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Premessa
In questa prova conclusiva ho scelto di approfondire il pensiero pedagogico di John Dewey
perché in esso ho trovato una mirabile sintesi di temi filosofici, oggetto dei miei precedenti
studi universitari, prassi educative, oggetto del mio lavoro attuale, e partecipazione attiva
alla propria realtà socioculturale, oggetto dei miei propositi quotidiani. Spinto dalla natura
innovativa delle sue idee e dalla condivisione del ruolo centrale dell’educazione nella
costruzione di una società realmente democratica, mi sono posto l’obiettivo di affrontarne i
temi principali, di contestualizzarli nella sua corposa biografia intellettuale e di interrogarmi
sull’attualità e la pertinenza degli stessi, anche in rapporto alla mia esperienza lavorativa
come assistente educativo, riconosciuta dal Corso di Laurea come tirocinio esterno.
Nello sviluppo del presente lavoro ho inoltre deciso di focalizzarmi soprattutto sui contenuti
di Scuola e società (1899), con particolare riferimento all’esperienza della scuola-laboratorio
dell’Università di Chicago (1896-1903), anche per avere la possibilità di comparare le
soluzioni suggerite da Dewey, che nell’opera assumono un taglio operativo ed esperienziale
maggiore rispetto ad altri scritti sull’educazione, con la mie conoscenze personali sulla
scuola pubblica italiana.
Il primo capitolo ha un carattere introduttivo ed è suddiviso in tre parti che trattano, in forma
sintetica, la formazione intellettuale del filosofo statunitense e le premesse filosofiche della
sua concezione pedagogica, il contesto culturale e gli aspetti principali delle scuole nuove e
dell’attivismo pedagogico e il tema del rapporto tra educazione e democrazia con riferimenti
all’evoluzione storica delle idee politiche di Dewey. Il secondo capitolo è invece centrato su
un’analisi più approfondita dei contenuti di Scuola e società, che vengono ripresi in relazione
ai quattro problemi educativi che hanno animato l’origine della scuola-laboratorio: l’unità
fra la scuola e la vita; l’attribuzione di significato alla didattica; il legame tra i simboli sociali
e l’esperienza quotidiana; l’attenzione individuale. Il terzo capitolo, infine, si articola in due
paragrafi conclusivi che affrontano, in linea generale, il tema dell’attualità del pensiero
pedagogico di Dewey, prima in una prospettiva critica poi con alcune osservazioni sulla mia
esperienza in una scuola primaria.
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In appendice al lavoro ho inserito un’analisi dei contenuti di Spazi di cittadinanza (1916),
relazione nella quale Dewey promuove la nazionalizzazione dell’istruzione pubblica, e una
breve comparazione con lo scenario sociopolitico attuale. È uno scritto meno conosciuto di
altri, ma che ho ritenuto funzionale ad una riflessione finale sulla centralità dell’educazione
nella costruzione di un’identità plurale fondata su logiche cooperative.
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1. Introduzione al pensiero pedagogico di John Dewey
1.1. La formazione intellettuale e le premesse filosofiche
Nel percorso formativo di un pensatore complesso e prolifico come John Dewey (1859-
1952)
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, che si è confrontato con numerosi ambiti del sapere e ne ha ricercato una visione
unitaria, le influenze sono spesso molteplici e non sempre facili da categorizzare. Può
comunque essere distinta una fase iniziale nella quale l’influenza principale è rappresentata
dall’idealismo hegeliano, centrale nei suoi studi universitari
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e nella stesura delle prime
opere, e una fase successiva nella quale se ne allontana progressivamente, pur
conservandone traccia
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, per abbracciare il pragmatismo americano, di cui svilupperà una
personale interpretazione denominata strumentalismo. Tra queste due coordinate filosofiche
principali s’inseriscono l’interesse per la psicologia, che proprio negli anni della sua
formazione è al centro di importanti innovazioni
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e alla quale contribuirà in termini di
funzionalismo psicologico, l’influenza dell’evoluzionismo darwiniano
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, comune a tutti i
pragmatisti, e un interesse vivo e costante per lo scenario politico americano, orientato
all’affermazione della propria concezione democratica della società. Rispetto alla pluralità
delle strade battute dal pensiero di Dewey la pedagogia ha una funzione di raccordo, oggetto
del terzo paragrafo del presente capitolo, che raggiunge la sua massima espressione nel
rapporto tra educazione e democrazia, le cui solide fondamenta sono rappresentate dal
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Nasce a Burlington, nello stato del Vermont, nel 1859 e studia filosofia, prima all'università del Vermont e
poi alla “Johns Hopkins University” di Baltimora, laureandosi nel 1884. Tra il 1884 ed il 1894 insegna in varie
università del Middle West, per poi trasferirsi a Chicago, dove rimane per dieci anni. Nel 1904, infine, si
trasferisce alla Columbia University di New York, dove insegna fino al 1929. Dopo il pensionamento porta
avanti la sua attività di ricerca e pubblica nuove opere, impegnandosi politicamente sul fronte progressista e
dei diritti umani. Muore a New York nel 1952 (le presenti note biografiche hanno un intento esclusivamente
orientativo e saranno arricchite progressivamente nel corso del lavoro).
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A tal proposito, centrale è stata l’influenza dell’educatore americano George Sylvester Morris (1840-1889),
docente di storia della filosofia alla “Johns Hopkins University” di Baltimora.
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Dell’influenza esercitata dall’idealismo hegeliano «resterà solo l’istanza unificante (di pensiero e realtà, di
spirito e materia)». Cfr. S. Santamaita, Storia dell’educazione e delle pedagogie, Milano-Torino, Bruno
Mondadori, 2013, p. 107.
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I principali tratti distintivi della nuova psicologia saranno oggetto del IV capitolo di Scuola e società e
verranno ripresi nel secondo capitolo del presente lavoro. Cfr. J. Dewey, Scuola e società, a cura di F. Borruso,
Edizioni Conoscenza, Roma, 2018, pp. 97-112. In tale ambito si ricorda anche l’influenza della psicologia
dell’età evolutiva di Granville Stanley Hall, che «introdusse Dewey alla psicologia genetica e alla teoria della
‘ricapitolazione’ delle attività ancestrale da parte del fanciullo». Cfr. F. Borruso, Il pensiero di un innovatore,
la rivoluzione pedagogica di John Dewey, in J. Dewey, Scuola e società, op. cit., p. 8 (e A. Visalberghi, John
Dewey, La Nuova Italia, Firenze, 1972, p. 4).
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Nel 1859, anno di nascita di Dewey, esce Sull’origine della specie di Charles Darwin, opera di riferimento
per la biologia evoluzionista darwiniana.
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concetto di esperienza e dal pensiero riflessivo, tra loro strettamente connessi. Infine,
coerentemente con la sua forma mentis, sempre attenta alle sfide culturali del presente, è
opportuno annoverare tra le influenze anche i grandi cambiamenti sociali che hanno
accompagnato la sua biografia intellettuale. Lo è soprattutto se si considera che Dewey ha
vissuto gli avvenimenti più significativi di quasi un secolo di storia, dalla seconda
rivoluzione industriale alla nascita della società di massa, passando per due guerre mondiali
e per la parabola dei regimi totalitari, fino alla resa degli stessi e alla divisione del mondo in
due blocchi ideologici.
Procedendo con ordine
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, il pragmatismo è un movimento filosofico che nasce e si sviluppa
negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo
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e, per quanto contraddistinto al suo interno da una
molteplicità di indirizzi, se ne può individuare un comune denominatore, di chiara rottura
rispetto al passato, in una nuova concezione del pensiero, visto ora come un processo di
intervento attivo sulla realtà e non come mera contemplazione di verità prestabilite o
ricezione passiva dei dati sensibili provenienti dal mondo esterno. Nella genesi del
pragmatismo è centrale l’influenza esercitata dalla teoria darwiniana dell’evoluzione e dalle
sue implicazioni in ambito biologico, sintetizzabili nel rapporto dinamico e conflittuale che
lega costantemente l’essere vivente all’ambiente circostante. Sulla base di tale premessa i
pragmatisti interpretano il pensiero come uno strumento che facilita l’adattamento dell’uomo
al proprio ambiente naturale e sociale, in un processo di reciproco adattamento tra il soggetto
e la realtà esterna. Si assiste quindi ad una rivalutazione dell’azione e la verità si trasforma
da stato mentale ad attività, un processo conoscitivo nel quale la verità di un’azione risiede
nell’effetto futuro dell’azione stessa.
Entrando nel merito dello strumentalismo, che rielabora i nodi essenziali del pragmatismo
americano e al quale Dewey approda attraverso una revisione critica dell'idealismo
hegeliano
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, esso rappresenta «una radicale conversione verso quel naturalismo umanistico»
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Nell’economia del presente lavoro non ho ritenuto necessario approfondire l’influenza dell’idealismo
hegeliano, meno rilevante a partire dal periodo di Chicago (1894-1904).
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Convenzionalmente il movimento pragmatistico si considera iniziato da C.S. Peirce, con la pubblicazione
dell'articolo How to make our ideas clear su Popular Science Monthly nel gennaio 1878, ma si è sviluppato di
fatto solo un ventennio più tardi, soprattutto grazie all’opera di William James. Con il suo primo interprete,
Charles Sanders Peirce, il pragmatismo si configura in termini metodologici, come una teoria del significato
nella quale il significato si identifica con l’insieme delle conseguenze pratiche derivanti dalla sua accettazione,
mentre con William James e lo stesso Dewey il pragmatismo si evolve in termini utilitaristici e diviene piuttosto
una teoria della verità nella quale la verità tende ad identificarsi con l’utilità pratica.
8
La realtà non può essere concepita come razionalità assoluta. È un tutto, unitario come vuole la tradizione
hegeliana, ma in essa non coincidono essere e dover essere.
9
A. Visalberghi, Il filosofo dello spirito scientifico, in J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, vol. I, a cura di
A. Visalberghi, Reprints Einaudi, Torino, 1974, p. XI. Come la scuola-laboratorio, anche lo sviluppo dello
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che accentua il carattere strumentale e sociale del pensiero, nel quale la conoscenza diviene
parte integrante dell'esperienza e la logica non può essere separata dalla ricerca scientifica.
In tale prospettiva le idee, che appaiono «come progetti di operazioni possibili»
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, e la
comunicazione, che «ci mette nella condizione di vivere in un mondo di cose che hanno
significato»
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, sono strumenti indispensabili all'agire pratico dell’uomo e il parametro di
valutazione della loro utilità coincide con i risultati stessi dell’azione. In sintesi, il
pragmatismo deweyano deve il proprio nome ad una concezione dell'intelligenza umana
come strumento risolutivo dei problemi della vita, la cui stessa esistenza è legata ad una
relazione dinamica tra soggetto e oggetto, che è di fatto una «distinzione di comodo e
funzionale»
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. L’uomo interagisce con l'ambiente in quanto l'ambiente pone problemi che
esso deve risolvere elaborando ipotesi e modificandole in base ad una costante interazione
con la realtà, ovvero all’esperienza. La conoscenza dell'uomo è quindi in continuo
mutamento e lo strumento di cui dispone è la ragione, che «va considerata soprattutto come
un’attività simbolica di ricerca e di indagine, secondo un metodo proprio, fatto di ipotesi e
di sperimentazioni»
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, un metodo che animerà anche le prassi educative di Scuola e società.
A completamento di tale visione è opportuno soffermarsi sulla concezione deweyana
dell’esistenza umana e del rapporto tra uomo e natura, secondo la quale il carattere più
evidente della condizione umana è la precarietà e il problema principale dell’uomo è rendere
la propria esistenza più stabile. È un problema pratico la cui risoluzione è affidata al pensiero,
perché il solo modo di renderla più sicura è acquisire «la capacità di controllare i mutamenti
che intervengono tra l’inizio e la conclusione di un processo»
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di stabilizzazione. In tutto
questo, l’uomo è parte della natura ed il suo stesso pensiero ne è un’espressione, una natura
complessa e contraddittoria in cui si riflette la stessa instabilità dell’esistenza umana. Esiste
quindi una sola realtà, fatta di esperienza e natura, di mente e corpo, costantemente alla
ricerca di un proprio equilibrio, che non è mai definitivo e che si costruisce di volta in volta
tramite un intervento dinamico di esperienza e riflessione. Ed è proprio su questo sfondo che
strumentalismo è legato al periodo di Chicago (1894-1904) e alla collaborazione di Dewey con G. H. Mead, J.
H. Tufts e T. Veblen, che da inizio alla cosiddetta “Scuola di Chicago”.
10
A. Cosentino, Ricostruire in pedagogia, in J. Dewey, Le fonti di una scienza dell’educazione, a cura di A.
Cosentino, Fredericiana Editrice Universitaria, Napoli, 2015, p. XVIII.
11
J. Dewey, Esperienza e natura, a cura di P. Bairati, Mursia, Milano, 1990, p. 157.
12
A. Visalberghi, Il filosofo dello spirito scientifico, in J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, vol. I, op. cit.,
p. XII.
13
F. Cappa, Introduzione, in J. Dewey, Esperienza e educazione, a cura di F. Cappa, Raffaele Cortina Editore,
Milano, 2014, p. IX.
14
J. Dewey, Esperienza e natura, op. cit., p. 15.