ci si è posto il problema della sostenibilità
macroeconomica del sistema, alla luce della diversa evoluzione
economica e demografica rispetto al periodo precedente. Ci si limitò ad
aumentare i contributi e/o ad innalzare l’età del pensionamento.
Non venne attuata una riforma strutturale, ma solo di tipo quantitativo,
ed oggi, la generazione lavoratrice è chiamata a sostenere le promesse
del sistema precedente.
La riforma del sistema pensionistico, ha avuto la sua prima tappa nel
1992, con il Governo presieduto da Giuliano Amato. Si è stabilito un
elevamento dell’età pensionabile, la pensione non sarà più calcolata sulla
7
Cfr. Figura 5.
8
Cfr. Cap. I, par. 1.5.
media delle retribuzioni degli ultimi 5 anni, sistema che avvantaggiava le
carriere che sono più veloci alla fine, ma degli ultimi 10 anni.
L’intenzione è di portare il calcolo a tenere conto di tutta la vita
lavorativa, con positivi risvolti anche dal punto di vista dell’evasione
contributiva.
Altra tappa, è stata nel 1995 la riforma promossa dal governo di
Lamberto Dini, che, nel tempo, mira a sostituire il sistema di tipo
retributivo, si può dire quello attualmente ancora in vigore, con il sistema
di tipo contributivo.